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RACCONTO

1. Chiamata

Giuseppe Impastato S.I.

Mi passò accanto
e mi trasse da sabbie mobili
di prospettive piccine:
«Percorri la terra e annunzia...»

Mi condusse fuori
da angusti cantucci
e mi indicò l'orizzonte:
«C'è il mio mondo che aspetta...»

Mi scrutò dentro
con occhi d'amore
e m'investì col suo spirito:
«Leggi nei cuori e conducili a me...»

missioneannunciodiscepolato

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 17/09/2022

RACCONTO

2. Seduto su un tronco   2

Questa è una leggenda degli indiani Cherokee a riguardo del "rito di passaggio".

Il padre porta il figlio nella foresta, gli mette una benda sugli occhi e lo lascia lì da solo. Il giovane deve rimanere seduto su un tronco tutta la notte senza togliere la benda finché i raggi del sole non lo avvertono che è mattino. Non può e non deve chiedere aiuto a nessuno. Se sopravvive alla notte, senza andare a pezzi, sarà un uomo.

Non può raccontare della sua esperienza ai suoi amici o a nessun altro, perché ogni giovane deve diventare uomo da solo.

Il ragazzo è chiaramente terrorizzato: sente tanti rumori strani attorno a lui. Ci sono senz'altro bestie feroci che lo circondano. Forse anche degli uomini pericolosi che gli faranno del male.

Il vento soffia forte tutta la notte e scuote il tronco su cui è seduto, ma lui va avanti coraggiosamente, senza togliere la benda dagli occhi. In fondo, è l'unico modo per diventare uomo!

Finalmente, dopo una notte terrificante, esce il sole e si toglie la benda dagli occhi. Ed è così che si accorge che suo padre è seduto sul tronco a fianco a lui. È stato di guardia tutta la notte proteggendo suo figlio da qualsiasi pericolo.

Il padre era lì, anche se il figlio non lo sapeva.

Anche noi non siamo mai soli. Nella notte più terrificante, nel buio più profondo, nella solitudine più completa, anche quando non ce ne rendiamo conto, Dio non ci abbandona mai, e fa la guardia, seduto sul tronco a fianco a noi.

pauraamore di Diorapporto con Diofedefiduciaabbandonoabbandono in Dio

inviato da Qumran2, inserito il 23/12/2020

RACCONTO

3. La lieta novella   1

Anthony De Mello, Il canto degli uccelli

Ecco la lieta novella proclamata da nostro Signore Gesù Cristo:

Gesù iniziò ad ammaestrare i suoi discepoli con delle parabole. Egli disse:

Il regno dei cieli è come due fratelli che vivevano contenti e soddisfatti finché Dio non li chiamò entrambi a divenire suoi discepoli. Il più grande rispose generosamente alla chiamata, sebbene significasse per lui strapparsi dalla sua famiglia e dalla ragazza che amava e che sognava di sposare. Alla fine partì per un paese lontano dove dette tutto se stesso nel servizio ai più poveri dei poveri. In quel paese iniziò una persecuzione ed egli fu arrestato, accusato ingiustamente e condannato a morte.

E il Signore gli disse: «Ben fatto, servo buono e fedele! Tu mi hai reso un servizio che vale mille talenti. Io ti darò una ricompensa che vale miliardi di talenti. Entra nella gioia del tuo Signore».

La risposta del fratello più giovane alla chiamata fu men che generosa. Decise di ignorarla e di continuare come prima e di sposare la ragazza che amava. Ebbe una felice vita matrimoniale, i suoi affari prosperarono e divenne ricco e famoso. Talvolta faceva l'elemosina ad un mendicante o aveva un pensiero gentile per la moglie e i figli. Talvolta, inoltre, mandava una piccola somma di denaro al fratello maggiore in quel paese lontano. «Potrà esserti utile nel tuo lavoro per quei poveri diavoli», gli scriveva.

Quando giunse la sua ora, il Signore gli disse: «Ben fatto, servo buono e fedele! Tu mi hai reso un servizio da dieci talenti. Io ti darò una ricompensa che vale miliardi di talenti. Entra nella gioia del tuo Signore!».

Il fratello maggiore si sorprese quando udì che il fratello avrebbe ricevuto la sua stessa ricompensa. E ne fu contento. Disse: «Signore, ora che lo so, se dovessi rinascere e rivivere la mia vita, rifarei esattamente ciò che ho fatto per te».

Questa è davvero una lieta novella: un Signore generoso, un discepolo che lo serve per la pura gioia che l'amore conferisce al servizio.

generositàgratuitàservizioregno dei cieli

1.0/5 (1 voto)

inviato da Lucia Iseppi, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

4. Le chiavi del castello   2

Don Luca Murdaca, ilbuongiorno.wordpress.com

Un giorno un Re, dovette partire per un lungo viaggio e non volle lasciare incustodito il suo castello... allora promise al primo che si fosse reso disponibile di dare le chiavi del castello per poter utilizzare tutte le stanze e viverci finché non fosse tornato. Un giovanotto si rese disponibile. Il re diede a lui un bel mazzo di chiavi, ma presto il giovane si accorse che nel mazzo mancava una chiave, quella del portone principale che il Re chiuse prima di partire. Il giovane quindi fu costretto a vivere per lungo tempo prigioniero nel castello. È vero, aveva accesso ad ogni stanza, ma non aveva la possibilità di uscire dal castello né di far entrare nessuno. Questo per lui divenne motivo di grande tristezza.

Possiamo avere tante chiavi nella nostra vita, ma senza la chiave principale, quella che ci fa uscire da noi stessi, dal nostro egoismo, dalla nostra pigrizia... senza quella chiave che si chiama Amore, resteremo prigionieri della nostra stessa vita.

relazionealtruismolibertàamoresolitudineapertura

4.0/5 (3 voti)

inviato da Luca Murdaca, inserito il 19/02/2018

RACCONTO

5. La valigia   1

Un uomo morì. Appena varcata la soglia dell'aldilà vide Dio, con una valigia, che gli veniva incontro.
E Dio disse:
- Figlio, è ora di andare.
L'uomo stupito domandò:
- Di già? Così presto? Avevo tanti progetti...
- Mi dispiace ma è giunta l'ora della tua partenza.
E si incamminarono. Curioso l'uomo chiese a Dio:
- Cosa porti nella valigia?
E Dio gli rispose:
- Ciò che ti appartiene.
- Quello che mi appartiene? Porti le mie cose, i miei vestiti, i miei soldi?
Dio rispose:
- Quelle cose non ti sono mai appartenute, erano del mondo.
- Porti i miei ricordi?
- Quelli non ti sono mai appartenuti, erano del tempo.
- Porti i miei talenti?
- Quelli non ti sono mai appartenuti, erano delle circostanze.
- Porti i miei amici, i miei familiari?
- Mi dispiace, loro mai ti sono appartenuti, erano compagni di viaggio.
- Porti mia moglie e i miei figli?
- Loro non ti sono mai appartenuti. Ti sono stati solo affidati.
- Porti il mio corpo?
- Non ti è mai appartenuto. Era della polvere.
- Allora porti la mia anima?
- No, l'anima è mia.
Allora l'uomo, di scatto, afferrò la valigia per guardarvi dentro e, con le lacrime agli occhi disse:
- Ma è vuota! Allora non ho mai avuto niente?
- Beh, le cose materiali, per cui hai tanto lottato, non puoi portarle con te. Il vero bene della vita è il tempo. Ecco perché non dovevi sprecarlo ma impegnarlo per prepararti alla vita eterna, accumulando l'unico tesoro che ha valore nel mio Regno: i tuoi gesti di amore. Il resto non conta nulla.

Questo è quanto ci raccomanda il Signore, con tutto il suo cuore:
Non accumulate per voi tesori sulla terra; accumulate invece per voi tesori in cielo” (Mt 6,19-20)

morteimportanza delle cosealdilàtemporegno di Dioamorevitasenso della vitainterioritàesterioritàgiudizio

4.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 03/12/2017

RACCONTO

6. Il bambino rapito

C'era una pacifica tribù che viveva in pianura ai piedi delle Ande. Un giorno, una feroce banda di predoni, che aveva il covo nascosto tra le vertiginose vette delle montagne, attaccò il villaggio. In mezzo al bottino che portarono via c'era anche un bambino, figlio di una famiglia della tribù di pianura, e lo portarono con loro in montagna.
La gente di pianura non sapeva come fare a scalare la montagna. Non conoscevano nessuno dei sentieri usati dalla gente di montagna, non sapevano come trovare quella gente o come trovare le loro tracce su quel terreno scosceso. Ciò nonostante mandarono un gruppo di uomini, i loro migliori guerrieri, a scalare la montagna per riportare a casa il bambino.
Gli uomini cominciarono la scalata prima in un modo, poi in un altro. Provarono un sentiero, poi un altro. Dopo diversi giorni di duri sforzi, erano riusciti ad andare solo un centinaio di metri su per la montagna. Sentendosi completamente impotenti, gli uomini di pianura si diedero per vinti e si prepararono a tornare al villaggio giù in basso.
Mentre stavano per fare marcia indietro videro la madre del bambino che veniva verso di loro. Si accorsero che stava scendendo dalla montagna che loro non erano riusciti a scalare. E poi videro che portava il bambino in una sacca dietro le spalle. Uno degli uomini dei gruppo la salutò e disse: «Non siamo riusciti a scalare questa montagna. Come hai fatto tu a riuscirci quando noi, che siamo gli uomini più forti del villaggio, non ce l'abbiamo fatta?».
La donna scrollò le spalle e disse: «Non era il vostro bambino!».

Dio ha detto a ciascuno di noi:
«Tu sei il figlio che amo.Tu sei il mio bambino».
E niente e nessuno lo ha fermato per riportarci a casa.

amore di Diosalvezzaamorericercagenitorifiglipaternitàmaternitàtenaciaforzaimpossibile

inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

RACCONTO

7. Alla clinica del Signore   1

Sono stato nella clinica del Signore per farmi dei controlli di routine e ho constatato che ero ammalato.

Quando il Signore mi misurò la pressione, ho visto che avevo la Tenerezza bassa. Nel misurarmi la temperatura, il termometro registrò 40º di Ansietà. Mi fece un elettrocardiogramma e la diagnosi fu che avevo bisogno di diversi bypass di Amore, perché le mie arterie erano bloccate dalla Solitudine e non irroravano il mio cuore vuoto.

Andai in Ortopedia, dato che non potevo camminare al fianco del mio fratello, e non potevo dargli un abbraccio fraterno, perché lo avevo fratturato inciampando nell'Invidia. Mi riscontrò anche una Miopia, dato che non potevo vedere al di là delle cose negative del mio prossimo. Quando dissi di essere Sordo, il Signore mi diagnosticò che avevo tralasciato di ascoltare ogni giorno la sua Voce.

Dopo consulenza gratuita ecco la terapia che mi è stata prescritta:

- al mattino: 1 pillola di riconoscenza
- prima del lavoro: 1 cucchiaio di pace
- durante il giorno ad ore alterne: 1 pillola di pazienza e 1 di umiltà
- prima di coricarmi: 1 capsula di coscienza tranquilla

interioritàspiritualitàguarigione interioreaperturachiusuraegoismo

3.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran, inserito il 01/12/2017

RACCONTO

8. Il foglio e il punto nero   2

Mons. Gianfranco Ravasi, Avvenire, 5/1/2011

Un maestro indù mostrò un giorno ai suoi discepoli un foglio di carta con un punto nero nel mezzo. «Che cosa vedete?», chiese. «Un punto nero!» risposero. «Nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco!», replicò il maestro.

È questa la legge che fa riempire di cronaca nera i giornali e le televisioni: un solo delitto ha più peso di mille atti di generosità e d'amore, secondo i parametri dell'informazione. Anche noi siamo pronti a cogliere la pagliuzza nell'occhio dell'altro e ignoriamo la luminosità sorridente di tanti sguardi. È normale elencare tutte le amarezze dell'esistenza e ignorare la quiete e le gioie che pure accompagnano la maggior parte dei nostri giorni. Il nostro pensiero si fissa con più facilità sui punti neri del cielo della storia che non sulle distese di azzurro e di luce. Certo, non si deve essere così ottimisti o ingenui da ignorare il male che pure costella le vicende umane, ma non è giusto considerare come marginali la meraviglia delle albe e dei tramonti, lo stupore del sorriso dei bambini, il fascino dell'intelligenza, il calore dell'amore. Il sì è più forte del no.

E in questa linea vorremmo aggiungere un'altra nota. Ce la offre Pirandello nel suo dramma Il piacere dell'onestà (1918) quando il protagonista dichiara: «È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si dev'essere sempre».

Anche nel bene può, quindi, vigere la stessa legge: il punto più luminoso dell'eroismo attira tutta l'attenzione, facendo dimenticare che è ben più mirabile il tenue filo di luce che percorre tutte le giornate di un genitore dedicato alla sua famiglia, forse con un figlio disabile. C'è un eroismo quotidiano che non fa suonare le trombe davanti a sé, ma che ha in sé una grandezza ben più gloriosa.

benemaleottimismopessimismopositivitànegativitàimpegnoresponsabilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2017

RACCONTO

9. Un amore che non costa   4

Rocco Quaglia, Racconti

Un giorno Pecora Depressa si lamentava: «Nessuno mi ama, nessuno mi vuole bene.»
«Non è vero! - replicò Scribia - Il Buon Pastore ti ama e si prende cura di te.»
«Ma il Buon Pastore ama perché è buono; e poi, lui ama tutte! Io voglio essere amata e apprezzata per le mie buone qualità»,
replicò Pecora Depressa.
«Non c'è problema, - incalzò Scribia - io conosco molti che ti apprezzerebbero e ti amerebbero per le tue buone qualità: per la tua lana, per il tuo latte, e perfino per la tua carne.»
«Ma questo sarebbe amore interessato! - interruppe scandalizzata Pecora Depressa - Io non voglio essere amata per quello che ho, ma per quello che sono!»
«Allora, - replicò Scribia - non ti resta che l'amore del Buon Pastore.»

buon pastoreamore di Dioaccettazionegratuità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/05/2017

RACCONTO

10. La lucciola di Natale

Ad adorare il bambino Gesù nella capanna di Betlemme insieme con gli altri animali accorsero anche gli insetti. Per non spaventare il piccolo restarono in gruppo sulla soglia. Ma Gesù, con un gesto delle rosee manine, li chiamò ed essi si precipitarono, portando i loro doni. L'ape offrì il suo dolce miele, la farfalla la bellezza dei suoi colori, la formica un chicco di riso, il baco un filo di finissima seta. La vespa, non sapendo che cosa offrire, promise che non avrebbe più punto nessuno, la mosca si offrì di vegliare, senza ronzare, il sonno di Gesù.

Solo un insetto piccolissimo non osò avvicinarsi al bambino, non avendo nulla da offrire.

Se ne stette timido sulla porta; eppure avrebbe tanto voluto dirgli il suo amore. Ma, mentre con il cuore grosso e la testa bassa stava per lasciare la capanna, udì una vocina: «E tu, piccolo insetto, perché non ti avvicini?». Era Gesù stesso che glielo domandava. Allora, commosso l'insetto volò fino alla culla e si posò sulla manina del bambino.

Era così emozionato per l'attenzione ricevuta, che gli occhi gli si colmarono di lacrime. Scivolando giù, una lacrima cadde proprio sul piccolo palmo di Gesù. «Grazie», sorrise il bambinello. «Questo è un regalo bellissimo». In quel momento un raggio di luna, che curiosava dalla finestra, illuminò la lacrima. «Ecco è diventata una goccia di luce!», disse Gesù sorridendo. «Da oggi porterai sempre con te questo raggio luminoso. E ti chiamerai lucciola perché porterai con te la luce ovunque andrai».

nataleluce

inviato da Don Antonello Pelisseri, inserito il 28/12/2016

RACCONTO

11. Pietre e calce per un muro solido   3

Quando devi fare un muro di pietre, devi prenderle una per una e lavorarle per bene. Se risci a squadrarle bene, ci vuole meno calce per farle combaciare. La calce che ci tiene insieme è la carità.
Se ognuno rimane con gli spigoli che ha, ci vuole molta più calce per tenerci insieme. Se lavoriamo su noi stessi cercando di smussare gli spigoli, ci vuole meno fatica per farci stare uniti.

"Carissimi, stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale." (1 Pt 2,4-5)

caritàimpegnocaratterecomunitàcoppiaamore

inserito il 28/10/2016

RACCONTO

12. Un segreto d'amore

Dino Semplici

Mentre sfogliava i suoi «dossier» matrimoniali, il diavolo notò con dispetto che c'era ancora una coppia, sulla terra, che filava d'amore e d'accordo. Decise di fare un'ispezione. Si trattava in realtà di una coppia comune: eppure sprigionava tanto amore che attorno ad essa pareva ci fosse un'eterna primavera. Il diavolo volle conoscere il segreto di quell'amore.

- Nessun segreto - gli spiegarono i due. - Viviamo il nostro amore come una gara: quando uno dei due sbaglia, è l'altro che se ne assume la colpa; quando uno dei due fa bene, è l'altro che ne ha le lodi; quando uno dei due soffre, è l'altro che ne ha consolazione; quando uno dei due gioisce, è l'altro che ne ricava piacere. Insomma, facciamo sempre a chi arriva per primo.

Al diavolo tutto ciò parve scemo. E se ne andò senza far loro del male. Ed è così che possono ancora esistere delle coppie felici sulla terra

coppiaamorematrimonioconcordiagratuità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 09/06/2015

RACCONTO

13. La gioia del dare   7

Due fratelli, uno di cinque anni e l'altro di dieci, vestiti di stracci, continuavano a chiedere un po' di cibo per le case della strada che circondava la collina. Erano affamati, ma non riuscirono ad ottenere niente, i loro tentativi frustanti li rattistavano.

Finalmente, una signora diede loro una bottiglia di latte. Che festa per i due bambini! Allora si sedettero sul marciapiede, e il più piccolo disse a quello di dieci anni: "Tu sei il maggiore, bevi per primo...", e lo guardava coi suoi denti bianchi, con la bocca mezza aperta.

Il grande si portò la bottiglia alla bocca e, facendo finta di bere, stringeva le labbra per non far entrare nemmeno una sola goccia di latte. Poi passò la bottiglia al fratellino che, dando un sorso, esclamò: "Com'è saporito!".

Poi fu di nuovo il turno del maggiore. Anche questa volta si portò la bottiglia alla bocca, ormai già quasi mezza vuota, ma non bevve niente. E fecero così finché il latte non finì.

A quel punto il fratello maggiore, benché con lo stomaco vuoto ma col cuore traboccante di gioia, cominciò a cantare e a danzare.

Saltava con la semplicità di chi non fa niente di straordinario, o ancora meglio, con la semplicità di chi è abituato a fare cose straordinarie senza dargli importanza.

Noi che viviamo in un mondo di agiatezze, possiamo imparare una grande lezione da quel ragazzo: "Chi dà è più felice di chi riceve".

donaredareamoregratuitàfamiglia

4.7/5 (7 voti)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 06/07/2013

RACCONTO

14. L'amore   5

Un giorno un uomo si recò da un vecchio saggio per chiedergli consiglio. Disse che non amava più la sua sposa e che pensava di separarsi da lei.
Il saggio lo ascoltò, lo guardò negli occhi, e disse solamente una parola: "Amala" e tacque.
"Ma io non provo più nulla per lei".
"Amala", ripeté il saggio.
Di fronte allo sconcerto del visitatore, dopo un opportuno silenzio, il vecchio saggio aggiunse:
"Amare è una decisione, non solo un sentimento, amare è dedicarsi ed offrirsi, amare è un verbo e il frutto di questa azione è l'amore. L'amore è simile al lavoro di un giardiniere: egli strappa ciò che fa male, prepara il terreno, coltiva, innaffia e cura con pazienza. Affronta periodi di siccità, grandine, temporale, alluvione, ma non abbandona mai il suo giardino. Ama la tua compagna, accettala, valorizzala, rispettala, dalle affetto e tenerezza, ammirala e comprendila.
Questo è tutto; amala".

La vita senza amore potrebbe avere queste conseguenze:
L'intelligenza senza amore ti renderebbe insensibile.
La giustizia senza amore ti renderebbe ipocrita.
Il successo senza amore ti renderebbe arrogante.
La ricchezza senza amore ti renderebbe avaro.
La docilità senza amore ti renderebbe servile.
La bellezza senza amore ti renderebbe superbo.
L'autorità senza amore ti renderebbe tiranno.
Il lavoro senza amore ti renderebbe schiavo.
La preghiera senza amore ti renderebbe arido.
La fede senza amore ti renderebbe fanatico.
La croce senza amore si convertirebbe in tortura.
La vita senza amore non avrebbe alcun senso.
Nella vita l'amore è tutto...

amorevolontàmatrimoniocoppia

4.9/5 (11 voti)

inviato da Cinzia Novello, inserito il 13/03/2013

RACCONTO

15. L'amore di una mamma   4

Un angelo scappò dal paradiso per trascorrere la giornata vagando sulla terra. Al tramonto decise di portarsi via dei ricordi di quella visita. In un giardino c'erano delle rose: colse le più belle e compose un mazzo da portare in paradiso. Un po' più in là un bambino sorrideva alla madre. Poiché il sorriso era molto più bello del mazzo di rose, prese anche quello. Stava per ripartire quando vide la mamma che guardava con amore il suo piccolo nella culla. L'amore fluiva come un fiume in piena e l'angelo disse a se stesso: "L'amore di quella mamma è la cosa più bella che c'è sulla terra, perciò prenderò anche quello".

Volò verso il cielo, ma prima di passare i cancelli perlacei, decise di esaminare i ricordi per vedere come si erano conservati durante il viaggio. I fiori erano appassiti, il sorriso del bambino era svanito, ma l'amore della mamma era ancora là in tutto il suo calore e la sua bellezza. Scartò i fior appassiti e il sorriso svanito, chiamò intorno a se tutti gli ospiti del cielo disse: "Ecco l'unica cosa che ho trovato sulla terra e che ha mantenuto la sua bellezza nel viaggio per il paradiso: L'amore di una mamma".

mammaamore materno

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 12/05/2012

RACCONTO

16. I quattro figli e il giudizio frettoloso   1

Un uomo aveva quattro figli. Egli desiderava che i suoi figli imparassero a non giudicare le cose in fretta, per questo, invitò ognuno di loro a fare un viaggio, per osservare un albero, che era piantato in un luogo lontano. Il primo figlio andò là in Inverno, il secondo in Primavera, il terzo in Estate, e il quarto, in Autunno. Quando l'ultimo rientrò, li riunì, e chiese loro di descrivere quello che avevano visto.

Il primo figlio disse che l'albero era brutto, torto e piegato.

Il secondo figlio disse invece che l'albero era ricoperto di gemme verdi e promesse di vita.

Il terzo figlio era in disaccordo; disse che era coperto di fiori, che avevano un profumo tanto dolce, ed erano tanto belli da fargli dire che fossero la cosa più bella che avesse mai visto.

L'ultimo figlio era in disaccordo con tutti gli altri; disse che l'albero era carico di frutta, vita e promesse.

L'uomo allora spiegò ai suoi figli che tutte le risposte erano esatte poiché ognuno aveva visto solo una stagione della vita dell'albero. Egli disse che non si può giudicare un albero, o una persona, per una sola stagione, e che la loro essenza, il piacere, l'allegria e l'amore che vengono da quella vita può essere misurato solo alla fine, quando tutte le stagioni sono complete.

Se rinunci all'inverno perderai la promessa della primavera, la ricchezza dell'estate, la bellezza dell'Autunno. Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo. Non giudicare la tua vita in una stagione difficile. Persevera attraverso le difficoltà, e sicuramente tempi migliori verranno quando meno te lo aspetti! Vivi ogni tua stagione con gioia.

frettagiudizionon giudicareperseveranzadifficoltàsperanzafiducia

4.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 16/10/2011

RACCONTO

17. Il segreto della bilancia   4

Un uomo gravemente ammalato fu accolto in una comunità e messo in una grande stanza insieme a molti altri ammalati. Ma poco dopo essere deposto sul suo giaciglio, chiamò a gran voce il superiore. "In che luogo mi avete portato?", protestò. "Le persone che ho dintorno ridono e scherzano come bambini! Non sono certe ammalate come me!".

"A dire la verità lo sono molto più di lei!", rispose il superiore, "ma hanno scoperto un segreto, che oggi pochissimi conoscono o che, pur conoscendolo, non ci credono più."
"Quale segreto?" domandò l'uomo.

"Questo!", rispose un anziano dal letto confinante. Estrasse dal comodino una piccola bilancia, prese un sassolino e lo depose su un piatto; subito l'altro si alzò. "Che stai facendo?", chiese l'uomo.

"Ti sto mostrando il segreto! Questa bilancia rappresenta il legame che esiste fra uomo e uomo. Il sassolino è il tuo dolore che ora ti abbatte. Ma mentre abbatte te, solleva l'altro piatto della bilancia permettendo ad un altro di gioire. Gioia e dolore si tengono sempre per mano. Ma bisogna che il dolore sia offerto, non tenuto per sé; allora fa diventare come bambini e fa fiorire il sorriso anche in punto di morte".

"Nessuna scienza giustifica quello che tu dici!", fu la riflessione dell'uomo. "Appunto per questo c'è in giro tanto dolore vissuto con amarezza. Qui non è questione di scienza ma di fede. Perché non entri anche tu nella bilancia dell'amore?".

L'uomo accettò la strana proposta. E fu così che, quando guarito, rivisse istanti di gioia, non poté non pensare alla sofferenza degli altri. E si sentì legato agli uomini di tutto il mondo da un sottile filo d'oro.

Per molti rimarrà solo una bella fiaba. Ma se un domani dovessi incontrare un ammalato che sa sorridere, un infelice capace di gioire, un handicappato che ha fiducia nella vita, ricordatelo: probabilmente hai incontrato qualcuno che conosce il segreto della bilancia...

doloregioiaaccettazionecondivisioneofferta

inviato da Gloria Salvi, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

18. Onda e oceano   2

Una piccola onda se ne andava felice per il mare: era contenta, allegra, si sentiva frizzante e potente, si abbandonava al gioco della corrente, si lasciava increspare dal vento. Era proprio felice di essere un'onda. Ad un certo punto vide però, laggiù in lontananza, la scogliera e poi la spiaggia e si accorse che le altre onde, quelle che erano andate avanti, lì si infrangevano e di loro non rimaneva più nulla. Cominciò a sentirsi triste: se avesse potuto sarebbe tornata indietro, nel mare profondo, da dove non si vede terra; oppure avrebbe voluto fermarsi là dove si trovava, frenare pur di non andare avanti... Un'onda più grande le passò vicino e le chiese: "Che ti succede? Come mai sei tanto triste?", e la piccola onda le rispose: "Ma non vedi che fine faremo? Anche tu che sei un'onda così grossa sei destinata a romperti laggiù". Sorrise la grande onda e disse: "Tu non sei onda, sei oceano!".

Non ricordo più dove ho letto questa storia, ma la trovo profondamente vera anche per noi, quando pensiamo che la vita sia un fatto privato, quando crediamo che i nostri sentimenti siano solo affari "domestici", chiusi fra le mura delle nostre case o nei limiti del nostro cuore. Mi piace invece pensare che il mio amore è solo una piccola onda di un immenso oceano, che niente andrà perso e che ogni mio piccolissimo gesto d'amore è come una piccolissima goccia che contribuisce a formare l'oceano; perché il mio amore, come la mia vita, fa parte di un tutto cui appartengo, che mi appartiene. E mi sento più libera, non più costretta a soffocare in spazi angusti, o a pungermi tra le spine dei miei rovi: l'amore non sta dentro di me, non è una mia creatura, ma è tutto quel che sta "tra", che mi avvolge e circonda, nonostante io non lo riconosca. Tu non sei onda, sei oceano! Ricordiamocelo ogni giorno!
(Riflessione di Maria Teresa Abignente)

amorerischio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 06/06/2011

RACCONTO

19. L'appuntamento   5

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantina di anni arrivò per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9,00.

Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un'ora prima che qualcuno potesse vederlo. Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita. Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita.

Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dall'Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po' tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni.

Ne fui sorpreso, e gli chiesi: "E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?".

L'uomo sorrise dicendo: "Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei".

Dovetti trattenere le lacrime... Avevo la pelle d'oca e pensai: "Questo è il genere di amore che vorrei nella mia vita".

Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

amorefedeltàcoppiamatrimoniomalattiaaccettazionevecchiaiaammalati

5.0/5 (7 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 21/02/2011

RACCONTO

20. Il comandamento dell'amore   1

Martin Buber, Racconti chassidici

Uno scolaro domandò a Rabbi Shmelke: «Ci è comandato di amare il nostro prossimo come noi stessi. Come posso farlo se egli mi ha fatto un torto?».

Il Rabbi rispose: «Devi comprendere queste parole nel loro giusto significato, che è: ama il prossimo tuo come qualcosa che tu stesso sei. Tutte le anime infatti sono una cosa sola; e ognuna è una scintilla dell'anima originale, che è insita in tutte le anime allo stesso modo come la tua anima è compenetrata in tutte le tue membra. Può accadere che la tua mano si sbagli e ti colpisca. Ma prenderai tu forse allora un bastone e la castigherai per la sua mancanza di comprensione, accrescendo così il tuo dolore? Lo stesso si applica al tuo prossimo, che con te forma un'anima sola: se egli, per ignoranza, ti fa un torto e tu lo punisci, non fai che colpire te stesso». Ma quello insisteva: «Ma se vedo che un uomo è malvagio al cospetto di Dio, come potrò amarlo?».

Gli rispose il Rabbi: «Ignori forse che l'anima primordiale scaturì dall'essenza di Dio e che l'anima di ogni uomo è una parte di lui? E non avrai allora pietà di quell'uomo, vedendo che una delle sue scintille si è smarrita ed è quasi spenta?».

amoreperdonoprossimo

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inviato da Silvana Ungaro, inserito il 20/10/2010

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