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TESTO

1. Chi sono io?   1

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, Edizioni Paoline

Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia
tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l'amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

identitàaccettazionelimitiimperfezioni

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

2. Se non ti va bene... è proprio la tua!   1

Giuseppe Impastato S.I.

La croce non è un vestito o un paio di scarpe, che devono starti bene.
La croce non va mai a pennello dei tuoi gusti
e delle tue esigenze particolari.
La croce strappa, ammacca, graffia, scortica, schiaccia, tira giù...
Eppure non c'è dubbio...
per essere veramente tua, la croce non deve andarti bene
Anche a Cristo non andava bene la sua croce.
Non andava bene il tradimento di Giuda, il sonno degli apostoli,
la congiura dei nemici, la fuga degli amici, il rinnegamento di Pietro,
gli scherni dei soldati... il grido feroce della folla...

Quella croce che ti piomba addosso al momento meno opportuno:
una malattia che ti coglie mentre hai tante cose da sbrigare
e ti manda all'aria un mucchio di progetti...
... quel colpo vile che ti è venuto da un amico...
... quella calunnia che ti ha lasciato senza fiato...
... quella croce che tu non avresti mai scelto in mezzo a mille altre...
che ti sembra eccessiva, spropositata,
sproporzionata alle tue deboli forze
- "è troppo, non ce la faccio" - non appartiene ad altri: è la "tua".

Non illuderti. La croce su misura non esiste.
Cerca pure, rovista da tutte le parti,
esamina bene, valuta attentamente...
se trovi la croce che fa per te, buttala via...
quella, sicuramente non è la tua.

I segni che una croce è tua sono sconcertanti :
imprevisto, ripugnanza, disagio, impossibilità, inopportunità, senso di debolezza.
Se una croce ti si presenta come antipatica, sgradevole, insopportabile...
non esitare a caricartela sulle spalle... ti appartiene

All'inizio ti apparirà con i segni dell'estraneità .
In seguito scoprirai che è veramente "tua".
Ciò non vuol dire, beninteso, che i rapporti tra voi due diventino idilliaci,
che tutto vada liscio...
la croce scava solchi profondi sulle spalle e nel cuore.

Però si stabilirà ugualmente una certa familiarità. Una familiarità sofferta,
ma giustificata dal senso che si scopre a poco a poco, camminando.
E anche quando il significato non diventa chiaro, c'è pur sempre la fede
che ti invita a lasciarti condurre per mano da Qualcuno che sa.
Fede vuol dire semplicemente sapere che Lui sa...

Avanti, dunque, con la croce che non ti va bene.
Con la croce che non è su misura.
Ciò che conta non è che la croce sia su tua misura
L'essenziale è che tu sia a misura del Cristo.

crocesofferenza

5.0/5 (2 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 27/06/2019

TESTO

3. Il segreto del maestro

don Tonino Bello, Scrivo a voi... Lettere di un vescovo ai catechisti, EDB

Carissimi catechisti,

ogni volta che tornavo nel mio paese, andavo a trovarlo. Ultimamente si era incurvato e gli tremavano le mani. Ma per me è rimasto sempre il maestro di un tempo. Tornavo da lui per un dovere di gratitudine. Ma soprattutto condotto dalla speranza. Chi sa, mi dicevo, che non abbia, come nelle fiabe che ci raccontava in quarta elementare, una noce misteriosa da farmi schiacciare nei momenti difficili!

Di tutti gli insegnanti che ho avuto, lui era l'unico a provare soggezione di me. Me ne accorgevo dall'imbarazzo con cui, nel discorso con me, passava dal “lei” al “tu”. Mi hanno detto anche che era fiero di avermi avuto come discepolo. Forse però non ha mai saputo che se ancora tornavo da lui era perché avevo il presentimento che mi avrebbe aiutato a risolvere, come un tempo, qualche altro complicato problema, per il quale non mi bastavano più le quattro operazioni dell'aritmetica che lui mi aveva insegnato. Ogni volta che lo lasciavo, sentivo di avergli rubato spezzoni di mistero. Quegli spezzoni che a scuola ci sottraeva volutamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Sì, perché lui aveva l'incredibile qualità di non spiegarci mai tutto e per ogni cosa ci lasciava un ampio margine d'arcano, non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore.

Perché l'arcobaleno dura così poco in cielo? E cosa fa Dio tutto il giorno? Perché le farfalle lasciano l'argento sulle dita? Perché Gesù ha fatto nascere così il povero Nico, che veniva a scuola sulla carrozzella spinta dalla nonna? Perché si muore anche a dieci anni, come la sua bambina, e noi scolari quel giorno andammo tutti in chiesa a pregare per lei?

Non aveva l'ansia di rivelarci tutto. Non era malato di onnipotenza culturale. E neppure ci imponeva le sue spiegazioni. Qualche volta sembrava fosse lui a chiederle a noi. Ma quando dopo gli acquazzoni di primavera spuntava l'arcobaleno, ci conduceva fuori per contemplarne la tenerezza dei colori. E, mostrandoci le rondini che garrivano in cielo, ci diceva che non dovevamo abbatterle con le nostre frecce di gomma perché Dio, la sera, le conta una ad una. E ci raccontava che le farfalle, l'argento, andavano a prenderlo tra le erbe profumate dei crepacci. E a Nico gli restituiva la gioia di esserci, perché gli scompigliava tutti i capelli, a lui solo, e, durante le passeggiate scolastiche, gli faceva tenere la sua borsa, con la merenda del maestro. E quando morì la sua bambina, lo vedemmo piangere di nascosto.

Forse la grandezza del mio maestro era tutta qui. In questa sua capacità di comunicare messaggi profondi più con il silenzio che con le parole, di lavorare su domande legittime, di non tirare mai conclusioni per tutti, di costruire occasioni di crescita reciproca, di accettare le differenze come un dono, di ritenere i suoi ragazzi titolari di una forte capacità progettuale, di dare più peso alla sfera relazionale che a quella dell'istruzione da trasmetterci, di interpretare la scuola come un gioco, anzi come una festa in cui il primo a divertirsi era lui.

Vorrei augurare a tutti voi che i vostri ragazzi provino per voi gli stessi sentimenti che ho provato io per il mio vecchio maestro delle elementari... statene certi: se restate saldi in Gesù e vi animerà una forte passione di trasmettere la sua Verità, essi, i vostri ragazzi di oggi, un giorno verranno a farvi visita. Sì, perché anche se saranno diventati professori dell'università gregoriana, torneranno da voi per recuperare quei frammenti di mistero, di cui non hanno ancora trovato spiegazione neppure sui libri di teologia.

Vi saluto, don Tonino Vescovo
3 marzo 1991

educareeducatoricatechistiinsegnaretestimoniaremaestridomandescuola

inviato da Anna Barbi, inserito il 29/12/2018

TESTO

4. Sfiorare Cristo   1

Don Alessandro Pronzato, Pane per la Domenica, Gribaudi 1983

Infinite volte sfioriamo il Cristo e non ce ne accorgiamo. Non lo riconosciamo. Ha il torto di avere un volto “troppo noto”. Il volto del pezzente, del bambino, del collega, della cuoca, del disoccupato, del marito, della sposa, delle donna delle pulizie, del forestiero, del malato, dell'individuo male in arnese, del carcerato. Noi, che conosciamo sin troppo bene quei volti, non sappiamo riconoscerlo. E lui continua ad essere in esilio. A casa Sua.

cristopovertàamorecaritàsolidarietàultimi

inserito il 06/07/2018

TESTO

5. Famiglia luogo di perdono   1

Non esiste una famiglia perfetta. Non abbiamo genitori perfetti, non siamo perfetti, non sposiamo una persona perfetta, non abbiamo figli perfetti. Abbiamo lamentele da parte di altri. Ci siamo delusi l'un l'altro. Pertanto, non esiste un matrimonio sano o una famiglia sana senza l'esercizio del perdono. Il perdono è vitale per la nostra salute emotiva e per la nostra sopravvivenza spirituale. Senza perdono la famiglia diventa un'arena di conflitto e una ridotta di punizioni.
Senza perdono, la famiglia si ammala. Il perdono sterilizza dell'anima, pulisce la mente, libera il cuore. Colui che non perdona non ha pace nell'anima o comunione con Dio. Il dolore è un veleno che intossica e uccide. Mantenere il dolore nel cuore è un gesto autodistruttivo. Colui che non perdona diventa fisicamente, emotivamente e spiritualmente malato.
Ed è per questo che la famiglia ha bisogno di essere un luogo di vita e non di morte, il territorio della cura e non della malattia, lo scenario del perdono e non della colpa.
Il perdono porta gioia dove il dolore produce tristezza e dove il dolore ha causato la malattia.

Testo erroneamente attribuito a Papa Francesco, non se ne conosce la fonte corretta.

famigliaperdonoimperfezioneaccettazionemisericordiacoppiagenitorifiglimatrimonio

3.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 22/03/2018

TESTO

6. Il vero significato dell'Avvento   1

Goffredo Boselli

Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".

Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.

L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.

Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.

Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:

"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?

Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.

Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.

Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.

Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.

Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.

Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.

avventoanno liturgicoattesasperanzaparusia

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

TESTO

7. Lettera a coloro che si sentono falliti   2

Tonino Bello, Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 363-368

Questa lettera la scrivo un po' anche a me. Sono convinto, infatti, che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all'alba abbiamo visto svanire...

I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me, sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l'hanno fatta a raggiungere neppure gli standard sui quali "normalmente" scorre una esistenza che voglia dirsi realizzata.

Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e, immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto di brillante carriera per un distacco irreversibile della retina.

Ugo, ragazzo prodigio fino alla maturità classica che si è insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a districarsene. Oggi ha quarant'anni, e sua moglie, ad ogni lite, gli rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo studio di un avvocato.

Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte all'Accademia Chigiana di Siena ha avuto decine di occasioni per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell'altro. Alla fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.

Lucia che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi non è partita perché i suoi l'hanno ostacolata. Ora margherite non ne sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da regalo.

Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della vita voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia della salvezza.

A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire a uno a uno gli ideali accarezzati in gioventù. A voi che avete meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete rimasti al palo. A voi che non avete trovato mai spazio, e siete usciti da ogni graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti. A voi che una malattia, o una tragedia morale, o un incidente improvviso, o uno svincolo delicato dell'esistenza, hanno fatto dirottare imprevedibilmente sui binari morti dell'amarezza. A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.

A tutti voi voglio dire: "Volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!".

La riuscita di una esistenza non si calcola con i fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l'applausometro delle platee, o con gli indici di gradimento delle folle.

Da quando l'Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell'impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell'atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n'è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell'antichità, il pregio della riuscita.

Non voglio sommergervi di consolazioni. Voglio solo immergervi nel mistero. Nella cui ottica una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre carreggiate mai divenute carriere, non sono inutili, ma costituiscono il fondo di quella Cassa deposito e prestiti che alimenta ancora oggi l'economia della salvezza.

A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!

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inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

8. Cristiani e pagani

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Alba 1988, p. 427

Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione,
piangono per aiuto, chiedono felicità e pane,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani.

Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione,
lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte.
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza.

Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l'anima del suo pane,
muore in croce per cristiani e pagani
e a questi e a quelli perdona.

sofferenzacompassioneamore di Dioconsolazionecristianisalvezzarisurrezione

inviato da Qumran2, inserito il 15/04/2017

TESTO

9. Io non prego perché Dio intervenga   1

David Maria Turoldo, Intervista a Roberto Vinco, Il Gazzettino, 1° novembre 1991

Io non prego perché Dio intervenga. Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo.

Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose. Infatti se, diversamente, Dio dovesse intervenire, perché dovrebbe intervenire solo per me, guarire solo me, e non guarire il bambino handicappato, il fratello che magari è in uno stato di sofferenza e di disperazione peggiore del mio?

Perché Dio dovrebbe fare queste preferenze? Perché dire: Dio mi ha voluto bene, il cancro non ha colpito me ma il mio vicino! E allora: era un Dio che non voleva bene al mio vicino? E se Dio intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe un por fine al libero gioco delle forze e dell'ordine della creazione?

Per questo per me Dio non è mai colpevole. Egli non può e non deve intervenire. Diversamente, se potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili.

Ecco perché, come dicevo prima, il dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio.

accettazionedoloremalattiasofferenzamorte

inviato da Qumran2, inserito il 20/02/2017

TESTO

10. Testamento di Raoul Follereau

Raoul Follereau

Giovani di tutto il mondo, o la guerra o la pace sono per voi. Scrivevo, venticinque anni fa: "O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l'uomo vivrà per l'uomo, o gli uomini moriranno". Tutti e tutti insieme.
Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre. Ieri, l'allarme. Domani, l'inferno.
I Grandi - questi giganti che hanno cessato di essere uomini - possiedono, nelle loro turpi collezioni di morte, 20.000 bombe all'idrogeno, di cui una sola è sufficiente a trasformare un'intera Metropoli in un immenso cimitero. Ed essi continuano la loro mostruosa industria producendo tre bombe ogni 24 ore. L'Apocalisse è all'angolo della strada.
Ragazzi, Ragazze di tutto il mondo, sarete voi a dire "no" al suicidio dell'umanità.
"Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere". Questa fu la mia preghiera di adolescente.
Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele...
Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta.
Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l'ultima ambizione della mia vita, e l'oggetto di questo "testamento".

Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa!
Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C'è un solo cielo per tutto il mondo.
Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l'umanità.
E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.
Amarsi o scomparire.
Ma non è sufficiente inneggiare a: "la pace, la pace", perché la Pace cessi di disertare la terra.
Occorre agire. A forza di amore. A colpi di amore.
I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce.
Allontanatevi dai mascalzoni dell'intelligenza, come dai venditori di fumo: vi condurranno su strade senza fiori e che terminano nel nulla.
Diffidate di queste "tecniche divinizzate" che già San Paolo denunciava.
Sappiate distinguere ciò che serve da ciò che sottomette.
Rinunciate alle parole che sono tanto più vuote quanto sonore.
Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi.
Ciò che occorre è liberarlo da certi "progressi" e dalle loro malattie, dal denaro e dalla sua maledizione.
Allontanatevi da coloro per i quali tutto si risolve, si spiega e si apprezza in rapporto ai biglietti di banca.
Anche se sono intelligenti essi sono i più stupidi di tutti gli uomini.
Non si fa un trampolino con una cassaforte.
Bisognerà che dominiate il potere del denaro, altrimenti quasi nulla di umano è possibile, ma con il quale tutto marcisce.
Esso, Corruttore, diventi Servitore.
Siate ricchi della felicità degli altri.
Rimanete voi stessi. E non un altro. Non importa chi. Fuggite le facili vigliaccherie dell'anonimato.
Ogni essere umano ha un suo destino. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali.
Niente diminuisce mai la dimensione dell'uomo. Se vi manca qualcosa nella vita è perché non avete guardato abbastanza in alto.
Tutti simili? No.
Ma tutti uguali e tutti insieme!
Allora sarete degli uomini. Degli uomini liberi.
Ma attenzione! La libertà non è una cameriera tuttofare che si può sfruttare impunemente. Né un paravento sbalorditivo dietro il quale si gonfiano fetide ambizioni.
La libertà è il patrimonio comune di tutta l'Umanità. Chi è incapace di trasmetterla agli altri è indegno di possederla.
Non trasformate il vostro cuore in un ripostiglio; diventerebbe presto una pattumiera.
Lavorate. Una delle disgrazie del nostro tempo è che si considera il lavoro come una maledizione. Mentre è redenzione.
Meritate la felicità di amare il vostro dovere.
E poi, credete nella bontà, nell'umile e sublime bontà.
Nel cuore di ogni uomo ci sono tesori d'amore.
Spetta a voi, scoprirli.
La sola verità è amarsi.
Amarsi gli uni con gli altri, amarsi tutti. Non a orari fissi, ma per tutta la vita.
Amare la povera gente, amare le persone infelici (che molto spesso sono dei poveri esseri), amare lo sconosciuto, amare il prossimo che è ai margini della società, amare lo straniero che vive vicino a voi.
Amare.
Voi pacificherete gli uomini solamente arricchendo il loro cuore.

Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un "progresso" folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido "ho fame!" che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli.
Allora... domani?
Domani, siete voi.

testamentopaceguerradisarmogiovanilibertàamoregiustiziaingiustiziafame nel mondopovertàricchezza

inviato da Fra Roberto Brunelli, inserito il 28/12/2016

TESTO

11. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrel, Il piccolo monaco, Gribaudi editore, Torino, 1990

Gesù vuol vivere in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

discepolisequelatestimonianzaamorecaritàGesù

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 28/12/2016

TESTO

12. Tutto è grazia   1

Benedetta Bianchi Porro

Io so che attraverso la sofferenza il Signore mi conduce verso una strada meravigliosa! Le mie ore sono a volte lente e a volte brevi; cerco di dimenticarmi completamente, e in serenità prego. Nella preghiera, nella sofferenza, nasce in noi ciò che è buono e che dovrà poi germogliare. Tutto è grazia!

sofferenzadolorecroceparadisovita eternamalattiapreghieraaccettazionefiduciafedeabbandono

inviato da Qumran2, inserito il 26/08/2016

TESTO

13. Misericordia, legge che abita nel cuore di chi guarda con occhi sinceri

Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla d'indizione del Giubileo della Misericordia

Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Non cadiamo nell'indifferenza che umilia, nell'abitudinarietà che anestetizza l'animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell'amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l'ipocrisia e l'egoismo.

È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

misericordiabontàopere di misericordiavicinanzasolidarietà

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inviato da Qumran, inserito il 25/08/2016

TESTO

14. I verbi della misericordia   2

Ermes Ronchi, Il Messaggero di Sant'Antonio, Gennaio 2016

Le porte sante della terra, le porte del Signore, quali sono? Non ha nessun senso passare per la Porta Santa della cattedrale e non passare per la porta santa di un povero, di un malato, non far varcare la porta di casa tua a uno che ha fame, la porta del cuore a uno che è solo. Non ha senso chiedere misericordia a Dio, e non offrirla al tuo vicino.
Se il Giubileo non tocca la vita, non è giubileo. Il Giubileo sarà santo se scriveremo la nostra pagina, la nostra riga, il nostro frammento di un racconto amoroso, con le nostre mani.
La misericordia è un'arte che s'impara, imparando tre verbi: "vedere", "fermarsi", "toccare", i primi gesti del Buon Samaritano.

Vedere. "Lo vide e ne ebbe compassione". Il samaritano vede e si lascia ferire dalle ferite di quell'uomo.
La misericordia inizia con lo sguardo non giudicante del vangelo: "Il primo sguardo di Gesù nei vangeli non si posa mai sul peccato delle persone, ma sempre sul loro bisogno" (Johann Baptist Metz).
Molte volte i vangeli riferiscono che Gesù "mentre camminava vide" (Mt 4,18); camminava e abitava la vita, ben presente a tutto ciò che accadeva nel suo spazio vitale; sapeva guardare negli occhi: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,13) e scoprire nel riflesso di una lacrima urgere una promessa, un desiderio.
Davanti alle ferite della vita qualcosa di noi vorrebbe chiudere gli occhi, girare la testa. Come fanno i falsi discepoli: quando mai, Signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo...? Non hanno avuto occhi per vedere le ferite della carne di Cristo.

Fermarsi. Per vedere bene, che sia un volto, un paesaggio, un'opera d'arte o un povero, non puoi accelerare il passo, ti devi fermare. E non "passare oltre" come il sacerdote e il levita della parabola. Oltre non c'è niente, tantomeno Dio.
Quando ti fermi con qualcuno hai messo nel telaio in cui si tesse il tessuto buono della terra i tuoi doni impagabili, le risorse più preziose che hai: tempo e cuore. Hai fatto una dichiarazione d'amore senza parole.
Per vedere un prato bisogna inginocchiarsi e guardarlo da vicino (Ermanno Olmi).
C'è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un paese, una ferita: fermarsi, inginocchiarsi, e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetri di viso, di occhi, di voce. Guardare come bambini e ascoltare come innamorati, in silenzio.

Toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Tocca l'intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain.
Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare, non dico il contagioso o l'infettivo, ma anche il mendicante.
Fai la tua elemosina, e lasci cadere la tua monetina dall'alto, guardandoti bene dal toccare la mano che chiede, mantenendo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto, una parola. E il povero rimane un problema anziché diventare una fessura d'infinito.
Il tatto è un modo di amare, il modo più intimo; è il bacio e la carezza. E apre stagioni nuove.

Vedere, fermarsi, toccare: piccoli gesti. Ma la notte comincia con la prima stella, il mondo nuovo con il primo samaritano buono.

misericordiaporta santagiubileovederefermarsitoccarebuon samaritano

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inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

15. Sognare   1

Gianni Fanzolato, Da Loreto nell'anno della misericordia 2015-2016

Chiudo gli occhi e mi butto fra le braccia della fantasia: e sogno.
Sognare è l'unico tesoro che nessuno ti può rubare e non costa niente.
Il sogno è il volo dell'anima, è passare il limite, è sfiorare la mente di Dio;
ti prende, ti circonda, ti sprona, ti affascina, ti strega e ti proietta all'infinito.

Che meraviglioso sognare un mondo dove tutti si abbracciano, mano nella mano,
e l'amore di ognuno fa crollare i muri, rompe barriere, spezza le guerre e semina pace.
Ma il sogno si fa duro, perché devo entrare nel cuore di tutti per dare la buona notizia
di quel sognatore che ci ha detto: "amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi".

E' bello sognare che ci sono più abbracci che bombe, più mani tese che armi puntate,
più gente che accoglie che bambini smarriti e annegati nei mari di un mondo diviso.
Cosa costa chiudere gli occhi e vedere che tutti i bambini della terra, di ogni colore
stanno facendo un grande girotondo, un arcobaleno di luce, perché amati da Dio.

Chi mi può rubare il fascino del sogno di Dio di fare del mondo una unica famiglia
dove non si guarda il colore, non c'è passaporto, ma basta la dignità di figli di Dio.
Mi possono togliere la libertà, impedire di parlare, ma non la sfida di volare in alto.
Dio mi sussurra la gioia di essere missionario della sua misericordia e mi accarezza.

Gesù, il grande sognatore che ha cambiato il sogno in un nuovo stile di vita,
si è identificato col migrante, col prigioniero, con l'ammalato, con chi ha fame.
"Ma, Signore, quel che tu dici è sogno, è utopia, la vita è dura, ad ognuno la sua pena."
"Se hai amore, mi vedrai presente nel povero, migrante e il sogno si farà benedizione."

Solo adesso, Signore, ho capito che devo aprire gli occhi, perché il sogno è reale;
ho sognato perché ho volato vicino a Te che mi hai trasmesso la forza di osare.
Sono una goccia d'amore nell'oceano del mondo, sogno e son desto, immerso nell'utopia
di Te che ci vuoi abbraccio, perdono, ponte e famiglia in un mondo possibile.

misericordiagiustiziaaccoglienzamigranti

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 25/08/2016

TESTO

16. Sentire il Natale - Auguri di Natale

Diego Goso

Mi dispiace se non lo sentite il Natale, quest'anno. Io lo sento.

Lo sento perché sono stato un po' di tempo vicino al Presepe e mi sono ricordato che è bello, che è vero, che puro.

Forse alcuni non lo sentono perché non sentono più Cristo nella loro vita: e quindi cosa puoi voler festeggiare a Natale, l'amicizia degli uomini? Suvvia...

Mi dispiace se non lo sentite il Natale, quest'anno. Io lo sento.

Lo sento perché amo la vita, amo chi ha deciso di camminare con me. Amo chi in questa vita ci è entrato gattonando. Amo chi ci è entrato da pochissimo e non gattona ancora. Amo perché ho delle persone vere intorno. Che mi sopportano, mi aiutano, mi capiscono anche quando mi rendo incomprensibile. Amo la vita perché è una vita passata con loro.

Mi dispiace se non lo sentite il Natale, quest'anno. Io lo sento.

Anche nella gioia superficiale dei regali. Che ho preparato con attenzione pensando a quanta più gente potessi. E alla fine mi sono voltato a guardare il mucchio che è già in distribuzione e si sta rimpicciolendo: sono riuscito a trovare qualcosa per dire con un gesto che ti voglio bene. Lo so che non è essenziale, ma i malati dell'essenziale io proprio non li sopporto: l'hamburger è buono con le patatine di contorno, così ci capiamo tutti.

Mi dispiace se non lo sentite il Natale quest'anno. Io lo sento.

Perché sono fortunato ad ascoltare le confessioni dei miei parrocchiani: e sono commosso nel vedere che c'è tanto di grande in questo mondo, anche dietro il passeggiare incerto di una anziana signora che pensa di valere poco mentre è un gigante di umanità. Proprio come il Bambinello del Presepe: sembra nulla, eppure è Tutto.

Mi dispiace se non lo sentite il Natale quest'anno. Io lo sento. E se aprite il cuore siete ancora in tempo anche voi.

nataleauguri

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

17. Ogni stagione della vita ha un suo paradiso   1

Enzo Bianchi, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2015

Ogni cristiano che recita il "Credo", la professione di fede, dice: "Credo la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen", e questo credere non è periferico, ma fondamentale nella fede cristiana. Il cristiano, dunque, crede che ci sia un dopo la morte, una vita piena per sempre, nella quale non vi saranno più pianto, né dolore, né malattia, né morte, ma la gioia eterna della comunione, attraverso Gesù Cristo, con Dio e con gli uomini e le donne da lui salvati. Anch'io, in quanto cristiano e monaco, aderisco a questa speranza, ma confesso che il mio immaginario è molto personale ed è mutato nelle diverse stagioni della mia vita. La domanda che mi viene posta: "Come immagini il paradiso?", mi spinge dunque a dare diverse risposte.

Innanzitutto, il paradiso è un'immagine che ci viene trasmessa quando siamo piccoli, e così è stato anche per me. Quando morì mia mamma avevo solo otto anni. Chiedevo dov'era andata, perché non riuscivo ancora a comprendere la morte, e mi veniva risposto: è in paradiso, in un bel giardino, e là passeggia tra gli asfodeli, fiori molto profumati. Così immaginavo dunque il paradiso e speravo di andarci presto, per ritrovare mia mamma e vedere questi fiori profumati che nessuno sapeva descrivermi, perché nel Monferrato nessuno li aveva mai visti.

Con la giovinezza e gli studi biblici, elaborai altre immagini, sovente in contrapposizione al possibile esito opposto: gli inferi, luogo di perdizione, lontano da Dio e da tutti gli altri. Il paradiso assumeva le immagini della Bibbia che leggevo e studiavo: un luogo pieno di luce, in cui non era mai notte; un luogo di pace, senza litigi, dispute, violenze, guerre; un banchetto con abbondanza di cibi squisiti e di vini raffinati; tanta musica e la possibilità di stare insieme, in una festa continua... Belle immagini, ma che svanivano velocemente, perché la ragionevole fede mi spingeva a comprendere che il paradiso non era un luogo, bensì una condizione di comunione con il Signore. Mi piaceva però l'immagine del pranzo con piatti sempre nuovi e dal gusto straordinario, dell'ascolto di musiche che rendevano l'eternità sopportabile...

Poi le immagini del paradiso sono cambiate ancora, tra dubbi, rinnovamenti della speranza, a volte anche stanchezza delle immagini stesse e desiderio di rinnovarle. Ora che sono vecchio, il paradiso o l'esito contrario dell'inferno sono sempre più prossimi: non nascondo una certa paura che mi abita al pensiero della morte, perché credo nel giudizio di Dio sulle mie responsabilità, sul mio operare che è stato buono o cattivo.

Spero soprattutto che nessuno vada all'inferno; ma se qualcuno ci va, allora - mi dico - rischio di andarci anch'io, che non mi sento tanto diverso dagli altri nell'acconsentire all'egoismo che mi abita.

E le immagini del paradiso, da vecchio? Sono svanite. Oggi non so dire, non so immaginare, non oso neppure pensare di dire qualcosa che lo descriva. Nella mia fede è solo una cosa: una grande comunione in Gesù Cristo, in cui regnerà l'amore. Sono convinto che chi ho amato qui sulla terra, lo ritroverò anche di là, e così continueranno il nostro amore e la nostra amicizia. Se pensassi di andare di là e di non trovare più i miei amici, preferirei allora non andarci!

Spero di ritrovare questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi... Sì, vorrei che continuassero le "storie d'amore" vissute qui; anzi, che riprendessero quelle che si sono interrotte e, senza gelosie né concorrenze, potessimo tutti insieme bere alle coppe del vino dell'amore.

Per farvi sorridere, cari lettori, vi confesso che ho un'altra paura: di finire sì in paradiso, ma vicino a persone che non mi piacevano, sebbene fratelli o sorelle nella fede e magari anche di rinomata santità. No, questo proprio no! Ma forse, se Dio mi salverà, sarò cambiato tanto da sopportare anche questo. Purché il Signore non mi faccia perdere gli amici, quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male: li vorrei con me.

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inviato da Simone Pestelli, inserito il 07/02/2016

TESTO

18. Occhi per il cieco e piedi per lo zoppo   1

Papa Francesco, Messaggio per la 23a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2015)

«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Libro di Giobbe 29,15).

Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest'uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell'orfano e della vedova (vv.12-13).

Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e "piedi per lo zoppo"! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un'assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 16/06/2015

TESTO

19. Tutti possono pregare   1

San Serafino di Sarov, Detti

Tutti possono pregare! Il ricco e il povero, il forte e il debole, il sano e il malato, il santo e il peccatore. La preghiera è sempre a nostra disposizione, più di ogni altra cosa.

preghiera

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inviato da Qumran2, inserito il 21/01/2015

TESTO

20. Una preghiera per ogni dito della mano   17

Jorge Mario Bergoglio

Il pollice è il dito a te più vicino.
Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono vicini.
Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è "un dolce obbligo".

Il dito successivo è l'indice.
Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri
la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.

Il dito successivo è il più alto.
Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti.
Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l'opinione pubblica. Hanno bisogno della guida di Dio.

Il quarto dito è l'anulare.
Lascerà molto sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. E' lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte.
Le preghiere non saranno mai troppe. Ed è lì per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.

E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo.
Come dice la Bibbia, "gli ultimi saranno i primi". Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te stesso.
Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono
le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.

preghieraintercessionepreghiera di intercessione

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inviato da Attilia Sammarini, inserito il 30/04/2013

TESTO

21. Il legno per attraversare il mare   2

Sant'Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni (Gv 1,6-14)

E' come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare.

Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo.

Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.

croceaffidamentosalvezza

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 25/03/2013

TESTO

22. Leggi la Parola di Dio: illuminerà il tuo cammino   4

Sei triste e angosciato?
Leggi il cap. 14 del Vangelo di Giovanni

La cattiveria del mondo ti fa paura?
Leggi il salmo 26

Hai peccato?
Leggi il salmo 50

Ti fa paura l'avvenire?
Leggi i versetti 19-34 del cap. 6 del Vangelo di Matteo

Ti senti in pericolo?
Leggi il salmo 90

Ti senti ipocrita?
Leggi il salmo 33

Il Signore ti sembra lontano?
Leggi il salmo 138

Ti assale il dubbio?
Leggi il cap. 20 del Vangelo di Giovanni

Provi la tentazione?
Leggi il cap. 4 del Vangelo di Matteo

Sei disgustato dalla vita?
Leggi il cap. 40 di Isaia

Ti senti fragile e debole?
Leggi il salmo 22

Ti stai chiedendo: perché la fede?
Leggi il cap. 11 della lettera agli Ebrei

Sei sull'orlo della disperazione?
Leggi i versetti 31-39 del cap. 8 della lettera ai Romani

Non hai più il coraggio per affrontare la vita?
Leggi il 12 cap. del libro di Giosuè

Ti sembra che il diavolo sia più forte di Dio?
Leggi il salmo 89

Non ne puoi proprio più?
Leggi i versetti 28-30 del cap. 11 del Vangelo di Matteo

Stai per metterti in viaggio?
Leggi il salmo 120

Non riesci più a sopportarti?
Leggi il cap. 13 della la lettera ai Corinti

La tua preghiera è molto egoista?
Leggi il salmo 66

Hai l'impressione di pregare nel vuoto?
Leggi i versetti I -13 del cap. 11 del Vangelo

Sei in crisi?
Leggi il cap. 8 del libro dei Proverbi

Sei impaziente?
Leggi il cap. 12 della lettera agli Ebrei

Ti senti solo?
Leggi il cap. 15 della 1a lettera ai Corinzi

Sei malato?
Leggi il cap. 26 di Isaia

Vuoi sapere ciò che Dio attende da te?
Leggi il cap. 12 della lettera ai Romani

Hai bisogno di pace?
Leggi il cap. 14 di Giovanni

Non sai come ringraziare il Signore?
Leggi il salmo 102

bibbiavangeloParola di DioSacra Scritturapreghiera

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 21/09/2012

TESTO

23. Cambiare si può   1

Ernesto Olivero, Per una chiesa scalza, pag. 93

Sono convinto che dobbiamo smetterla di parlare al mondo. E' il mondo che deve parlare di noi se ci amiamo, se ci stimiamo, se ci vogliamo bene, se non ci feriamo a vicenda, se cominciamo a farci gli affari degli altri, se il carcerato, l'ammalato, l'affamato trova in noi un volto amico. Se abbiamo il coraggio di dare un nome e un cognome al peccato che nasce da dentro.

testimonianzacaritàsolidarietà

4.5/5 (2 voti)

inviato da Flavio Baldi, inserito il 20/09/2012

TESTO

24. Calmati   6

Se la tua fede vacilla, calmati: Dio ti guarda.
Se tutto sembra finire, calmati: Dio rimane.
Se sei nella tristezza, calmati: Dio è la consolazione.
Se il peccato ti opprime, calmati: Dio perdona.
Se hai i nervi tesi, calmati: Dio è pazienza.
Se nessuno ti comprende, calmati: Dio ti conosce.
Se urgono scelte importanti, calmati: Dio ti guida.
Se sei smarrito, calmati: Dio ti vede.
Se sei in difficoltà, calmati: Dio è provvidente.
Se la malattia ti logora, calmati: Dio guarisce.
Se la croce è pesante, calmati: Dio ti sostiene.
Se la morte ti spaventa, calmati: Dio è risurrezione.
Dio è sempre con noi, ci ama e ci ascolta.

fiducia in Dioabbandono in Diofedetranquillitàserenitàrapporto con Dio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Maurizio Gasperi, inserito il 20/09/2012

TESTO

25. Non accusare   1

Isacco di Ninive

Non è adatto alla vita cristiana chi cerca giustizia contro qualcuno;
Cristo non ha insegnato questo.
Porta con amore le pene degli infermi;
piangi sui peccati dell'uomo;
tripudia del pentimento del peccatore.
Non accusare nessuno.
Stendi il tuo mantello sull'uomo che cade e coprilo perché nessuno lo veda.

misericordiaamore fraternocompassionenon giudicaregiudizio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 05/08/2012

TESTO

26. Il mio Natale   3

P. Gianni fanzolato, Loreto S. Natale 2011

Annunciazione
Anche per me, come a Maria, c'è stato un annuncio:
un angelo mi ha chiesto se ero disposto a portare Gesù ai fratelli;
e come per miracolo ho trovato Cristo nei poveri, carcerati, migranti.
Dal sì di Maria come centri concentrici tutti i sì di chi si sente amato dal Padre.
E nasce l'amore!

Natale.
Per me è Natale quando Cristo mi ha cambiato la vita col battesimo e sono rinato.
Da quel momento ho visto nascere attorno a me tanti che sognano un pane,
fratelli in carcere per i quali è natale quando qualcuno li va a visitare,
tanti ragazzi, uomini migranti per il mondo che aspettano di essere accolti.
E nasce la gioia!

I Re Magi
Ogni volta nel mio cuore nasce l'amore a Dio e ai fratelli, è oro che offro.
Quando lascio tutto e perdo tempo in tua compagnia è incenso che sale.
Se vivo nella tua grazia e la vita si fa dono a chi soffre è mirra che profuma.
Permettimi, Signore di inginocchiarmi per adorarti presente nel mio prossimo.
E nasce la lode!

Epifania
Ti manifesti a me nel dolore del malato, di chi vive lontano dalla patria.
Sei continua epifania negli avvenimenti della storia e di chi cammina accanto.
Ti sveli come d'incanto per chi sa scorgerti nella Parola, nel Pane e nella vita.
E il mondo avvolto dalle tenebre del peccato, toglie il velo e risorge a una luce nuova.
E nasce la pace!

annunciazionenataleepifaniare magi

3.7/5 (3 voti)

inviato da Gianni Fanzolato, inserito il 07/05/2012

TESTO

27. Sdraiati sulla croce   3

Quando la malattia o un lutto entrano nella nostra vita ci sdraiamo sulla croce e d'improvviso, ci accorgiamo che è già occupata. Lì si incontra Gesù Cristo.

rapporto con Diosofferenzacrocedolore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Betty Bonfanti, inserito il 06/05/2012

TESTO

28. Avevo fame, ho ancora fame   1

Jack Mapanje

Avevo fame e avete fondato un club a scopi umanitari,
in cui si discute sulla mancanza di alimenti.
Ve ne sono grato.
Ero nudo e avete esaminato seriamente
le conseguenze morali della mia nudità.
Ve ne sono grato.
Ero malato e vi siete messi in ginocchio
per ringraziare il Signore di avervi dato una buona salute.
Ero senza tetto e mi avete predicato
le risorse dell'amore di Dio.
Sembravate così devoti, così vicini a Dio!
Ma io ho ancora fame,
sono ancora solo, nudo, malato, prigioniero e senza tetto.
Ho freddo...

note: sul web viene indicata a volte solo come "poesia dal Malawi", altre volte è attribuita a Jack Mapanje, scrittore e poeta del Malawi (Africa) arrestato nel 1987 per il suo impegno sociale.

povertàsolidarietàconcretezzaamore

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 08/04/2012

TESTO

29. La gioia di un genitore   2

Amici della Zizzi

Che gioia grande per un genitore l'essere in perfetta sintonia con il proprio figlio.
Che gioia grande quando un figlio difende l'operato di un genitore e si immedesima talmente in lui da portare avanti gli stessi principi e valori.
Questo non significa un'identità, un appiattimento, un essere accondiscendente su tutto, è qualcosa che va al di là di ogni significato della parola amore. Vuol dire che un genitore ha saputo trasmettere al proprio figlio l'essenza della vita.

Che gran dolore quando questo non accade. Quando vediamo i nostri figli ribellarsi a noi, quando vediamo che vanno contro quelli che per noi sono principi basilari da sempre. Quando vediamo un figlio che ruba, che risponde male ad un rimprovero, che non studia.
Gran dolore non significa "non amore", anzi, forse è in quei momenti che un genitore ama maggiormente il proprio figlio. E' lui il "malato" per cui pregare, è lui che va sostenuto e cercato di capire, è lui che va amato più di ogni altra cosa con i suoi errori, debolezze, mancanze, affinché senta nel suo cuore quanto sia grande la forza dell'amore, che va al di là di forme ed atteggiamenti sbagliati.

Ecco, noi spesso ci comportiamo come questi figli nei confronti di Dio. Ci ribelliamo, andiamo contro i Suoi principi, ma il Signore continua ad amarci, continua ad avere la speranza che possiamo rinsavire, che possiamo tornare sulla retta via. Al Signore non interessa quanto abbiamo sbagliato o quanto sbaglieremo, a Lui interessa che prima o poi si capisca di aver sbagliato, si alzi gli occhi al cielo e si dica "perdonami" con il cuore e con l'anima prima che con le parole.

Tutti noi sbagliamo, ma nessuno di noi potrà mai fare errori tanto grandi da non poter essere perdonato da Dio, così come faremmo noi per nostro figlio.

genitorifigliadozionepadreperdonoerrorigioiarapporto con Diofigliol prodigopadre misericordioso

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inviato da Riccardo Ripoli, inserito il 08/04/2012

TESTO

30. Il Risorto nella nostra storia

Monaci Benedettini Silvestrini, Auguri pasquali 2011

Quando senti i terremoti violenti scuotere la terra, quando in preda allo spavento vedi lo tsunami dare morte alle persone inermi e travolgere tutto nella distruzione, quando vedi il fuoco bruciare la tua casa, quando vedi infuriare i venti e scatenarsi la tempesta che schianta la foresta dì a te stesso: "Credo che la terra tornerà nella sua immobilità, le acque si calmeranno, la foresta si rifarà e io ricostruirò la mia casa e soprattutto la vita continuerà a vivere perché Cristo è risorto ed è lui l'autore dell'immortalità, lui l'autore della vita".

Quando vedi con terrore che una fonte di energia inventata dagli uomini, diventa contagio, terrore e morte per gli uomini dì a te stesso: "Da quella fonte Cristo era stato escluso e l'umana intelligenza inventa, ma non salva e talvolta diventa il suo sepolcro".

Quando il peccato ti stringe alla gola e ti senti soffocato e finito, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e io risorgerò dal mio peccato, per questo si è immolato sulla croce, per questo io spero il suo perdono".

Quando la vecchiaia o la malattia tenterà di amareggiare la tua esistenza, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e ha fatto cieli nuovi e terra nuova. È lui la mia eterna giovinezza, lui può fare nuova la mia anima".

Quando vedrai tuo figlio fuggire da casa in cerca di avventura e ti sentirai sconfitto nel tuo sogno di padre o di madre, dì a te stesso: "Mio figlio non sfuggirà a Dio e tornerà perché Dio lo ama, perché lo attende da sempre nella tua casa per abbracciarlo e fare festa con te e con lui per il suo ritorno".

Quando vedrai spegnersi la carità attorno a te e vedrai gli uomini come impazziti nel loro peccato e ubriacati dai loro tradimenti, dì a te stesso: "Toccheranno il fondo, ma torneranno indietro perché lontano da Dio non si può vivere e la nostalgia del Padre celeste è irrefrenabile per tutti i figli di Dio".

Quando il mondo ti apparirà come sconfitta di Dio e sentirai la nausea del disordine, della violenza, della litigiosità continua, del terrore, della guerra dominare sulle piazze e la terra ti sembrerà il caos, dì a te stesso: "Gesù è morto e risorto proprio per salvare e, se la imploriamo, la sua salvezza è già presente tra di noi".

Quando tuo padre o tua madre, tuo figlio o tua figlia, la tua sposa, il tuo amico più caro, ti saranno dinanzi sul letto di morte e tu li fisserai nell'angoscia mortale del distacco, dì a te stesso e a loro: "Ci rivedremo nel Regno eterno, ora io intraprendo la via del Risorto, coraggio!".

Questo significa credere nella Resurrezione. Questo significa superare la tentazione, assai frequente ai nostri giorni, di fissare lo sguardo sulla superficie torbida degli eventi e magari incolpare il buon Dio dei terremoti, degli tsunami, dei lutti, delle violenze e di tutto il male che ci circonda, ci umilia e ci affligge, ignari e impenitenti dei nostri peccati.

Significa invece accorgersi con motivata preoccupazione che noi uomini abbiamo abbassato con la colpevole dimenticanza dell'Eterno, con le nostre frivole umane stupidità le dighe e le barriere e ci siamo privati delle corazze personali che formano gli argini e le difese dal male, da quel terribile male che si oppone a Dio e a noi e vorrebbe tutto e tutti chiudere per sempre in un sepolcro di morte e di definitiva distruzione, quelli argini e quelle divine difese, che invece ci difendono, ci aprono alla luce del bene, ci rischiarano la notte dei tempi e ci orientano verso la Luce di quel radioso mattino che illumina tutti i nostri giorni e sempre ci indirizza verso la vita vera, verso la definitiva risurrezione.

Ecco il grande, immenso dono del Cristo risorto, ecco la pasqua di quest'anno e la pasqua di ogni giorno, quella che potremmo chiamare l'albore e la speranza della Vita, la nostra fede. i doni del Risorto, quelli che noi monaci imploriamo e auguriamo con gioia a tutti e a ciascuno di voi.

I Monaci Benedettini Silvestrini del Monastero san Vincenzo Bassano Romano

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inviato da Monaci Benedettini Silvestrini Di Bassano Romano, inserito il 07/04/2012

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31. Gesù e il pensiero della morte

Mario Luzi, Via crucis al colosseo

Dall'orizzonte umano in cui mi trovo
a guardare il mondo universo che hai creato
si affrontano due eternità: la tua vivente e luminosa
e l'altra senza luce e senza moto.
Anche la morte pare eterna, è duro convincerli, gli umani,
che non ci sono due estremità contrarie,
il tutto è compreso in una sola e tu sei in ogni parte
anche dove pare tu manchi.
Tuo il regno, tua la potenza.
Tuttavia la morte è una regione dove sei, sì,
ma non vivente, inerte in un imperscrutato sonno;
questo pensano gli umani
e pensano ai demoni, pensano alla potenza delle tenebre.
Anche io, figlio dell'uomo, temo la prova che mi attende,
prescritta anch'essa dall'eternità e irrevocabile.
Perdona i miei pensieri infermi, i miei farneticamenti.
Io che in nome tuo ho risuscitato Lazzaro
ho paura e dubito che la morte sia invincibile.
Ma a questo mi hai mandato, a vincere la vittoria della morte.

pauramorterisurrezionevita eterna

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inviato da Bruna Coin, inserito il 07/04/2012

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32. Voglio adottarvi come genitori   3

Michel Quoist

Ascoltami ancora, si dice infatti che dalla bocca dei bambini viene la verità; se sono un bambino sfuggito dal carnaio notturno, trattenuto da un filo d'amore lanciato da chissà dove.

Se sono un bambino caduto dal nido, abbandonato da padre e madre, rapiti o mortalmente feriti alle sbarre della loro gabbia.

Se sono un bambino nudo, senza panni d'amore o con panni imprestati, ma col diritto di vivere, perché sono vivo.

E se nello stesso istante persone innamorate piangono davanti a una culla vuota, consumati nel desiderio di accarezzare un bambino.

Se sono ricchi d'amore che ritengono sprecato, e vogliono gratuitamente donarlo, perché cresca e fiorisca ciò che non hanno piantato.

Allora voglio che vengano silenziosamente a chiedermi se desidero adottarli come miei genitori. Ma non voglio dei fanatici del bambino, come collezionisti d'arte che cercano il pezzo raro che manca alla loro vetrina. Non voglio clienti che hanno fatto l'ordinazione e, pagata la fattura reclamano il loro bebè prefabbricato. Perché non sono fatto per salvare genitori dalle membra amputate, ma loro sono stati fatti, misterioso percorso, magnifico progetto, per salvare dei bambini dal cuore malato, forse anche condannato. E sarà come addormentarci l'un l'altro.

Io berrò il latte di cui ignoravo il sapore, ascolterò musiche sconosciute, imparerò nuove canzoni, sulle vostre dita, sulle vostre labbra genitori adottati, decifrerò lentamente l'alfabeto della tenerezza.

E l'amore sconosciuto per me prenderà il volo alla luce dei vostri occhi. Voi innesterete le vostre vite sulla mia crescita e grazie a voi io rinascerò una seconda volta.

Così sarò ricco di quattro genitori, due lo saranno della mia carne e due del mio cuore e della mia carne cresciuta. Voi non giudicherete i miei genitori sconosciuti, li ringrazierete e mi aiuterete a rispettarli. Perché dovrò riuscire lo so, ad amarli nell'ombra, se un giorno vorrò poterli amare nella luce.

E se in una sera di tempesta, adolescente focoso, impacciato di me stesso, io vi rimprovererò di avermi accolto, non vi addolorate, ma amatemi ancor di più: lo sapete, perché un innesto prenda ci vuole una ferita e, chiusa la ferita, rimane la cicatrice.

Ma io sogno. Io sogno perché non sono che un bambino in viaggio, lontano dalla terra ferma, la mia parola è muta e il canto senza musica.

Ciò che vi dico piano non potrò urlarlo, se non il giorno in cui, avendomi voi adottato, mi avreste messo in cuore tanto amore e autentica libertà, sulle mie labbra parole sufficienti, perché possa dire: papà, mamma, io vi scelgo e vi adotto allora saprete che il vostro amore è dono, e che è riuscito.

adozionefigligenitoriamoregratuitàdonazione

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inviato da Emanuela Pandini, inserito il 11/01/2012

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33. Vieni presto Gesù   4

Don Angelo Saporiti, Commento all'Avvento

Ti stiamo aspettando Gesù.
Fa' scendere la tua Parola su di noi.
Abbiamo tanto bisogno di te.
Tocca il nostro cuore, cambia il nostro stile di vita,
rendici più generosi, più autentici, più umani.
Ti stiamo aspettando Gesù.
Ti aspetta questa tua parrocchia.
Ti aspettano le nostre famiglie e i bambini, i nostri anziani e gli ammalati.
Vieni presto, Signore Gesù!
Non tardare!
Aiutaci a condividere tra noi il pane del rispetto e dell'amicizia.
Donaci di spezzare con chi è solo il pane di una stretta di una mano;
Donaci di donare il pane della fiducia con chi è nella disperazione.
Gesù, ti stiamo aspettando.
Non tardare.
Amen.

avventonataleattesa

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inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 11/12/2011

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34. Trenta consigli per rendere la vita più bella   3

1. Cammina da 10 a 30 minuti tutti i giorni. Mentre cammini, sorridi.
2. Siediti e stai in silenzio per almeno 10 minuti.
3. Ascolta ogni giorno della buona musica, è un alimento autentico per lo spirito.
4. Quando ti alzi al mattino pronuncia quanto segue: "Il mio proposito odierno è...".
5. Gioca più dell'anno passato.
6. Leggi più libri dell'anno passato.
7. Osserva il cielo almeno una volta al giorno e renditi conto della maestosità del mondo che ti circonda.
8. Sogna di più quando stai sveglio.
9. Vivi con entusiasmo ed energia.
10. Non farti sfuggire l'opportunità d'abbracciare chi apprezzi.
11. Cerca di far ridere almeno tre persone al giorno.
12. Elimina il disordine dalla tua casa, dal tuo scrittoio e lascia che nuove energie entrino nella tua vita.
13. Fai una colazione da Re, pranza come un Principe e cena da Mendicante.
14. Sorridi e ridi di più.
15. La vita è troppo corta per perdere tempo ad odiare qualcuno.
16. Non prenderti troppo sul serio; non lo fa più nessuno.
17. Non devi necessariamente uscire vincitore da ogni discussione; accetta quando non sei d'accordo ed impara dagli altri.
18. Mettiti in pace con il tuo passato, così non ti rovinerai il presente.
19. Non paragonare la tua vita con quella di un altro; ha fatto un cammino diverso.
20. Nessuno è responsabile della tua felicità se non te stesso.
21. Ricorda che non hai il controllo di tutto ciò che succede, però "Sì" di ciò cha fai con esso.
22. Ogni giorno, impara qualcosa di nuovo.
23. Non importa quanto la situazione sia buona o cattiva; cambierà
24. Il tuo lavoro non si occupa di te quando sarai ammalato. I tuoi amici lo faranno; mantieniti in contatto con loro.
25. Lascia perdere tutto ciò che non sia utile, buono o divertente.
26. L'invidia è una perdita di tempo; hai già tutto quello che desideri.
27. Tieniti in contatto con i tuoi familiari; scrivi loro dicendo ."vi sto pensando"!!!
28. Il meglio deve ancora arrivare.
27. Quello che la maggioranza pensa di te, non è un'incombenza.
29. Sfrutta un viaggio. E' un'opportunità da cui devi trarre il maggior beneficio.
30. La vita è bella; godila finché puoi.

vitagioia di vivereapprezzare le piccole cose

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

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35. Io voglio servire Gesù

Shahbaz Bhatti, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianum Press, Venezia 2008, pp. 39-43

Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.

Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l'amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».

Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.

Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa', hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino all'ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.

Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro.

Per cui cerco sempre d'essere d'aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.

Shahbaz Bhatti, ucciso a Islamabad il 2/03/2011

testimonianzamartiriopersecuzione

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

TESTO

36. Pane bianco, pane nero   1

Cardinale Kim

Attorno a te il pane non manca. Non si tratta solo del pane di farina.
Tu stesso hai bisogno di altro pane per vivere una vita veramente umana: il pane bianco dell'amicizia, dell'accoglienza, del rispetto, dell'aiuto reciproco, dell'amore fraterno, della giustizia e della libertà, quello dei diritti e delle responsabilità, quello della salute e della cultura.
Tutto questo condividilo: sarai fratello con tutti gli uomini.
Ma c'è anche il pane nero: quello della povertà, della sofferenza, della solitudine, della disperazione, della malattia, dell'ignoranza. Se non saprai condividere anche questo, non sei discepolo del Signore.
Supera ogni barriera: di nazionalità, di razza, di colore e di classe, e allarga la tua comunione a livello universale: solo così sarai testimone del Risorto.
Se non condividerai il pane, quello bianco e quello nero, resterai nella situazione dei due discepoli di Emmaus: erano vicinissimi al Cristo camminavano accanto a Lui, ma non potevano riconoscerlo.
Lo riconobbero solo allo spezzare del pane.

condivisionefraternitàfratellanzaemmaus

inviato da Nadia Todaro, inserito il 15/01/2011

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37. Donne e uomini

Maurizio di Gesù Bambino, L'ostrica perlacea. Diario di una malattia, Mimep-Docete, Pessano con Bornago, 1998

Chi ho trovato sulla Via Crucis? Semplicemente uomini sempre in atto di condannare e di percuotere, ma donne sempre pronte a compatire e consolare. È stupefacente, ma è così. Infatti le donne sembrano fare da contrappunto all'atteggiamento degli uomini! Basti osservare l'ordine di comparsa. La Madonna, la Veronica, le pie donne, Maria e le donne sotto la Croce, nella deposizione, presso il sepolcro, nella resurrezione. Con la loro presenza sembrano controbilanciare l'opera di distruzione voluta ed eseguita dagli uomini. Perfino la moglie di Pilato agisce con maggior sapienza e prudenza degli uomini! Gli uomini giudicano, condannano, impongono la croce, colpiscono… Nel mio piccolo soffrire, ho potuto godere di cure che, senza esagerazione, posso dire materne, da parte di alcune donne, che pure con me non hanno alcun legame di parentela. Allora è proprio una questione di cuore!

amoreuomodonnavia crucispassione

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inviato da Luca Peyron, inserito il 14/08/2010

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38. Che bella coppia formano due credenti   1

Tertulliano

Che bella coppia formano due credenti che condividono la stessa speranza, lo stesso ideale, Lo stesso modo di vivere, lo stesso atteggiamento di servizio!
Ambedue fratelli e servi dello stesso Signore senza la minima divisione nella carne e nello spirito, insieme pregano, insieme s'inginocchiano e insieme fanno digiuno.
Si istruiscono l'un l'altro, si esortano l'un l'altro, si sostengono a vicenda.
Stanno insieme nella santa assemblea, insieme alla mensa del Signore, insieme nella prova, insieme nella persecuzione, insieme nella gioia.
Non c'è pericolo che si nascondano qualcosa l'un l'altro, che si evitino l'un l'altro, che l'uno all'altro sian di peso.
Volentieri essi fan visita ai malati ed assistono i bisognosi.
Fanno elemosina senza mala voglia, partecipano al sacrificio senza fretta, assolvono ogni giorno i loro impegni senza sosta.
Ignorano i segni di croce furtivi, rendon grazie senza alcuna reticenza,
si benedicon senza vergogna nella voce.
Salmi e inni recitano a voci alterne e fanno a gara a chi meglio sa cantare le lodi al suo Dio.
Vedendo e sentendo questo Cristo gioisce e ai due sposi manda la sua pace. Là dove sono i due ivi è anche Cristo.

matrimoniopreghierafamigliasposicoppiaserviziosintonia

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inviato da Giovanna Martinetti, inserito il 07/12/2009

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39. Digiuno, elemosina e preghiera   1

san Giovanni Maria Vianney, Omelia per la VII Domenica dopo Pentecoste

Leggiamo nella Sacra Scrittura che il Signore diceva al suo popolo, parlandogli della necessità di fare delle opere buone per piacergli e per far parte del numero dei santi: «Le cose che vi chiedo non sono al di sopra delle vostre forze; per farle, non è necessario innalzarvi fino alle nubi, né attraversare i mari. Tutto ciò che vi comando è, per così dire, a portata di mano, nel vostro cuore e attorno a voi». Posso ripetere la stessa cosa: è vero, non avremo mai la fortuna di andare in cielo se non facciamo opere buone; ma non ci spaventiamo: ciò che Gesù Cristo ci chiede, non sono cose straordinarie, né al di sopra delle nostre capacità; non chiede a noi di stare tutto il giorno in chiesa, neanche di fare grandi penitenze, cioè fino a rovinare la nostra salute, e neppure di dare tutto il nostro avere ai poveri (benché sia verissimo che siamo obbligati a dare ai poveri quanto possiamo, e che lo dobbiamo fare per piacere a Dio che ce lo comanda e per riscattare i nostri peccati). È pur vero che dobbiamo praticare la mortificazione in molte cose, domare le nostre inclinazioni...

Ma, mi direte voi, ce ne sono più d'uno che non possono digiunare, altri che non possono dare l'elemosina, altri che sono talmente occupati che spesso riescono a stento a fare la loro preghiera al mattino e alla sera; come dunque potranno salvarsi, dal momento che bisogna pregare di continuo e bisogna necessariamente fare opere buone per conquistare il cielo?

Visto che tutte le vostre opere buone si riducono alla preghiera, al digiuno e all'elemosina, potremo fare facilmente tutto questo, come vedrete.

Sì, anche se avessimo una cattiva salute o fossimo addirittura infermi, c'è un digiuno che possiamo facilmente fare. Fossimo pure del tutto poveri, possiamo ancora fare l'elemosina e, per quanto grandi fossero le nostre occupazioni, possiamo pregare il buon Dio senza essere disturbati nei nostri affari, pregare alla sera e al mattino, e persino tutto il giorno. Ed ecco come.

Noi pratichiamo un digiuno che è assai gradito a Dio, ogni volta che ci priviamo di qualche cosa che ci piacerebbe fare, perché il digiuno non consiste tutto nella privazione del bere e del mangiare, ma nella privazione di ciò che riesce gradito al nostro gusto; gli uni possono mortificarsi nel modo di aggiustarsi, gli altri nelle visite che vogliono fare agli amici che hanno piacere di vedere, gli altri, nelle parole e nei discorsi che amano tenere; questi fa un grande digiuno ed è molto gradito a Dio allorché combatte il suo amor proprio, il suo orgoglio, la sua ripugnanza a fare ciò che non ama fare, o stando con persone che contrariano il suo carattere, i suoi modi di agire...

Vi trovate in una occasione nella quale potreste soddisfare la vostra golosità? Invece di farlo, prendete, senza farlo notare, ciò che vi piace di meno... Sì, se volessimo applicarci bene, non soltanto troveremmo di che praticare ogni giorno il digiuno, ma ancora ad ogni momento della giornata.

Ma, ditemi, c'è ancora un digiuno che sia più gradito a Dio del fare e del soffrire con pazienza certe cose che spesso vi sono molto sgradevoli? Senza parlare delle malattie, delle infermità e di tante altre afflizioni che sono inseparabili dalla nostra miserabile vita, quante volte non abbiamo l'occasione di mortificarci, accettando ciò che ci incomoda e ci ripugna? Ora è un lavoro che ci annoia, ora una persona antipatica, altre volte è un'umiliazione che ci costa di sopportare. Ebbene, se accettiamo tutto questo per il buon Dio, e unicamente per piacergli, questi sono i digiuni più graditi a Dio...

Diciamo che c'è una specie d'elemosina che tutti possono fare.

Vedete bene che l'elemosina non consiste soltanto nel nutrire chi ha fame, e nel dare vestiti a chi non ne ha; ma sono tutti i favori che si rendono al prossimo, sia per il corpo, sia per l'anima, quando lo facciamo in spirito di carità. Quando abbiamo poco, ebbene, diamo poco; e quando non abbiamo, diamo in prestito, se lo possiamo. Colui che non può provvedere alle necessità degli ammalati, ebbene, può visitarli, dir loro qualche parola di consolazione, pregare per loro, affinché facciano buon uso della loro malattia. Sì, tutto è grande e prezioso agli occhi di Dio, quando agiamo per un motivo di religione e di carità, perché Gesù Cristo ci dice che un bicchiere d'acqua non rimane senza ricompensa. Vedete dunque che, benché siamo assai poveri, possiamo facilmente fare l'elemosina.

Dico che, per grandi che siano le nostre occupazioni, c'è una specie di preghiera che possiamo fare di continuo, anche senza distoglierci dalle nostre occupazioni, ed ecco come si fa. Consiste, in tutto quello che facciamo, nel non fare altro che la volontà di Dio. Ditemi, vi pare molto difficile lo sforzarsi di fare soltanto la volontà di Dio in tutte le nostre azioni, per quanto piccole esse siano?

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inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

40. Così il padre ci ama

John Henry Newman

Il Padre ci vede e ci conosce tutti, uno ad uno.
Chiunque tu sia egli ti vede individualmente,
egli ti chiama con il tuo nome,
egli ti comprende quale realmente ti ha fatto.

Egli conosce ciò che è in te,
tutti i tuoi sentimenti e pensieri più intimi,
le tue disposizioni e preferenze,
la tua forza e la tua debolezza.

Egli ti guarda nel giorno della gioia e nel giorno della tristezza,
ti ama nella speranza e nella tua tentazione,
s'interessa di tutte le tue ansietà, di tutti i tuoi ricordi,
di tutti gli alti e bassi del tuo spirito.

Egli ha perfino contato i capelli del tuo capo
e misurato la tua statura,
ti circonda e ti sostiene con le sue braccia
ti solleva e ti depone.

Egli osserva i tratti del tuo volto,
quando piangi e sorridi,
quando sei malato o godi buona salute.

Con tenerezza egli guarda le tue mani e i tuoi piedi,
sente la tua voce, il battito del tuo cuore,
ode perfino il tuo respiro,
tu non ami te stesso più di quanto egli ti ama.

Tu non puoi fremere dinanzi al dolore,
come egli freme vedendolo venire sopra di te,
e se tuttavia te lo impone è perché anche tu se fossi saggio
lo sceglieresti per un maggior bene futuro.

amore di Diovicinanza di DioDio Padrerapporto con Dio

inviato da Qumran2, inserito il 12/06/2009

TESTO

41. L'imitazione del Signore   1

San Francesco d'Assisi, Ammonizione VI, FF 155

Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.

Le pecore del Signore l'hanno seguito "nella tribolazione e nella persecuzione" (cf. Gv 10,4), nella vergogna e nella "fame" (cf. Rm 8,35), nell'infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna.

Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle.

camminovitaesempiotestimonianzasantitàimpegnoperseveranzasequeladiscepolato

5.0/5 (1 voto)

inviato da Antonio Antonucci, inserito il 12/06/2009

TESTO

42. Giudicare   1

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo

Come Dio ci perdonerà i nostri peccati nella misura in cui noi avremo perdonato gli altri, così anche lui ci giudicherà nella misura in cui avremo giudicato gli altri.

Non dobbiamo, quindi, né insultare né ingiuriare coloro che peccano, ma dobbiamo avvertirli. Non bisogna dirne male e diffamarli, ma consigliarli. Dobbiamo correggerli con l'amore, e non insorgere contro di loro con arroganza.

"Ma se uno cade nella fornicazione - mi domandi - non gli si dovrà dunque dire che la fornicazione è un male e non si dovrà correggerlo con energia per il suo peccato?".

Correggilo, certo, però non come se tu fossi un nemico che chiede giustizia, ma comportandoti come un medico che prepara il rimedio per guarire il malato.

correzionefraterna

inviato da Qumran2, inserito il 02/06/2009

TESTO

43. Signore, amante della vita

Signore, amante della vita
aiutaci a scegliere con coraggio e verità
sempre e comunque la vita.
Donaci di desiderare e accogliere
ogni vita che nasce come segno preferenziale del tuo amore.
Insegnaci ad amare la vita fino a donarla senza riserve e con gratuità.
Donaci di essere profeti di umanità,
quando sofferenza e malattia spezzano le nostre esistenze.
Insegnaci ad essere creativi e pronti a far spazio al bambino, all'anziano, al malato.
Donaci di credere che la nostra esistenza trova in te il suo inizio e in te il suo compimento.
Insegnaci, Signore amante della vita,
a riconoscerci umili custodi del tuo dono più grande.

vitadono della vita

inviato da Roby, inserito il 02/06/2009

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44. Pasqua   1

Carlo Maria Martini

Mentre il Natale evoca istintivamente l'immagine di chi si slancia con gioia (e anche pieno di salute) nella vita, la Pasqua è collegata con rappresentazioni più complesse. È una vita passata attraverso la sofferenza e la morte, una esistenza ridonata a chi l'aveva perduta. Perciò se il Natale suscita un po' in tutte le latitudini, anche presso i non cristiani e i non credenti, un'atmosfera di letizia e quasi di spensierata gaiezza, la Pasqua rimane un mistero più nascosto e difficile. Ma la nostra esistenza, al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente sul terreno dell'oscuro e del difficile.

Mi appare significativo il fatto che Gesù nel suo ministero pubblico si sia interessato soprattutto dei malati e che Paolo nel suo discorso di addio alla comunità di Efeso ricordi il dovere di «soccorrere i deboli». Per questo vorrei che questa Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante, che è (ingannevolmente) quella dello "star bene" come principio assoluto. Vorrei che il senso di sollievo, di liberazione e di speranza che vibra nella Pasqua ebraica dalle sue origini ai nostri giorni entrasse in tutti i cuori.

In questa Pasqua vorrei poter dire a me stesso con fede le parole di Paolo nella seconda lettera ai Corinti: «Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne». (2Corinti 4,16-18). È così che siamo invitati a guardare anche ai dolori del mondo di oggi: come a «gemiti della creazione», come a «doglie del parto» (Romani, 8,22) che stanno generando un mondo più bello e definitivo, anche se non riusciamo bene a immaginarlo. Tutto questo richiede una grande tensione di speranza.

Più difficile è però per me l'esprimere che cosa può dire la Pasqua a chi non partecipa della mia fede ed è curvo sotto i pesi della vita. Ma qui mi vengono in aiuto persone che ho incontrato e in cui ho sentito come una scaturigine misteriosa dentro, che li aiuta a guardare in faccia la sofferenza e la morte anche senza potersi dare ragione di ciò che seguirà. Vedo così che c'è dentro tutti noi qualcosa di quello che san Paolo chiama «speranza contro ogni speranza» (ivi, 4,17), cioè una volontà e un coraggio di andare avanti malgrado tutto, anche se non si è capito il senso di quanto è avvenuto. È così che molti uomini e donne hanno dato prova di una capacità di ripresa che ha del miracoloso. Si pensi a tutto quanto è stato fatto con indomita energia dopo lo tsunami del 26 dicembre di due anni fa o dopo l'inondazione di New Orleans. Si pensi alle energie di ricostruzione sorte come dal nulla dopo la tempesta delle guerre.

È così che la risurrezione entra nell'esperienza quotidiana di tutti i sofferenti, in particolare dei malati e degli anziani, dando loro modo di produrre ancora frutti abbondanti a dispetto delle forze che vengono meno e della debolezza che li assale. La vita nella Pasqua si mostra più forte della morte ed è così che tutti ci auguriamo di coglierla.

resurrezionepasquarisurrezionedoloresofferenzasperanza

inviato da Qumran2, inserito il 14/04/2009

TESTO

45. Un pieno di gioia (Messaggio in occasione dell'inizio della Quaresima - 22 febbraio 1993)   1

Tonino Bello

Carissimi,

incomincia il periodo dell'anno più ricco di grazia, che dal Mercoledì delle Ceneri ci porta alla Pasqua della Resurrezione. Dovrebbe essere l'identikit del nostro itinerario cristiano.

Si parte con l'anima piena di rimorsi, di peccati e di stanchezza e si giunge nell'estuario della luce e della speranza. Perché tutti sappiamo che il dolore, la morte, la malattia non sono stagioni permanenti della vita, ma sono passaggi che ci introducono nella gioia che non ha tramonti.

La mia esortazione quindi, di amico e di vescovo, è che affrontiate sin dall'inizio, con animo deciso al cambiamento, questo tempo di salvezza.

Perché non progettate un po' di digiuno, un po' di preghiera in più, semplice e autentica che vi metta in rapporto vero con Dio? Gli altri atteggiamenti penitenziali propri della quaresima potrebbero esprimersi rinnovando i rapporti con le persone, riscoprendone il volto, facendo la pace. Tutto il resto è chiacchiera.

Un capitale grossissimo da investire sul versante della nostra crescita comunitaria è quello che ci viene offerto dai nostri sofferenti.

Sabato prossimo celebreremo la giornata Diocesana dell'ammalato. E io mi rivolgo a voi, protagonisti del mistero della sofferenza, perché facciate un grande offertorio della vostra povertà. Siamo in tanti. Stavolta ci sono in mezzo anch'io e guiderò il popolo della sofferenza davanti al Signore perché egli dia prosperità e pace alla nostra città.

E ora desidero rivolgermi ai giovani. Ogni anno in quaresima abbiamo vissuto nelle nostre cattedrali incontri carichi di forza e di entusiasmo. Anche quest'anno, nonostante la mia non presenza fisica, v'incontrerete ugualmente guidati da persone che hanno fatto esperienza di Cristo. Sono certo che il bisogno di vedere il volto di Dio e ascoltarne il messaggio, prevalga su tutte le altre gratificazioni di amicizia, d'incontro, di tenerezza, di festa che permeano questi nostri raduni settimanali. Comunque, cari giovani, un affettuosissimo saluto ed un augurio per tutte le cose belle, i progetti, gli affetti che coltivate nel cuore.

Per tutti voi, carissimi fedeli, il Signore faccia il pieno già in anticipo della gioia che si sprigionerà dagli otri della Pasqua.

quaresimamercoledì delle cenericonversione

inviato da Sandra Aral, inserito il 12/03/2009

TESTO

46. Il prete e i mille "se"

Il prete e la sua gente: una storia piena di "se...se....se.."

Se sta da solo in Chiesa, "si chiude nel suo intimismo".
Se esce, "va sempre in giro, e non si trova mai".
Se va a benedire le case (o meglio, le famiglie), "non è mai in Chiesa".
Se non va, "non fa nulla per conoscere i suoi parrocchiani".
Se qualche volta accetta di andare al bar "è uomo di mondo".
Se non accetta, "vive isolato".
Se si ferma in strada a parlare con la gente, è "pettegolo".
Se non si ferma "è scostante".
Se parla con le vecchiette, "perde il tempo".
Se dialoga con le giovani è "un donnaiolo".
Se sta insieme e gioca con i ragazzi "forse è di tendenze equivoche".
Se non li frequenta, "trascura di compiere il suo principale dovere".
Se accoglie in casa certe persone, "è imprudente".
Se non le accoglie, "non si comporta da cristiano sensibile".
Se in chiesa afferma verità scottanti, "fa politica".
Se tace è "menefreghista".
Se predica un minuto in più diventa "interminabile".
Se parla o predica poco "non ha autorità" o "è impreparato".
Se si occupa dei malati "dimentica i sani".
Se accetta inviti a pranzo o a cena "è un mangione e un beone".
Se rifiuta, "non sa vivere in società".
Se organizza incontri e riunioni "sta sempre a scocciare".
Se tace e ascolta, "si lascia sopraffare da quelli che comandano".
Se cerca di fare qualche aggiornamento, "butta via tutto quello che c'è da conservare".
Se ritiene valide alcune tradizioni, "non capisce i tempi attuali".
Se è d'accordo con il vescovo, "si lascia strumentalizzare e non ha personalità".
Se non condivide tutto quello che il vescovo propone, "è fuori della Chiesa".
Se chiede la collaborazione dei fedeli, "è lui che non vuol far niente".
Se agisce da solo, "non lascia spazio agli altri".
Se si occupa degli immigrati (o extracomunitari) "è imprudente".
Se non si interessa, "è un grande egoista che non vuole rogne".
Se organizza gite, pellegrinaggi, "pensa solo a far soldi".
Se non organizza, "è indolente e non ha iniziative".
Se fa il bollettino parrocchiale, "spreca tempo e soldi".
Se non lo fa', "non informa i fedeli sulle attività della parrocchia".
Se si ferma a casa, "non è mai reperibile in ufficio".
Se inizia la santa Messa in orario, "il suo orologio è sempre avanti".
Se comincia un attimo dopo, "fa quello che vuole e non rispetta gli altri".
Se a tutti ricorda e sottolinea il dovere della partecipazione e della solidarietà, "è sempre arrabbiato e nervoso; e, in ogni occasione, bussa a quattrini".
Se indossa la veste talare "è un sorpassato".
Se veste da borghese, "nasconde la sua identità".

Se... se... se...

Signore, dimmi tu: ma come dovrebbe essere il prete?
Risposta del Capo (alias Gesù Cristo):
"Un innamorato di Dio".
E non dovrebbe dimenticare che: "il discepolo non è da più del maestro
né un apostolo è più grande di chi l'ha mandato...".
Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi;
se hanno osservato la mia Parola, osserveranno anche la vostra" (Gv 15).
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28).

pretepresbiterosacerdoteparroco

inviato da Maria Caffagnini, inserito il 07/09/2008

TESTO

47. Il Calvario tre giorni dopo   1

Tonino Bello

I Vangeli ci raccontano numerose apparizioni del Risorto avvenute nel giorno di Pasqua. Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l'apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto.

Le si avvicina Gesù e le dice: "Perché piangi?". Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore. Vedi: la collina del Calvario, che l'altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d'erba. I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni. No, non misurare sui calendari dell'uomo la distanza che separa quest'alba luminosa dal tramonto livido dell'ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un'eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.

Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch'io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: "Perché piangi?". Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l'ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l'ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi. Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando. Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia. Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione. Lo so.

Forse rischio di restare in silenzio anch'io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell'umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza. Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.

Forse rimarrò suggestionato anch'io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescienza di barbarie tra i minori della nostra città.

Forse mi arrenderò anch'io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.

Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.

Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all'ultima, tutte le carte dell'incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.

La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto.

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del "terzo giorno". Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor. Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell'agonia, ma i travagli del parto.

E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d'ora le luci di un mondo nuovo!
Buona Pasqua!

pasquarisortoresurrezionevitagioiadoloresofferenzamortecrocesenso della vita

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inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008

TESTO

48. Quaresima in famiglia   1

Vito Groppelli

- Lunedì: rilettura in famiglia della Parola di Dio ascoltata in chiesa la domenica precedente.
- Martedì: giorno della carità. Avvicinarsi ad una persona bisognosa di conforto, collega di lavoro, anziani, amici di scuola, ammalati, orfani ecc.
- Mercoledì: giorno della rinuncia a qualche cosa che ci costa: sigaretta, alcolici, dolci, bibite ecc. Una rinuncia che fa bene.
- Giovedì: giorno del dialogo con tutti, specialmente con chi non ci è simpatico e ci ha offeso.
- Venerdì: giorno della conversione, della confessione, del ritorno a Dio. Il figlio prodigo che ciascuno di noi è deve ritornare al Padre. Astenersi dalla TV.
- Sabato: giorno a vivere in compagnia della Madonna. La preghiera del rosario può essere fatta anche durante il lavoro in campagna, nei supermercati e negozi, nelle fabbriche e mentre si guida.
- Domenica: giorno in cui la famiglia incontra l'Eucaristia e la comunità cristiana. Giorno in cui si porta l'offerta della settimana destinata al Signore ed ai nostri fratelli bisognosi.

quaresimaconversione

inviato da Alessandro Bianco, inserito il 14/01/2007

TESTO

49. Il "Decalogo" della Domenica   2

Francesco Lambiasi

lo sono il giomo del Signore, Dio tuo. lo sono il Signore dei tuoi giorni.

1. Non avrai altri giorni uguali a me.
Non fare i giorni tutti uguali. La domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto per diventare il giorno libero per Dio e per tutti.

2. Non trascorrere la domenica invano,
drogandoti di televisione, alienandoti nell'evasione, caricandoti di altra tensione.

3. Ricordati di santificare la festa,
non disertando mai l'assemblea eucaristica: la domenica è la pasqua della tua settimana, il sole l'eucaristia e il cuore è Cristo risorto.

4. Onora tu, padre, e tu, madre, il grande giomo
con i tuoi figli! Ma non imporlo mai, neanche ai minori, e non ricattarli. Contagia loro la tua gioia di andare a messa: questo vale molto più di cento prediche.

5. Non ammazzare la domenica
con il doppio lavoro, soprattutto se remunerativo: non violarla né svenderla, ma vivila "gratis et amore Dei" e dei fratelli.

6. Considera il giorno del Signore "il momento di intimità
fra Cristo e la chiesa sua sposa", come ha detto il Papa; se sei sposato o sposata, coltiva la tua intimità con il tuo coniuge.

7. Non rubare la domenica a nessuno,
né alle colf, né alle badanti, né ai tuoi dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, né dal denaro, né dal culturismo, né dai tuoi datori di lavoro.

8. Non dire falsa testimonianza
contro il giorno del Signore. Non vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro in campagna o con loro allo stadio perché non puoi rinunciare alla messa.

9. Non desiderare la domenica degli "altri",
i ricchi, i gaudenti, i bontemponi. Desidera di condividere la domenica con gli ultimi, i poveri, i malati.

10. Non andare a messa solo perché è festa,
ma fa' festa perché vai a messa.

domenica

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inviato da Qumran2, inserito il 16/12/2006

TESTO

50. ContemplaTTivi   1

Tonino Bello, Cirenei della gioia

Secondo me questo gesto significa due cose: se non ci alziamo da tavola, se non ci alziamo da quella tavola, ogni nostro servizio è superfluo, inutile, non serve a niente. Qui arriviamo al punto nodale di tutte le nostre riflessioni, di tutta la revisione della nostra vita spirituale. Diciamo la verità: è probabile che noi si faccia un gran servizio alla gente, molta diaconia, ma spesso è una diaconia che non parte da quella tavola.

Solo se partiamo dall'eucaristia, da quella tavola, allora ciò che faremo avrà davvero il marchio di origine controllata, come dire, avrà la firma d'autore del Signore. Attenzione: non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l'amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l'eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose.

Dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell'azione. La contemplattività, con due t, la dobbiamo recuperare all'interno del nostro armamentario spirituale. Allora comprendete bene: si alzò da tavola vuol dire la necessità della preghiera, la necessità dell'abbandono in Dio, la necessità di una fiducia straordinaria, di coltivare l'amicizia del Signore, di poter dare del tu a Gesù Cristo, di poter essere suoi intimi.

Non ditemi che sono un vescovo meridionale che parlo con una carica emotiva di particolari vibrazioni: le sentite pure voi queste cose; tutti avvertite che, a volte, siamo staccati da Cristo, diamo l'impressione di essere soltanto dei rappresentanti della sua merce, che piazzano le sue cose senza molta convinzione, solo per motivi di sopravvivenza. A volte ci manca questo annodamento profondo.

Qualche volta a Dio noi ci aggrappiamo, ma non ci abbandoniamo. Aggrapparsi è una cosa, abbandonarsi un'altra. Quand'ero istruttore di nuoto - ero molto bravo, e quando ero in seminario tantissimi hanno imparato da me a nuotare - quante volte dovevo incoraggiare gli incerti: «Dai, sono qui io; non ti preoccupare...». Se qualcuno stava annaspando o scendendo giù, io gli passavo accanto e quello si avvinghiava fin quasi a strozzarmi. Questo è solo un abbraccio di paura, non un abbraccio d'amore.

Qualche volta con Dio facciamo anche noi così: ci aggrappiamo perché ci sentiamo mancare il terreno sotto i piedi, ma non ci abbandoniamo. Abbandonarsi vuol dire lasciarsi cullare da lui, lasciarsi portare da lui semplicemente dicendo: «Dio, come ti voglio bene!».

Allora: se non ci alziamo da quella tavola, magari metteranno anche il nostro nome sul giornale, perché siamo bravi ad organizzare, chissà quali marce o quali iniziative per le prostitute, per i tossici, per i malati di AIDS... diranno che siamo bravi, che sappiamo organizzare; trascineremo anche le folle per un giorno o due; però dopo, quando si accorgeranno che non c'è sostanza, che non c'è l'acqua viva, la gente se ne va.

Ma alzarsi da tavola come ha fatto Gesù significa anche un'altra cosa. Significa che da quella tavola ci dobbiamo alzare: significa che non si può star lì a fare la siesta; che non è giusto consumare il tempo in certi narcisismi spirituali che qualche volta ci attanagliano anche nelle nostre assemblee.

Infatti è bello stare attorno al Signore con i nostri canti che non finiscono mai o a fare le nostre prediche. Ma c'è anche da fare i conti con la sponda della vita. Spesso, come lamenta il papa nella Chiristi fideles laici, c'è una dissociazione tra la fede e la vita.

La fede la consumiamo nel perimetro delle nostre chiese e lì dentro siamo anche bravi; ma poi non ci alziamo da tavola, rimaniamo seduti lì, ci piace il linguaggio delle pantofole, delle vestaglie, del caminetto; non affrontiamo il pericolo della strada. Bisogna uscire nella strada in modo o nell'altro: c'è uscito anche Giuda, «ed era notte» (Gv. 13,30).

Dobbiamo alzarci da tavola. Il Signore Gesù vuole strapparci dal nostro sacro rifugio, da quell'intimismo, ovattato dove le percussioni dei mondo giungono attutite dai nostri muri, dove non penetra l'ordine del giorno che il mondo ci impone.

Ecco, carissimi confratelli, questo è il primo verbo che dovremmo meditare moltissimo..

amorecaritàattivitàcontemplazioneservizioeucaristia

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inviato da Don Luigi Pisoni, inserito il 17/11/2006

TESTO

51. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco, Gribaudi ed, Torino, 1990

Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.

Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gl'inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

missioneresponsabilitàtestimonianzaevangelizzazione

4.5/5 (2 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 25/08/2006

TESTO

52. Il prete

Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito come di sangue reale, semplice e naturale come ceppo di contadino, una sorgente di santificazione, un peccatore che Dio ha perdonato, un servitore per i timidi e i deboli, che non s'abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri, discepolo del suo Signore, capo del suo gregge, un mendicante dalle mani largamente aperte, una madre per confortare i malati, con la saggezza dell'età e la fiducia d'un bambino, teso verso l'alto, i piedi a terra, fatto per la gioia, esperto del soffrire, lontano da ogni invidia, lungimirante, che parla con franchezza, un amico della pace, un nemico dell'inerzia, fedele per sempre.

sacerdotesacerdozioprete

inviato da Cristina, inserito il 14/07/2006

TESTO

53. Il Segno della Croce

Matteo Salvatti

Che dono, che grande dono, il Segno della Croce! Non dovremmo mai stancarci di ringraziare il Signore per questo gesto di amore verso di noi. Un dono eterno, che mai si esaurisce e che sempre possiamo sfruttare a nostro beneficio.

Con il segno della santa croce noi veniamo inglobati, subito, all'istante, nel grande vortice del paradiso. Siamo già in paradiso, siamo già con Lui! Non c'è istante della vita in cui non possa essere composta questa melodia del cielo. Non c'è problema che non sia immediatamente alleviato da quel gesto. Un gesto universale, perché non esiste preghiera tanto semplice e tanto bella. Una preghiera così universale che ingloba tutti, che si esprime con il solo linguaggio dell'amore, che travalica, supera ogni lingua, così che davanti a quel gesto tutte le nazioni, tutti i continenti si scoprono davvero fratelli.Ogni volta che tracciamo il segno della croce su di noi, ci tocchiamo prima il capo: simbolo della ragione, perché la ragione è essenziale per giungere a Dio, la cui conoscenza non è gioco cieco, avventura spericolata. Poi ci tocchiamo il cuore, perché la fede è l'amore, è l'amore di Dio, è il Suo dono gratuito, senza il quale non possiamo credere, è fondamentale la sua grazia. E infine ci tocchiamo le spalle, perché è il nostro corpo, la nostra responsabilità, la nostra singolarità di persone che alla fine deve accettare Dio. Ognuno lo deve accettare singolarmente, con una adesione personale.

Ma il segno della croce non testimonia solo la fede: il segno della croce testimonia anche la carità. Noi ci tocchiamo il capo, perché dobbiamo conoscere Dio con le parole, tramite la Sua rivelazione, tramite la Sua parola rivelata, ma ci tocchiamo anche il cuore, perché poi dobbiamo saper meditare, come Maria, tutto nell'amore, e infine ci tocchiamo per due volte le spalle: perché tutto deve trasformarsi in carità operosa, altrimenti tutto diventa sterile.

Il segno della santa croce: tracciamo su di noi il segno della croce di Gesù, il vessillo glorioso, la nostra salvezza. Con quel gesto noi abbracciando noi stessi con le nostre stesse braccia abbracciamo Gesù e ci doniamo completamente e totalmente a Lui, accettiamo apertamente la Sua Croce.

Il segno della Santa Croce: l'orgoglio dei cristiani: quel gesto da compiere tutti i giorni, più volte al giorno, in tutte le circostanze. Anche quando la malattia impedisce la parola o neppure ci si può alzare dal letto, quel gesto fatto con fede quanta pace dona, quanta gioia, quanti miracoli ottiene!

crocesegno di croce

inviato da Matteo Salvatti, inserito il 09/12/2005

TESTO

54. Raccomandazioni ai missionari

San Giovanni Bosco

1. Cercate anime non denari.
2. Usate carità e somma cortesia con tutti.
3. Prendete cura degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini.
4. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.
5. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi ma non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tutti, le pene e le sofferenze di uno considerate come pene e sofferenze di tutti e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle.
6. Ogni mattino raccomandate a Dio le occupazioni della giornata.

missionemissionari

inviato da Paolo De Cillia Sdb, inserito il 23/09/2005

TESTO

55. Ama la tua parrocchia   2

Paolo VI, omelia inaugurazione parrocchia N.S. di Lourdes, Roma 23-2-1964

Collabora, prega e soffri per la tua parrocchia, perché devi considerarla come una madre a cui la Provvidenza ti ha affidato: chiedi a Dio che sia casa di famiglia fraterna e accogliente, casa aperta a tutti e al servizio di tutti. Da' il tuo contributo di azione perché questo si realizzi in pienezza. Collabora, prega, soffri perché la tua parrocchia sia vera comunità di fede: rispetta i preti della tua parrocchia anche se avessero mille difetti: sono i delegati di Cristo per te. Guardali con l'occhio della fede, non accentuare i loro difetti, non giudicare con troppa facilità le loro miserie perché Dio perdoni a te le tue miserie. Prenditi carico dei loro bisogni, prega ogni giorno per loro.

Collabora, prega, soffri perché la tua parrocchia sia una vera comunità eucaristica, che l'Eucaristia sia "radice viva del suo edificarsi", non una radice secca, senza vita. Partecipa all'Eucaristia, possibilmente nella tua parrocchia, con tutte le tue forze. Godi e sottolinea con tutti tutte le cose belle della tua parrocchia. Non macchiarti mai la lingua accanendoti contro l'inerzia della tua parrocchia: invece rimboccati le maniche per fare tutto quello che ti viene richiesto. Ricordati: i pettegolezzi, le ambizioni, la voglia di primeggiare, le rivalità sono parassiti della vita parrocchiale: detestali, combattili, non tollerarli mai!

La legge fondamentale del servizio è l'umiltà: non imporre le tue idee, non avere ambizioni, servi nell'umiltà. E accetta anche di essere messo da parte, se il bene di tutti, ad un certo momento, lo richiede. Solo, non incrociare le braccia, buttati invece nel lavoro più antipatico e più schivato da tutti, e non ti salti in mente di fondare un partito di opposizione!

Se il tuo parroco è possessivo e non lascia fare, non farne un dramma: la parrocchia non va a fondo per questo. Ci sono sempre settori dove qualunque parroco ti lascia piena libertà di azione: la preghiera, i poveri, i malati, le persone sole ed emarginate. Basterebbe fossero vivi questi settori e la parrocchia diventerebbe viva. La preghiera, poi, nessuno te la condiziona e te la può togliere.

Ricordati bene che, con l'umiltà e la carità, si può dire qualunque verità in parrocchia. Spesso è l'arroganza e la presunzione che ferma ogni passo ed alza i muri. La mancanza di pazienza, qualche volta, crea il rigetto delle migliori iniziative.

Quando le cose non vanno, prova a puntare il dito contro te stesso, invece che contro il parroco o contro i tuoi preti o contro le situazioni. Hai le tue responsabilità, hai i tuoi precisi doveri: se hai il coraggio di un'autocritica, severa e schietta, forse avrai una luce maggiore sui limiti degli altri.

Se la tua parrocchia fa pietà la colpa è anche tua: basta un pugno di gente volenterosa a fare una rivoluzione, basta un gruppo di gente decisa a tutto a dare un volto nuovo ad una parrocchia. E prega incessantemente per la santità dei tuoi preti: sono i preti santi la ricchezza più straordinaria delle nostre parrocchie, sono i preti santi la salvezza dei nostri giovani.

Alcuni nostri utenti hanno messo in dubbio che la frase sia attibuibile al Papa Paolo VI, infatti sul sito vaticano viene riportata l'omelia indicata ma senza questa parte: e a quel tempo l'intervento a braccio non sembra pensabile.

parrocchiaimpegnolaicipretiserviziocollaborazionecorresponsabilitàpastorale

inviato da Anna Barbi, inserito il 06/06/2005

TESTO

56. Preghiera del malato (11 febbraio 2004)

Ufficio e Consulta Nazionale Cei per la Pastorale della Sanità

Rivolgi, o Signore,
il tuo sguardo d'amore su di noi:
sulle nostre paure, i nostri egoismi,
le nostre ferite del corpo e dello spirito.

Guarisci, con la forza e la consolazione
dello Spirito Santo le nostre infermità.

Rendici capaci di accoglienza reciproca,
di solidarietà gratuita,
di vicinanza amorevole
verso ogni persona sofferente.

Apri i nostri occhi, Signore,
per vedere il tuo volto
in ogni persona che incontriamo;

apri il nostro cuore per amarci gli uni gli altri
come tu ci hai amato, e così manifestare
il Dio della solidarietà e dell'amore.

malatimalattiasofferenzadoloresolidarietà

inviato da Silvana Foggi, inserito il 24/03/2005

TESTO

57. Il frutto della fede è l'amore

Madre Teresa di Calcutta

La peggiore malattia dell'Occidente oggi
non è la tubercolosi o la lebbra,
ma è il non sentirsi desiderati né amati,
il sentirsi abbandonati.
L'unica cura è l'amore.
Una volta che comprendi quanto Dio sia innamorato di te,
puoi vivere solo irradiando quell'amore.
L'amore non ha senso se non viene condiviso.
Ciò che conta non è quanto fai, ma quanto amore metti
in ciò che fai e condividi con gli altri.
Amare significa anche accettare la sofferenza con gioia.
Dio ama chi dona con gioia.

fedeamoregioiasolidarietàcaritàcondivisione

inviato da Giuseppe Puccio, inserito il 22/09/2004

TESTO

58. Incommensurabile

Lino, malato di lebbra

Vivere è più che lottare:
è dare come un albero dà i suoi frutti:
i passeri i loro canti;
il ruscello quanto dà ai prati.
Vivere è più che credere
È dare uno scopo e dire, ad alta voce,
che si porta una croce.
Vivere è raccogliere all'infinito
Come raccolgono i colori dalla luce
In una fonte qui per terra!
Chi ha dato del suo agli altri
E ha diviso il suo essere
Ha visto che nel cesto del suo cuore
Si è moltiplicato il pane
E sempre ne rimane in resto.
Io stesso tendo le mani a Dio ed esclamo:
"Signore,
guarda ciò che la vita ha fatto di me!"
E tuttavia, ogni volta
Che mi siedo di fronte al foglio
Nuoto tra le rocce difficili di questa mia vita
E strappo una stella o un diamante
Mentre nella superficie
Mi crescono dolori
E una desolazione di pianto.

vitacrocesofferenzasperanzaimpegnomalattiadolore

inviato da Lidia Pautasso, inserito il 29/07/2004

TESTO

59. Pasqua, festa dei macigni rotolati   1

Tonino Bello, Pietre di Scarto

Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E' la festa del terremoto.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro.
E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione del peccato.
Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte.
Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.

pasquaresurrezionerisurrezionerinascitavita nuovapeccatosperanza

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 29/07/2004

TESTO

60. Nichilismo   1

Bruno Forte, L'essenza del cristianesimo, Mondadori 2002

Il nichilismo non è l'abbandono dei valori, la rinuncia a vivere qualcosa per cui valga la pena di vivere, ma un processo più sottile: esso priva l'uomo del gusto di impegnarsi per una ragione più alta, lo spoglia di quelle motivazioni forti che l'ideologia ancora sembrava offrirgli. Ciò di cui si è più malati oggi è la mancanza di "passione per la verità": questo è il volto tragico del postmoderno. Nel clima del nichilismo diffuso tutto cospira gli uomini a non pensare più, a fuggire la fatica e la passione del vero, per abbandonarsi all'immediatamente fruibile, calcolabile col solo interesse della consumazione immediata. È il trionfo della maschera a scapito della verità: perfino i valori sono spesso ridotti a coperture da sbandierare per nascondere l'assenza di significato. L'uomo stesso sembra risolversi in una "passione inutile".

senso della vitaricerca di sensovalorinichilismo

inviato da Giorgio Misuri, inserito il 28/07/2004

TESTO

61. Dio si è fatto bambino   1

Mons. Klaus Hemmerle

Quando un bambino si perde va a finire dove non è di casa. Sì, a Natale Dio si è perduto - non solo come un bambino, ma da bambino - là dove non era "di casa". Non è rimasto nella chiusa beatitudine del suo cielo o dentro lo spazio della nostra devozione, ma si è perduto per i piccoli e i poveri, per coloro che sono malati e in lutto, per i peccatori, per coloro che noi riteniamo lontani da Dio, di cui pensiamo che non abbiano niente a che fare con lui.

Dio si è perduto là dove si è perduto il figliol prodigo, lontano dalla casa paterna, per poi tornare dal Padre, in lui e con lui.

Dio si è perduto come un bambino, solo non si è trattato di un errore, ma dell'azione più divina che Dio potesse fare. Dio è il Dio di tutti o non è Dio. Dio è il Dio dei piccoli e dei lontani o non è Dio. Troviamo Dio là dove si è "perduto" o non lo troviamo affatto.

"Fatti trovare dove tu, Dio, ti sei perduto come un bambino. Sì, lascia che diveniamo noi stessi bambino, nel quale tu ti perdi per gli altri, per tutti!".

DioGesù bambinonataleincarnazionemisericordia di Dio

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inviato da Anna Lollo, inserito il 28/07/2004

TESTO

62. Lettera di Gesù Bambino a noi   2

Buongiorno nel Signore

Carissimo,

anche quest'anno è passato il mio compleanno, il Natale.

In realtà, da molti anni fa (circa 2000) si festeggia il mio compleanno. I primi anni sembrava che avessero capito quanto io ho fatto per loro, però oggi la gente si raduna e si diverte, senza sapere la ragione della festa.

Un'altra cosa che mi dispiace è che nel giorno del mio compleanno, fanno regali a tutti meno che a me.

Qualcuno dice: "Come faccio a farti un regalo se nemmeno ti vedo?" Io rispondo: "Lasciami nascere nella tua anima. Non mi mandare via con il peccato. Se desideri vedermi guardami nell'Ostia Santa. Sono venuto per salvarti. A Betlemme mia madre mi teneva fra le sue mani, il sacerdote sull'Altare mi tiene tra le sue. Aiuta i poveri, visita gli ammalati e quelli che sono soli, perdona le offese, pensa ai tuoi fratelli e mi vedrai in ognuno di loro e sarà come se l'avessi fatto a me. Questi sono i regali che mi piacerebbe ricevere".

Sono passati 20 secoli ed ogni anno la storia si ripete.Nel migliore dei casi mi vedono come un bambino qualunque, non come Dio fatto uomo. Mi fa pena vederli vivere con tanta sete di amore avendo la Fonte così vicina.

Finisco questa lettera sperando di non averti annoiato. Però credimi, anche se hai poco o niente da offrirmi, lasciami entrare nel tuo cuore. Per me sarà il più bel dono che tu mi possa fare.

Con infinito amore, il tuo miglior amico e il tuo Dio,

Gesù Bambino

Natale

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inviato da Marco Ferrari, inserito il 27/07/2004

TESTO

63. Fare spreco di generosità

Tonino Bello, Ti voglio bene, omelia pronunciata il 19 marzo 1993 durante il rito di Ammissione di due giovani seminaristi tra i candidati agli Ordini Sacri

... La cosa più importante che vi voglio dire è quello di fare veramente con il Signore spreco di generosità. Guardate, non impressionatevi per i problemi che ci sono nel mondo, per le difficoltà che dovete incontrare per arrivare alla meta del sacerdozio. È difficile che oggi dei giovani scelgano di seguire Gesù Cristo con totalità, con libertà, con amore, lusingati come sono da tante seduzioni: le seduzioni della strada, della piazza, del successo, non dico del denaro, perché forse, grazie a Dio, nonostante la promessa di povertà, di fame non morrete nella Chiesa. Però dovete rimanere poveri, nella condizione di dipendenza da Dio, sentirvi poveri davanti a lui.

Ci sono lusinghe, le lusinghe della ricchezza, che vi attraggono, che attraggono tanti giovani: voi resistete a queste lusinghe e andate avanti con gioia perché volete seguire il Signore. Ma è difficile, oggi.

Ci sono le lusinghe bellissime, dolcissime, nella cui trama di rugiada, carica di luce, che sa di cancelli che immettono nell'aldilà, nell'ulteriorità, è facile abbandonarsi: la lusinga dell'amore, dell'amore per una donna. Pure dentro di voi batte il cuore per queste cose sante, pure e nobili. Eppure voi con grazia, con garbo, accantonate e mettete da parte con la stessa delicatezza con cui accarezzate il volto di Gesù Cristo. Mettete da parte tutta questa potenziale esperienza che potete avere per dire: "Signore, io seguo Te più da vicino, in modo più stretto. Voglio vivere in un legame più forte per poter essere più pronto a darti una mano, più agile perché i miei piedi che annunciano la pace sui monti possano essere salutati con gioia da chi sta a valle".
"Beati i piedi di coloro che sui monti annunciano la pace".

Coraggio, non lasciatevi lusingare oppure tirar dietro: guardate avanti con grande fierezza, con grande gioia perché il Signore è vicino. Il Signore ha bisogno di voi.

Il tempo si è fatto breve. Tantissimi giovani hanno bisogno di Lui, hanno bisogno di sentir parlare di Lui. I figli chiedono il pane e non c'è chi lo spezza per loro - dice un salmo; voi fate questa prova di gettarvi a capofitto in questo abisso di luce che è Gesù Cristo. Egli poi vi dà la forza di andare avanti. Vi sostiene. Vi dà l'entusiasmo, il gusto di vivere in mezzo al popolo, non lontano, non astratti dal mondo.

Io vi auguro che non stiate mai in testa e neppure in coda, ma possiate stare in mezzo al popolo, come Gesù: "Gesù, allora si sedette in mezzo ai dottori, aprì la bocca e disse...". Si sedette in mezzo. Gesù che si siede in mezzo...

Anche voi, sedetevi in mezzo alla gente, sentite il sapore e il profumo del popolo, inebriatevi di questo grande ideale di annunciare Gesù Cristo.

È splendido: dà significato alla vostra vita. Parola di uomo. È così. Il Signore Gesù è in grado di renderci felici al punto tale che questa felicità sentite il bisogno di trasferirla agli altri, a tutti coloro che vi accostano.

...Chiedete ogni giorno a Dio che vi dia un cuore umano che batta secondo i suoi ritmi. Quanti saranno i battiti di Gesù Cristo?

Come vorrei che il mio cuore battesse come il suo, in sintonia col suo per poter trascinare tutti quanti in un vortice di amore, di tenerezza, di bontà!

Chiedete al Signore che vi dia un cuore umano perché possiate essere capaci di capire la povertà della gente, la tristezza della gente, il pianto della gente; nessuno legge più questi "audiovisivi". Sono degli audiovisivi il pianto, la sofferenza, il dolore.

Il Signore si prende gioco della morte. Cos'è la morte davanti a Lui? Cos'è la malattia davanti a Lui? Cos'è un tumore davanti a Lui? Cosa volete che sia! Come facciamo a non vivere nella gioia, nel gaudio, nella speranza del Signore? Della morte lui si prende gioco. Il Signore non ci abbandona mai.

Il Signore vi dà la mano stasera, e la tiene sempre inevitabilmente stretta. E a meno che non siate voi a dichiarare il divorzio, state tranquilli che Lui da voi non si allontanerà più. È l'augurio che vi faccio ed è anche l'offertorio che presentiamo al Signore.

generositàvocazionesacerdozioseminaristichiamata

inviato da Sandra Aral, inserito il 27/07/2004

TESTO

64. L'ottimismo

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa

L'essenza dell'ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando altri si rassegnano, la forza di tener alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé.

Esiste certamente anche un ottimismo stupido, vile, che deve essere bandito. Ma nessuno deve disprezzare l'ottimismo inteso come volontà di futuro, anche quando dovesse condurre cento volte all'errore; perché esso è la salute della vita, che non deve essere compromessa da chi è malato.

Ci sono uomini che ritengono poco serio, e cristiani che ritengono poco pio, sperare in un futuro terreno migliore e prepararsi ad esso. Essi credono che il senso dei presenti accadimenti sia il caos, il disordine, la catastrofe, e si sottraggono nella rassegnazione o in una pia fuga dal mondo alla responsabilità per la continuazione della vita, per la ricostruzione, per le generazioni future.

Può darsi che domani spunti l'alba dell'ultimo giorno: allora, non prima, noi interromperemo volentieri il lavoro per un futuro migliore.

ottimismofuturosperanzapresenteimpegnoresponsabilità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Giulio Gerbino, inserito il 22/12/2003

TESTO

65. A coloro che soffrono nel corpo

Tonino Bello, Pietre di scarto, ed. La Meridiana 1993

Carissimi, non scrivo per consolarvi. Anche perché so bene quanto fastidio vi diano le declamazioni di coloro che sentendosi sempre in dovere di spendere qualche parola con voi, ricorrono ai prontuari dei più indisponenti fraseggi. Non è di compatimento che avete bisogno. Prima di tutto, perché il compatimento è una spartizione fittizia del dolore. Poi, perché vi toglie la fierezza di rimaner soli sulla croce. E infine, perché rischia di fermarsi alla soglia delle parole. Al paraplegico che sta inchiodato su una sedia a rotelle, che sollievo può dare il sermone di circostanza fatto da chi magari, subito dopo, deve correre in palestra per una partita di basket? All'handicappato che ti interpella sui grandi perché della vita, e vuole rendersi conto delle ragioni misteriose che stanno all'origine della sfortuna, che conforto possono recare i luoghi comuni tratti dai repertori della compassione? A chi è ridotto all'impotenza da una malattia irreversibile o da un improvviso declino della salute, o da un fatale incidente sulla strada, e ti pone la scomoda domanda del «che ci sto a fare più sulla terra?», quale aiuto possono dare maldestre citazioni bibliche?

Davanti a chi soffre l'atteggiamento più giusto sembrerebbe il silenzio. Però anche il silenzio può essere frainteso o come segno di imbarazzo, o come tentativo di rimozione del problema. E allora tanto vale parlarne. Semmai con pudore, chiedendovi scusa per ogni parola di troppo.

Dire che con il vostro dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo attraverso le lacrime, può essere inteso come insulto gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto sommato, non siete poi così soli come sempre, potrebbe accrescere il vostro sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può apparire uno scampolo di quell'eloquenza mistificatoria che non convince nessuno.

Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c' è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a fare compagnia ai rantoli di Cristo, appartiene al messaggio inquietante, e pur dolcissimo, che un Ministro della parola non può né accorciare, né mettere tra parentesi.

Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non può non sentirti: è inchiodato appena dietro di te. Forse un giorno quel posto sarà mio. O lo è già da adesso, ed è solo l'esemplarità del vostro martirio più grande che me ne rende agevole il tormento.

Il mattino di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, voi sarete più veloci di tutti, e ci precederete come Giovanni. E forse vi fermerete sulla soglia, per farci vedere le bende per terra e il sudario piegato in disparte.

È l'ultima carità che ci aspettiamo da voi. Un abbraccio.

crocehandicapsofferenzaCristodolore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 20/12/2003

TESTO

66. Una giornata del silenzio contro rumori e parole gridate

Vittorino Andreoli, Avvenire, 2 aprile 2002

Il silenzio nel tempo presente è morto, e nessuno sembra disperarsene, avvertirne la perdita. Il silenzio anzi spaventa e lo si cancella al solo pensiero che possa avvolgerci.

Si sente invece il fascino del rumore, di quella presenza continua che forma lo scenario, vero habitat dell'uomo del terzo millennio. La scelta allora non è tra rumore e silenzio, ma tra i mille rumori possibili. Svariate persone ricercano combinazioni multiple: i rumori impuri o la ridda di questi al cui confronto un terremoto apocalittico appare quasi un suono d'arpa.

Nelle discoteche non si ascolta musica, ma il baccano ed inutile è mettere in guardia dai decibel o dal rischio di lesione all'orecchio: il rumore piace. È uno stimolante come una pozione magica. Le spiagge dell'Adriatico gremite d'estate come un formicaio, non rappresentano una condizione del destino, ma una scelta piacevole: uno vicino all'altro, ciascuno dentro i rumori dell'altro: uno scambio di rumori che uniscono gli ombrelloni e fa sentire un'unica famiglia di urlanti.

La montagna era luogo di silenzio con gli spazi infiniti, con la roccia che si continua con il cielo e con l'eterno, ora è un folle concentrarsi di macchine e di corpi lungo le strade, vicino alle auto parcheggiate con le radio accese, le bocche che urlano. A pochi passi di distanza dalla strada non c'è nessuno e quel silenzio sembra sprecato. Si cerca il rumore. L'identità di questa civiltà è il rumore. La civiltà del rumore. Il televisore in casa è sempre acceso. Ci sono persone che non lo spengono nemmeno la notte. Hanno bisogno di quel sottofondo rassicurante e il video ha sostituito persino il sogno, che ormai è fuori di noi e parla degli altri.

Non è più specchio dei nostri segreti interiori, del mistero che bolle in noi. È stato svelato, sostituito meglio, da un rumore.

Gli studenti leggono Aristotele con il rock, per la matematica è preferibile la musica metal. La sinfonica è troppo dolce, occorrerebbe riscriverla sostituendo ai violini i fiati, i tromboni in particolare, e i timpani.

Nelle case ci sono tanti rumori, poche parole e - comunque - silenzio mai. E l'accenno vale per il silenzio fisico, dato dalla mancanza di suoni o rumori che si può rilevare con l'orecchio umano, ma obiettivamente pure con un fonografo. Eppure c'è anche un silenzio interiore, che coincide con il senso di svuotamento del mondo esterno che penetra dentro di noi, e che ci consente di cogliere meglio cosa c'è in noi.

Il silenzio della meditazione: è morto anch'esso. Basta vedere la funzione di un telefono portatile. Uno strumento della sopravvivenza, un oggetto della follia. In treno uno è obbligato a stare fermo, potrebbe pensare, percepirsi, ma non ce la fa e allora chiama qualcuno, non importa chi e perché, importa rompere il silenzio e fare un po' di rumore di cui tutti sono alla fine felici.

Insomma c'è un silenzio fuori di noi, quello del deserto, quando il vento è immobile, o di un canyon sperduto. E c'è un silenzio dentro di noi, che si lega alla pace interiore. L'uno è certamente condizionato dall'altro, ma non in maniera proporzionale: c'è chi sa astrarsi dal mondo, fuggirlo.

Dell'Africa ricordo il silenzio e il buio che non esistono più nella civiltà tecnologica. Anche il buio è parte dell'archeologia: ora c'è sempre una lampadina che illumina. E le stelle hanno perso il proprio fascino. I suoni che rompono il silenzio in Africa sembrano voci del mistero. E anche un coyote parla degli dei che così abitano dentro la testa dell'uomo. Ricordo certe notti nei villaggi d'Africa quando un uomo nella notte si riduceva a due occhi appesi al nulla.

Si è riempiti di rumore fino a non sentire che quel rumore e perdere se stessi, il proprio silenzio. Il mondo dentro di me può esser sopraffatto da quello attorno a me, e il mio silenzio espropriato e ciascun uomo è anche silenzio, forse è soprattutto silenzio.

Io me li ricordo gli esercizi spirituali d'un tempo e li ricordo come silenzio esteriore per sentire qualche voce bambina e qualche balbettio dentro di me. Ma ricordo, più tardi, anche il bisogno di silenzio per pensare, per seguire un percorso di idee, per entrare nel profondo di una meditazione concentrata. Ricordo le passeggiate in montagna, ricordo i monasteri che regalavano silenzio.

Ma c'è - attenzione - una grande differenza tra silenzio e mutismo. Chi è muto non parla all'altro, chi è silenzioso parla a se stesso. Senza silenzio l'uomo è un folle che gira per la strada senza sapere dove va e perché mai si muove. Ha perduto ogni direzione e segue le tracce dei rumori senza sapere da dove provengono, un rumore non ha nulla dentro, è solo rumore, segnale di qualche cosa, ma non di che cosa.

L'uomo del tempo presente è perso dentro i rumori che cerca di tradurre in parole che non hanno più senso. La parola nelle civiltà antiche e nelle culture animiste è forza vitale: dà la forza. È mistero. La parola nella magia agisce: "male dicere" provoca disgrazia, "bene dicere" dà coraggio e felicità. La parola non va mai sprecata. E l'uomo saggio parla poco e vive di silenzio.

Nel cristianesimo la Parola irrompe nella storia e diventa liturgia, quindi crea un contesto sacro. Mentre il mondo lancia raffiche di parole, senza senso, che feriscono o uccidono come obici d'artiglieria pesante.

Si crede che le parole abbiano significato, mentre sono flatus vocis senza una combinazione, che non è quella della sintassi, ma del senso dell'uomo, della esistenza.

La parola come senso, non come rumore. Una parola oggi non ha più storia, non si lega ad un prima, e non è l'incipit per un poi. Si usa la parola che nel momento appare più rumorosa, e può essere antitetica a quella appena usata: si può sempre dire di essere stati fraintesi, così la parola non ha senso o ha tutti i sensi possibili. La parola è rumore. La parola gridata è più efficace. L'oratore è colui che dice tante parole fino a comporre un suono senza senso, ammaliare senza trasmettere nulla.

Il senso dell'uomo e del mondo è nel silenzio che non è vuoto, ma la condizione per un lungo viaggio dentro il proprio esistere e la propria angoscia di esistere, avendo un senso e una coerenza. Il silenzio genera anche la parola che è però pensiero, è intuizione non spot, è colloquio con sé o con il mistero, non un quiz né un quizzone.

Ci sono le malattie del parlare. Da un lato il maniacale che parla continuamente e non sa che cosa dice. Parla a una velocità che è propria dell'articolazione della gola, ma non della mente. Parla a prescindere dalla testa, senza pensare. Dall'altra parte, il depresso, non fa parola perché teme che ogni espressione sia un errore.

Ma c'è anche il silenzio della normalità, di colui che sa quanto sia difficile pronunciare frasi sensate, e quanto sia facile offendere con parole che si penserebbero invece neutre, e allora medita e prende tempo prima di pronunciarsi.

"Non ha la parola pronta": è considerato un difetto mentre può essere il segno della prudenza che è una grandissima virtù.

"È di poche parole": e si crede che abbia bisogno di uno psicologo o di uno psichiatra, mentre si muove dentro i sensi del proprio io, dentro la propria "anima".

L'importante è parlare. Il politico deve parlare e magari non dire niente: fa l'ostruzionismo della parola. Il presentatore deve parlare sempre, per dire semplicemente buona sera e nessuno finisce per coglierlo. Ormai ad abbaiare è l'uomo.

I condomini sono permeabili ai rumori, a quelli del water ma anche alle parole. Le strade sono un massacro di auto e di parole. Le orecchie sono piene di auricolari che portano i rumori del mondo intero, non bastano più quelli della propria dimora o paese: la globalizzazione del rumore e la follia delle parole. Un manicomio assordante.

Arrivo a proporre una giornata del silenzio. Ma forse la specie si estinguerebbe. In una occasione in cui una grande città è stata senza corrente elettrica per due giorni, e quindi hanno perso la parola i televisori e le radio, la gente è impazzita, è entrata in una crisi di astinenza da parole e rumore che aveva espressioni e sintomi peggiori di quella da eroina.

Questa settimana ho preso in mano un settimanale femminile: di 623 pagine. Parole e parole. I giornali ordinano parole senza pensare al senso. Ore di televisione, parole su mille canali. Una follia vociante, parlante. Moriremmo di parole.

Una infinità di parole, senza un pensiero, senza nemmeno l'ombra di un'idea. Il comando è rumore come quei potenti che credono di essere forti se lanciano bombe o missili che distruggono. O come quei gaudenti che si riempiono il ventre di piacere e scoprono di essere vivi solo dalle flatulenze: flatus vocis. Anche le preghiere sono troppo rumorose e troppo vocianti: penso a san Francesco che, alla Porziuncola, dice: Signore non so dire nulla se non ba ba ba. Il mio silenzio - a questo punto lo ammetto - è ancora più confuso perché non ho ancora trovato il mio interlocutore nel cielo. Forse è tempo di cercarlo nel silenzio e forse nel silenzio si sentono parole di "vita eterna". Il dolore parla solo nel silenzio il resto è telenovela. La fatica non ha parole. Ho bisogno di silenzio per sentire quel vuoto che si può riempire di quiete.

Così terminano, almeno per un po', anche le mie parole su "Avvenire". Ho iniziato dicendo che scrivevo per cercare, ora ho voglia di silenzio, devo cercare ancora ma senza fare rumore. Voglio dare ai miei lettori un po' di silenzio che auguro sia silenzio di pace.

silenziointerioritàrumoredeserto

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

67. Nuovi schiavi del mondo

Desmond Tutu, traduzione Guiomar Parada

Oggi la maggior parte del Terzo Mondo è tenuta in ostaggio da una schiavitù altrettanto orribile, nelle sue conseguenze devastanti, di quella del passato. La maggior parte del Terzo Mondo è stremato sotto il peso del più invalidante e stremante debito internazionale. Le statistiche sono impressionanti: in Etiopia 100.000 bambini muoiono ogni anno di malattie facili da prevenire, mentre il governo spende per ripagare il debito quattro volte quello che spende per la spesa sanitaria.

Spesso ci è difficile capire le statistiche e gli giriamo le spalle. E' tutto così impersonale. Proviamo a personalizzarlo un poco. Immaginate il vostro piccolo, non vaccinato contro il morbillo o la difterite, che lentamente si spegne davanti ai vostri occhi senza che voi possiate fare alcunché, perché non ci sono medicinali a disposizione.

I paesi poveri sono costretti alla povertà, all'ignoranza, alla malattia, alla fame e alla morte. Le risorse che dovrebbero essere impegnate per costruire strade e dighe, per le scuole e per pagare i maestri, per comperare libri e per l'assistenza sanitaria, sono deviate, con conseguenze disastrose, per ripagare debiti che non diminuiscono, ma anzi aumentano per via dei crescenti tassi d'interesse e della svalutazione delle valute di questi paesi poveri. Anche se economicamente fosse una cosa logica, e non lo è, certamente non è logico dal punto di vista morale.

I paesi poveri non sono in grado di spezzare le catene che li hanno schiavizzati in maniera così rovinosa. Noi che seguiamo il Falegname di Nazareth sappiamo che quando si dà da mangiare agli affamati e da vestire ai poveri, lo si fa per Lui ed Egli ci ha esortato a perdonare i nostri debitori per essere perdonati dal nostro Padre in cielo. Ma più chiaramente siamo vincolati dalla lezione del Capitolo 25 del Levitico, che decreta che ogni 50 anni gli schiavi siano messi in libertà, che i debiti siano cancellati e che la proprietà ipotecata ritorni ai proprietari legittimi senza vincoli, per dare una opportunità alle persone di ricominciare da capo, di iniziare nuovamente, nello spirito della nostra fede che è la fede di sempre nuovi inizi quando si è perdonati. Le cancellazioni del debito si sono già verificate nel passato; nei confronti della Germania dopo la guerra, e gli Usa hanno cancellato 7 miliardi di dollari all'Egitto a seguito dell'operazione Desert Storm.

I paesi poveri, sollevati dal vincolo del debito, potrebbero sviluppare economie robuste che potrebbero diventare anche vigorosi mercati di consumo. Siamo fatti per essere uniti. In Africa diciamo che "una persona è una persona attraverso altre persone". Siamo legati da una delicata rete di interdipendenza. Crediamo nell'ubuntu, la mia umanità è dentro alla tua umanità. Ubuntu parla di generosità, di compassione, di ospitalità, di condivisione. Io sono perché voi siete. Se io vi disumanizzo, allora, che lo voglia o no, mi disumanizzo anch'io. Liberare il Terzo Mondo da questa nuova forma di schiavitù vi permetterà di rendere migliore la vostra propria umanità e camminerete a testa alta, anche voi liberati.

(l'autore è premio Nobel per la pace)

povertàricchezzagiustiziaingiustiziafame nel mondomondialitàcaritàamoredebitosfruttamentoschiavitùlibertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

68. Servire una comunità

Ignazio di Antiochia, a Policarpo

Abbi l'ansia dell'unità;
niente è più importante di questo.
Porta pazienza con tutti
perché anche il Signore porta pazienza con te.
Prega incessantemente:
chiedi uno spirito di comprensione
maggiore di quello che hai.
Sii instancabile nella preghiera.
Crea il dialogo con il singolo come fa Dio.
Porta su di te i problemi di tutti, come un atleta:
dove c'è più sofferenza ci sarà più guadagno.
Se ami tanto chi è buono, non c'è da dirti grazie:
ma sono i più malati che devi curare con dolcezza.
Sei di carne e spirito per trattare con dolcezza i problemi
che percepisci:
i problemi che non percepisci cerca di capirli pregando.
Non impressionarti di chi sembrava fedele e poi tradisce:
sta saldo sotto i colpi come fa l'incudine.
È proprio di un atleta resistere sotto i colpi.
È soprattutto in vista di Dio che bisogna
che sopportiamo tutti, affinché anche Lui sopporti noi.
Diventa più zelante di quello che sei.
Nulla si faccia senza la tua approvazione.
Ma tu non far nulla senza quella di Dio.

comunitàservizioaccoglienzaparrocosacerdozio

inviato da Don Roberto Rossi, inserito il 12/08/2003

TESTO

69. Dare

Ogni uomo che ti cerca, viene per chiederti qualche cosa;
il ricco annoiato, la dolcezza della tua conversazione;
il povero, il tuo danaro; il triste, un po' di consolazione;
il debole, uno stimolo; colui che lotta, uno stimolo morale;
l'ammalato, un vero sollievo.
Ogni uomo viene per chiederti qualcosa.
E tu, ti permetti di perdere la pazienza!
Tu osi pensare: "Che fastidio!". Che infelice!
La legge nascosta che distribuisce misteriosamente
le cose eccelse si è degnata di donarti
il privilegio dei privilegi, il bene dei beni,
la prerogativa delle prerogative: dare!
Tu puoi dare! Per quante ore ha il giorno tu dai;
benché sia un sorriso, benché sia una stretta di mano,
benché sia una parola di sollievo.
Per quante ore ha il giorno, tu rassomigli a Lui,
che altro non è se non donazione perfetta,
diffusione perfetta e regalo perpetuo.
Dovresti inginocchiarti davanti al Padre e dirgli:
"Grazie perché posso dare, Padre mio!
Mai passerà sul mio volto l'ombra dell'impazienza!".
"In verità vi dico che vale più dare che ricevere!".

donaregratuitàamorecaritàsolidarietàaltruismoascoltodisponibilità

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inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 27/06/2003

TESTO

70. Se questo è un uomo   2

Primo Levi, Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per un pezzo di pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.



olocaustorazzismocampi di concentramentoantisemitismocrudeltàgiornata della memoriashoah

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 31/03/2003

TESTO

71. Il mio Dio

Juan Arias

Il mio Dio non è un Dio duro, impenetrabile,
insensibile, stoico, impassibile.
Il mio Dio è fragile.
E' della mia razza.
E io della sua.
Lui è uomo e io quasi Dio.
Perché io potessi assaporare la divinità
Lui amò il mio fango.

L'amore ha reso fragile il mio Dio.
Il mio Dio ebbe fame e sonno e si riposò.
Il mio Dio fu sensibile.
Il mio Dio si irritò, fu passionale,
e fu dolce come un bambino.

Il mio Dio fu nutrito da una madre,
ne sentì e bevve tutta la tenerezza femminile.
Il mio Dio tremò dinnanzi alla morte.
Non amò mai il dolore, non fu mai amico
della malattia. Per questo curò gli infermi.
Il mio Dio patì l'esilio,
fu perseguitato e acclamato.

Amò tutto quanto è umano, il mio Dio:
le cose e gli uomini, il pane e la donna;
i buoni e i peccatori.
Il mio Dio fu un uomo del suo tempo.
Vestiva come tutti,
parlava il dialetto della sua terra,
lavorava con le sue mani,
gridava come i profeti.

Il mio Dio fu debole con i deboli
e superbo con i superbi.
Morì giovane perché era sincero.
Lo uccisero perché lo tradiva la verità che era
nei suoi occhi.
Ma il mio Dio morì senza odiare.
Morì scusando più che perdonando.

Il mio Dio è fragile.
Il mio Dio ruppe con la vecchia morale
del dente per dente,
della vendetta meschina,
per inaugurare la frontiera di un amore
e di una violenza totalmente nuova.

Il mio Dio gettato nel solco,
schiacciato contro terra,
tradito, abbandonato, incompreso,
continuò ad amare.
Per questo il mio Dio vinse la morte.
E comparve con un frutto nuovo tra le mani:
la Resurrezione.
Per questo noi siamo tutti sulla via
della Resurrezione:
gli uomini e le cose.

E' difficile per tanti il mio Dio fragile.
Il mio Dio che piange,
il mio Dio che non si difende.

E' difficile il mio Dio abbandonato da Dio.
Il mio Dio che deve morire per trionfare.
Il mio Dio che fa di un ladro e criminale
il primo santo della sua Chiesa.
Il mio Dio giovane che muore
con l'accusa di agitatore politico.
Il mio Dio sacerdote e profeta
che subisce la morte come la prima vergogna
di tutte le inquisizioni della storia.

E' difficile il mio fragile amico della vita.
Il mio Dio che soffrì il morso
di tutte le tentazioni.
Il mio Dio che sudò sangue
prima di accettare la volontà del Padre.

E' difficile questo mio Dio,
questo mio Dio fragile,
per chi pensa di trionfare soltanto vincendo,
per chi si difende soltanto uccidendo,
per chi salvezza vuol dire sforzo e non regalo,
per chi considera peccato quello che è umano,
per chi il santo è uguale allo stoico
e Cristo a un angelo.

E' difficile il mio Dio Fragile
per quelli che continuano a sognare un Dio
che non somigli agli uomini.

NataleincarnazioneumanitàGesùCristorapporto con Diosolidarietà

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 09/02/2003

TESTO

72. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

TESTO

73. Ogni minuto, un attimo di eternità

Justo Mullor, Dio crede nell'uomo

Ogni minuto è il riassunto di tutta la storia: quella universale - che scriviamo tutti, senza rendercene quasi conto - e quella personale, che costruiamo giorno dopo giorno, senza mai sapere quando finirà. Ogni momento può essere il tocco finale di una meravigliosa avventura o la conclusione deludente di un progetto incompiuto.

Il tempo, il cui mistero è più profondo di quello dello spazio, ci è stato dato da Dio come dono e, insieme, come vocazione: quella di usarlo, davanti a Lui e agli altri, per fare del mondo un luogo sempre più degno del suo Creatore e delle creature alle quali Egli lo ha affidato. Il tempo ci è stato dato per moltiplicare le luci che fughino le tenebre; per fare di più e sempre meglio; perché ci siano più case e meno catapecchie; meno analfabeti e più libri; più pace e meno guerre; più libertà e meno schiavitù; più gioia e meno sofferenze; più salute e meno malattie. E, soprattutto, perché "Dio sia tutto in tutti" (1 Cor 15,28): prima nella nostra coscienza, poi nella nostra vita e, infine, nella grande storia dell'umanità.

Il tempo, per il suo carattere inesorabile e fuggente, esige che vigiliamo. Se non del tutto svegli, dobbiamo almeno essere pronti ad aprire gli occhi ed a metterci in cammino al primo segno del passaggio di Dio e delle sue esigenze.

impegnoresponsabilitàtempovalore del tempo

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002

TESTO

74. Che dite che io sia? (Mt 16,15)

Madre Teresa di Calcutta

Chi è Gesù per me?
Gesù è il Verbo fatto uomo.
Gesù è il pane della vita.
Gesù è la vittima offerta
per i nostri peccati sulla croce.
Gesù è il sacrificio offerto per i miei
e per i peccati del mondo.
Gesù è la parola che va proclamata.
Gesù è la verità, che deve essere narrata.
Gesù è la vita, che deve essere percorsa.
Gesù è la luce, che deve essere fatta splendere.
Gesù è la vita, che deve essere vissuta.
Gesù è l'amore, che deve essere amato.

Gesù è la gioia, che deve essere condivisa.
Gesù è il sacrificio, che deve essere offerto.
Gesù è la pace, che deve essere data.
Gesù è il pane della vita, che deve essere mangiato.
Gesù è l'affamato, che deve essere nutrito.
Gesù è l'assetato, che deve essere dissetato.
Gesù è l'ignudo, che deve essere rivestito.
Gesù è il senza tetto, che deve essere ospitato.
Gesù è il malato, che deve essere sanato.
Gesù è l'uomo solo, che deve essere consolato.
Gesù è il non voluto, che deve essere voluto. Gesù è il lebbroso, che deve essere lavato nelle sue ferite.
Gesù è il mendicante, che deve essere gratificato di un sorriso.
Gesù è l'ubriaco, che bisogna ascoltare .
Gesù è il malato di mente che bisogna proteggere.
Gesù è il piccolo che bisogna abbracciare.
Gesù è il cieco, che bisogna guidare.
Gesù è il muto, cui bisogna parlare.
Gesù è lo zoppo, con cui bisogna camminare.
Gesù è il drogato, che bisogna aiutare.
Gesù è la prostituta, da sottrarre al pericolo e da sostenere.
Gesù è il prigioniero, che bisogna visitare.
Gesù è il vecchio, che deve essere servito.

Per me
Gesù è il mio Dio
Gesù è il mio sposo
Gesù è la mia vita
Gesù è il mio solo amore
Gesù è il mio tutto di tutto.
La mia pienezza.

Gesù,
ecco chi amo con tutto il cuore,
con tutto il mio essere.
Gli ho dato tutto,
persino i miei peccati.
E lui m'ha sposata a se stesso.
In tenerezza e amore.
Ora e per la vita.
Sono al sposa del mio sposo crocifisso.
Amen.

Gesù Cristocaritàamoresolidarietàtestimonianza

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 07/12/2002

TESTO

75. Pensando un po' alla morte   1

Paulo Coelho

Credo che questo testo si potrà leggere in circa tre minuti. Ebbene, in questo lasso di tempo, moriranno 300 persone e ne nasceranno altre 620.

Forse io impiegherò mezz'ora per scriverlo: sono concentrato sul mio computer, sui libri accanto a me, sulle idee che mi vengono, sulle macchine che passano là fuori.

Tutto sembra assolutamente normale intorno a me. Invece, durante questi trenta minuti, sono morte 3.000 persone, e 6.200 hanno appena visto, per la prima volta, la luce del mondo.

Dove saranno queste migliaia di famiglie che hanno cominciato a piangere per la perdita di qualcuno, o a ridere per l'arrivo di un figlio, di un nipote, di un fratello?

Mi fermo e rifletto: forse molte di queste morti arrivano al termine di una lunga e dolorosa malattia, e certe persone saranno sollevate dall'Angelo che è venuto a prenderle. Inoltre, centinaia di questi bambini che sono appena nati quasi sicuramente saranno abbandonati nel prossimo minuto ed entreranno nelle statistiche di morte prima che io abbia finito questo testo.

Pensate. Ho appena dato uno sguardo a una semplice statistica e tutt'a un tratto inizio ad avvertire il senso di queste perdite e questi incontri, questi sorrisi e queste lacrime. Quanti staranno lasciando questa vita da soli, nelle loro stanze, senza che nessuno si renda conto di ciò che sta accadendo? Quanti nasceranno nascostamente e saranno abbandonati davanti alla porta di qualche ricovero o di qualche convento?

Rifletto: ho già fatto parte della statistica delle nascite e, un giorno, sarò incluso nel numero dei morti. Che bello: io sono pienamente consapevole che morirò. Da quando ho fatto il cammino di Santiago, ho capito che - anche se la vita continua e siamo tutti eterni - un giorno questa esistenza si concluderà.

Le persone pensano molto poco alla morte. Passano la vita preoccupandosi di vere e proprie assurdità, rimandano cose, tralasciano momenti importanti. Non rischiano, perché pensano sia pericoloso. Si lamentano molto, ma diventano codarde quando è il momento di prendere provvedimenti. Vogliono che tutto cambi, ma loro si rifiutano di cambiare.

Se pensassero un po' di più alla morte, non tralascerebbero mai di fare quella telefonata che manca. Sarebbero un po' più folli. Non avrebbero paura della fine di questa incarnazione - perché non si può temere qualcosa che accadrà comunque.

Gli Indios dicono: "Oggi è un giorno buono come qualsiasi altro per lasciare questo mondo". E uno stregone commentò una volta: "Che la morte sia sempre seduta al tuo fianco. Così, quando avrai bisogno di fare qualcosa di importante, essa ti darà la forza e il coraggio necessari".

Spero che tu, lettore, abbia letto fin qui. Sarebbe una stupidaggine spaventarsi per il titolo, perché tutti noi, prima o poi, moriremo. E solo chi accetta questo è pronto per la vita.

vitamortevita eternacoraggiocambiamentopaurasenso della vita

inviato da Federico Bernardi, inserito il 25/11/2002

TESTO

76. Lettera alla Parrocchia

Centro di Orientamento Pastorale [COP], a conclusione della 52ma Settimana di aggiornamento pastorale a Bergamo; Settimana, luglio 2002

Cara parrocchia,

sappiamo che più o meno consapevolmente molti, anche tra i cristiani, non ti ritengono oggi un riferimento necessario per la loro vita e che in certe zone d'Italia non sei più il centro dell'esperienza di un popolo.

Sappiamo che, per molti, rischi di essere soltanto una stazione di servizio distributrice di sacramenti e di elemosine e che, per alcuni gruppi, sei poco più di una base logistica.

Sappiamo tuttavia che molte associazioni, gruppi e movimenti trovano in te non solo un luogo di accoglienza e di ospitalità, ma la casa e la scuola dove crescere nella fede, per essere missionari nella città degli uomini.

Sappiamo che la fatica del rinnovamento nella fedeltà al Vangelo può togliere anche a te un po' di respiro ed entusiasmo.

Sappiamo che vorresti essere una comunità di celebrazione, di carità e di annuncio, ma che, a volte, ti mancano persone, parole di incoraggiamento e gesti di sostegno.

Sappiamo, infine, che potresti essere una delle molte comunità che sono senza pastore, ma noi non ti molliamo, anzi scommettiamo sulla tua grande capacità di rigenerarti, come hai fatto tante volte nella storia.

Non siamo nostalgici, vogliamo - con te e per te - essere creativi.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nel tuo essere Chiesa tra le case, porzione di quella grande comunità che è la Chiesa universale, che noi apprendiamo a fare comunione; è tra le tue mura, chiese, cappelle, tessuti di relazione che incontriamo la comunità, sacramento cui è affidata la Parola che genera per tutti salvezza.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo compiere oggi il percorso necessario di Parola, rito e carità che ci unisce a Cristo.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nella celebrazione eucaristica che troviamo il sostegno decisivo per la nostra fede, la sorgente per la nostra sete di senso, la forza per una convivenza nella giustizia e nella pace.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo imparare, da laici, consacrati e da preti, come si fa a essere laici, consacrati e preti in mezzo alla gente.

Siamo convinti che ancora molte persone si accostano a te con domande semplici di umana comprensione, di pietà e di condivisione e tu hai ancora per ciascuno parole e gesti di speranza e di fiducia.

Siamo convinti che con te si viene ancora a misurare l'incredulità fragile di molti uomini e donne, la loro nostalgia di Dio, il loro stesso rancore per l'inganno e le trappole in cui sono caduti e tu hai sempre un percorso di fede da ricominciare.

Siamo convinti che il Vangelo che proponi (e come lo proponi) in fedeltà allo Spirito che guida la Chiesa è la risposta ultima alle grandi domande dell'uomo.

Ti vogliamo aiutare a farti cantiere di formazione nei tuoi gesti solenni e quotidiani, nella tua assemblea domenicale, nell'accompagnare con il sacramento la vita che nasce, muore, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella malattia.

Ti vogliamo aiutare a farti scuola di comunione anche nelle varie forme associative (pensiamo ad esempio, all'Azione Cattolica) generate da quella fantasia cristiana che tanta ricchezza di crescita spirituale, di fede e di apostolato ha portato alla vita delle nostre comunità. Ti vogliamo aiutare a farti punto di speranza nella capacità di incontrarti con le domande anche più petulanti e disperate, perché le sappia far diventare percorsi di vita e di fede.

Ti vogliamo aiutare a farti segno di quel "totalmente altro" che chiede di mescolarci nella società e di essere presenti nelle istituzioni abitandole da cristiani capaci di mostrare il Volto di Cristo, crocifisso e risorto, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che tu ci aiuti a contemplare.

Ti vogliamo aiutare a vivere pienamente, con responsabilità e con gioia la dimensione Diocesana, ad aprirti alla collaborazione con tutte le altre parrocchie, superando ogni autosufficienza.

Ti vogliamo aiutare a confrontarti con un territorio che cambia per l'arrivo di altre culture e altre religioni, a portare al tuo interno per offrirla sull'altare dell'Eucaristia la vita quotidiana dei tuoi fedeli vita di famiglia, vita di lavoro e di disoccupazione, vita di italiani e di stranieri, vita culturale, politica, apertura al mondo intero.

Ti vogliamo aiutare a osare nella verità il dialogo con ogni ricerca di Dio e per questo ti chiediamo di essere esigente con noi stessi perché l'accoglienza e l'ascolto siano il frutto di una fede pensata. Cara parrocchia chiedici di più, sapremo darti anche di più e soprattutto lascia sempre trasparire sul tuo volto l'immagine beatificante del Volto di Dio.

parrocchialaicicollaborazioneresponsabilitàcorresponsabilitànuova evangelizzazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/09/2002

TESTO

77. L'attimo presente

Andrea Panont, L'alfabeto di Dio

Una volta camminavo sul marciapiede mentre infuriava un temporale e il vento soffiava così forte da portarmi via il cappello: davanti a me, a un metro di distanza, cadde improvvisamente dal balcone di un terzo piano, sfracellandosi a terra, un grosso vaso di fiori. Un attimo di smarrimento; ma poi mi resi conto che potevo, dovevo con­tinuare a camminare.

Si deve vivere sempre come se ogni momento, vaso o no, temporale o no, malattia o no, fosse l'ultimo della vita.
L'ultimo attimo può essere il primo: il primo e l'ultimo attimo di una vita coincidono.
È bene, allora, vivere ogni momento come se fosse il primo, l'ultimo, l'unico della vita.
"Chi vive e crede in me - cioè chi ama - non morrà in eterno."

Mi piace canticchiare durante la giornata le parole-preghiera d'una vecchia canzone del Gen verde:
"Fammi parlare sempre come fosse l'ultima parola che dico.
Fammi agire sempre come fosse l'ultima azione che faccio.
Fammi soffrire sempre come fosse l'ultima sofferenza che ho da offrirti.
Fammi pregare sempre come fosse l'ultima possibilità che ho qui in terra di parlare con te".

presentecogliere l'attimo

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 24/09/2002

TESTO

78. Messaggio dell'Anziano

Se il mio camminare è oscillante e le mie mani tremano, aiutami.
Se non ascolto bene e devo sforzarmi per sentire le tue parole, abbi compassione.
Se non vedo bene e la mia comprensione è scarsa, aiutami con pazienza.
Se a causa delle mie mani che tremano lascio cadere sul tavolo e per terra del cibo, non arrabbiarti, ho cercato di fare del mio meglio.
Se mi trovi per strada, non schivarmi, fermati e parla un po' con me; a volte mi sento solo.
Se tu, con la tua sensibilità, mi vedi triste e solitario, regalami soltanto un sorriso.
Se ti ho raccontato per la terza volta la stessa storia in un solo giorno, non rimproverarmi, semplicemente ascoltami.
Se mi comporto come un bambino, accoglimi con tenerezza.
Se ho paura della morte e cerco di allontanarla, aiutami a prepararmi all'addio.
Se sono ammalato e ti sono di peso, per favore, non abbandonarmi!

vecchiaiaanzianità

inviato da Lidia Perin, inserito il 29/08/2002

TESTO

79. Euforia serale

Felice d'avere tutta una vita alle spalle.
Felice di sorprendermi in vita ogni mattina.
Felice di poter respirare, essere saggio e sereno.
Felice finora di non esser troppo ammalato.
Felice di aver tempo di pregare Dio.
Felice di non esser attaccato a grandi cose.
Felice di vedere tanta gente che mi vuol bene e mi cura.
Felice di aver vissuto un'epoca straordinaria.
Felice di vedere una Chiesa trasformata.
Felice di sapere che ci sarà un seguito.
Felice di arrivare alla fine e dire:...si avvicina.
Felice di rientrare al porto dopo una lunga traversata.
Felice di non aver che una preoccupazione, morire bene.
Felice di non essere solo a condividere.

gratitudinefelicitàgioia

inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 21/08/2002

TESTO

80. Non so cosa accadrà domani

Leone Tolstoi

Non so se sopravviverò fino a domani, se oggi o domani vivranno o moriranno prima di me tutti coloro che io amo e coloro che mi amano; non so se sarò sano o malato, se sarò sazio o affamato, se sarò stimato o disprezzato dalla gente. So soltanto una cosa: che tutto ciò che mi accadrà e che accadrà a tutti coloro che io amo, sarà secondo la volontà di Colui che vive in tutto ciò che ci circonda e nella mia anima. E tutto ciò che accade secondo la sua volontà è bene.

fiduciafedeabbandonomortevolontà di Dio

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 01/06/2002

TESTO

81. Il povero che è in noi

Carl Jung, Lettera ad una donna cristiana

Vi ammiro, voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del pane ad un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete di riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la persona di Gesù in voi?

Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre più difficili... L'arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l'essenza del problema morale e il nocciolo di un'intera visione del mondo... Ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù... quel che faccio al più piccolo dei miei fratello l'ho fatto a Cristo!

Ma se io dovessi scoprire che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso è in me; che sono io stesso ad aver bisogno dell'elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico d'amare, allora che cosa accadrebbe?

Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana. Allora scompaiono amore e pazienza, allora insultiamo il fratello che è in noi, allora ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, ci nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver mai conosciuto quel miserabile che è in noi.

E se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo.

caritàamoreaccettazione di sé

inviato da Mariangela Molari, inserito il 28/05/2002

TESTO

82. Quando la vita è una festa   1

Madeleine Delbrel

Ciascun atto docile
ci fa ricevere pienamente Dio
e dare pienamente Dio
in una grande libertà di spirito.
Allora la vita è una festa.
Ogni piccola azione è un avvenimento immenso
nel quale ci viene dato il paradiso.
Non importa che cosa dobbiamo fare:
tenere in mano una scopa o una penna,
parlare o tacere,
rammendare o fare una conferenza,
curare un malato o usare il computer.
Tutto ciò non è che la scorza
della realtà splendida:
l'incontro dell'anima con Dio
rinnovata ad ogni minuto,
che ad ogni minuto si accresce in grazia,
sempre più bella per il suo Dio.
Suonano? Presto, andiamo ad aprire:
è Dio che viene ad amarci.
Un'informazione?...Eccola:
è Dio che viene ad amarci.
È l'ora di metterci a tavola?
Andiamoci: è Dio che viene ad amarci.

temporicerca di Dioquotidianità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 23/05/2002

TESTO

83. Il coraggio della verità   1

Primo Mazzolari, Il coraggio di credere

Come se il problema centrale della vita religiosa fosse affollare le chiese. Siamo ancora ammalati di clientelismo: la prima prova della fede è il coraggio della verità e della giustizia.

religiositàgiustiziafede

inviato da Don Angelo, inserito il 09/05/2002

TESTO

84. Religione e fede

Dietrich Bonhoeffer

Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione,
piangono per aiuto, chiedono felicità e pane,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani.

Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione,
lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte:
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza.

Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l'anima del suo pane,
muore in croce per i cristiani e pagani
e a questi e a quelli perdona.

religiositàcrocesofferenzadolore

inviato da Emilio Centomo, inserito il 05/05/2002

TESTO

85. Amami come sei (versione lunga)   2

Mons. Lebrun

Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami come sei...

Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica della virtù e del dovere, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei.

In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nell'infedeltà, amami... come sei... voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.

Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore?

Figlio mio, lascia che ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: Gesù ti amo.

Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola mi importa, di vederti lavorare con amore.

Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore.

Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia.

Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante soltanto per amore. Conto su di te per darmi gioia...

Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di poter amare al di là di quanto puoi sognare...
Ma ricordati... Amami come sei...

Ti ho dato mia Madre: fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro.

Qualunque cosa accade, non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai... Va...

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accettazione di séamare Dioamore di Dio

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inviato da Sara D'Erasmo, inserito il 26/04/2002

TESTO

86. Amami come sei (versione breve)   1

Mons. Lebrun

Figlio mio, dice il Signore
conosco la tua miseria, le lotte
e le tribolazioni della tua anima,
so la tua debolezza e le tue infermità,
i tuoi cedimenti e i tuoi peccati,
ma ti dico ugualmente:
dammi il tuo cuore,
amami così come sei!
Se aspetti di essere Santo
per abbandonarti all'amore,
non mi amerai mai.
E' il canto del tuo cuore
che mi interessa
perché ti ho creato per amare.
In tutto ciò che vivi,
nel fervore o nell'aridità,
nella fedeltà o nell'abbandono
amami così come sei.
E allora ti concederò di amare
più di quanto possa immaginare.

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accettazione di séamare Dioamore di Dio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002

TESTO

87. Beati noi giovani   2

Comunità di Taizé

Se avremo il coraggio dell'autenticità
quando falsità e compromesso
sono più comodi:
la verità ci renderà liberi.

Se costruiremo la giovinezza
nel rispetto della vita e nell'attenzione
dell'uomo in un mondo malato d'egoismo:
daremo testimonianza di amore.

Se, in una società deturpata
dall'odio e dalla violenza,
sapremo accogliere e amare tutti:
saremo costruttori e artigiani della pace:
"I giovani e la pace camminano insieme".

Se sapremo rimboccarci le maniche
davanti al male, al dolore, alla disperazione:
saremo, come Maria, presenza amica e discreta
che si dona gratuitamente.

Se avremo coraggio di dire in famiglia,
nella scuola, tra gli amici
che Cristo è la certezza:
saremo sale della terra.

giovinezzatestimonianzacoerenza

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002