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TESTO

1. Lettera a Rut

don Tonino Bello, www.mosaicodipace.it

Carissima Rut, avrei voluto scriverti in ben altra circostanza.
Per approfondire ad esempio le ragioni di quell'universalismo della salvezza che hanno indotto Dio a includere anche te, unica straniera nell'albero della genealogia ebraica di Gesù.
Non ti nascondo infatti che quando nella messa viene proclamata la lista degli antenati di Cristo tramandataci da Matteo, mi sorprende e mi commuove sentir pronunciare il tuo nome di donna fugace come un fremito d'ala. Sembra un nome abbreviato per pudore. O intimidito di comparire in mezzo al ferrigno scrosciare dei nomi di tanti maschioni.

Ti scrivo, invece, perché voglio sfogare con qualcuno la tristezza che mi devasta l'anima in questi giorni, alla vista di tanti stranieri che hanno invaso l'Italia, e verso i quali la nostra civiltà, che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, multietnica, multireligiosa e multinonsoché non riesce ancora a dare accoglienze che abbiano sapore di umanità.
So bene che il problema dell'immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le «buone ragioni» dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stenti a capire le «buone ragioni» dei poveri allo sbando e che in questo esodo biblico non si riesca ancora a scorgere l'inquietante malessere di un mondo oppresso dall'ingiustizia e dalla miseria.
Tu mi sembri, allora, l'interlocutrice più adatta delle mie confidenze, dal momento che, avendo coniugato il verbo accogliere non solo nella forma attiva ma anche nella forma passiva, hai sperimentato la durezza dell'emigrazione nella duplice fase: l'esilio in patria e la ghettizzazione in terra straniera.
Non tutti conoscono la tua storia. Perciò mi scuserai se, nel rievocarne alcuni particolari, sfiorerò la discrezione e farò violenza al tuo riserbo.

Vivevi spensierata sulle alture di Moab, al di là del mar Morto, cullando sogni e parlando d'amore con le tue compagne, quando un giorno arrivò nel tuo paese una famiglia di spiantati. Erano stranieri, provenienti dalla terra di Canaan, colpita in quegli anni da una terribile carestia.
Ti impressionò subito la carnagione bruna dei due figli. Uno dei quali si accorse di te.
Ma tu eri ancora ragazzina. Tanto ragazzina, che il cuore si mise a battere di paura quando egli, con i gesti più che con le parole, venne dai tuoi genitori a chiederti come sposa.
Non so se in casa quel giorno accaddero scenate. Ma c'è da supporre che ti rinfacciarono tutta la loro disapprovazione. Che eri il disonore della famiglia. Che non ti avrebbero più riconosciuta come figlia. E che era un infamia girar le spalle tutt'una volta alla propria tradizione, alla propria lingua, alle proprie divinità, per correr dietro a una maledetto sconosciuto. E che, comunque, non avrebbero tollerato mai e poi mai, dopo averti cresciuta come un fiore, di doverti consegnare a uno di quei morti di fame. Accidenti a lui e a tutti quelli della sua razza!
Furono giorni amarissimi, ma alla fine la spuntasti tu, pur pagando caramente il prezzo della tua caparbietà.
Ti vedesti così tagliare tutti i ponti, e alla fine rimanesti sola. Al punto che, quando dopo dieci anni di tribolazione tuo marito morì e morirono anche il fratello e il padre di lui, decidesti di seguire Noemi, la suocera addolorata, che, non avendo più nessuno anche lei in quella amarissima terra straniera, volle rimpatriare.
«Dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu morirò anch'io e vi sarò sepolta».

Varcasti così la frontiera, e cominciò per te la seconda fase della tua esperienza di “diversità”.
Un vero e proprio mestiere non ce l'avevi. Insieme con la qualifica professionale, ti mancava anche il libretto di lavoro, e a Betlemme, dove andasti ad abitare con Noemi, non ti vollero iscrivere nelle liste di collocamento. Sicché, per camparti la vita, essendo il tempo in cui si cominciava a mietere l'orzo, andasti a spigolare furtivamente nelle campagne.
O Dio, non era proprio lavoro nero, ma era certo un lavoro umiliante, perché scartato da tutti ed esposto alle molestie del mietitori.
Meno male che trovasti grazia presso un ricco massaro, un certo signor Booz, il quale ti prese a ben volere e ordinò ai suoi dipendenti: «Lasciatela spigolare anche tra i covoni e non le fate affronto; anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgridatela».
Ti andò veramente bene. Anzi meglio di così la sorte non poteva arriderti, dal momento che il massaro cominciò ad avere del tenero per te e addirittura ti volle sposare, tra la meraviglia di tutte le donne di Betlemme che creparono d'invidia. E brava la Moabita!

Carissima Rut, qualcuno potrebbe dire che, a proposito di immigrati, la tua vicenda non fa testo, perché, essendosi conclusa con la fatidica frase «e vissero felici e contenti», sembra appartenere più al genere delle telenovele che ai resoconti del telegiornale o ai servizi di Samarcanda, laddove le storie degli extracomunitari si intridono spesso di lacrime e di morte.
Io, invece, penso che nelle pieghe della tua avventura possiamo leggere il giudizio di Dio su questa impressionante transumanza di gente alla deriva.
La tua storia, insomma, ci interpella non solo con la forza esemplare del paradigma, ma anche con la sollecitazione di risposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza degli stranieri nel nostro territorio.
Anzitutto, ci dice che la fusione di etnie diverse è possibile: anzi, appartiene a quel pacco di progetti che costituiscono la sfida più drammatica per la sopravvivenza della nostra civiltà. La comunicazione con le culture altre, insomma non è un'utopia, né uno sterile sospiro di sognatori.

Quando alle porte della città si celebrarono le tue nozze col massaro di Betlemme, gli anziani rivolsero a Booz tuo marito uno splendido augurio, che vale tutto un trattato sulla integrazione al razziale: «Il Signore renda la donna, che entra in casa tua, come Rachele e Lia, le due donne che fondarono la casa di Israele».
In secondo luogo, la tua storia ci provoca a vincere gli istinti xenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano di ragioni patriottiche. Che scatenano all'interno delle nostre raffinatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle istituzioni con martellante coralità, rigorosi provvedimenti di forza.
Siamo vittime di una insopportabile prudenza, e scorgiamo sempre angoscianti minacce dietro l'angolo.
Perché lo straniero mette in crisi sostanzialmente due cose: la nostra sicurezza e la nostra identità.
Da una parte, infatti, ci toglie il lavoro, ci contende la casa, ci riduce gli spazi, entra in competizione con noi, decostruisce l'articolazione dei nostri interessi economici. Dall'altra, sembra attentare ai nostri connotati, sfida la compattezza del nostro mondo spirituale, relativizza i nostri altari, sfibra il deposito delle nostre tradizioni.

Ebbene, la tua storia ci fa capire che la segregazione è la risposta più sbagliata al problema razziale, così come rappresenta una iattura simmetrica il tentativo di voler assorbire nelle stratificazioni della nostra cultura i tratti emergenti della «diversità» altrui, senza lasciarne neppure la traccia. Solo la progressiva intersezione di aree di valori sarà capace di creare il terreno, calcando il quale nessuno debba sentirsi in esilio.

Grazie, dolcissima Rut, per questo tuo incredibile messaggio di universalità che lasci cadere dai tuoi covoni.
Dietro i quali, alla ricerca dei tratti di un mondo più solidale, siamo venuti anche noi a spigolare.

Luglio 1991

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inviato da Qumran2, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

2. Regalare la felicità

Piero Ferrucci, La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005

Un'antica storia mediorientale racconta di un uomo così buono e disinteressato che Dio decide di premiarlo. Chiama un angelo, e gli dice di andare da lui e domandargli che cosa vuole: qualsiasi desiderio sarà esaudito. L'angelo compare all'uomo gentile e gli comunica la buona notizia. Ma l'uomo gentile risponde: «Io sono già felice. Ho già tutto ciò che desidero». L'angelo gli fa capire che con Dio bisogna avere tatto: se ci fa un regalo, è meglio accettare. Allora l'uomo gentile risponde: «Va bene: voglio che tutti quelli che entrano in contatto con me si sentano bene. Però non voglio saperne nulla». Da quel momento dove l'uomo gentile passava, le piante avvizzite rifiorivano, gli animali più malandati si riavevano, i malati guarivano, gli infelici venivano sollevati dai loro terribili fardelli, chi litigava faceva la pace e chi aveva un problema riusciva a risolverlo. Ma tutto questo avveniva dietro di lui, nella sua scia, senza che egli ne sapesse niente. Non c'erano da parte sua né orgoglio per il bene compiuto né aspettative di alcun genere. Ignaro e contento, l'uomo gentile camminava per le vie del mondo regalando la felicità.

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inviato da Qumran, inserito il 01/12/2017

TESTO

3. Il re della risata

Piero Ferrucci, La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005

Un giorno conducevo un seminario di studio, e qualcuno mi indicò il signor X, un tizio con la barbetta bianca, dicendomi: «Sentissi quanto è divertente quell'uomo! È un vero campione di umorismo». Lo guardai, e mi parve una specie di folletto simpatico che andava in giro distribuendo allegria. Prima che incominciasse il lavoro di gruppo l'ho salutato dicendogli: «Ho sentito dire che sei il re della risata». Quest'uomo, piccolo e timido, rimase molto sorpreso, come se nessuno gli avesse mai detto una cosa del genere. Durante il seminario, notai che aveva l'aria compiaciuta e sorrideva a se stesso. Mi aspettavo delle battute divertenti, e presto queste arrivarono, una dopo l'altra, una meglio dell'altra. Finita la mattinata, mi avvicinai alla persona che ore prima mi aveva indicato il campione di umorismo, e accennando al signor X dissi: «Avevi proprio ragione, è una persona molto divertente». «Ma che cosa hai capito? Io parlavo di quell'altro», mi rispose, indicando invece il signor Y, un individuo alto e magro, con la faccia un po' irritata, che era stato zitto tutto il tempo.

Chiamando il signor X "il re della risata", e attribuendogli un titolo quasi usurpato, gli avevo permesso di esprimere un lato di se stesso che nessuno di solito percepiva e affermava in lui. Per un equivoco casuale io avevo visto il suo humour, la sua qualità nascosta, e l'avevo attivata. Se avessi cercato di vedere in lui la possibilità di volare o di parlare persiano antico, non si sarebbe messo a volare o a parlare persiano antico. Io ho visto qualcosa che era possibile, e che per il fatto di essere visto è diventato reale.

Può sembrare strano che, cambiando un pensiero nella mia mente, cambi qualcosa in un'altra persona. Ma questo è strano solo se sottovalutiamo l'importanza della nostra mente, e se non teniamo conto dei mille modi in cui interagiamo di continuo. Svariate ricerche già da parecchi anni hanno dimostrato che esiste un "effetto Pigmalione": se io cambio la mia percezione di te, anche tu cambierai.

Gli alunni, se considerati i più intelligenti dall'insegnante, diventano più intelligenti. Gli impiegati, se percepiti più competenti ed efficienti dai superiori, diventano più competenti ed efficienti. Il nostro sguardo è come un raggio di luce che cade su una pianta in ombra, la rende visibile, la nutre, la stimola a crescere.

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inviato da Qumran2, inserito il 21/08/2017

RACCONTO

4. Riattacca quel ramo   4

Anthony De Mello, La preghiera della rana. Saggezza popolare dell'Oriente, Volume 2

Buddha fu un giorno minacciato di morte da un bandito chiamato Angulimal.

«Sii buono ed esaudisci il mio ultimo desiderio», disse Buddha. «Taglia un ramo di quell'albero.»

Con un colpo solo di spada l'altro eseguì quanto richiesto, poi domandò:
«E ora che cosa devo fare?»
«Rimettilo a posto» ordinò Buddha.
Il bandito rise.

«Sei proprio matto se pensi che sia possibile una cosa del genere

«Invece il matto sei tu, che ti ritieni potente perché sei capace di far del male e distruggere. Quella è roba da bambini. La vera forza sta nel creare e risanare.»

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2017

PREGHIERA

5. Due chiacchiere con Gesù

a cura di Luigi Rosadoni, Due chiacchere con Gesù aggiustano tutto, ed Gribaudi

Signore, ho guai d'ogni genere,
ma grazie a Dio mi accorgo
che una piccola chiacchierata con Gesù aggiusta tutto.
Fratello, me lo ricordo bene:
quand'ero un peccatore perduto
gridai: «Gesù, abbi pietà!»
ma l'anima mia rimase tutta quanta sottosopra
finché udii il mio Signore Gesù che mi diceva:
«Vieni qui, io sono la via».
Sì, una piccola chiacchierata con Gesù aggiusta tutto.
A volte il fulmine biforcuto e il tuono rombante
dei dolori e delle tentazioni
rendono la vita difficile a me e anche a voi,
ma Gesù è il nostro amico
e ci sosterrà sino alla fine.
Sì, una piccola chiacchierata con Gesù aggiusta tutto.
Signore, ho guai d'ogni genere,
ma grazie a Dio mi accorgo

che una piccola chiacchierata con Gesù aggiusta tutto.

preghieradifficoltàcoraggiorapporto con Dio

4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

RACCONTO

6. Accogliere lo straniero   4

Papa Francesco, Udienza Generale del 26 ottobre 2016

Alcuni giorni fa, è successa una storia piccolina, di città. C'era un rifugiato che cercava una strada e una signora gli si avvicinò e gli disse: "Ma, lei cerca qualcosa?". Era senza scarpe, quel rifugiato. E lui ha detto: "Io vorrei andare a San Pietro per entrare nella Porta Santa". E la signora pensò: "Ma, non ha le scarpe, come farà a camminare?". E chiama un taxi. Ma quel migrante, quel rifugiato puzzava e l'autista del taxi quasi non voleva che salisse, ma alla fine l'ha lasciato salire sul taxi. E la signora, accanto a lui, gli domandò un po' della sua storia di rifugiato e di migrante, nel percorso del viaggio: dieci minuti per arrivare fino a qui. Quest'uomo raccontò la sua storia di dolore, di guerra, di fame e perché era fuggito dalla sua Patria per migrare qui. Quando sono arrivati, la signora apre la borsa per pagare il tassista e il tassista, che all'inizio non voleva che questo migrante salisse perché puzzava, ha detto alla signora: "No, signora, sono io che devo pagare lei perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore". Questa signora sapeva cosa era il dolore di un migrante, perché aveva il sangue armeno e conosceva la sofferenza del suo popolo. Quando noi facciamo una cosa del genere, all'inizio ci rifiutiamo perché ci dà un po' di incomodità, "ma... puzza...". Ma alla fine, la storia ci profuma l'anima e ci fa cambiare. Pensate a questa storia e pensiamo che cosa possiamo fare per i rifugiati.

papa francescomigrantirifugiatimisericordiaaccoglienzacaritàsolidarietà

inviato da Qumran2, inserito il 27/10/2016

PREGHIERA

7. Maria donna del cammino

Antonio Rungi

Vergine Santa, che hai percorso territori sconfinati, dalla Palestina all'Egitto, e seguendo le orme del Tuo Figlio non ti sei risparmiata nessun cammino, proteggi coloro che, per terra, cielo e mare sono in viaggio per qualsiasi motivo che li spinge a lasciare i loro luoghi d'origine e camminare senza mete e senza confini.

Tu che hai affrontato il primo viaggio della carità, da Nazareth a Ain-Karin, per andare incontro alla tua anziana cugina, insegnaci ad andare incontro, con generosità, alla vita nascente, agli anziani, agli ammalati e a tutti i sofferenti della Terra.

Tu che sei andata da Nazareth a Betlemme, per dare alla luce il Tuo Figlio Gesù, conforta le madri che soffrono per motivi attinenti la loro vita di nutrici e genitrici.

Tu che sei stata costretta a lasciare, per la violenza e il terrore di Erode, con Gesù e Giuseppe, la tua Nazareth, guarda con amore e proteggi coloro che sono immigrati storici o di questi giorni, che sono senza patria e senza un popolo, e che sono fuggiti via per motivi di fame, lavoro, guerre e violenze di ogni genere.

Tu che sei rientrata in Patria con la tua famiglia naturale, fa' che tutti coloro che desiderano ritornare alla loro casa, vicina o lontana, possono farlo senza alcuna difficoltà.

Tu che hai camminato insieme a Gesù, per celebrare la Pasqua nella Gerusalemme terrena, fa' che anche noi possiamo festeggiare la Pasqua eterna, senza perderci nel lungo o breve viaggio nel tempo e che, con il tuo santo aiuto, passiamo raggiungere per sempre Gesù.

Tu che hai seguito Cristo, nel suo peregrinare per portare la dolce parola del Vangelo alla gente del suo tempo, guidaci nel cammino della nuova evangelizzazione, ora e sempre.

Tu, Stella che conduci la Chiesa nel suo impegno apostolico e missionario in tutto il mondo, illumina gli annunciatori della parola del Signore ad essere veri testimoni di Gesù.

Tu che hai accompagnato il tuo Figlio Gesù lungo la via del Calvario, e ti sei incontrata con Lui, nel mezzo del cammino del suo patire, sii vicino alle tante sofferenze di questa umanità, che va in cerca della vera libertà.

Tu, infine, che hai partecipato alla Risurrezione del Tuo Figlio e sei stata la prima ed unica creatura ad essere elevata al cielo in anima e corpo, donaci la possibilità di sperimentare ogni giorno la gioia e la serenità di chi cammina con il cuore e la mente rivolti al Signore, che è Dio Amore e Padre di misericordia.

Tu Vergine e Donna del cammino, Tu Madre Immacolata e Purissima del Redentore, spingi i nostri cuori incontro al Signore della vita e della storia, perché nessuno dei tuoi figli vada perduto nel carcere eterno dell'inferno.
Amen.

mariamadonnacamminoimmigratimigranti

5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Antonio Rungi, inserito il 24/05/2016

PREGHIERA

8. Laudato si, Dio creatore e padre

padre Antonio Rungi

Laudato si, Signore mio,
perché ci ha creato e redento,
Tu Padre di immensa tenerezza e bontà.

Laudato si, Signore mio,
per il dono del creato
che hai affidato alla nostra custodia
e messo nelle nostre mani,
non sempre attente ed oculate
nel conservare i beni
che ci hai lasciato
a nostra gioia e felicità.

Laudato si, Signore mio
per ogni uomo e donna
di questa martoriata terra,
afflitta da tanti mali incurabili
del corpo e dello spirito.

Fa' che nessuno di questi nostri fratelli
possano assaporare la freddezza
del nostro cuore e l'indifferenza
della nostra mente
presa da tanti personali problemi,
incapace di leggere il dolore
e la sofferenza sul volto
di chi non conta in questo mondo.

Laudato si, Signore mio,
per tutte le croci che ci doni ogni giorno
e ci inviti a portare con dignità
senza scaricarle sulle spalle degli altri,
ma felici di salire con te sul calvario
e donare la nostra vita,
come vittime espiatrici
per la conversione e la santificazione
del genere umano.

Laudato si, Signore mio
per le tante umiliazioni
che ci hai fatto sperimentare
attraverso quanti non sanno
e non vogliono amare sinceramente gli altri
e si fanno giudici severi degli altri
e molto tolleranti con se stessi.

Laudato si, Signore mio
per ogni cosa e per tutto quello
che guardiamo con i nostri occhi,
gustiamo con il nostro palato,
tocchiamo con le nostre mani,
odoriamo con il nostro naso,
ascoltiamo con le nostre orecchie,
soprattutto se sei Tu Signore a parlare
direttamente al nostro cuore,
perché ci vuoi totalmente consacrati
al tuo amore e alla tua lode,
nella cristiana speranza di lodarti
per sempre nella gioia del tuo Regno,
dove ci attendi per donarci
la pace e la felicità che non ha fine,
insieme a Maria, la tua e la nostra Madre,
Regina del cielo e della terra. Amen.

creatocustodia del creatodonogratitudinelode

5.0/5 (1 voto)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 03/02/2016

TESTO

9. A coloro che non trovano pace

Tonino Bello

Carissimi,

l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».

Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.

E mi sono ricordato dite, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.

L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.

Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.

Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.

Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.

Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.

Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».

E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.

Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.

A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.

A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.

Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.

O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.

Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

pacepace interioreinterioritàfelicitàgioiatristezzainquietudine

5.0/5 (6 voti)

inviato da Francesco De Luca, inserito il 16/06/2015

TESTO

10. Sul monte degli Ulivi

Andrea di Creta, Discorsi

Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi si avvicina spontaneamente alla passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.

Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d'olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone.

Accogliamo così il Verbo di Dio che avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere.

Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.

Agitando i rami spirituali dell'anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele».

passionedomenica delle palmeadorazione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 28/03/2015

TESTO

11. Cara Quaresima   8

Diego Passoni

Cara Quaresima,

bentornata tra noi! So che non sei abituata ad essere notata, ma quest'anno prometto di considerarti per quel che meriti, un'occasione per alzare l'asticella.

Da oggi cominciano i quaranta giorni (che ricordano gli anni di esodo degli ebrei, nel deserto, e i giorni di digiuno e tentazione di Gesù, prima che iniziasse a predicare) che precedono la Pasqua. La festa più importante dei cristiani. No? Beh, così dovrebbe essere!

Da oggi iniziano giorni in cui poter, se non seguire i precetti del digiuno ecclesiastico e dell'astinenza dalla carne il venerdì, quantomeno rimettere in discussione le nostre priorità. Provare a riempirci un po' meno di cibo - e di cose materiali in genere - ad ascoltare ciò che abbiamo dentro. E magari scoprire che molte frustrazioni, tristezze e malesseri, ci vengono solo come conseguenza del nostro vivere in modo vorace, e che non abbiamo un tempo infinito per accumulare piacere sulla terra, e che presto o tardi si tornerà ad esser cenere (che dà il nome a questo speciale mercoledì) per cui vale la pena di pensare a chi aspetta le nostre scuse, un nostro sorriso, o un'attenzione che non abbiamo mai concesso.

E imparare - come recita un antico libro, il Qoelet - che c'è un tempo giusto per ogni cosa, e vivere bene il tempo del digiuno, porta a godere il tempo della festa. E se viviamo bene il tempo presente, arriveremo pronti al nostro tempo per morire. Altrimenti tutta la nostra vita è inutile.

E Il tempo del ravvedimento, che c'è nell'ebraismo, nell'islam, e in tutte le pratiche religiose, è l'unico modo per cambiare in meglio, per far morire in noi le cose brutte e farne nascere di belle; per diventare uomini e donne nuovi. Che poi, per chi ci crede, si esprime con il termine risorgere.

Bentornata attesa!

quaresimatempoprioritàrinascitaconversione

4.8/5 (8 voti)

inserito il 06/03/2014

TESTO

12. Quanto guadagni in un'ora?   8

Figlio: "Papà, posso farti una domanda?"
Papà: "Certo, di cosa si tratta?"
Figlio: "Papà, quanti soldi guadagni in un ora?"
Papà: "Non sono affari tuoi. Perché mi fai una domanda del genere?"
Figlio: "Volevo solo saperlo. Per favore dimmelo, quanti soldi guadagni in un ora?"
Papà: "Se proprio lo vuoi sapere, guadagno 100 dollari in un ora"
Figlio: "Oh! (con la testa rivolta verso il basso)
Figlio: "Papà, mi presteresti 50 dollari?"
Il padre si infuriò.
Papà: "La sola ragione per cui me lo hai chiesto era per chiedermi in prestito dei soldi per comprare uno stupido giocattolo o qualche altra cosa senza senso, adesso tu fili dritto per la tua stanza e vai a letto. Pensa al perché stai diventando così egoista. Io lavoro duro ogni giorno per questo atteggiamento infantile."

Il piccolo bambino andrò in silenzio nella sua stanza e chiuse la porta.
L'uomo si sedette e diventò ancora più arrabbiato pensando alla domanda della ragazzo. Come ha avuto il coraggio di farmi una domanda simile solo per avere dei soldi?
Dopo un ora o poco più, l'uomo si calmò, e cominciò a pensare:
Forse c'era qualcosa di cui aveva davvero bisogno di comprare con 50 dollari, non chiede dei soldi molto spesso.
L'uomo andò nella stanza del piccolo bambino e aprì la porta.
Papà: "Stai dormendo, figlio?"
Figlio: "No papà, sono sveglio".
Papà: "Stavo pensando, forse sono stato troppo duro con te prima. È stato un giorno faticoso per me oggi e mi sono scaricato su di te. Questi sono i 50 dollari che mi hai chiesto".

Il piccolo bambino si sedette subito e cominciò a sorridere.
Figlio: "Oh, grazie papà!"
Dopo, da sotto il suo cuscino ha tirato via delle banconote stropicciate. L'uomo vide che il bambino aveva già dei soldi, e inizio ad infuriarsi di nuovo. Il piccolo bambino iniziò lentamente a contare i suoi soldi, e dopo guardò il padre.

Papà: "Perché vuoi altri soldi se ne hai già"?
Figlio: "Perché non ne avevo abbastanza, ma adesso si".
"Papà, ho 100 dollari adesso. Posso comprare un ora del tuo tempo? Per favore vieni prima domani. Mi piacerebbe cenare con te."

Il padre rimase impietrito. Mise le sue braccio attorno al suo bambino e lo implorò di perdonarlo.

Questa è solamente una storia per ricordare a tutti noi che non bisogna sempre lavorare così duramente nella vita. Non ci rendiamo conto che il tempo ci scivola via tra le dita senza averne speso un po' con le persone più importanti della nostra vita, quelle vicino ai nostri cuori.
Ti ricorderai che 100 dollari valgono il tuo tempo con la persona che ami? Se noi morissimo domani, la società per cui lavoriamo ci potrà facilmente sostituire in qualche giorno. Ma la famiglia e gli amici che ci lasciamo dietro sentiranno la mancanza per il resto delle loro vite. E iniziamo a pensarci, noi mettiamo tutto ciò che abbiamo sul lavoro piuttosto che sulla nostra famiglia.
Alcune cose sono più importanti.

Vedi il video del racconto.

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inviato da Qumran2, inserito il 16/05/2013

TESTO

13. Fede per contagio   2

Raniero Catalamessa, Maria, madre e modello del sacerdote

Ciò che i fedeli colgono immediatamente in un sacerdote e in un pastore, è se "ci crede", se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cerca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al passo coi tempi, mentre, in realtà, è un "bronzo che tintinna e un cembalo squillante".

Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subito la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma trovarsi davanti a uno che crede veramente con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede.

sacerdotepretefeconditàministerofedeapostolatomissioneapostolatotestimonianza

2.5/5 (2 voti)

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/09/2012

TESTO

14. A Messa perché è bello!   5

Nardo Masetti

Per secoli e secoli abbiamo insistito sul fatto che "perdere la Messa alla domenica è peccato mortale". Naturalmente lo scopo era quello di far sì che i fedeli vi partecipassero in massa. Risultato statistico di presenze visibili: circa il 15%. Se avessimo insistito maggiormente sopra un diverso aspetto, avremmo potuto ottenere una percentuale almeno del 16%? Secondo me sì.

La gente ha sempre pagato le tasse mal volentieri e purtroppo molti, quando lo possono fare impunemente, non le pagano. Il presentare la Messa esclusivamente come una tassa settimanale da pagare al buon Dio, non credo che funzioni: le statistiche dicono che ci sono molti evasori.

Oggi in particolare c'è il culto del bello. La televisione e i mass media in genere ci portano in casa persone giovani, belle, ben vestite, prodotti di bellezza... Solo noi cristiani praticanti dobbiamo trangugiare cose indigeste, pur di arrivare un giorno in paradiso? Ma il nostro non è il Dio della bellezza (guardare il microcosmo e il macrocosmo)? Perché allora non mettiamo spesso in risalto l'aspetto estetico della fede cristiana, ed in particolare la bellezza della Celebrazione Eucaristica?

Noi andiamo a Messa, perché è bello trovarci in udienza ufficiale e personale allo stesso tempo davanti al nostro Dio. E' bello sentirci perdonati da lui; è bello ascoltare la sua voce, che ci incoraggia, che ci indica la strada giusta fra le tante equivoche che ci sono proposte. E' bello trovarci assieme a tutta la Chiesa terrena e celeste, come anticipo di quell'unione beatificante ed eterna che ci attende. E' bello prendere con noi nel cammino difficile della settimana, quel meraviglioso Dio che ci ama al punto da lasciarsi mangiare da noi...

Se provassimo ad insistere per secoli e secoli... forse la percentuale dei fedeli alla Messa domenicale potrebbe anche raggiungere il... %.

messaeucaristiadomenicarapporto con Dio

3.3/5 (4 voti)

inviato da Nardo Masetti, inserito il 20/09/2012

TESTO

15. Si lavò le mani

Amici della Zizzi, Commento al Vangelo

"Si lavò le mani".
Quante volte davanti alle ingiustizie ci siamo lavati le mani come ha fatto Ponzio Pilato?
Quante volte abbiamo visto un barbone per la strada dormire sotto i cartoni ed abbiamo detto: "Qualcuno ci penserà, non è affar mio".
Quante volte abbiamo saputo di un bambino in una brutta situazione ed abbiamo detto: "Lo prenda un'altra famiglia, non la mia".
Quante volte abbiamo visto qualcuno soffrire e non lo abbiamo aiutato dicendo che non è affar nostro?

Basterebbe che ognuno di noi si preoccupasse di una sola persona povera o abbandonata per cambiare la sua vita ed il mondo che ci circonda.
"Non è affar mio", ed allora chi si dovrebbe occupare dei bambini abbandonati, dei poveri, degli emarginati?
Lo stato? Ma chi è lo stato se non noi? Ok, allora che se ne occupino le istituzioni, ma con quali soldi se già a stento funzionano ospedali, scuole ed uffici pubblici? Disposti a raddoppiare le tasse per aiutare chi soffre? Ma non è una questione di soldi, è una questione di cuore, di amore. Un bambino che è stato picchiato dalla sua mamma, violentato dal suo papà, denutrito da quando è nato, un bambino che ha visto la sorella prostituirsi nel letto vicino al suo tutte le sere, che ha visto i drogati entrare in casa sua per comprare una dose... secondo voi ha bisogno dei vostri soldi o di quelli dello stato? Ha bisogno di una struttura che lo accolga, diventi un numero ed una volta raggiunta una certa età (spesso 13/14 anni) venga mandato via, che viva sempre con il pensiero che possa essere mandato via, che non abbia punti di riferimento perché gli educatori che nella struttura interagiscono con lui lo fanno per lavoro e come ogni mestiere hanno orari, ferie, licenziamenti, opportunità migliori per le quali andarsene?
Ma secondo voi come può crescere un bambino in tal modo?
Di cosa hanno bisogno i vostri figli? Li mandereste in una struttura del genere? Le comunità educative devono esserci perché ci sono ragazzi troppo difficili da poter essere inseriti in una famiglia, ma ci sono migliaia di bambini (un milione e trecentomila è la stima dei bambini che necessitano di aiuto nella nostra bella Italia) che hanno bisogno del cuore di una mamma e di un papà "puliti". Due genitori che amino quel bimbo come loro stessi. A noi è andata così. Noi ci hanno amato, ci hanno accudito, ci hanno educato. Ma se fossimo nati per la strada? Se fossimo nati in una famiglia disgraziata quale sarebbe stato il nostro desiderio più grande? Quale il nostro sogno? Avere una famiglia che ci amasse.
Ecco, questo è il loro sogno, il loro desiderio. Aprite il vostro cuore ad un bambino in affido, date loro quell'amore che vi è stato donato da piccoli, offritegli quel calore che vorreste fosse elargito ai vostri figli se per qualche motivo voi non poteste più dare.
E' Pasqua, un periodo in cui si dovrebbe pensare riflettere di più, un momento in cui ci si scambia gli auguri di pace.
Il mio augurio è che possiate sporcarvi le mani per aiutare qualcuno, ma non dandogli un euro per tacitare la vostra coscienza, ma dandogli il vostro amore, ascoltando le loro pene.
Prendere un bambino in affidamento, accogliere un fanciullo nella propria casa non è difficile.
Noi siamo a vostra disposizione e scommettiamo su di voi. Chi dice "non ho le capacità" è un bischero. Tutti noi abbiamo la capacità di fare qualsiasi cosa, basta volerlo, basta non aver paura della strada spesso in salita.
Chi si incamminerà verso l'aiuto per il prossimo, specie per un bambino, avrà l'appoggio del Signore e riceverà tanto di quell'amore da quel ragazzo che il cuore vi scoppierà dalla gioia e direte a voi stessi "...lo avessi fatto prima!".

Non lavatevi le mani anche voi come fanno in tanti.
Lasciatevi coinvolgere dall'amore e ne riceverete in cambio molto più di quello che mai avreste potuto sperare.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Riccardo Ripoli, inserito il 28/04/2012

RACCONTO

16. L'appuntamento   5

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantina di anni arrivò per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9,00.

Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un'ora prima che qualcuno potesse vederlo. Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita. Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita.

Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dall'Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po' tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni.

Ne fui sorpreso, e gli chiesi: "E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?".

L'uomo sorrise dicendo: "Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei".

Dovetti trattenere le lacrime... Avevo la pelle d'oca e pensai: "Questo è il genere di amore che vorrei nella mia vita".

Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

amorefedeltàcoppiamatrimoniomalattiaaccettazionevecchiaiaammalati

5.0/5 (7 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 21/02/2011

TESTO

17. Il mistero cristiano

Lettera a Diogneto, capitolo V

I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio.

cristianicristianesimotestimonianzavita cristianapersecuzione

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/11/2010

TESTO

18. E' possibile pregare o meditare scandendo i tempi della giornata?   2

Jean-Marie Lustiger, Avvenire del 30/11/2008

Ecco i consigli dell'arcivescovo di Parigi: «Obbligatevi a spezzare il ritmo frenetico delle nostre metropoli. Fatelo sui mezzi pubblici e nelle pause del lavoro». Uno scritto inedito del cardinale Francese morto un anno fa.

Come pregare durante il giorno? La tradizione della Chiesa raccomanda di pregare sette volte al giorno. Perché? Una prima ragione è che il popolo d'Israele offriva il proprio tempo a Dio in sette preghiere quotidiane, in momenti fissi, nel Tempio o almeno voltati verso di esso: «Sette volte al giorno io ti lodo» ci rammenta il salmista (Salmo 118,164). Una seconda ragione è che il Cristo stesso ha pregato così, fedele alla fede del popolo di Dio. La terza ragione è che i discepoli di Gesù hanno pregato così: gli apostoli (vedi Atti 3,1: Pietro e Giovanni) e i primi cristiani di Gerusalemme «assidui nelle preghiere» (vedi Atti 2,42; 10,3-4: Cornelio nella sua visione); poi le comunità cristiane e, più tardi, le comunità monastiche. E così anche i religiosi e le religiose, i preti, sono stati chiamati a recitare o a cantare in sette riprese le «ore» dell'«ufficio» (che significa «dovere», «incarico», «missione» di preghiera), facendo una pausa per cantare i salmi, meditare la Scrittura, intercedere per i bisogni degli uomini e rendere gloria a Dio. La Chiesa invita ogni cristiano a scandire la propria giornata con una preghiera ripetuta, deliberata, voluta per amore, fede, speranza.

Prima di sapere se è bene pregare due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte al giorno, un consiglio pratico: associate i momenti di preghiera a gesti fissi, a punti di passaggio obbligati che scandiscono le vostre giornate.

Per esempio: per coloro che lavorano e in genere hanno orari stabili, esiste pure un momento in cui lasciate il vostro domicilio e vi recate al lavoro... a piedi o in auto, in metropolitana o in autobus. A un orario preciso. E ciò vi prende un determinato tempo, sia all'andata sia al ritorno. Perché quindi non associare dei tempi di preghiera a quelli di spostamento?

Secondo esempio: siete madre di famiglia e rimanete a casa, ma avete dei figli da portare e riprendere a scuola in momenti precisi della giornata. Un altro obbligo che segna una pausa: i pasti, anche se a causa di forza maggiore o cattiva abitudine mangiate solo un panino o pranzate in piedi. Perché non trasformare queste interruzioni nella giornata in punti di riferimento per una breve preghiera?

Sì, andate a cercare nella vostra giornata questi momenti più o meno regolari di interruzione delle occupazioni, di cambiamento nel ritmo di vostra vita: inizio e fine del lavoro, pasti, tempi di viaggio ecc.

Associate a questi momenti la decisione di pregare, anche solo per un breve istante, il tempo di fare l'occhiolino a Dio. Datevi l'obbligo rigoroso, qualunque cosa accada, di consacrare quindi anche solo trenta secondi o un minuto a dare un nuovo orientamento alle vostre diverse occupazioni sotto lo sguardo di Dio.
La preghiera così, pervaderà quanto vi sarà dato vivere.

Quando andate al lavoro forse intanto rimuginate sui colleghi che ritroverete, sulle difficoltà da affrontare in un ufficio in cui lavorate in due o in tre; le personalità cozzano maggiormente quando la vicinanza è troppo stretta e quotidiana. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, fa' che io viva questo rapporto quotidiano nella vera carità. Permettimi di scoprire le esigenze dell'amore fraterno nella luce della Passione di Cristo che mi renderà sopportabile lo sforzo richiesto».

Se lavorate in un grande centro commerciale, forse rimuginerete sulle centinaia di volti che vi scorreranno davanti senza che abbiate il tempo di guardarli. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, ti prego per tutte quelle persone che passeranno davanti a me e alle quali cercherò di sorridere.

Anche se non ne ho la forza quando mi insultano e mi trattano come fossi una macchina calcolatrice».

Insomma, approfittate al meglio, durante la vostra giornata, di questi punti di passaggio obbligati, dei momenti in cui disponete di un po' di margine e vi lasciano, se siete vigili, un piccolo spazio di libertà interiore per riprendere fiato in Dio.

Si può pregare nella metropolitana o sui mezzi pubblici? Io l'ho fatto. Ho utilizzato diversi metodi secondo i momenti della mia vita o le circostanze. Ci fu un tempo in cui mi ero abituato a mettere i tappi nelle orecchie per isolarmi e poter avere un minimo di silenzio, tanto ero esasperato dal rumore. Pregavo così, senza per questo tagliar fuori le persone che mi erano attorno visto che potevo ancora essere presente a essi con lo sguardo, senza però scrutarli, senza fissarli, senza essere indiscreto nel modo di guardarli. Il silenzio fisico dell'orecchio mi permetteva di essere ancora più libero nell'accoglienza. In altri periodi, invece, ho vissuto un'esperienza esattamente contraria. Ognuno di noi fa come può, ma in nessun caso dobbiamo ritenere che sia impossibile pregare.

Ecco un altro suggerimento. Scommetto che lungo il vostro tragitto, dalla stazione della metropolitana o dalla fermata dell'autobus fino a casa o al posto di lavoro, potete incontrare, nel raggio di trecento o cinquecento metri, una chiesa o una cappella (una piccola deviazione vi consentirebbe di camminare un po'). A Parigi si può fare. In quella tal chiesa potete pregare in tranquillità o, al contrario, essere continuamente disturbati; può essere adatta o meno alla vostra sensibilità: questo è un altro discorso. Ma c'è una chiesa con il Santissimo Sacramento. Perciò, camminate per qualche centinaio di metri in più; vi ci vorranno dieci minuti, e un po' d'esercizio non farà male alla vostra linea... Entrate in chiesa e andate fino al Santissimo Sacramento. Inginocchiatevi e pregate. Se non potete di più, fatelo per dieci secondi. Ringraziate Dio Padre per il mistero dell'Eucaristia nel quale siete inclusi, per la presenza del Cristo nella sua Chiesa. Lasciatevi andare all'adorazione con il Cristo, nel Cristo, tramite la forza dello Spirito. Rendete grazie a Dio. Rialzatevi.
Fatevi un bel segno della croce e ripartite.

preghierapregaretempoquotidianitàperseveranzafedeltà nella preghiera

4.7/5 (3 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 05/09/2010

ESPERIENZA

19. Costruire la pace

Questa storia, molto semplice, molto bella, mi è stata narrata da un'anziana volontaria che ho sempre stimato per il suo notevole spessore umano. Mi ha fatto pensare come cento bandiere arcobaleno sventolate nelle piazze non costruiscono la pace quanto un gesto semplice di perdono.

Il nonno di questa signora, era riuscito a garantire un notevole benessere alla famiglia con il suo lavoro di enologo. Avevano una casa bella e grande, un laboratorio, vari campi e una famiglia numerosa e serena.

Un giorno un amico bussa alla sua porta e dopo i soliti convenevoli, gli presenta un quadro disastroso della sua situazione economica, lo prega quindi di fargli da garante con la banca alla quale aveva richiesto un grosso prestito, indispensabile per ridare ossigeno alla sua impresa vacillante.

Il nonno, mosso a compassione, firma senz'altro la fidejussione. Dopo un'ora dall'aver apposto la firma, muore per infarto.

Il dolore della famiglia è grande, lascia 8 figli, alcuni dei quali ancora in tenera età; i maggiori studiano, la madre è casalinga. Piangono tutti un ottimo padre e marito, ma la situazione inaspettatamente precipita anche sotto l'aspetto economico. L'amico per il quale il nonno, senza esitazioni si era fatto garante, non paga nessuna cambiale. La banca sequestra i campi, il laboratorio e la grande casa. Viene loro concesso solo di continuare ad abitare l'alloggio fino alla maggiore età dei figli.

Per un gesto di solidarietà, la situazione di questa famiglia si è capovolta totalmente in un tempo brevissimo. Molti si sarebbero lasciati prendere dallo sconforto e dalla rabbia, invece i figli più grandi, ripreso coraggio, si cercano un lavoro e continuano gli studi di sera; tutti insieme si danno una mano, permettendo ai fratellini di crescere e recuperare un certo benessere.

Passano così gli anni, i giovani si sposano. Anche i figli dell'amico debitore mettono su famiglia. Uno tra questi festeggia la nascita di una bimba, ma la giovane moglie, in seguito a complicanze del parto, presenta continui problemi di salute e non riesce a rimettersi. Come avviene comunemente in un paese, ne parlano un po' tutti.

Una domenica la nonna (la vedova del generoso enologo), torna assai tardi dalla funzione religiosa del pomeriggio, cui lei, molto religiosa, partecipava puntualmente. La figlia con la quale vive si allarma parecchio, dato che un ritardo del genere non rientrava affatto nelle abitudini dell'ormai anziana signora; cerca quindi di sapere dalla madre le ragioni della sua assenza, ma questa si rifiuta, con frasi burbere, di dare spiegazioni.

Infine il genero riesce ad ottenere le confidenze della suocera: "Sai", dice, "avendo saputo che la Nina è ammalata e ha appena avuto una bimba, ho pensato di andarla a trovare. Poi ho visto tutta la casa sporca, i panni usati gettati nella vasca, tutti da lavare, lei che non poteva muoversi dal letto. Insomma, si sa, i bambini hanno bisogno di biancheria pulita, di pulizia, e così mi sono messa a fare il bucato e il tempo è passato in un attimo. Tutto qui, non c'è ragione di fare tante storie".

Tutti i pomeriggi la signora è tornata dalla Nina (la nuora dell'uomo che aveva messo la sua famiglia sul lastrico), per aiutarla nelle faccende domestiche, fino alla sua completa guarigione.

perdonogratuità

inviato da Lara, inserito il 11/08/2010

RACCONTO

20. Quel Gesù che non ti aspetti

Nardo Masetti

Ogni volta che veniva fuori il discorso fra amici, Giovanni ripeteva che lui in un ricovero per vecchi non ci sarebbe finito. Aveva lavorato tutta una vita con immensi sacrifici, per allevare i figli e li aveva anche sistemati discretamente da un punto di vista economico. Un giorno s'ammalò; niente di grave, una semplice bronchite. Le nuore i figli gli fecero capire che non avevano né il tempo di curarlo convenientemente, e gli dissero che era meglio che andasse nel capoluogo, in una specie di ospedale per un periodo di cura. Ne parlò anche con don Antonio. Il sacerdote gli raccomandò di pregare molto e di stare vicino a Gesù che non abbandona nessuno. Ottavio, che non ne era mai stato praticante, non tenne in alcun conto il consiglio ricevuto. Lo portarono in un grande fabbricato: "Villa Serena", un ricovero per anziani. Non si sarebbe mai aspettato dai suoi figli, un atto del genere.

Da qualche settimana si dava da fare, per attirarsi la simpatia della patronessa delle dame di carità, che visitava spesso l'ospizio: sentiva la necessità di un sorriso, di una parola affettuosa, di qualcuno che avesse il tempo di ascoltare le sue disgrazie. Anche quel giorno la signora si fermò a chiacchierare con gli ospiti della stanza numero quindici. Giovanni aspettava con l'ansia di un bimbo; giunta vicino a lui, uscì senza proferire una parola. Gli altri gli spiegarono che la signora familiarizzava con quelli che andavano a Messa la domenica e al Rosario tutti giorni. Non si sarebbe mai aspettato, da una patronessa della carità un atto del genere.

L'onorevole, data l'imminenza delle elezioni politiche, aveva fatto una calorosa visita all'ospizio. Aveva salutato tutti personalmente e a tutti aveva proclamato che, se un giorno avessero avuto bisogno di lui, non avrebbero dovuto fare altro che salire le scale che portano al suo ufficio. Giovanni era commosso, prima di tutto perché aveva la medesima fede politica dell'onorevole, e poi perché qualcuno lo aveva ascoltato, gli aveva sorriso egli aveva stretto la mano. E un giorno salì quelle scale, poiché sentiva il bisogno di un altro sorriso. L'onorevole gli allungò dieci euro e l'accompagnò alla porta. Rimase tanto sorpreso che non ebbe nemmeno la forza di gettargli in faccia quel biglietto di banca, che ora gli bruciava fra le mani non meno delle lacrime che gli scendevano dagli occhi. Non si sarebbe mai aspettato, da uno del suo partito, un atto del genere.

Nel tornare all'ospizio, passò davanti ad una Chiesa; la porta era spalancata e dentro s'intuiva una frescura invitante. Entrò e, poiché nessuno lo fermò, si trovò proprio davanti all'altare maggiore e al tabernacolo, illuminato da una fioca luce. Si mise a sedere su una panca di legno e si fermò in attesa di calmarsi, poiché, non voleva farsi vedere in quello stato dai colleghi di Villa Serena. Si mise a pensare e a parlare piano… ebbe la sensazione che "Qualcuno" lo ascoltasse con interesse e che non fosse per niente annoiato dalle sue parole. Gli parve, addirittura, che un misterioso personaggio gli aprisse le braccia, per incoraggiarlo ad avvicinarsi ulteriormente; il cuore gli si gonfiò di gioia. Non sapeva nemmeno lui quanto tempo si fosse fermato ma, quando uscì, era certo che uno gli aveva sorriso. Ogni giorno tornò in chiesa e si fermò sempre più a lungo: non si sentiva più solo. Non si sarebbe mai aspettato, da Gesù, un atto del genere.

Gesù vero amico

4.0/5 (1 voto)

inviato da Nardo Masetti, inserito il 30/07/2010

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