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TESTO
1. Le beatitudini del pellegrino
La Vita in Cristo e nella Chiesa, novembre-dicembre 2024
Beato sei, pellegrino, se scopri che il cammino ti apre gli occhi a quello che non si vede.
Beato sei, pellegrino, se quello che ti preoccupa non è arrivare, ma arrivare con gli altri.
Beato sei, pellegrino, quando contempli il cammino e lo scopri pieno di nomi, di volti e di sorrisi.
Beato sei, pellegrino, perché hai scoperto che l'autentico cammino inizia quando finisce.
Beato sei, pellegrino, quando il tuo zaino si svuota di cose e il tuo cuore non sa dove mettere le tante emozioni.
Beato sei, pellegrino, se scopri che un passo indietro per stare gli altri vale di più che cento in avanti senza guardare chi sta al tuo fianco.
Beato sei, pellegrino, quando ti mancano le parole per ringraziare di tutto quello che ti meraviglia in ogni svolta del cammino.
Beato sei, pellegrino, se cerchi la verità e fai del tuo cammino una vita e della tua vita un cammino in cerca di chi è la Via, la Verità e la Vita.
Beato sei, pellegrino, se nel cammino ti incontri con te stesso e ti regali un tempo senza fretta per non dimenticare le immagini che ti suggerisce il tuo cuore.
Beato sei, pellegrino, se scopri che il cammino è fatto di silenzio, e il silenzio della preghiera, la preghiera dell'incontro con il Padre che ti aspetta.
pellegrinopellegrinaggiobeatitudini
inviato da Qumran2, inserito il 02/05/2025
TESTO
2. Il vero significato dell'Avvento 1
Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".
Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.
L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.
Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.
Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:
"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?
Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".
Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.
Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.
Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.
Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.
Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.
Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.
avventoanno liturgicoattesasperanzaparusia
inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018
TESTO
Roberto Benigni, I Dieci Comandamenti, Rai 1, 15 dicembre 2014
Il problema fondamentale dell'umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso... amarsi. Solo che ora è diventato più urgente, molto più urgente, e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l'un l'altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo. Ci dobbiamo affrettare, affrettiamoci ad amare, noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi, affrettiamoci ad amare, perché al tramonto della vita saremo giudicati sull'amore, perché non esiste amore sprecato e perché non esiste un'emozione più grande di sentire quando siamo innamorati che la nostra vita dipende totalmente da un'altra persona, che non bastiamo a noi stessi, e che tutte le cose, ma anche quelle inanimate come le montagne, i mari, le strade, il cielo, il vento, le stelle, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi... tutte queste cose, che di per sé sono vuote, indifferenti, improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono, perché? Perché contengono un presentimento d'amore, anche le cose inanimate, perché il fasciame di tutta la creazione è amore e perché l'amore combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Si, la felicità... e a proposito di felicità, cercatela, tutti i giorni, continuamente e anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità ora, in questo momento stesso perché è lì, ce l'avete, ce l'abbiamo perché l'hanno data a tutti noi, ce l'hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l'hanno data in regalo, in dote, ed era un regalo così bello che l'abbiamo nascosto, come fanno i cani con l'osso, quando lo nascondono; e molti di noi l'hanno nascosto così bene che non si ricordano più dove l'hanno messo, ma ce l'avete, ce l'abbiamo. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all'aria: i cassetti, i comodini che avete dentro... vedrete che esce fuori, c'è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa ma è lì, dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei, fino all'ultimo giorno della nostra vita.
E non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire eh! Non bisogna avere paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. Saltate dentro l'esistenza ora, qui, perché se non trovate niente ora, non troverete niente mai più, è qui l'eternità, e allora dobbiamo dire "SI” alla vita, dobbiamo dire un SI talmente pieno alla vita che sia capace di arginare tutti i no, perché alla fine di queste due serate insieme, abbiamo capito che non sappiamo niente e che non ci si capisce niente, e si capisce solo che c'è un gran mistero che bisogna prenderlo come è e lasciarlo stare, e che la cosa che fa più impressione al mondo è la vita che va avanti e non si capisce come faccia; "Ma come fa? Come fa a resistere? Ma come fa a durare così?"... è un altro mistero, e nessuno lo ha mai capito, perché la vita e molto più di quello che possiamo capire noi, per questo devi resistere. Se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita da tanto, tanto tempo, e noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all'altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito, e allora ad ognuno di noi non rimane che una cosa da fare: inchinarsi.
amarsiamorefelicitàcomandamentibenignimortevitasenso della vitaviveremistero
inviato da Qumran, inserito il 02/12/2017
TESTO
Prometti a te stesso
di essere così forte che nulla potrà disturbare la serenità della tua mente.
Prometti a te stesso
di parlare di bontà, bellezza, amore ad ogni persona che incontri;
di far sentire a tutti i tuoi amici che c'è qualcosa di grande in loro;
di guardare il lato bello di ogni cosa e di lottare perché il tuo ottimismo diventi realtà.
Prometti a te stesso
di pensare solo al meglio, di lavorare solo per il meglio, di aspettarti solo il meglio,
di essere entusiasta del successo degli altri come lo sei del tuo.
Prometti a te stesso
di dimenticare gli errori del passato per guardare a quanto di grande puoi fare in futuro;
di essere sereno in ogni circostanza, di regalare un sorriso ad ogni creatura che incontri;
di dedicare così tanto tempo a migliorare il tuo carattere, da non avere tempo per criticare gli altri.
Prometti a te stesso
di essere troppo nobile per l'ira, troppo forte per la paura, troppo felice per lasciarti vincere dal dolore.
vitaserenitàforza interioreottimismosperanza
inviato da Edda Guastalla, inserito il 21/08/2017
RACCONTO
5. Il foglio e il punto nero 2
Mons. Gianfranco Ravasi, Avvenire, 5/1/2011
Un maestro indù mostrò un giorno ai suoi discepoli un foglio di carta con un punto nero nel mezzo. «Che cosa vedete?», chiese. «Un punto nero!» risposero. «Nessuno di voi è stato capace di vedere il grande spazio bianco!», replicò il maestro.
È questa la legge che fa riempire di cronaca nera i giornali e le televisioni: un solo delitto ha più peso di mille atti di generosità e d'amore, secondo i parametri dell'informazione. Anche noi siamo pronti a cogliere la pagliuzza nell'occhio dell'altro e ignoriamo la luminosità sorridente di tanti sguardi. È normale elencare tutte le amarezze dell'esistenza e ignorare la quiete e le gioie che pure accompagnano la maggior parte dei nostri giorni. Il nostro pensiero si fissa con più facilità sui punti neri del cielo della storia che non sulle distese di azzurro e di luce. Certo, non si deve essere così ottimisti o ingenui da ignorare il male che pure costella le vicende umane, ma non è giusto considerare come marginali la meraviglia delle albe e dei tramonti, lo stupore del sorriso dei bambini, il fascino dell'intelligenza, il calore dell'amore. Il sì è più forte del no.
E in questa linea vorremmo aggiungere un'altra nota. Ce la offre Pirandello nel suo dramma Il piacere dell'onestà (1918) quando il protagonista dichiara: «È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si dev'essere sempre».
Anche nel bene può, quindi, vigere la stessa legge: il punto più luminoso dell'eroismo attira tutta l'attenzione, facendo dimenticare che è ben più mirabile il tenue filo di luce che percorre tutte le giornate di un genitore dedicato alla sua famiglia, forse con un figlio disabile. C'è un eroismo quotidiano che non fa suonare le trombe davanti a sé, ma che ha in sé una grandezza ben più gloriosa.
benemaleottimismopessimismopositivitànegativitàimpegnoresponsabilità
inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2017
TESTO
Carlo Maria Martini, La famiglia alla prova
Il Signore chiama solo per rendere felici. Le possibili scelte di vita, il matrimonio e la vita consacrata, la dedizione al ministero del prete e del diacono, l'assunzione della professione come una missione possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall'amore e non dall'egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo.
La prima è quella di essere marito e moglie, papà e mamma. L'inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l'altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita. L'amore che ha persuaso al matrimonio non si riduce all'emozione di una stagione un po' euforica, non è solo un'attrazione che il tempo consuma. L'amore sponsale è vocazione: nel volersi bene, marito e moglie possono riconoscere la chiamata del Signore.
Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Vorrei pertanto invitare a custodire la bellezza dell'amore sponsale e a perseverare in questa vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili.
Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l'umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui si vive, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza di questa vocazione. È necessario reagire all'inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.
Invito pertanto a pregare insieme: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per sé, i figli, gli amici, la comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra i coniugi.
Invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del matrimonio, quella del battesimo dei figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.
Invito a trovare il tempo per parlare l'uno all'altro con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedersi scusa, rallegrarsi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.
Invito infine gli sposi ad avere fiducia nell'incidenza della loro opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall'impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vocazione dei genitori a educare è benedetta da Dio: perciò occorre che essi trasformino le loro apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore fa: occorre accoglierla con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non bisogna perdersi d'animo, non c'è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. Ed esorto ad affidare spesso i figli alla protezione di Maria, a non tralasciare una decina del rosario per ciascuno di loro, con fiducia e senza perdere la stima né di se stessi né dei propri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione.
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inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017
TESTO
7. Esame di coscienza dello Sportivo 1
Ufficio Nazionale Cei Pastorale dello sport, tempo libero e turismo, Fare pastorale dello sport in Parrocchia, 2013
Passa il tempo, cambia il modo di concepire il bene e il male, ma le due tavole della Legge permangono validissime. I Dieci Comandamenti, rimeditati lungo il percorso del pellegrinaggio giubilare, nel silenzio del cuore, offrono indicazioni sempre attuali per tutti gli sportivi.
Non avrai altro Dio fuori di me
Lo sport ha i suoi dei, ogni sport ha il suo Dio. È sconvolgente quando nello sport emerge un Dio che fa dimenticare il vero ed unico Dio. Non è giusto fare dello sport per esaltare se stesso, mettendo da parte Dio.
Non nominare il nome di Dio invano
Purtroppo lo sport offre una spaventosa occasione per bestemmiare; sia sul campo, sia ai suoi bordi, vissuta come scarica del nervosismo procurato dall'evento sportivo.
Ricordati di santificare le feste
Spesso non si va a Messa nei giorni festivi con la scusa della partita. Si perde il valore del "Giorno del Signore". L'impegno sportivo diventa una facile scusante.
Onora il padre e la madre
Il giocatore, una volta raggiunti i buoni livelli sportivi, non sente più la necessità della "tutela". I cambiamenti di società ed i rapporti sportivi diminuiscono i legami familiari per dare più importanza all'interesse sportivo.
Non ammazzare
La violenza dello sport è vissuta come una necessità per dare sostegno alla propria capacità e danneggiare l'intervento dell'avversario. La violenza è vissuta dagli spettatori come partecipazione attiva all'evento sportivo a favore della propria squadra.
Non commettere atti impuri
Purtroppo anche nello sport prevale la mancanza di rispetto del proprio corpo. Lo spogliatoio mette a dura prova parecchi giovani.
Non rubare
Ci sono anche furti legati allo sport. Si ruba il risultato dell'evento sportivo, riuscendo a pesare sulle decisioni dell'arbitro. Quante partite truccate?!
Non dire falsa testimonianza
Lo sport è vissuto, il più delle volte, come recitazione o come simulazione. Spesso questo comportamento è insegnato dai responsabili delle attività sportive. Quante simulazioni di fallo!
Non desiderare la roba d'altri
Quanti desideri per l'acquisto di attrezzature personali a imitazione dei professionisti. Acquisti che mettono a dura prova il bilancio familiare e che, se insoddisfatti, rendono infelice il giovane.
Non desiderare la donna d'altri
Il desiderio è forte, la tentazione può diventare convincente, ma occorre vigilare per non lasciarsi prendere dalla concupiscienza. Se rispetti, sarai rispettato, se giochi al ribasso sarai un perdente e imbrogli i rapporti veri e sacri.
Cfr. G. P. Ormezzano, Lo sport che fa male, ed. Gruppo Abele, Torino.
esame di coscienzasportsportivicomandamenticorrettezza
inviato da Qumran2, inserito il 26/08/2016
TESTO
8. Lettera dei genitori nel giorno di Battesimo
M. Houbaut, Pour prier avec les sept sacrements, Le Chalet, 1985
Figlio nostro, oggi abbiamo voluto battezzarti in Cristo Gesù,
immergerti nella morte e nella resurrezione del Dio in cui noi crediamo.
In questa lettera, che potrai leggere in seguito, vogliamo dirti perché l'abbiamo fatto.
Non è per importi una scelta che ti abbiamo fatto battezzare,
ma per aprire davanti a te un cammino di libertà
che domani potrai liberamente scegliere di fare tuo.
Abbiamo voluto darti ciò che avevamo di meglio.
Noi crediamo che questo piccolo seme di fede, seminato oggi nel giardino del tuo cuore,
nella luce del giorno e nelle tenebre della notte, germinerà nel segreto della tua vita.
Ti immergiamo oggi nell'oceano di amore di Gesù per darti una forza nuova più grande di te,
sarà il coraggio dei tuoi combattimenti, la chiarezza delle tue scelte, la luce dei tuoi passi.
Per vincere le forze del male essa sarà la tua speranza e la tua gioia.
Abbiamo voluto battezzarti in Cristo perché tu diventi un uomo libero e responsabile
in questo mondo a volte un po' folle.
E soprattutto perché tu diventi un fratello che costruisce,
con Dio, l'avvenire della nostra terra.
Sappi che un giorno potrai anche dimenticare questo dono immortale,
ma rimarrai segretamente segnato dal fuoco del suo appello.
Come la Vergine Maria che offre suo Figlio Gesù nel Tempio,
noi abbiamo voluto portarti sulla soglia della casa del Dio imprevedibile,
deporti tra le braccia della sua Chiesa
e farti entrare nel popolo dei credenti che diventano tuoi fratelli e sorelle.
E quando, domani, non potremo più accompagnarti nel cammino della vita, ti resterà almeno,
scolpita nella fronte e nel cuore, la croce di Cristo vincitore.
È lui infatti, lui solo, il tuo Salvatore e il tuo Signore che traccerà per te un cammino di pace e di libertà.
Al di là delle tue angosce e delle tue miserie, è lui che ti aprirà la casa del Padre e,
al momento della morte, ti darà la sua eternità di amore.
Mamma e Papà
inviato da Don Alessandro Nucci, inserito il 06/02/2016
TESTO
9. Seguire Gesù irresistibile e compassionevole
Giovanni Paolo II, Omelia, 7 maggio 1990, Città del Messico
Quale meravigliosa "seduzione" emanava la persona di Gesù, che trascinava dietro di sé folle che dimenticavano persino di mangiare per essere accanto a lui ed ascoltare la sua parola!
Quale desiderio irresistibile di avvicinarsi alla fonte della Vita per soddisfare le ansie più profonde del cuore umano!
Che sensibilità ed umanità quelle di Gesù, al quale la predicazione del Regno di Dio non fa dimenticare il bisogno del sostentamento giornaliero di coloro che lo seguono!
buon pastorecompassionepredicazioneattenzione all'altrofamecaritàsolidarietà
inviato da Qumran2, inserito il 03/02/2016
PREGHIERA
10. Preghiera per il nome di Maria 2
Chiunque tu sia,
che nel flusso di questo tempo ti accorgi che,
più che camminare sulla terra,
stai come ondeggiando tra burrasche e tempeste,
non distogliere gli occhi dallo splendore di questa stella,
se non vuoi essere sopraffatto dalla burrasca!
Se sei sbattuto dalle onde della superbia,
dell'ambizione, della calunnia, della gelosia,
guarda la stella, invoca Maria.
Se l'ira o l'avarizia, o le lusinghe della carne
hanno scosso la navicella del tuo animo, guarda Maria.
Se turbato dalla enormità dei peccati,
se confuso per l'indegnità della coscienza,
cominci ad essere inghiottito dal baratro della tristezza
e dall'abisso della disperazione, pensa a Maria.
Non si allontani dalla tua bocca e dal tuo cuore,
e per ottenere l'aiuto della sua preghiera,
non dimenticare l'esempio della sua vita.
Seguendo lei non puoi smarrirti,
pregando lei non puoi disperare.
Se lei ti sorregge non cadi,
se lei ti protegge non cedi alla paura,
se lei ti è propizia raggiungi la mèta.
inviato da Cesarina Volonte', inserito il 08/12/2014
TESTO
Primo Mazzolari, Bozzolo, Giovedì Santo 1958
Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell'anima io non lo so. È uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore.
Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po' di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: "Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo!" Amico! Questa parola che vi dice l'infinita tenerezza della carità del Signore, vi fa anche capire perché io l'ho chiamato in questo momento fratello. Aveva detto nel Cenacolo non vi chiamerò servi ma amici. Gli Apostoli son diventati gli amici del Signore: buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono sempre gli amici. Noi possiamo tradire l'amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore...
Povero Giuda. Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il Cristo; è quello di disperare. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui. Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda...
Io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l'ultimo momento, ricordando quella parola e l'accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni...
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inviato da Qumran2, inserito il 21/06/2014
RACCONTO
C'era una volta un uomo che voleva conoscere più cose possibili su Dio.
Un mattino, dunque, partì per chiedere a tutti gli uomini e a tutte le cose di parlargli di Dio.
Disse al soldato: "Parlami di Dio!" E il soldato lasciò cadere le armi.
Disse al povero: "Parlami di Dio!' E il povero gli offrì il suo mantello.
Disse al ciliegio: "Parlami di Dio!". E il ciliegio fiorì.
Disse alla casa: "Parlami di Dio!". E la casa aprì la sua porta.
Disse all'albero: "Parlami di Dio!". E l'albero allargò i suoi rami per proteggerlo dai raggi di sole.
Disse al bambino: "Parlami di Dio!". E il bambino si mise a sorridere.
Disse alla neve: "Parlami di Dio!". E la neve continuò a fioccare lieve, lieve.
Disse al pesce: "Parlami di Dio!". E il pesce guizzò via come una freccia.
Disse all'ippopotamo: "Parlami di Dio!". E l'ippopotamo si mise a ciondolare.
Disse al cielo: "Parlami di Dio!". E il cielo indicò la terra e il creato.
Arrivata la sera, l'uomo se ne tornò a casa, tutto contento: non aveva mai imparato tante cose su Dio come in quel giorno! Allora, per non dimenticare nulla, ripassò a memoria tutti gli incontri, e gli venne spontaneo ringraziare.
Grazie soldato: da te ho imparato che Dio è Pace.
Grazie, povero: da te ho imparato che Dio è generosità.
Grazie, ciliegio: da te ho imparato che Dio è bellezza.
Grazie casa: da te ho imparato che Dio accoglie tutti.
Grazie, albero: da te ho imparato che Dio è benigno.
Grazie, bambino: da te ho imparato che Dio è un sorriso.
Grazie, neve: da te ho imparato che Dio è silenzio.
Grazie, pesce: da te ho imparato che Dio è sempre giovane.
Grazie, ippopotamo: da te ho imparato che Dio è umorista.
Grazie, cielo: da te ho imparato che Dio è il grande Creatore di tutto!
inviato da Qumran2, inserito il 21/06/2014
TESTO
Rivista Concilium 2/2013, pag 157
Il nostro primo compito nell'avvicinarci a un'altra persona, a un'altra cultura, a un'altra religione è di toglierci i calzari perché il luogo a cui ci stiamo avvicinando è sacro. Sennò potremmo ritrovarci a camminare in un altro sogno. Cosa ancor più grave, potremmo dimenticare che Dio era lì prima del nostro arrivo.
missionepresenza di Dioevangelizzazioneculturarispettoaperturaconoscenza
inviato da Fr. Marcellino Pane, inserito il 20/09/2013
PREGHIERA
Mio Dio eccomi.
Signore, quanto vorrei poterti dire così, quanto vorrei potermi fidare di te al punto da presentarmi davanti a te così come sono, senza preparare le parole, senza pensare a come sono vestita, senza timore di non essere accettata.
Come vorrei, Signore, buttarmi nelle tue braccia con gli occhi chiusi, fare il grande salto, superare le acque che sotto si muovono e rumoreggiano ostili, incurante dell'abisso che ci separa, senza paura di essere risucchiata dai gorghi di morte, senza ali che mi sollevino in alto.
Come vorrei Signore potermi affidare completamente a te al punto da dimenticare la distanza e il vuoto che si apre davanti ai miei occhi.
Sono, Signore, ancora tutta impastata di paura, di pregiudizi, di dubbi, sono ancora troppo preoccupata di me e di ciò che tu potresti dire, fare o pensare.
Signore mio Dio, eccomi davanti a te, questa mattina: i miei vestiti li vedi, sono quelli di cui non ancora riesco a fare a meno, il mio cuore non ancora si apre stabilmente al tuo amore, le braccia sono contratte, incapaci ti tendersi verso di te, la mente non riesce ancora a farsi da parte perché il desiderio di studiarti, capirti possederti è troppo grande.
Signore mio Dio eccomi con tutte le imperfezioni di cui sono piena, eccomi con tutte le contraddizioni che mi porto addosso, mio Dio eccomi con la mia incapacità di vivere la fede in modo semplice e sereno, mio Dio eccomi anche se non riesco a ritornare bambina, non riesco a ridiventare piccola come quelli a cui hai promesso il regno dei cieli..
Mio Dio eccomi ancora tanto attaccata alla terra, a questa sponda del mare, così tanto timorosa di prendere il largo, abbandonando le reti a terra, le mie sicurezze, lasciando la barca con cui sono abituata ad andare a pescare da sola, a prendere pesci destinati ad imbandire una mensa alla quale spesso dimentico d'invitarti.
Mio Dio eccomi, con lo sguardo perso nel vuoto, rivolto al mare che tu mi inviti ad attraversare, a solcare con la tua barca, incominciando il cammino a piedi nudi, camminando sull'acqua, che pure si muove e mi ricorda l'insidia che si cela sotto di essa.
Mio Dio eccomi, con la paura a procedere ferma e salda sulla strada che tu mi indichi.
Ti vedo allargare le braccia, ti vedo guardarmi negli occhi, con amore, con autorevolezza.
Mio Dio eccomi: Dio di amore, di misericordia, di giustizia, Dio padre e madre, Dio di tenerezza, Dio di compassione, Dio buono, Dio che mi stai aspettando, perché smetta di piangere e di avere paura.
Mio Dio eccomi
affidamentofedefiduciarapporto con Diopauracoraggiolimiti
inviato da Antonietta Milella, inserito il 20/09/2012
TESTO
attribuito a Papa Giovanni XXIII
1. Essere buono è dimenticare se stessi per pensare agli altri.
2. Essere buono è perdonare sempre, pensando che la debolezza umana è più grande della cattiveria.
3. Essere buono è avere pietà della debolezza altrui, pensando che noi non siamo diversi dagli altri e che, nelle loro condizioni, forse saremmo stati peggiori.
4. Essere buono è chiudere gli occhi davanti all'ingratitudine.
5. Essere buono è dare anche quando non si riceve, sorridendo a chi non comprende o non apprezza la nostra generosità.
6. Essere buono è sacrificarsi, aggiungendo al peso delle nostre pene di ogni giorno, quello delle pene altrui.
7. Essere buono è tenere ben stretto il proprio cuore, per riuscire a soffocare le sofferenze e a sorridere costantemente.
8. Essere buono vuol dire accettare il fatto poco simpatico che più doneremo, più ci sarà domandato.
9. Essere buono è acconsentire a non avere più nulla riservato a noi stessi, tranne la gioia della coscienza pura.
10. Essere buono è riconoscere con semplicità che davvero buono è solo Dio.
bontàgenerositàmisericordiamagnanimitàsacrificiosorrisogratuità
inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 23/08/2012
PREGHIERA
16. La preghiera di un animatore 1
Hai un momento Dio? Preghiere nate e cresciute sul Web, Patrizio Righero, Effatà editrice, 2011
Aiutami a stare sveglio, Signore, altrimenti la mia preghiera si perderà
in chissà quale sogno strampalato.
Aiutami a stare sveglio, perché ho tante cose da raccontarti e poche energie per farlo.
Voglio raccontarti tutti i ragazzi che hanno riempito le mie ore.
Uno per uno.
Nome per nome.
Volto per volto.
Ma voglio raccontarti anche gli animatori.
Uno per uno.
Nome per nome.
Volto per volto.
E poi della "saletta" che sembra un campo di battaglia, tutta barattoli, cartelloni, pennarelli e bottiglie di aranciata che si svuotano sempre troppo in fretta.
Non posso neanche dimenticare di parlarti di quel papà:
mi ha chiesto di dare un'occhiata speciale al suo bambino che sulla sedia a rotelle non vuole stare di un solo centimetro dietro agli altri.
E del don? Ti ricordi del don, che urla, salta, sposta sedie, corre come un matto e un attimo dopo prende in mano la Bibbia e ci parla di te con una tenerezza che ci fa venire la pelle d'oca?
Ricordati di tutti, Signore.
E domani ributtami nella mischia, come oggi, più di oggi.
La fatica è già passata.
La gioia di questi giorni, invece, resterà per sempre.
educatoreeducatorianimatoregruppo educatori
inviato da Roberta Crosato, inserito il 22/08/2012
TESTO
Mahmoud Darwish, Kazahri al-Lawzi aw Ab'ad (come il fiore di mandorlo o più lontano)
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell'acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
caritàamorealtruismosolidarietàingiustiziagiustiziaaltripacepovertàricchezza
inviato da Letizia Mariotti, inserito il 12/08/2012
TESTO
Spesso quando ascoltiamo pensiamo quello che dobbiamo rispondere. Ma questo è sentire.
Ascoltare è dimenticare se stessi e ascoltare la persona che parla.
inserito il 11/08/2012
PREGHIERA
19. Preghiera di fine campo scuola 2
Gesù, spesso mi ricordo di parlare con te solo quando mi serve qualcosa,
invece oggi è l'ultimo giorno del camposcuola e se ripenso a questi giorni.. è giusto dirti Grazie!!
Grazie per avermi fatto vivere questa esperienza!
È stato proprio un mix:
C'è stata soddisfazione,
quando non mi sono lasciato affondare dalla frase "non ho voglia di fare questo".
Ci sono stati successi,
quando ho trovato il coraggio di mettermi in gioco e superare la timidezza.
Ci sono state anche le arrabbiature,
perché perdendo la pazienza mi chiudevo in me invece di confrontarmi con i miei amici.
Ci sono stati tanti sentimenti e sensazioni che non mi aspettavo
e tutto ciò ha reso questa esperienza unica!
Grazie per tutti gli amici, che conoscevo già e nuovi,
con cui ho vissuto questa settimana;
ma altri sono rimasti a casa, aiutami a portare un po' di camposcuola anche a loro.
Spero di non dimenticare ogni momento, bello o brutto, perché tutti sono stati utili
e spero di ricordarmi i "suggerimenti per vivere meglio" che ci hanno dato gli animatori; ma nella mia testolina non c'entra tutto, quindi...
questo camposcuola lo affido a te!
Ridammelo un poco alla volta, nella vita di tutti i giorni, quando ne avrò più bisogno! Grazie!
campo scuolacampeggioringraziamento
inviato da Andrea Pegoraro, inserito il 24/06/2012
PREGHIERA
20. Figlio mio, il Padre nostro detto da Dio 7
Hai pensato come Dio direbbe il "Padre nostro"? o meglio il "Figlio mio".
Figlio mio, che stai nella terra e ti senti preoccupato, confuso, disorientato, solo, triste e angosciato.
Io conosco perfettamente il tuo nome e lo pronuncio benedicendolo, perché ti amo, e ti accetto così come sei.
Insieme costruiremo il mio Regno, del quale tu sei mio erede e in esso non sarai solo perché Io sono in te, come tu sei in me.
Desidero che tu faccia sempre la mia volontà, perché la mia volonta è che tu sia umanamente felice.
Avrai il pane quotidiano. Non ti preoccupare. Però ricorda, non è solo tuo, ti chiedo di dividerlo sempre con il tuo prossimo, ecco perché lo do a te, perché so che sai che è per te e per tutti i tutti i tuoi fratelli.
Perdono sempre le tue offese, anzi ti assolvo prima che le commetta, so che le commetterai, però so anche che a volte è l'unico modo che hai per imparare, crescere e avvicinarti a me, alla tua vocazione. Ti chiedo solo, che in egual modo, perdoni te stesso e perdoni coloro che ti feriscono.
So che avrai tentazioni e sono certo che le supererai.
Stringimi la mano, aggrappati sempre a me, ed io ti darò il discernimento e la forza perché ti liberi dal male.
Non dimenticare mai che ti amo da prima che tu nascessi, e che ti amerò oltre la fine dei tuoi giorni, perché sono in te, come tu sei in me. Che la mia benedizione scenda e rimanga su di te sempre e che la mia pace e l'amore eterno ti accompagnino sempre.
Solo da me potrai ottenerli e solo io posso darteli perché Io sono l'Amore e la Pace.
inviato da Cesarina Volontè, inserito il 21/09/2011