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TESTO
card. Joseph Mindszenty, Memorie
Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario, della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella soglia...».
Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di segregazione in carcere.
Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.
Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre: l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè vedere gli altri quattro.
Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.
Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero sofferto.
Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.
In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro; la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso la patria.
In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.
Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.
Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.
Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.
Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che verosimilmente non vedrò mai.
Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.
inviato da Cristiano Ballan, inserito il 02/06/2009
PREGHIERA
Giusy Maugeri, poesia
Rincorro aliti di vita
fuggevoli
spenti
pulsanti solo per fronteggiare
innumerevoli malanni
Il corpo è stanco
la mente è viva
la paura incalza
L'anima arrendevole ricerca strenuamente
la voce del Maestro
e la preghiera sale al cielo
ora distratta
ora accorata
Il grido più forte:
Pensaci Tu!
inviato da Giusy Maugeri, inserito il 02/06/2009
TESTO
S. Lucia Filippini, Pensieri
Soggiorna egli sulla terra,
perché a noi ha ceduto il cielo;
giace sul fieno,
per dare a noi di calpestar le stelle;
vagisce tra due animali,
per farci conversare con gli angeli;
trema nudo di panni,
per ammantare noi
di luce e di gloria immortale.
elevazionegratitudinenascitanatale
inviato da Suor Antonina Bonomo, Maestra Pia Filippini, inserito il 29/05/2009
TESTO
164. Dieci cose che Dio ti chiederà 2
Dio non ti chiederà che modello di auto usavi,
ti chiederà a quanta gente hai dato un passaggio.
Dio non ti chiederà i metri quadrati della tua casa,
ti chiederà quanta gente hai ospitato.
Dio non ti chiederà la marca dei vestiti nel tuo armadio,
ti chiederà quanta gente hai aiutato a vestirsi.
Dio non ti chiederà quanto era alto il tuo stipendio,
ti chiederà se hai venduto la tua coscienza per ottenerlo.
Dio non ti chiederà qual era il tuo titolo di studio,
ti chiederà se hai fatto il tuo lavoro al meglio delle tue capacità.
Dio non ti chiederà quanti amici avevi,
ti chiederà quanta gente ti considerava suo amico.
Dio non ti chiederà in che quartiere vivevi,
ti chiederà come trattavi i tuoi vicini.
Dio non ti chiederà il colore della tua pelle,
ti chiederà la purezza della tua anima.
Dio non ti chiederà perché hai tardato tanto a cercare la salvezza,
ti porterà con amore alla tua casa in Cielo, e non alle porte dell'inferno.
Dio non accusa:
ti chiede solo di predicare con l'esempio.
giudizioesempiomisericordiavita eternasenso della vitavitaimpegnoresponsabilità
inviato da Don Antonio Sambataro, inserito il 19/05/2009
TESTO
165. Beatitudini degli educatori 3
Beati gli educatori "poveri in spirito"
che, per educare alla fede i ragazzi, tirano fuori e spendono tutto ciò che Dio ha dato loro: tempo, energie, fantasia...
Beati gli educatori "miti"
che evitano la tentazione delle scorciatoie, delle minacce, dei ricatti e prediligono la convinzione, il dialogo, la pazienza.
Beati gli educatori "affamati e assetati di giustizia"
che non si rifugiano nel passato ma lottano per un'educazione alla fede adeguata ai ragazzi di oggi.
Beati gli educatori "misericordiosi"
che, comprendendo le difficoltà dei ragazzi e delle loro famiglie, non sentenziano ma ricercano soluzioni equilibrate.
Beati gli educatori "operatori di pace"
di quella pace che nasce "dalla spada e dal fuoco" del Vangelo contro tutto ciò che può danneggiare il cammino dei ragazzi verso la fede.
Beati gli educatori "perseguitati"
dal tempo che non basta mai; da quei bambini che "se non ci fossero" e invece ci sono; dalla tentazione di lasciare, ma che ricominciano sempre.
Beati gli educatori così!
Avranno un posto bellissimo in cielo.
E in più, la gioia di incontrare "lassù" qualcuno che sta lì perché anche grazie a loro ha imboccato la strada per arrivarci.
inviato da Marco Malatesta, inserito il 07/09/2008
PREGHIERA
Signore Gesù,
missionario del Padre,
hai inviato gli apostoli
inondati dal tuo Spirito
ad annunciare il tuo Vangelo
fino agli estremi confini della terra.
Oggi ti fidi di noi
ci invii ad annunciare
la tua parola.
Ti preghiamo
per quelle anime generose
che lasciano la propria famiglia,
la propria casa
e si spingono
in terre sconosciute
per essere come te,
donare il pane...
donare te pane vivo
disceso dal cielo,
donare la propria vita
come hai fatto tu.
Signore, ti preghiamo
anche per il nostro "ricco occidente"
spesso cristiano solo di nome,
ma sempre più povero di te,
incapace di riconoscere il tuo amore,
perché amori passeggeri
attraggono sempre più...!
Aiuta, Signore
ciascuno di noi
a saper lasciare la terra
della "convenienza"
della comodità
per esserti testimone
in un ambiente
indifferente ai valori
da te proclamati.
Sostienici con il tuo spirito
per essere missionari
ogni giorno
lì dove ci chiami a vivere!
missionemissionarietàevangelizzazione
inviato da Giuditta De Feo, inserito il 07/09/2008
RACCONTO
167. Il pozzo e la pozzanghera 1
Un giorno una pozzanghera disse al pozzo vicino a sé: "Che vita insignificante la mia! Nessuno si accorge di me se non che qualche uccellino ogni tanto, per bere un po' d'acqua. Tu invece sei ben conosciuto e vengono a te da lontano, ti hanno dato persino un nome".
Il pozzo le rispose: "Cara amica mia, è vero che vengono da lontano e che mi hanno dato un nome, ma non vengono per me, vengono tutti a prendere l'acqua che la terra mi dona e se ne vanno felici per l'acqua che possono prendere. Ma a me va bene così, perché in ogni caso li vedo andar via contenti. Ma anche tu non devi lamentarti, perché è vero che non hai un nome ma quando la tua acqua è calma, riflette lo stupendo azzurro del cielo sulla terra, mentre la mia acqua non ha che buio attorno a sé. Pensaci amica mia, ciò che conta sia per me che per te è permettere all'acqua che ci viene donata di dissetare chi ne ha bisogno. Tu cara amica, disseti chi non sa più guardare il cielo".
gratuitàcondivisioneinterioritàtestimonianza
inviato da Stefano Lovecchio, inserito il 15/04/2008
PREGHIERA
Hai chiamato i nostri cuori per nome.
Hai messo i nostri passi sulla stessa strada.
Hai disegnato il nostro cammino fino a te,
ed oggi la tua presenza avvolge in un tenero abbraccio
il nostro amore.
Hai messo un "sì" sulle nostre labbra per annunciare
l'infinita meraviglia del tuo agire.
Adesso da un angolo del cielo
veglia sulla nostra unione,
rafforza quei passi e guidaci su quella strada.
Dacci forza quando l'amore quotidiano perderà il suo entusiasmo.
Parla ai nostri cuori quando il silenzio si farà sentire.
Dacci parole per chi vive nel silenzio.
Dacci gioia per chi vive nel dolore.
Dacci speranza per chi non la conosce.
La nostra casa sia aperta come lo è la tua oggi.
I nostri figli siano il tuo sogno più bello
e noi capaci di realizzarlo come tu vuoi.
Accompagna chi ci ha portato fin qui,
dona loro la certezza che il nostro amore
è parte del loro,
che la nostra gioia è frutto dei loro sacrifici.
Regala al nostro stare insieme,
tutti i giorni che hai stabilito per noi
e quando chiamerai a te uno di noi,
l'uno possa dire all'altro un altro "sì".
sposimatrimoniocoppiaamorefamiglia
inviato da Marina Malaguti, inserito il 13/04/2008
TESTO
La sapienza eterna di Dio ha previsto fin dal principio la croce che egli ti invia dal profondo del suo cuore come un dono prezioso.
Prima di inviartela egli l'ha contemplata con i suoi occhi onniscienti, l'ha meditata col suo divino intelletto, l'ha esaminata al lume della sua sapiente giustizia.
E le ha dato calore stringendola tra le sue braccia amorose, l'ha soppesata con ambo le mani se mai non fosse di un millimetro troppo grande o di un milligrammo troppo greve.
Poi l'ha benedetta nel suo nome santissimo, l'ha cosparsa col balsamo della sua grazia e col profumo del suo conforto.
Poi ha guardato ancora a te, al tuo coraggio...
Perciò la croce viene a te dal cielo, come un saluto del Signore, come un'elemosina del suo misericordioso amore.
inviato da Daniela Porta, inserito il 19/03/2008
RACCONTO
(Sara, 12 anni, figlia di Giairo, capo della Sinagoga di Cafarnao, cfr. Mc. 5,21-43)
"...Gesù!"
Il tuo nome è l'ultima parola che ho afferrato prima di morire. "Vado a chiamare Gesù", così ripeteva mio papà, lasciandomi per venire a cercarti.
"È arrivato tardi", mormoravano a bocca stretta, i miei vicini di casa; ero già morta, infatti, quando sei arrivato. Avevo dodici anni. "La bambina dorme, ora la sveglio", ti sentirono dire, chiusi nel loro silenzio, ti disprezzarono.
Tenendomi la mano, tu hai detto: "Talità kum!". "Fanciulla, io te lo ordino, alzati!" Non so dove la tua voce mi ha raggiunto; non so come hai fatto a trovarmi. Come un gigante tu hai attraversato, vittorioso, il buio della mia morte. Ho dischiuso gli occhi e ho visto il tuo volto: forte e sorridente.
Ma una ruga ti si formò in mezzo alla fronte, all'improvviso, come una ferita! Tu hai detto: "Datele da mangiare"; contenti ti hanno obbedito; ma io non avrei mai distolto i miei occhi dai tuoi.
Così ho ricominciato a vivere: grazie a te. "E' grazie a Gesù - spiegavo a tutti - se sono di nuovo viva". Mio papà e io non ti abbiamo più lasciato: due anni incredibili vissuti vicino a te. Quanta strada abbiamo fatto insieme a te; quante parole, quanti silenzi, quanti malati guariti, quanti lebbrosi sanati, quanti peccatori perdonati, quanti afflitti consolati, quanti sorrisi restituiti: e ogni volta sul tuo bel volto, una ruga, una ferita in più.
Mi sono sentita perduta il giorno che ti hanno arrestato. Perché farti del male, a te che hai fatto sempre del bene? Perché far del male al mio Gesù? Perché ti hanno flagellato? Perché coprire di sputi il tuo volto così bello? Perché ti hanno preso a schiaffi? Ti hanno messo perfino una corona di spine: perché trattare così il mio Re?
Papà mi ha detto che ti hanno inchiodato a una croce; che ci hai perdonato; che tua mamma era presente; che, prima di morire, anche tu hai chiamato tuo Padre; che il tuo viso era tutto una ferita.
Li ho visti, quel venerdì sera, i tuoi discepoli; vergognosi, tornavano dal Calvario impauriti, sconvolti, disperati. "E' la fine", dicevano, "è la fine". Ma io non potevo rassegnarmi; non potevo dimenticare, io: la mia carne ricordava. Io sapevo, io, che il tuo amore è più forte della morte.
M'hanno detto che sei risuscitato, che ti hanno incontrato: prima alcune donne, poi Pietro, Giovanni e tanti altri. Sono felici! Sembrano rinati! Come li capisco!
Io non ti ho ancora visto; sei salito in cielo: forse non ti vedrò più; ma non importa: le mie notti e i miei giorni sono fatti di te. Eppure, quanta voglia di ascoltarti, di abbracciarti, di vederti.
E' curioso: a volte mi sorprendo a pensare a te, a parlare con te, tanto è grande il desiderio che ho di te; allora chiudo gli occhi per ritrovare il tuo volto; è così grande il desiderio che... vorrei morire... per essere sempre con te, mio Gesù.
pasquacalvariorisurrezioneresurrezionerisortomortevitavita eterna
inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008
TESTO
171. Il Calvario tre giorni dopo 1
I Vangeli ci raccontano numerose apparizioni del Risorto avvenute nel giorno di Pasqua. Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l'apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto.
Le si avvicina Gesù e le dice: "Perché piangi?". Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore. Vedi: la collina del Calvario, che l'altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d'erba. I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni. No, non misurare sui calendari dell'uomo la distanza che separa quest'alba luminosa dal tramonto livido dell'ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un'eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.
Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch'io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: "Perché piangi?". Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l'ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l'ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi. Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando. Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia. Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione. Lo so.
Forse rischio di restare in silenzio anch'io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell'umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza. Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.
Forse rimarrò suggestionato anch'io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescienza di barbarie tra i minori della nostra città.
Forse mi arrenderò anch'io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.
Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.
Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all'ultima, tutte le carte dell'incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.
La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto.
Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del "terzo giorno". Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor. Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell'agonia, ma i travagli del parto.
E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d'ora le luci di un mondo nuovo!
Buona Pasqua!
pasquarisortoresurrezionevitagioiadoloresofferenzamortecrocesenso della vita
inviato da Marcello Rosa, inserito il 04/03/2008
TESTO
Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi.
Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.
Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all'acqua, più che alle parole. Non c'è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un "linguaggio a lunga conservazione".
È difficile, per esempio, sottrarsi all'urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un'autentica martellata quel richiamo all'unica cosa che conta: "Convertiti e credi al Vangelo". Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d'ulivo benedetti nell'ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all'impegno per la pace, all'accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione. Quello "shampoo alla cenere", comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.
Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell'acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l'abbiamo "udita con gli occhi", pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l'offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.
Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.
Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell'attesa di Cristo? "Una tantum" per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni!
Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.
La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l'ardore, mettiamoci alla ricerca dell'acqua da versare... sui piedi degli altri.
Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.
Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.
Un grande augurio.
mercoledì delle ceneriquaresimapentimentoserviziopenitenzaGiovedì Santolavanda dei piedi
inviato da Sandra Aral, inserito il 05/02/2008
TESTO
173. La vera gloria nasce soltanto dal dolore
La vita della Chiesa e la vita spirituale di ogni fedele sono una lotta continua. A volte, Dio concede alla sua Sposa giorni di grandezza spendida, visibile e tangibile. Egli dà alle anime momenti di ammirevole consolazione interiore o esteriore.
Ma la vera gloria della Chiesa e dei fedeli viene dalla sofferenza e dalla lotta. Lotta arida, senza bellezza sensibile né poesia definibile. Lotta in cui si avanza talora nella notte dell'anonimato, nel fango del disinteresse e dell'incomprensione, sotto la bufera e i bombardamenti scatenati dalle forze congiunte del demonio, del mondo e della carne. Una lotta che riempie di ammirazione gli Angeli del Cielo e attira la benedizione di Dio.
combattimento spiritualespiritualitàinterioritàconversione
inviato da Maria Rita Perricone, inserito il 25/11/2007
RACCONTO
174. Quando le croci sono troppe
Un uomo viaggiava, portando sulle spalle tante croci pesantissime. Era ansante, trafelato, oppresso e, passando un giorno davanti ad un crocifisso, se ne lamentò con il signore così:
"Ah, signore, io ho imparato nel catechismo che tu ci hai creato per conoscerti, amarti e servirti... Ma invece mi sembra di essere stato creato soltanto per portare le croci! Me ne hai date tante e così pesanti che io non ho più forza per portarle...".
Il Signore però gli disse: "ieni qui, figlio mio, posa queste croci per terra ed esaminiamole un poco... Ecco, questa è la croce più grossa e la più pesante; guarda cosa c' è scritto sopra...".
Quell'uomo guardò e lesse questa parola: sensualità.
"Lo vedi?", disse il Signore, "questa croce non te l'ho data io, ma te la sei fabbricata da solo. Hai avuto troppa smania di godere, sei andato in cerca di piaceri, di golosità, di divertimenti... E di conseguenza hai avuto malattie, povertà, rimorsi".
"Purtroppo è vero, soggiunse l'uomo, questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella croce e se la pose di nuovo sulle spalle.
Il Signore continuò: "Guarda quest' altra croce. C'è scritto sopra: ambizione. Anche questa l'hai fabbricata tu, non te l'ho data io. Hai avuto troppo desiderio di salire in alto, di occupare i primi posti, di stare al di sopra degli altri... E di conseguenza hai avuto odio, persecuzione, calunnie, disinganni".
"E' vero, è vero! Anche questa croce l'ho fabbricata io! E' giusto che io la porti!". Sollevò da terra quella seconda croce e se la mise sulle spalle.
Il Signore additò altre croci, e disse: "Leggi. Su questa è scritto gelosia, su quell'altra: avarizia, su quest'altra...".
"Ho capito, ho capito Signore, è troppo giusto quello che tu dici...".
E prima che il Signore avesse finito di parlare, il povero uomo aveva raccolto da terra tutte le sue croci e se le era poste sulle spalle.
Per ultima era rimasta per terra una crocetta piccola piccola e quando l'uomo la sollevò per porsela sulle spalle, esclamò:
"Oh! Come è piccola questa! E pesa poco!". Guardò quello che c'era scritto sopra e lesse queste parole: "La croce di Gesù".
Vivamente commosso, sollevò lo sguardo verso il Signore ed esclamò: "Quanto sei buono!". Poi baciò quella croce con grande affetto.
E il Signore gli disse: "Vedi, figlio mio, questa piccola croce te l'ho data io, ma te l'ho data con amore di padre; te l'ho data perché voglio farti acquistare merito con la pazienza; te l'ho data perché tu possa somigliare a me e starmi vicino per giungere al cielo, perché io l'ho detto: 'Chi vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua...', ma ho detto anche: 'il mio giogo è soave e il mio peso è leggerò".
L'uomo delle croci riprese silenzioso il cammino della vita; fece ogni sforzo per correggersi dei suoi vizi e si diede con ogni premura a conoscere, amare e servire Dio.
Le croci più grosse e più pesanti caddero, una dopo l'altra dalle sue spalle e gli rimase soltanto quella di Gesù.
Questa se la tenne stretta al cuore fino all'ultimo giorno della sua vita, e quando arrivò al termine del viaggio, quella croce gli servì da chiave per aprire la porta del paradiso.
crocedifficoltàviziegoismoconversionecroci
inviato da Cosimo Di Lella, inserito il 15/11/2007
TESTO
Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa
Il matrimonio è più del vostro amore reciproco. Ha maggiore dignità e maggiore potere. Finché siete solo voi ad amarvi, il vostro sguardo si limita nel riquadro isolato della vostra coppia. Entrando nel matrimonio, siete invece un anello della catena di generazioni che Dio fa andare e venire e chiama al suo regno.
Nel vostro sentimento godete solo il cielo privato della vostra felicità. Nel matrimonio, invece, venite collocati attivamente nel mondo, e ne diventate responsabili.
Il sentimento del vostro amore appartiene a voi soli. Il matrimonio, invece, è un'investitura, un ufficio. Per fare un re non basta che lui ne abbia voglia, occorre che gli riconoscano l'incarico di regnare. Così non è la voglia di amarvi che vi stabilisce come strumento della vita. E' il Matrimonio che ve ne rende atti. Non è il vostro amore che sostiene il matrimonio: è il matrimonio che, d'ora in poi, porta sulle spalle il vostro amore.
Dio vi unisce in matrimonio: non lo fate voi, è Dio che lo fa. Dio protegge la vostra unità indissolubile di fronte a ogni pericolo che lo minaccia dall'interno e dall'esterno. Dio è il garante dell'indissolubilità.
È una gioiosa certezza sapere che nessuna potenza terrena, nessuna tentazione, nessuna debolezza potranno sciogliere ciò che Dio ha unito.
matrimonioamorecoppiafamigliasposi
inviato da Enrica Munafò, inserito il 29/10/2007
PREGHIERA
176. Preghiera di Benedetto XVI a Maria 1
Benedetto XVI, preghiera per l'incontro con i giovani italiani - Loreto 2007
Maria, Madre del sì, tu hai ascoltato Gesù
e conosci il timbro della sua voce e il battito del suo cuore.
Stella del mattino, parlaci di Lui
e raccontaci il tuo cammino per seguirlo nella via della fede.
Maria, che a Nazareth hai abitato con Gesù,
imprimi nella nostra vita i tuoi sentimenti,
la tua docilità, il tuo silenzio che ascolta
e fa fiorire la Parola in scelte di vera libertà.
Maria, parlaci di Gesù, perché la freschezza della nostra fede
brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi ci incontra,
come tu hai fatto visitando Elisabetta
che nella sua vecchiaia ha gioito con te per il dono della vita.
Maria, Vergine del Magnificat,
aiutaci a portare la gioia nel mondo e, come a Cana,
spingi ogni giovane, impegnato nel servizio ai fratelli,
a fare solo quello che Gesù dirà.
Maria, poni il tuo sguardo sull'Agorà dei giovani,
perché sia il terreno fecondo della Chiesa italiana.
Prega perché Gesù, morto e risorto, rinasca in noi
e ci trasformi in una notte piena di luce, piena di Lui.
Maria, Madonna di Loreto, porta del cielo,
aiutaci a levare in alto lo sguardo.
Vogliamo vedere Gesù. Parlare con Lui.
Annunciare a tutti il suo amore.
inviato da Qumran, inserito il 30/08/2007
TESTO
Il Pane di S. Antonio, Maggio 2005
Prendi il tempo per riflettere:
è una fonte di pace.
Trova un tempo per svagarti:
è il segreto della giovinezza.
Scegli un tempo per leggere:
è la fonte della saggezza.
Prendi il tempo per amare ed essere amato:
è un dono di Dio.
Trova il tempo per la tenerezza:
è la strada della felicità.
Scegli il tempo per sorridere:
è una musica per l'anima.
Prendi il tempo per dare:
è la porta della fraternità.
Trova un tempo per lavorare:
è il prezzo del successo.
Scegli il tempo per essere solidale:
è la chiave del cielo.
Prendi il tempo per pregare:
è la forza della tua debolezza.
inviato da Mario Varano, inserito il 21/08/2007
TESTO
178. Il Matrimonio cristiano 1
A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 36
Ricordati, figliuolo, la Chiesa ti dà questa compagna, non per procurarti una consolazione temporale e mondana, la quale, se anche potesse essere intera, e senza mistura d'alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento di lasciarvi; ma lo fa per avviarvi tutt'e due sulla strada della consolazione che non avrà fine. Amatevi come compagni di viaggio, con questo pensiero di dovervi un giorno lasciare, e con la speranza di ritrovarvi per sempre. Ringraziate il cielo che vi ha condotto al matrimonio non per mezzo di allegrie turbolente e passeggere, ma cò travagli e tra le miserie umane, per disporvi a una gioia raccolta e tranquilla. Se Dio vi concede figlioli, pensate ad allevarli per Lui, di instillare loro l'amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto.
matrimonioamorefedeltàfiglieducazionecoppiafamigliavita eternaparadiso
inviato da PLB, inserito il 20/08/2007
TESTO
179. Passato, presente, futuro
Spesso ci sentiamo insoddisfatti della nostra vita, vorremmo essere qualcun altro, fare cose diverse. Pensiamo al nostro passato, ai doni che abbiamo ricevuto ma che allora abbiamo sottovalutato, ma che ora sono cambiati. Pensiamo al futuro, che nutriamo di illusioni e che vorremmo comandare noi, abbiamo paura degli eventuali cambiamenti che non ci aspetteremmo. Ma al presente, ci pensiamo?
Quando ti senti così, pensa che l'attimo che stai vivendo è un dono di Dio. Adesso, ora, oggi, lui sta pensando a te, ha bisogno di te, vuole dirti tante cose e affidarti una missione.
Se pensi al passato: ringrazia Dio per i doni che ti ha dato, prega per chi ti ha amato e per chi ti ha ferito. Non spaventarti dei tuoi sbagli, piuttosto impara da essi. Fanne uno scalino che ti porta in alto anziché che ti fa inciampare. A volte dopo uno sbaglio capisci ciò che conta veramente nella vita, e da quella Mano che ti aiuta a rialzarti nasce un rapporto diverso, che magari prima non sarebbe stato così, perché avresti avuto un cuore troppo orgogliosi di te, per fare entrare pienamente Gesù nella tua vita.
Se pensi al futuro: affidalo a Dio. Lui è lassù in cielo, e da lassù vede più lontano di quanto vedi tu quaggiù. Lui fin dall'eternità ha pensato il meglio per te. Non ti abbandona nel momento della prova.
Se pensi al presente: vivilo! è un dono. Ovunque tu sia adesso, se sei con Gesù sei sempre la persona giusta, nel posto giusto, nel momento giusto. Perché è adesso che Gesù ha bisogno di te per portare agli altri il Suo Amore. Ne ha avuto bisogno ieri e ne avrà bisogno domani, ma in particolar modo oggi.
Ieri è passato, domani non c'è ancora, oggi è qui. E' oggi che costruisci il tuo passato e prepari il tuo futuro.
"Non temete, Io sono con voi!" (Gesù).
tempopresentepassatofuturoimpegnoresponsabilitàannunciotestimonianza
inviato da Cristina Stralla, inserito il 18/08/2007
TESTO
Se vuoi vivere la gioia di avere, liberati dalla mania di possedere e conservare.
Godi della farfalla che volteggia, godi del fiume che corre incessantemente, godi del fiore che si apre al cielo; godi avendo tutto senza possederlo né conservarlo.
Solo così godrai della vita, sapendo di averla senza possederla, lasciandola correre senza trattenerla!
vitanaturagioiapossedereaverelibertà
inviato da Teresa Neri, inserito il 18/08/2007