Quando hai bisogno, Qumran ti dà una mano, sempre.
Ora Qumran ha bisogno di te.
- Clicca qui per sapere il perché.
Hai cercato Un\\\\
Hai trovato 2194 ritagli
TESTO
La speranza non è un sogno, ma un modo per tradurre i sogni in realtà.
inviato da Anna Barbi, inserito il 22/11/2002
TESTO
1742. C'è sempre qualcosa da dire sui preti
Se il prete una volta parla dieci minuti più a lungo: è un parolaio.
Se durante una predica parla forte: allora urla.
Se non predica forte: non si capisce niente.
Se possiede un'auto personale: è capitalista, è mondano.
Se non ha un'auto personale: non è capace di adattarsi ai tempi.
Se visita i suoi fedeli fuori parrocchia: allora gironzola dappertutto.
Se frequenta le famiglie: non è mai in casa.
Se rimane in casa: non visita le famiglie.
Se parla di offerte e chiede qualcosa: non pensa ad altro che a far soldi.
Se non organizza feste, gite, incontri: nella parrocchia non c'è vita.
Se in confessionale si concede tempo: è interminabile.
Se fa in fretta: non è capace di ascoltare.
Se comincia la Messa puntualmente: il suo orologio è avanti.
Se ha un piccolo ritardo: fa perdere tempo a un sacco di gente.
Se abbellisce la Chiesa: getta via i soldi inutilmente.
Se non lo fa: lascia andare tutto alla malora.
Se parla da solo con una donna: c'è sotto qualcosa.
Se parla da solo con un uomo: eh!
Se prega in Chiesa: non è un uomo d'azione.
Se si vede poco in Chiesa: non è un uomo di Dio.
Se si interessa agli altri: è un impiccione.
Se non si interessa: è un egoista.
Se parla di giustizia sociale: fa della politica.
Se cerca di essere prudente: è di destra.
Se ha un po' di coraggio: è di sinistra.
Se è giovane: non ha esperienza.
Se è vecchio: non si adatta ai tempi.
Se muore: non c'è nessuno che lo sostituisce!
preteparrocosacerdotepresbitero
inviato da Anna Barbi, inserito il 22/11/2002
RACCONTO
1743. I regali nello sgabuzzino 3
Bruno Ferrero, Novena di Natale
Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.
«Avanti», disse una voce dall'interno.
Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio.
«Guardi che stupendo paccone di Natale!» disse allegramente il postino.
«Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Intuiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela bene. Allora, perché era così triste?
«Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnifico regalo?».
«Non posso... Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».
«Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente.
Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.
«Ma...» fece il postino.
Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
«Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
«No», disse mestamente il vecchio. «Non c'è amore dentro».
nataleregalicaritàamorefigligenitorifamiglia
inviato da Tiziana Trotta, inserito il 22/11/2002
PREGHIERA
Signore Gesù Cristo,
gli uccelli hanno i loro nidi e le volpi le loro tane,
ma tu non avesti dove posare il capo,
non hai avuto un letto su questa terra.
Tuttavia eri quel luogo segreto, l'unico,
in cui il peccatore potesse trovar rifugio.
E anche oggi tu sei il nascondiglio:
quando il peccatore torna a te,
si nasconde in te, è nascosto in te.
Allora egli è eternamente difeso,
perché il tuo Amore nasconde una moltitudine di peccati.
misericordiaperdono di Diopeccatore
inviato da Immacolata Chetta, inserito il 22/11/2002
TESTO
Lascia da parte inni canti e meditazioni!
Chi ti induce a fare adorazione
in questo solitario angolo
di un tempio con le porte chiuse?
Guardati bene intorno:
il tuo Dio non è qui.
Egli si trova dove il contadino sta arando la terra,
dove il lavoratore spacca le pietre sulla strada.
Lavora con essi
sotto il sole e sotto la pioggia
con la veste coperta di polvere e di fango.
Lascia le sacre vesti
e vieni con lui nella terra.
Salvezza?
Dove potrai trovare salvezza?
Dove lo stesso tuo Signore
ha assunto con gioia su di sé
i legami della creazione per legarsi con le creature.
Lascia da parte le meditazioni,
non curarti dell'incenso e dei fiori.
Che le tue vesti si logorino,
che esse si sporchino di terra;
ma tu và con lui a lavorare duro,
a grondare sudore dalla fronte.
lavororapporto con Dioreligiositàincarnazione
inviato da Immacolata Chetta, inserito il 22/11/2002
PREGHIERA
1746. Sono un uomo di speranza
Sono un uomo di speranza
perché credo che Dio
è nuovo ogni mattina.
Sono un uomo di speranza
perché credo che lo Spirito Santo
è all'opera nella Chiesa
e nel mondo.
Sono un uomo di speranza
perché credo che lo Spirito creatore
dà a chi lo accoglie
una libertà nuova
e una provvista di gioia e di fiducia.
Sono un uomo di speranza
perché so che la storia della Chiesa
è piena di meraviglie.
Sperare è un dovere e non un lusso.
Sperare non è sognare,
ma è la capacità
di trasformare un sogno in realtà.
Felici coloro che osano sognare
e che sono disposti
a pagare il prezzo più alto
perché il loro sogno prenda corpo
nella vita degli uomini.
speranzaresponsabilitàimpegnomissione
inviato da Barbara, inserito il 22/11/2002
TESTO
Beato il papà che chiama alla vita e sa donare la vita per i figli.
Beato il papà che non teme di essere tenero e affettuoso.
Beato il papà che sa giocare con i figli e perdere tempo con loro.
Beato il papà per il quale i figli contano più degli hobby e della partita.
Beato il papà che sa ascoltare e dialogare anche quando è stanco.
Beato il papà che dà sicurezza con la sua presenza e il suo amore.
Beato il papà che sa pregare con i figli e confrontare la vita con il Vangelo.
Beato il papà convinto che un sorriso vale più di un rimprovero, uno scherzo più di una critica, un abbraccio più di una predica.
Beato il papà che cresce insieme ai figli e li aiuta a diventare se stessi.
Beato il papà che sa capire e perdonare gli sbagli dei figli e riconoscere i propri.
Beato il papà che non sommerge i figli di cose, ma li educa alla sobrietà e alla condivisione.
Beato il papà che non si ritiene perfetto e sa ironizzare sui propri limiti.
Beato il papà che cammina con i figli verso orizzonti sconfinati aperti all'uomo, al mondo, all'eternità.
papàpaternitàfiglifamigliaeducazioneeducare
inviato da Anna, inserito il 21/11/2002
TESTO
Se potessi prendere un arcobaleno
lo farei proprio per te.
E condividerei con te la sua bellezza,
nei giorni in cui tu fossi malinconico.
Se potessi costruire una montagna,
potresti considerarla di tua piena proprietà.
Un posto dove trovare serenità,
un posto dove stare da soli.
Se potessi prendere i tuoi problemi,
li lancerei nel mare.
Ma sto trovando che tutte queste cose
sono impossibili per me.
Non posso costruire una montagna
o prendere un arcobaleno luminoso.
Ma lasciami essere ciò che so essere di più:
un amico sempre presente.
inviato da Andrea Zamboni, inserito il 21/11/2002
RACCONTO
Questa è la storia di 4 persone chiamate: Ognuno, Qualcuno, Ciascuno e Nessuno. C'era un lavoro importante da fare e Ognuno era sicuro che Qualcuno l'avrebbe fatto, Ciascuno avrebbe potuto farlo, ma Nessuno lo fece, Qualcuno si arrabbiò perché era un lavoro di Ognuno. Ognuno pensò che Ciascuno poteva farlo, ma Nessuno capì che Ognuno non l'avrebbe fatto. Finì che Ognuno incolpò Qualcuno perché Nessuno fece ciò che Ciascuno avrebbe potuto fare.
ozioimpegnoresponsabilitàcollaborazione
inviato da Andrea Zamboni, inserito il 20/11/2002
RACCONTO
1750. Festa grande per un pacco consegnato 1
C'era un uomo che di mestiere faceva il corriere espresso (sapete? quello che consegna nelle case i pacchi...). Come tutte le mattine, caricò il suo camion e si preparò al lungo giro di consegne. Quel giorno aveva 100 pezzi da consegnare.
Iniziò con una cassa di bottiglie di vino, che andava consegnata proprio all'ultimo piano di un lussuoso palazzo del centro. Con il fiatone suonò alla porta. Aprì un distinto signore: "Buongiorno, sì è per me, prego la metta qui, no un po' più in là, ecco perfetto, arrivederci!".
Poi fu la volta di una anziana signora, a cui trepidante consegnò un pacchetto con un preziosissimo anello. La donna annoiata e indifferente commentò solo: "Ah, lo metta lì con tutti gli altri, poi lo aprirò...".
A una giovane coppia doveva consegnare la lavatrice nuova. Mentre era in cucina e li aiutava a dismballare, i due iniziarono a litigare "Vedi, avevo ragione io: dovevamo prendere l'altro modello". "Invece no, abbiamo fatto bene a seguire il consiglio di mia madre". "Ma cosa dici, non vedi che sta malissimo vicino al frigo". "Piantala, si sa che tu hai un pessimo gusto!". "Perché secondo te era di buon gusto il regalo che tu mi hai fatto a Natale"... Il trasportatore se ne andò un po' imbarazzato.
Un pacco era destinato a un parroco. Era una statua molto bella, ma molto pesante. Il trasportatore era molto in difficoltà, e nell'entrare in sacrestia si ferì una mano contro un'acquasantiera. Ma il parroco lo accolse solo con un "Oh, finalmente me l'ha portata! Per favore faccia presto, si sbrighi. Sono impegnatissimo, tra 2 min e 40 sec. devo dire messa, tra 45 min c'è la lezione di catechismo, poi c'è la riunione con il gruppo della 3 età, poi il comitato di programmazione economica, poi i giovanissimi e la catechesi per famiglie. Capisce, no?, c'è tanto da fare: faccia presto!". Con la mano ancora dolorante il trasportatore uscì e andò a bagnarla alla fontana del sagrato.
Con il passare delle ore e il crescere della fatica, i pacchi pian piano diminuivano. Alla fine ne rimase solo uno. Quando arrivò all'indirizzo segnato sul pacco, aprì la porta un ragazzo: "No mi dispiace, il suo indirizzo è sbagliato, la signora Beatrice Bianchi (quello era il nome della destinataria) non abita più qui, si è trasferita almeno da un mese...". "E sa dove è andata ad abitare?". "No, io no, ma provi a chiedere al fruttivendolo all'angolo. Lui conosce tutti".
Il camionista si presentò al fruttivendolo e spiegò il suo problema: "Devo consegnare un pacco alla signora Beatrice Bianchi, ma ho l'indirizzo sbagliato. Lei sa dirmi dove posso trovarla?". "Ah, sì, si è trasferita, in un altro quartiere, me lo aveva detto, però l'indirizzo proprio non me lo ricordo... Provi a chiedere a Piero, lo trova là all'osteria, lui sicuramente lo sa".
Il camionista entrò nel fumoso bar e dietro un bicchiere di vino e un mazzo di carte, trovò Piero, un vecchietto con la barba bianca e due occhi azzurri come il cielo. "Ma sì la Beatrice! La conosciamo tutti qui, faceva la cameriera, è un peccato che si sia trasferita... Ecco, le scrivo il nuovo indirizzo".
Finalmente, dopo la lunga ricerca, il nostro amico si trovò di fronte alla porta dell'appartamento della signora Beatrice Bianchi. Il palazzo era in una delle zone più povere e degradate della città, lo squallore del luogo metteva proprio tristezza. Come aveva fatto con gli altri 99 pacchi, suonò e annunciò: "Signora, devo consegnarle un pacco". Aprì una giovane ragazza, mentre da una stanza interna si sentiva il pianto di un ragazzino. "Un pacco per me?". "Sì, signora; non è stato facile, ma sono contento di averla trovata...". "E cosa sarà mai? Non aspettavo pacchi... Oh... mi scusi, la sto lasciando sulla porta; prego, si accomodi, si sieda, posso offrirle un caffè? intanto guardiamo cosa c'è nel pacco...". Piacevolmente sorpreso, il corriere accettò volentieri l'invito. Il bambino intanto aveva smesso di piangere e si era avvicinato a osservare curioso quell'ospite sconosciuto.
Dopo aver versato il caffè all'ospite, Beatrice aprì il grosso pacco. Non poté trattenere un grido di gioia, quando ne vide il contenuto. Il pacco era pieno di cibi buonissimi, tra cui una grossa torta di compleanno. Insieme ai cibi una lettera. Quando la lesse, a Beatrice vennero gli occhi lucidi. Poi spiegò: "5 anni fa litigai violentemente con mia madre, e da allora non ci siamo più frequentate. Ora mi scrive che non vuole più discutere del passato, ma si è ricordata che oggi è il compleanno di Roberto, mio figlio e ci manda un po' di dolci per festeggiare. E pensare che proprio 10 minuti fa io stavo spiegando a Roberto che non avremmo potuto fare la festa con i suoi amici perché dopo aver pagato le bollette mi sono avanzati pochissimi soldi... È lei che ha permesso tutto questo! Io... io voglio ringraziarla. Si fermi e festeggi con noi!".
E così il trasportatore si trovò coinvolto in una festa piena di musica, allegria e risate, insieme con Beatrice, Roberto, i suoi amici e altre persone del vicinato. E alla fine della giornata, potete star certi, fu proprio lui il più contento per quel pacco con l'indirizzo sbagliato!
La storia può essere un punto di partenza per parlare di Dio che cerca tutti gli uomini, anche la pecorella smarrita... per suggerimenti sull'attività e per scaricare altre storielle simili, clicca qui.
rapporto con Diomisericordiapecorella smarrita
inviato da Andrea Zamboni, inserito il 20/11/2002
TESTO
Chi ti spianerà la via per raggiungere alle sorgenti zampillanti? Solo là e non altrove si sviluppano le forze vive del rischio. Quando ti interroghi dicendo: "Come potrò realizzarmi?", sai di aspirare ad un'esistenza di completezza e non ad una vita inquadrata e senza rischi. Non attardarti in situazioni senza via d'uscita perché vi bruceresti energie vitali. Niente compiacenze con te stesso. Va oltre, senza esitare. E scoprirai che il tuo cuore s'allarga: solo alla presenza di Dio l'uomo si realizza.
coerenzadecisioneconversionefelicitàrealizzazionegioia
inviato da Elena Mencarelli, inserito il 18/11/2002
TESTO
1752. Condizioni per una "telefonata con Dio"
Controlla che il prefisso sia giusto.
Non comporre il numero senza pensarci bene per non rischiare una telefonata a vuoto.
Non irritarti quando senti il segnale di "occupato". Attendi e riprova. Sei certo di avere composto il numero giusto?
Ricorda che telefonare a Dio non è un monologo. Non parlare continuamente tu, ma ascolta che cosa ha da dirti Lui.
In caso di interruzione controlla se non sei stato tu stesso ad interrompere il collegamento.
Non abituarti a chiamare Dio unicamente in casi di emergenza, scegliendo solo il numero del pronto intervento.
Non telefonare a Dio soltanto nelle ore a tariffa ridotta, ossia prevalentemente di Domenica. Anche nei giorni feriali dovrebbe esserti possibile una breve chiamata a intervalli regolari.
Ricordati sempre che le telefonate con Dio non hanno scatti.
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
TESTO
1753. Educazione alla povertà 1
Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia
L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.
Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.
Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi".
E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".
Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".
Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare.
Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.
Proviamo a delinearne sommariamente tre.
Povertà come annuncio
A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona.
I beni della terra non sono maledetti. Tutt'altro. Neppure i soldi sono maledetti.
Continuare a chiamarli sterco del diavolo significa perpetuare equivoci manichei che non giovano molto all'ascetica, visto che anche i santi, di questo sterco, non hanno disdegnato di insozzarsi le tasche.
I beni della terra non giacciono sotto il segno della condanna. Per ciascuno di essi, come per tutte le cose splendide che nei giorni della creazione uscivano dalle mani di Dio, si può mettere l'epigrafe: "ed ecco, era cosa molto buona".
Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema.
Un po' come rinunciare a sposarsi in vista del Regno non significa disprezzare il matrimonio, ma annunciare che c'è un amore più grande di quello che germoglia tra due creature. Anzi, dichiarare che questo piccolo amore è stato scelto da Dio come segno di quell'altro più grande. Sicché, chi non si sposa sembra dire ai coniugi: "Splendida la vostra esperienza. Ma non è tutto. Essa è solo un segno. Perché c'è un'esperienza di amore ancora più forte, di cui voi attualmente state vivendo solo un lontanissimo frammento, e che un giorno saremo tutti chiamati a vivere in pienezza".
Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità".
In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.
Povertà come rinuncia
E' la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi.
in realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica.
Questa interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole.
La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio.
Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere.
Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".
Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili.
Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri.
E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso.
La testimonianza, non l'ostentazione.
Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: "O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!".
Povertà come denuncia
Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.
Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.
Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.
Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!
Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.
E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.
La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.
Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti.
Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona.
Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento.
L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.
Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.
povertàricchezzaingiustiziacelibatovita eternaparadisoserviziocaritàregno dei cieliregno di Diorinuncia
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
TESTO
1754. La fede è l'intelligenza nella sua riuscita
È all'intelligenza che Gesù fa costantemente appello. E la sollecita. Il rimprovero costante sulla sua bocca è: non comprendete, non avete intelligenza? Non credete ancora? aggiunge anche. La fede che sollecita non ha nulla a che vedere con la credulità. Questa fede è precisamente l'accesso dell'intelligenza a una verità, il riconoscimento di questa verità, il sì dell'intelligenza convinta e non una rinuncia all'intelligenza, un sacrificio dell'intelletto. L'opposizione tra fede e ragione è una opposizione profondamente non cristiana, non evangelica. Bisogna dimenticare questa dialettica troppo celebre, troppo famosa per comprendere ciò che nel Nuovo Testamento si intende per fede, che è l'intelligenza stessa nel suo atto, nella sua riuscita, e la conoscenza stessa della verità insegnata, il riconoscimento del Maestro: il credere nei Vangeli è questa scoperta, questa intelligenza della verità che è proposta. Al ragazzo cui si insegna a nuotare, si spiega che in virtù di leggi naturali non deve aver paura, nuoterà se farà alcuni movimenti molto semplici. Il ragazzo ha paura, si irrigidisce, e non crede. Viene il momento in cui fa esperienza che ciò che gli è stato detto è possibile, crede, nuota. Non si dirà che la fede, in questo caso, si oppone alla ragione, se ne differenzia. Essa è per lui piuttosto identica; anche se la fede è un'altra cosa dell'intelligenza, il sì dell'intelligenza alla verità che essa vede, l'adesione alla verità vista e riconosciuta. Questo è il significato della parola pistis, pisteuein, nei Vangeli. Nel quarto Vangelo, la fede e la conoscenza sono costantemente associate come inseparabili: "Essi hanno conosciuto ed hanno creduto che tu sei il figlio del Dio vivente". È appunto alla nostra intelligenza che Gesù si indirizza e non alla nostra credulità. Contrariamente a quanto alcuni vorrebbero farci credere, la credulità e la debolezza di giudizio non sono affatto un omaggio gradito a Dio. La verità non richiede che l'uomo si abbassi ad animale, né che umilii la ragione, che gli è, al contrario, necessaria per attingere la conoscenza di Dio. Noi subiamo in Occidente da parecchi secoli una tradizione che pretende fondare la conoscenza di Dio sul deprezzamento della ragione, su una frustrazione dell'esigenza di razionalità e di intelligibilità. Questa cattiva coscienza nei riguardi della ragione non è giustificata nella tradizione biblica ed evangelica.
federagioneintelligenzafiduciaabbandono in Dio
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
PREGHIERA
1755. Preghiera per il lavoro quotidiano 3
O Signore,
nelle cui mani è la salute,
io mi inginocchio davanti a te
poiché ogni dono buono e perfetto
da te deve provenire.
Ti prego:
concedi abilità alla mia mano
una chiara visione alla mia mente
gentilezza e comprensione al mio cuore.
Concedimi sincerità d'intenti
e la forza di sollevare
almeno una parte dei fardelli
di questi poveri sofferenti e fiduciosi uomini.
E concedimi di realizzare il compito che mi spetta.
Togli dal mio cuore
ogni colpa e impaccio,
così che, con la fede di un fanciullo,
possa confidare in te.
Amen.
lavoroimpegnoresponsabilitàcaritàamore
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
TESTO
L'uomo che non è più padrone di se stesso "si lascia andare", passa davanti alla porta senza mai osare di entrare in casa sua.
Se hai paura di fermarti, è perché hai paura di incontrarti, e se hai paura di incontrarti è perché non sei più in intimità con te stesso, non ti conosci più, temi i tuoi rimproveri e le tue esigenze.
Non hai tempo per sostare? Sii leale, vi sono sempre dei momenti di vuoto nelle tue attività. Non affrettarti a colmarli cercando il chiasso, un giornale, una conversazione, una presenza... Quando puoi concederti un momento di silenzio, non mettere subito un disco. Fermati...
Se ti fermi, è per prendere coscienza di te, riunire tutte le tue forze, riordinarle e dirigerle, al fine di impegnarti tutto intero nella tua vita.
Accettare di fermarsi, è accettare di guardare se stesso, e accettare di guardarsi, è già impegnarsi, perché è far penetrare lo spirito nell'interno della propria casa.
Non ti riconoscerai né ti comprenderai appieno se non nella luce di Dio. Quando dai un appuntamento a te stesso, tu dai contemporaneamente un appuntamento al Signore.
Nel corso delle tue giornate, cogli tutte le occasioni che la vita ti offre per riafferrarti e comunicare con Dio. Non "ammazzare il tempo" per breve che sia, è un dono della Provvidenza; il Signore vi è presente.
silenzioascoltomeditazioneonestà con se stessicoerenza
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
TESTO
1757. Ogni società si trova a dover scegliere
Ogni società si trova a dover scegliere fra una legge di vita e di pace, e una legge di morte e di odio. La legge di morte è quella che dice: i forti devono essere i primi. Ciò fa sì che tutti lottino per essere forti, in modo da essere serviti. Questa legge è disperata, perché anche il forte un giorno diverrà debole, e i deboli che lui non ha amato lo lasceranno morire abbandonato. C'è solo una via d'uscita a questa disperazione: obbedire alla legge della vita e dell'amore. Questa legge è il contrario della prima: dice che i poveri e deboli debbono essere serviti per primi. Questa legge porta pace, perché nessuno competerà mai con gli altri, lotterà contro gli altri, ucciderà gli altri per divenire debole e povero. Ed è una legge di vita, perché quando il forte diverrà debole, sarà sostenuto dai deboli che lui ha aiutato quand'era forte.
solidarietàamorecaritàgiustiziaingiustiziaforzavita
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
PREGHIERA
Io prego di riuscire a permettere a mio figlio di vivere la sua vita e non quella che io vorrei avere vissuto.
Perciò fa' che non metta sulle sue spalle il fardello di ciò che io non sono riuscito a fare.
Aiutami a vedere oggi i suoi errori in prospettiva della lunga strada che deve percorrere e concedimi la grazia di avere la pazienza quando il suo passo è lento.
Donami la saggezza di sapere quando sorridere delle monellerie della sua età e quando mostrare fermezza contro gli impulsi che egli teme e non può dominare.
Aiutami a percepire l'angoscia del suo cuore in mezzo al frastuono delle parole piene di rabbia e nel gergo del suo cupo silenzio; e, dopo averla percepita, dammi la capacità di riempire l'abisso che c'è tra noi con la comprensione.
Prego di potere alzare la mia voce più per la gioia di ciò che egli è che per il dispiacere di ciò che non è, cosicché ogni giorno egli possa crescere nella fiducia in se stesso.
Aiutami a guardare a lui con affetto autentico in modo che lui possa fare lo stesso nei confronti degli altri.
E poi dammi la forza, o Signore, di lasciarlo libero affinché possa andare con decisione per la sua strada.
inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002
TESTO
1759. Quattro buoni motivi per leggere il vangelo 1
Nazzareno Marconi, pagina web
Primo motivo: Il Vangelo è il libro più famoso del mondo.
Se una mattina trovaste annunciato da tutti i giornali e tutte le trasmissioni televisive che uno sceneggiato ha avuto il più alto indice di ascolto di tutti i tempi, non vi verrebbe una grande curiosità di dare almeno un'occhiata alla seconda puntata? Il vangelo è il libro più stampato del mondo ed anche il più letto, in tutte le lingue e culture conosciute. Ma qual è il segreto del suo successo? Un numero incredibile di persone hanno scoperto che questo testo ha un potere unico: aiuta a conoscersi meglio e a rinnovare la propria vita. Dà una mano per prendere decisioni importanti e scoprire che senso abbia ciò che facciamo, ciò che pensiamo, ciò che desideriamo. Nel corso della sua storia l'umanità vi ha scoperto una fonte misteriosa ed inesauribile di speranza, di incoraggiamento, un intenso senso di pace.
Secondo motivo: Il Vangelo è un libro molto prezioso.
Se ti capitasse tra le mani un libro che: è stato copiato e diffuso con fatica per duemila anni, che spesso è stato combattuto e proibito da grandi poteri politici e militari, eppure è stato sempre difeso e conservato a costo della vita. Non gli dedichereste almeno un po' della vostra attenzione? La storia dei cristiani è punteggiata di storie di persecuzioni e martiri. Fin dall'inizio i nemici di Gesù hanno tentato di cancellare il suo ricordo, impedendo che i suoi amici parlassero di Lui alla gente. Ma questi non hanno taciuto, hanno parlato e scritto a costo della vita, e molti altri nel corso delle storia hanno fatto lo stesso. Solo grazie a questa catena di testimoni questo piccolo libro è potuto giungere tra le tue mani. Non credi che tanto sacrificio meriti un po' della tua attenzione?
Terzo motivo: Il Vangelo ha un mittente molto importante.
Se una mattina trovaste tra la vostra posta una lettera che viene da una grandissima autorità politica o economica, non la leggereste per prima e con molta attenzione? Oltre un miliardo e mezzo di persone nel mondo sono convinte che questo piccolo libro sia come una lettera che viene da Dio. Attraverso di esso il Creatore ha voluto mandarci un messaggio molto importante, tanto importante che questa "lettera" ci è stata "recapitata" da Gesù: il Figlio di Dio. Un messaggio con una tele "mittente" ed un tale "portalettere" non merita forse una attenta lettura?
Quarto motivo: Il Vangelo ha un destinatario molto importante.
Se una mattina trovaste tra la vostra posta una lettera indirizzata a voi e con su scritto "strettamente personale", non l'aprireste per prima e con molta attenzione? La fede dei cristiani ritiene che il Vangelo non contenga un messaggio generale, che riguardi soltanto principi e valori molto vaghi. Crediamo invece che il Vangelo è un messaggio che Dio invia a Te. Tra le sue parole ogni giorno puoi trovare qualcosa che misteriosamente, ma efficacemente, parla al tuo cuore e guida la tua vita. I cristiani, quando aprono il vangelo, si chiedono: "cosa mi dice oggi il Signore?". Non vale la pena di provare?
VangeloParola di DioSacra ScritturaBibbia
inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002
TESTO
1760. La speranza è la faccia di Dio
La primavera incomincia con il primo fiore,
il giorno con il primo barlume,
la notte con la prima stella,
il torrente con la prima goccia,
il fuoco con la prima scintilla,
l'amore con il primo sogno.
La speranza è la faccia di Dio,
quale si scopre di momento in momento
secondo il volto delle nostre disperazioni.
Poiché tutte le speranze,
anche le più tenui, le più fragili,
perfino i sogni e le illusioni,
appartengono alla speranza.
Un niente basta a far battere un cuore,
come un niente lo può fermare.
E se un niente può fermarci sull'abisso,
la speranza fa suo questo niente;
vi si incarna, ne prende il volto e la voce.
La speranza vede la spiga
quando i miei occhi di carne
non vedono che il seme marcisce.
inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002