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TESTO
101. Io sono la vite, voi i tralci - Commento a Gv 15, 1-11 3
Madre Teresa di Calcutta, Missione d'amore
Il capitolo 15 di Giovanni ci avvicinerà al Cristo. Il Padre, essendo il vignaiolo, deve potare il tralcio perché dia più frutto, e il frutto che dobbiamo produrre nel mondo è bellissimo: l'amore del Padre e la gioia. Ognuno di noi è un tralcio.
Quando andai l'ultima volta a Roma, volevo dare qualche piccolo insegnamento alle mie novizie e pensai che questo capitolo fosse il più bel modo di capire che cosa siamo noi per Gesù e che cosa è Gesù per noi. Ma non mi ero resa conto di ciò di cui invece si resero conto quelle giovani suore quando considerarono quanto è robusto il punto di innesto dei tralci nella vite: come se la vite temesse che qualcosa o qualcuno le strappi il tralcio.
Un'altra cosa su cui quelle sorelle richiamarono la mia attenzione fu che, se si guarda la vite, non si vedono frutti.
Tutti i frutti sono sui tralci. Allora esse mi dissero che l'umiltà di Gesù è così grande che egli ha bisogno dei tralci per produrre frutti. Questo è il motivo per cui ha fatto tanta attenzione al punto di innesto: per poter produrre quei frutti egli ha fatto l'attacco in modo tale che si debba usare la forza per romperlo. Il Padre, il vignaiolo, pota i tralci per produrre più frutto, e il tralcio silenzioso, pieno d'amore, incondizionatamente si lascia potare. Noi sappiamo che cos'è la potatura, poiché nella nostra vita ci deve essere la croce e quanto siamo più vicini a lui e tanto più la croce ci tocca e la potatura è intima e delicata.
Ognuno di noi è un collaboratore di Cristo, il tralcio di quella vite; e che cosa significa per voi e per me essere collaboratori di Cristo?
Significa dimorare nel suo amore, avere la sua gioia, diffondere la sua compassione, testimoniare la sua presenza nel mondo.
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inviato da Stefano Targa, inserito il 07/12/2009
TESTO
San Francesco d'Assisi, Ammonizione I, FF 141-145
Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se aveste conosciuto me, conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete veduto." Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: "Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre mio" (Gv 14,6-9).
Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio (cf. 1Tm 6,16; Gv 4,24 e 1,18). Perciò non può essere visto che nello Spirito, poiché è lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla (Gv 6,64 Vg). Ma che il Figlio, in ciò in cui è uguale al Padre, non è visto da alcuno in maniera diversa da come si vede il Padre né da come si vede lo Spirito Santo.
Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo Spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tuti quelli che vedono il sacramento, che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non credono, secondo lo Spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché ne dà testimonianza lo stesso Altissimo, il quale dice: "Questo è il mio corpo e il mio sangue della nuova alleanza (che sarà sparso per molti") (Mc 14,22.24); e ancora: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Gv 6,55 Vg).
E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore. Tutti gli altri, che hanno la presunzione di riceverlo senza partecipare dello stesso Spirito, mangiano e bevono "la loro condanna" (cf. 1Cor 11,29). Perciò: "Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?" (Sal 4,3) Perché non conoscete la verità e non credete "nel figlio di Dio?" (cf. Gv 9,35).
Ecco, ogni giorno egli si umilia (cf. Fil 2,8), come quando "dalla sede regale" (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. E in tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, come egli stesso dice: "Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).
inviato da Antonio Antonucci, inserito il 07/12/2009
PREGHIERA
O Padre, Creatore dell'universo,
tu hai posto in ogni cosa il segno del tuo infinito amore
e hai donato alle creature l'impronta della tua bellezza.
Rendimi autentico cantore del tuo amore,
fa' che con il mio canto sappia esprimere
un poco di quell'armonia sublime
che tu hai posto in tutte le cose
e che muove il cielo e la terra
in quell'accordo mirabile che tutto abbraccia.
Fa' che il mio canto sia sempre a servizio della tua lode,
che non mi vanti mai di questo dono,
che offra il mio servizio alla Chiesa senza alcuna vanità e superbia,
sapendo di assolvere un dovere d'amore verso Dio e i fratelli.
Metti nel mio cuore il canto nuovo
che sgorga dal cuore del Risorto,
e fa' che, animato dal tuo Santo Spirito,
possa lodarti e farti lodare per la tua unica gloria,
vivendo nel servizio liturgico l'anticipo della liturgia celeste.
Te lo chiedo per Cristo Salvatore nostro,
causa e modello del nostro canto.
inviato da Paola Berrettini, inserito il 02/12/2009
PREGHIERA
Guido Novella, Con Maria in attesa del Signore, Editrice Elledici
La nostra vita,
Signore, è fatta di attesa:
attendiamo una notizia, una persona,
un evento.
Attendiamo perché siamo vivi,
incapaci di accontentarci del nostro oggi;
desiderosi di superarci per essere nuovi,
gioiosi di divenire, in futuro,
quelli che ora non siamo.
Nuova abitazione in terra nuova aspettiamo
dove giustizia e pace regneranno.
I nostri desideri inappagati,
sincere speranze di vita piena,
troveranno rifugio nel tuo cuore di Padre.
Compi, Signore, la nostra fervida attesa!
Le tue promesse sono le nostre speranze, Padre.
Hai mandato Gesù Cristo
e ancora aspettiamo il Salvatore.
Troviamo in lui morto e risorto la gioiosa notizia che tu vinci la morte.
Alla sua venuta,
debolezza e corruzione svaniranno.
Gioiosi cammineremo con Cristo
verso di te.
L'impegno per il mondo,
le conquiste della scienza,
l'infaticabile lavoro, il progresso umano;
l'attesa operosa
di un mondo migliore preparano, o Padre,
la venuta di Cristo;
fraternità, libertà, bontà,
ogni conquista umana
sono l'annuncio del tuo dono più pieno.
Vergine in attesa,
donaci il coraggio di saper aspettare;
aperti al futuro, ma laboriosi nel presente.
Santa Maria,
promessa compiuta del nostro domani,
attendi con noi Gesù Salvatore!
MariaVergineAvventoattesaNovenaImmacolata
inviato da Francesco De Luca, inserito il 25/11/2009
PREGHIERA
Credo in Dio Padre
che creò la donna e l'uomo a sua immagine e somiglianza
e consegnò ai due la cura del mondo:
e vide che questo era molto buono;
che chiese il consenso ad una donna
per realizzare la sua opera di salvezza.
Credo in Gesù nato da una donna;
che ascoltava e valorizzava le donne
e le proteggeva contro le accuse degli uomini.
Che aveva donne discepole che lo seguivano e servivano.
Che apparve per primo a Maria Maddalena ed altre donne
e le invia per prime ad annunciare
la buona novella della sua Resurrezione proprio ai suoi discepoli.
Credo nello Spirito Santo,
soffio e principio di vita che è disceso
sopra uomini e donne nel giorno della Pentecoste
e che spinge la comunità della Chiesa verso l'uguaglianza.
donnamariamadonnaSpirito SantoDio Padre
inviato da Forner Fortunato, inserito il 25/11/2009
RACCONTO
106. Dove finirono l'oro, l'incenso e la mirra? 2
Bruno Ferrero, Storie di Natale
Anche se non lo davano a vedere, i più eccitati erano l'asino e il bue. Non riuscivano ad addormentarsi. Quella notte e quella giornata erano state meravigliosamente caotiche: la nascita del bambino, gli angeli, i pastori, la stella e poi l'arrivo dei tre re con i manti di stoffe ricamate e le pellicce e i loro strani quadrupedi con la gobba. E soprattutto il luccichio degli scrigni che racchiudevano i doni portati dai tre re. Li avevano ammirati tutti e ora stavano là, abbandonati sulla paglia, mentre la donna cullava dolcemente il bambino e l'uomo dalle mani grandi e forti attizzava il fuoco e porgeva un po' di fieno alle due bestie.
Tra le fessure sconnesse della baracca, altri due occhi fissavano eccitati i doni dei re. Erano occhi pieni di ingenua astuzia. Non avevano perso un solo attimo della giornata e ora osservavano con interesse il primo sbadiglio di stanchezza fiorito sulla bocca dell'uomo. Erano gli occhi di Disma, il più bravo dei ladruncoli di Betlemme, agile e svelto come un furetto.
Il bambino si addormentò per primo, poi la madre si assopì sul mucchio di paglia che l'uomo aveva preparato e rassettato. L'uomo aspettò che il fuoco si spegnesse, poi si abbandonò anche lui sulla paglia con un sospiro di stanchezza e si addormentò. L'asino e il bue lo imitarono. Un silenzio profondo avvolse la baracca.
Un fagotto tintinnante
Disma scivolò nell'ombra e si avvicinò alla porta. Era sbarrata da un robusto paletto. Non poteva scardinarla: avrebbe svegliato tutti. Esaminò le pareti, sfiorandole con la mano. Un' assicella si mosse. Disma intuì che poteva allargare la fessura quel tanto che bastava per permettergli di infilarsi dentro la vecchia stalla. Con consumata abilità, il ragazzo spostò l'asse cercando di non farlo cigolare e si infilò nel varco con le movenze sinuose di un gatto.
Si mosse leggero, cercando di abituare gli occhi all'oscurità. I tre scrigni erano sotto la culla improvvisata del bambino, illuminati dall'ultimo bagliore delle braci del fuoco.
Il bue sbuffò nel sonno e l'asino scalciò nella paglia. Sognavano anche loro. Disma trattenne il fiato, immobile. Nella stalla i respiri ripresero regolari.
Il ragazzo si mosse rapidamente. Afferrò i tre scrigni e li infilò nella bisaccia di tela che portava a tracolla. Diede un'occhiata al bambino e gli parve di vedere sul suo piccolo viso un sorriso, scosse le spalle e uscì dalla fessura che aveva aperto. Quando fu fuori della stalla, sorridendo rimise a posto l'assicella che aveva spostato per entrare, poi si allontanò di corsa. Faceva grandi balzi di gioia, tenendo con le due mani il fagotto tintinnante della refurtiva. Ripassava a memoria il contenuto e pensava eccitato alla bella somma che ne avrebbe ricavato. Il più grosso degli scrigni conteneva monili, bracciali e monete d'oro, il secondo era pieno di purissimo incenso e il terzo conteneva una fiala di preziosissima mirra. Un colpo di fortuna incredibile. Doveva solo essere prudente e nascondere tutto bene. Il mondo era pieno di ladri.
La sorpresa
Entrò in casa dal tetto, come faceva di solito. Non aveva né padre né madre e il vecchio parente che lo teneva in casa non si curava di lui.
Nella sua stanzetta, sotto il pavimento ricoperto di paglia, Disma aveva scavato una nicchia in cui nascondeva le sue cose preziose.
«Terrò nascosti per qualche mese l'oro, l'incenso e la mirra. Poi li venderò un poco alla volta, a Gerusalemme o anche a Damasco, dove non desterà sospetti...» pensava.
Accese una lampada ad olio finemente incisa che proveniva dall'atrio della casa del centurione romano, che la stava ancora cercando, ed esaminò il bottino. Aprì con cautela il primo scrigno e non riuscì a trattenere un'imprecazione stizzita: «Ma che diavolo è successo?». Spalancò con furia gli altri due astucci, guardò, annusò e poi imprecò ancora più rabbiosamente. Qualcuno gli aveva giocato uno scherzo terribile. Forse quell'uomo era molto più furbo di quanto desse a vedere. Invece dell'oro, lo scrigno conteneva un grosso martello, al posto dell'incenso c'erano tre grossi chiodi e la bottiglietta, invece della mirra raffinata, conteneva volgare aceto.
«Accidenti, accidenti! Che me ne faccio di questa robaccia? La rifilerò ai soldati romani per qualche moneta...».
Tre croci
Passarono gli anni. Disma era diventato il più ricco e sfrontato predone del deserto. I suoi uomini compivano razzie nelle più ricche città d'Oriente e l'esercito di Roma era stato costretto più volte a scendere a patti con lui. Ma un giorno, arrivò da Roma un governatore ambizioso di nome Ponzio Pilato che, per fare carriera e ingraziarsi i notabili di Gerusalemme, decise di catturare Disma. Ci riuscì con un tranello e Disma fu condannato alla pena più terribile ed infamante: la morte mediante crocifissione.
Erano in tre a salire sul Golgota, il luogo delle condanne, poco fuori Gerusalemme, dove erano state preparate tre croci. Disma conosceva il vecchio brigante legato con lui, ma non riusciva a spiegarsi il terzo condannato. Aveva il volto nobile e pieno di bontà, anche sotto i segni della tortura. Dicevano che era un profeta di Galilea di nome Gesù, che faceva miracoli, che era stato condannato perché si era proclamato Figlio di Dio e Messia.
Gli occhi gelidi e feroci di Disma si incontrarono con quelli del terzo condannato. Per il bandito tutto divenne stranamente diverso: la sua rabbia feroce svanì e si sentì stranamente in pace.
Il boia cominciò il suo miserabile compito con il profeta galileo: impugnò un grosso martello e tre grossi chiodi, mentre un soldato inzuppava una spugna di aceto. Improvvisamente Disma capì: eccoli i doni dei re che lui aveva rubato tanti anni prima in una stalla di Betlemme, dove c'erano un uomo e una madre e un bambino. Quel bambino era il Messia! Quindi anche lui aveva contribuito a crocifiggere il Figlio di Dio... Con le lacrime agli occhi, Disma sentì che Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Con la solita insensibilità, i soldati si misero a litigare per dividersi le vesti dei condannati. Quando le tre croci furono innalzate con il loro carico di dolore, la gente cominciò a farsi beffe dei condannati. Si accanivano particolarmente contro Gesù. I capi del popolo lo schernivano: «Ha salvato tanti altri, ora salvi se stesso, se egli è veramente il Messia scelto da Dio». Anche i soldati lo schernivano: si avvicinavano a Gesù, gli davano da bere aceto e gli dicevano: «Se tu sei davvero il re dei Giudei salva te stesso!».
L'altro bandito crocifisso si era unito agli schernitori e insultava Gesù: «Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi!». Disma lo rimproverò con asprezza: «Tu che stai subendo la stessa condanna non hai proprio nessun timore di Dio? Per noi due è giusto scontare il castigo per ciò che abbiamo fatto, lui invece non ha fatto nulla di male».
Poi aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
Gli occhi del Messia torturato e morente guardarono Disma con bontà infinita, poi il feroce bandito udì le parole più belle e amorevoli di tutta la sua vita disperata: «Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso».
inviato da Patrizia Traverso, inserito il 24/11/2009
PREGHIERA
107. Preghiera per quando non preghiamo
Matteo Salvatti, Insegnaci a Pregare, raccolta di preghiere
Signore,
Tu ci insegni a pregare con perseveranza,
a scegliere la parte migliore,
ci insegni a ricordarci di pregare più volte di quanto non respiriamo.
Purtroppo spesso, troppo spesso, la preghiera è invece ai margini della nostra vita.
Le riserviamo un posto di convenienza, di circostanza.
Nelle nostre giornate il tempo che vi dedichiamo è irrisorio. Perdonaci ancora.
Tu, o Gesù, eri in continuo dialogo con il Padre.
Signore, aiutaci a pregare.
Signore, fa' che la nostra vita diventi preghiera.
Fa' che la nostra preghiera non sia solo preghiera parolaia, ma fatta di fatti.
Fa' al tempo stesso che la nostra vita non sia vuoto attivismo, ma anche orazione.
Signore, perdonaci quando ci dimentichiamo dell'essenziale.
Insegnaci ad amare la preghiera, ad amare te che nei la fonte e l'essenza.
Amen.
inviato da Matteo Salvatti, inserito il 11/10/2009
TESTO
108. Decalogo della coppia, immagine dell'unione di Cristo con l'umanità 3
Elaborato dai gruppi famiglie Parr. SS. Salvatore, Biancavilla, CT
1°. Dono all'altro senza condizione.
Come Gesù si è donato all'Umanità.
2°. Fedeltà, avere fiducia nell'altro.
Come Gesù resta sempre accanto all'Umanità.
3°. Dialogo, apertura verso l'altro.
Come Gesù parla alla sua Sposa.
4°. Preghiera, raccogliersi insieme per dialogare con Dio.
Come Gesù implora il Padre per la sua Sposa
5°. Perdono, riconoscere le fragilità di entrambi.
Come Gesù si accosta e rialza la sua Sposa caduta.
6°. Testimonianza, mostrare l'amore di Dio.
Come lo ha testimoniato Gesù.
7°. Coerenza, essere sempre presenti.
Come Gesù resta sempre accanto all'Umanità.
8°. Amicizia, raccontare se stessi.
Come Gesù ha parlato del Padre.
9°. Perseveranza, essere forti nella prova.
Come Gesù ha abbracciato la croce per la sua Sposa.
10°. Sacrificio, rinunciare a se stessi.
Come Gesù si è offerto per l'umanità.
coppiaamorematrimoniofamigliasposi
inviato da Mariella Tirendi, inserito il 20/09/2009
RACCONTO
109. Se Gesù bussasse alla porta di casa... 5
C'era una volta un paese qualunque, in un posto qualunque, abitato da gente qualunque, che viveva una vita qualunque. Vi accadevano cose belle e cose brutte, come in tutti i paesi qualunque; era un paese dove la vita scorreva apparentemente tranquilla, presa dalle cose di tutti i giorni.
La gente di quel paese qualunque, però, non era poi tanto "qualunque"; infatti era l'erede nientemeno che di un Regno, annunciato tanti secoli prima da un grande Re, il cui nome era Gesù Cristo, sceso dal suo Regno celeste per insegnare agli uomini il modo per entrarci e diventare, così, suoi coeredi. Egli, nel suo soggiorno terrestre, con i suoi discorsi ed il suo comportamento, aveva stravolto le idee umane di Regno, riferite per lo più alla potenza, alla forza, al dominio, spesso al terrore e alla dominazione; aveva invece parlato di pace, amore, fratellanza, uguaglianza, tolleranza, carità. Per aver parlato di ciò, fu crocifisso dagli uomini e furono perseguitati pure i suoi apostoli e i suoi seguaci, chiamati Cristiani. L'annuncio del suo Regno, però, non si interruppe mai, continuò fino ai giorni nostri, giungendo anche in quel paese qualunque, in cui viveva un apostolo qualunque, responsabile della continuazione dell'annuncio e della vita evangelica dei cristiani.
Da tempo, il pastore di quella comunità si era accorto che qualcosa non andava per il suo verso. I Cristiani che frequentavano la chiesa non erano molti, i bambini addirittura pochissimi, le cose di questo mondo stavano prendendo il posto dell'aspettativa del Regno, anche se, a onor del vero, la gente era buona, faceva i fatti suoi, non faceva parlare di sé. Quel pastore, invece, voleva qualcosa di più: voleva realizzare il Regno già quaggiù, facendo sì che nel suo paese qualunque, con la sua gente qualunque, con un apostolo qualunque si compisse quanto il Re Gesù Cristo aveva chiesto agli uomini per avere la sua eredità eterna:"amatevi l'un l'altro come io ho amato voi!"
Un giorno, nel corso di una funzione religiosa, il pastore iniziò il suo sermone così: "Cari fratelli, care sorelle, questa notte ho avuto una visione...".
Un bisbiglio serpeggiò tra i fedeli. "Ha avuto una visione! Che sarà mai?".
"Una visione bellissima", continuò l'apostolo, "ho visto Gesù in tutto il suo splendore!".
"Ha visto Gesù....ma, sarà vero?". "Il nostro apostolo ha visto Gesù!!!". Il brusio tra i fedeli era ormai incontrollabile, mentre tutti tenevano gli occhi incollati al volto dell'Uomo di Dio, in attesa del seguito del suo discorso.
"E' vero, pare impossibile anche a me, umile apostolo, che Gesù si sia degnato di apparirmi, ma è proprio così: Gesù è venuto da me e mi ha lasciato un messaggio per noi tutti, me compreso".
"Un messaggio, anche per noi? E che sarà mai"? si chiedeva la gente, ormai in preda ad una grande curiosità, mista ad un po' di ansia.
"Gesù mi ha detto che la prossima settimana visiterà tutte le case del nostro paese, compresa la mia naturalmente, senza preavviso, e si nasconderà nelle spoglie delle persone, di qualunque persona, può essere la nonna, il figlio, il marito, la moglie, un forestiero, insomma, può essere proprio qualunque sta intorno a noi, capito? Adesso andatevene, raccontate quanto vi ho detto anche a chi non viene in chiesa e sappiate comportarvi di conseguenza. Ricordatevi che Gesù guarda soprattutto se mettete in pratica il suo insegnamento:"Ama gli altri come te stesso".
Potete immaginare il chiacchiericcio e l'emozione della gente all'uscita dalla chiesa. La voce dell'arrivo di Gesù si sparse in un battibaleno in tutto il paese, ne varcò i confini e arrivò in città, e subito reporter dei più famosi giornali e delle stazioni televisive invasero il paese qualunque, insediandosi nei pochi hotel disponibili ed assediandolo con camper, antenne e quant'altro.
Venne il lunedì, e ogni persona del paese passò la giornata a guardarsi intorno, a fissare gli altri con occhi terribilmente fissi, quasi per scorgere, sotto le loro sembianze, la parvenza della presenza di Gesù. Fu una giornata di nervosismo, di scatti repentini, di risposte poco gentili, insomma, fu una giornata poco... "caritatevole". Durante la notte, però, le persone, in un dormiveglia ansioso, ebbero modo di riflettere sul loro comportamento e capirono che non avevano messo per niente in pratica l'insegnamento di Gesù. "Se per caso era in una delle persone che ho incontrato oggi, mamma mia, che figura ho fatto!!!! Domani starò più attento".
Intanto, i giornalisti, la sera del lunedì fecero sapere a mezzo mondo che la venuta di Gesù tra la gente del paese qualunque aveva fatto schizzare i nervi a tutti e le cose erano peggiorate rispetto a prima, ne sapeva qualcosa uno di loro, che era addirittura stato malmenato per aver calpestato le aiuole di un bel giardino, mentre tentava di riprendere una lite famigliare dietro una finestra.
Venne il martedì e il detto "la notte porta consiglio" fu quanto mai veritiero.
La signora Maria, uscita per fare la spesa di buon mattino, incrociò la signora Bice. Come sempre, le venne istintivo di tirare dritto voltando la faccia dall'altra parte (aveva sparlato di lei con la sua amica più cara, quella strega!), ma le balenò il pensiero: "E se è Gesù? Non posso non salutarlo!", e per la prima volta, dopo dieci mesi, le disse, se pur tra i denti: "Buona giornata, Bice!".
La Bice, che era ben peperina, stava per non rispondere al saluto, ma pensò: "E se è Gesù?". Mai avrebbe rinunciato a salutare Gesù, per cui disse sorridendo: "Cara Maria, buona giornata anche a te!!!". E sentirono tutte e due un gran peso che se ne andava e una gran gioia che le rallegrava.
L'infermiera Tina, raggiunto il suo reparto, ne trovò di tutti i colori: si innervosì, rispose alla caposala, stava per adirarsi con un malato difficile quando un pensiero le balenò improvviso: "E se Gesù si fosse nascosto in qualcuna di queste persone? Ma guarda, non ci avevo pensato!". Immediatamente cambiò il proprio atteggiamento, diventò gentile ed affabile con tutti e, di conseguenza, tutti diventarono gentili con lei.
"Mamma, guarda che disegno ho fatto!". "Piantala, che devo vedere la puntata di Demiful...!", rispose secca la donna. Pian piano, però, affiorò nella sua mente un dubbio: "E se Gesù si è nascosto in mio figlio"?. Immediatamente, spense la televisione, rinunciando per la prima volta alla sua telenovela preferita, e chiamò il figlio.
Di giorno in giorno, nel paese qualunque, tra quella gente qualunque, si diffuse in modo dirompente la consapevolezza che il Cristo Re poteva nascondersi nelle spoglie di qualunque persona, chiunque poteva essere Gesù e, di conseguenza, il comportamento di ognuno cambiò: le parole gentili sostituirono gli improperi, ogni persona fu guardata con occhi nuovi, con amore, con più rispetto, i mariti ebbero più riguardo per le mogli, le mogli si sforzarono di capire più profondamente i mariti, i genitori dedicarono più tempo ai figli, gli anziani furono apprezzati per la loro esperienza, i malati furono accuditi con amore e gentilezza, i forestieri furono accolti con disponibilità.
I giornalisti, come sempre pronti a cogliere le minime manifestazioni che facessero notizia, constatarono un crescendo di atteggiamenti positivi: l'armonia si poteva toccare con mano, gli sforzi per migliorare i rapporti con gli altri erano palpabili, insomma, sembrava un paese nuovo, Regno di pace, d'amore, il Regno in terra del Re Gesù Cristo. La notizia positiva si diffuse in mezzo mondo e ogni paese cercò di copiare la ricetta dell'Amore, con la consapevolezza, finalmente, che Gesù è in ogni uomo ed applicando quanto Egli ci disse: "Ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me".
Ed è così che il pastore qualunque della gente qualunque del paese qualunque riuscì a realizzare sulla terra il Regno di Dio, obbedendo alla richiesta che recitiamo sempre nel Padre Nostro: "Venga il tuo regno!".
E nascendo la PACE in ogni cuore, nacque la pace in tutta la terra!
regno di DiopaceamorefratellanzaGesùCristo Recarità
inviato da Mariangela Forabosco, inserito il 13/09/2009
TESTO
Tonino Bello, Alle porte del regno
Ce l'hanno spiegata con mille sfumature, e vien quasi da pensare che ogni biblista abbia un suo modo di leggere questa pagina delle beatitudini: l'unica che vorremmo salvare, se di tutti i libri della terra si dovesse sottrarre all'incendio solo il Vangelo e di tutto il Vangelo si dovesse preservare dalle fiamme soltanto una sequenza di venti righe.
Si intuisce subito che queste parole pronunciate da Gesù nascondono promesse ultraterrene.
Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero. Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni. Traducono, come nessun altro frasario umano, le nostre nostalgie di futuro, e ci proiettano verso quei cieli nuovi e terre nuove in cui la settimana si accorcia a tal punto da conoscere solo il sabato eterno.
Imprigionano il "non ancora" - sempre abbozzato e mai esploso pienamente - di quel "risus paschalis" che ora sperimentiamo solo nella smorfia delle nostre troppo rapide convulsioni di letizia per cedere subito il posto all'amarezza del pianto.
Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c'è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso "regno dei cieli", la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità. Sì, Gesù vuol dare una risposta all'istanza primordiale che ci assedia l'anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. E' l'unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l'uomo. Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale.
Beati: provocazione all'impegno
Che cosa significhi il termine "beati" è difficile spiegarlo.
C'è chi ha voluto specularci sopra, capovolgendo addirittura il senso delle parole del Signore per utilizzarle a scopi di imbonimento sociale. Quasi Gesù avesse inteso dire: state buoni, poveri, perché la misura della vostra felicità futura sarà inversamente proporzionale alla misura della vostra felicità presente. Anzi, quante più sofferenze potete collezionare in questa vita, tanto più vi garantite il successo nell'altra.
E' questo un modo blasfemo di leggere le beatitudini, perché spinge i poveri all'inerzia, narcotizza i diseredati della terra con le lusinghe dei beni del cielo, contribuisce a mantenere in vigore un ordine sociale ingiusto e, in un certo senso, legittima la violenza di chi provoca il pianto degli oppressi dal momento che a costoro, proprio per mezzo delle lacrime, viene offerto il prezzo per potersi pagare, in contanti, il regno di Dio. C'è invece, chi ha visto nella formulazione delle beatitudini un incoraggiamento rivolto ai poveri, agli afflitti, agli umili, ai piangenti, ai perseguitati... per sostenerli con la speranza dei beni del cielo. Quasi Gesù avesse inteso dire: se a un certo punto vi sentite sfiniti per le ingiustizie che patite, tirate avanti lo stesso e consolatevi con le promesse della felicità futura. Guardate a quel che vi toccherà un giorno, e questo miraggio di beatitudine vi spronerà a camminare, così come il desiderio del riposo accelera e sostiene i passi di chi, stanchissimo, sta tornando verso casa.
Anche questo è un modo stravolto di leggere le beatitudini. Meno delittuoso del primo, ma pur sempre alienante e banale. Perché punta sull'idea della compensazione. Perché con la lusinga della meta, non spinge la gente a mutare le condizioni della strada. Perché se non proprio a rassegnarsi, induce a relativizzare la lotta, ad arrendersi senza troppa resistenza, a vedere i segni della ineluttabilità perfino dove sono evidenti le prove della cattiveria umana e a leggere i soprusi dell'uomo come causa di forza maggiore.
E c'è finalmente, il modo legittimo di leggere le beatitudini. Che consiste, essenzialmente, nel felicitarsi con i senzatetto e i senza pane, come per dire: complimenti, c'è una buona notizia! Se tutti si son dimenticati di voi, Dio ha scritto il vostro nome sulla palma della sua mano, tant'è che i primi assegnatari delle case del regno siete voi che dormite sui marciapiedi, e i primi a cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi che ora avete fame.
Felicitazioni a voi che, a causa della vostra mitezza, vi vedete sistematicamente scavalcati dai più forti o dai più furbi: il Signore non solo non vi scavalca nelle sue graduatorie ma vi assicura i primi posti nella classifica generale dei meriti.
Auguri a tutti voi che state sperimentando l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri: c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi, e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia.
Rallegratevi voi che, in un mondo sporco di doppi sensi e sovraccarico di ambiguità camminate con cuore incontaminato, seguendo una logica che appare spesso in ribasso nella borsa valori della vita terrena ma che sarà un giorno la logica vincente.
Su con la vita voi che, sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile anche sulla terra: non lasciatevi scoraggiare dal sorriso dei benpensanti, perché Dio stesso avalla la vostra testardaggine.
Gioia a voi che prendete batoste da tutte le parti a causa della giustizia: le vostre cicatrici splenderanno un giorno come le stimmate del Risorto!
Perché di essi sarà...
Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.
Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace... siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei "poveri", ci interessa fino a un certo punto.
E neppure ci interessa molto sapere se i poveri "in spirito" siano una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.
Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.
Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta... vengono presentate come partecipazione all'esperienza pasquale di Cristo che, attraverso la morte, è entrato nella gloria.
E allora; se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il Cristo l'archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di risurrezione!
La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo, queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le "chances" della loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera espressiva che non lascia dubbi interpretativi: "...perché di essi sarà..."
Quel "...perché di essi sarà..." rappresenta il titolo giuridico di possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di avere non solo la "legittima" ma l'intero asse patrimoniale del regno. E' un passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno può avere il coraggio di impugnare. E', insomma, il timbro a secco che autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito notarile.
La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte all'eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o, almeno, i poveri dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi.
Insomma, o ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri, o ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri.
Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel "Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".
E' la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello delle beatitudini, che sorregge quell'arcata di impegno che ha la chiave di volta nell'opzione dei poveri.
Beati o benedetti
Veniamo a sapere, dunque, che, come titolo valido per l'usufrutto del regno, esiste un'alternativa al titolo di "povertà": quello della "solidarietà" con i poveri. Diventare, cioè, così solidali con loro da esserne il prolungamento. Fare tutt'uno con loro, così da esserne considerati quasi la protesi.
Se si vuole entrare nel regno della felicità perciò occorre vistare il passaporto o col titolo di "beati" o col titolo di "benedetti".
E' splendida l'esortazione che al termine della messa nuziale viene pronunciata sugli sposi: "Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre".
"Beati... perché di essi sarà...".
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi..."
Non potrà mai dimenticare lo stupore di Mons. Gasparini, vescovo missionario nel Sidamo, quando un giorno, indicandomi un gruppo di bambini etiopi, dagli occhi sgranati per fame, dalle gambe filiformi, devastati dalle mosche sul corpo scheletrito, mi disse quasi sottovoce: "Vedi: che questi bambini siano figli di Dio non mi sorprende più di tanto. E neppure che siano fratelli di Gesù Cristo. Ma ciò che mi sconcerta e mi esalta è che questi poveri siano eredi del paradiso! Sembra un assurdo. Ma è proprio per annunciare quest'assurdo, che sono felice di aver speso tutta la mia vita in mezzo a questa gente". "Beati... perché di essi..."
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi...".
Il Signore ci conceda che, nel mazzo delle carte d'identità racchiuse da quei due pronomi personali, un giorno, col visto d'ingresso, poco importa se con la sigla "beati" o con la sigla "benedetti", egli possa trovare anche la nostra.
E ci riconosca. Alle porte del regno.
beatitudiniregno di Diobeatipovertàsolidarietà
inviato da Qumran2, inserito il 06/08/2009
ESPERIENZA
111. Nonostante tutto ci credo
Mia madre è morta il 6 aprile di quest'anno e sinceramente con lei ha cessato di vivere anche parte di me! Il vuoto immenso che si era incarnato nel mio corpo, nella mia mente e soprattutto all'interno del mio cuore, era tanto grande da togliermi ogni emozione, ogni sensazione bella e brutta... perché per me lei era tutto ciò che apparentemente mi rendeva felice.
Era giovane, bella, di umore per lo più allegro, ma non aveva dentro di sè la luce, la sintonia col suo prossimo, lo spirito feroce che deve avere una giovane donna: non conosceva bene Dio!
Quando se n'è andata da questa terra mia madre ha smesso di soffrire, di rincorrere qualche cosa che la tormentava, si, una pace che in lei non era mai esistita: la pace e l'armonia che io trovo nella mia fede in Cristo!
L'ho conosciuto proprio quel giorno, il 6 aprile del 1999, o meglio, lo conoscevo già ma non mi rendevo conto che era solo per sentito dire, che non ero mai stata veramente in grado di accettarlo dentro di me con tutta la sua importanza, la sua bontà e tutta la sua fiducia che, ora, solo grazie a lui, mi aiutano a vivere.
Quando ho fatto i conti con la realtà e ho capito che la mamma non era più presente in questo mondo, ho provato a chiedermi perché proprio io dovevo soffrire così, sentirmi straziata dal dolore per un'altra simile mancanza, visto che il papà l'avevo già perso... ma ho capito che il perché non c'era, perché in realtà la sofferenza non doveva esistere, ed è impossibile, come sappiamo tutti, trovare una risposta a qualche cosa che non c'è.
Giuro che non mi sono mai sentita sola nemmeno per un attimo, anzi, mi sono sentita profondamente capita, stretta fra le braccia del Signore, e ho capito lì, in quel momento, in quell'ospedale che mia madre era malata ed aveva ormai spento la fiammella della sua anima e la sua sofferenza senza Dio era tanto più grande della mia senza di lei.
Dio l'ha capita e l'ha chiamata a sè, rendendo me certa e più fiduciosa che mai della sua presenza, del suo grande amore...
Per le mie convinzioni mi sono sentita dare dell'esaurita, della pazzerella, della superficiale, ma io non sento queste parole perché sono dettate da menti e cuori che parlano così perché non hanno conosciuto Dio... altrimenti capirebbero che io non sono inconsapevole di quel che mi è successo, anzi ancora a volte piango per la mancanza della mamma; ma ho capito, riesco a darmi una ragione, a vivere ancora perché mi sento protetta e perché mi è stato concesso il dono della vita che è una cosa grandissima, infinita, inspiegabile.
Vorrei che tante altre persone la pensassero come me, vorrei che abbandonassero il Dio denaro, il Dio successo, il Dio spreco e si affidassero al Dio molto più semplice, umile ed indubbiamente molto più ricco di qualsiasi altra invenzione umana.
Le persone che si ritengono felici e atee, sono le persone che mi fanno più pena, perché non riescono a guardare oltre loro stesse!
Chi non crede, non professa alcuna opera che il Nostro Signore ci insegna, vive per se stesso e se fa qualcosa per il prossimo con consapevolezza eccessiva, lo fa con lo scopo anche a volte implicito di sentirsi gratificato dagli altri. Chi agisce spinto dalla fede vede come unico scopo il bene altrui, l'atto buono destinato ad aiutare un figlio di Dio come lui. Sì, figlio di Dio.
Questa espressione è stupenda, perché lega tutti gli uomini del mondo sotto uno stesso Cielo, nel cuore grande di uno stesso Padre e tu sai che chiunque incontri lungo il tuo cammino è figlio del tuo unico Padre e puoi solo sperare che come te se ne renda conto e non si senta abbandonato e ferito.
Scrivendo queste righe cresce in me il bisogno di trasmettere la mia gioia, il mio messaggio pulito a chiunque legga... provo il desiderio e forse anche la presunzione di far capire che si può trovare Dio in qualunque momento e in qualsiasi luogo.
L'uomo non può vivere solo per se stesso, non può vivere giorno per giorno con la concezione che con la fine di questa vita ci sarà la fine di tutto; perché se grande è questo nostro mondo terreno, ancora più grande è il "Regno dei Cieli".
Sarebbe stupido vivere questi quattro giorni consapevoli che poi non ci sarà più nulla, perché io personalmente sentirei di avere vissuto per nulla, di essere nata per caso, e mi sentirei inutile se la mia anima morisse con il mio corpo, poiché di me tutto scomparirebbe.
Trovare Dio significa anche andare verso l'eternità, l'immensità, la profondità... e ognuno di noi può farlo, in qualunque momento, anche fuori dalla Chiesa, perché non è solo lì che si vive il Signore. In Chiesa si riuniscono i fedeli la domenica e durante tutte le principali festività, ma quanti dei presenti, durante la Messa, si mettono realmente davanti a Dio? Quanti sentono fra quei muri freddi il calore dell'amore del Padre?
Io ho iniziato a farlo, la domenica seguo la Messa perché sento il bisogno di conoscere, di venire a contatto in modo particolare con gli insegnamenti e i dettami di Gesù, di tutti coloro che prima di me gli hanno voluto bene...
Fra il profumo dell'incenso e di cera, immersa nelle note dei canti che io stessa intono, trovo uno strano modo di star bene con me stessa e con gli altri, mi sento pulita, svuotata dal peso che a volte la vita ci carica in spalla; sento tutti quanti vicini, uniti per uno stesso scopo: imparare Dio.
Questo è un compito della Chiesa, del Giubileo del 2000: far sentire le persone tutte uguali, sotto uno stesso Padre, accettando comunque le indiscutibili differenze fra uno e l'altro.
speranzaaccoglienzafiducia in Dio
inviato da Romina Bernardinis, inserito il 19/07/2009
TESTO
112. Confessio Fidei - Narratio amoris 1
Bruno Forte, Confessare la fede narrando l'Amore
Una confessione di fede cristiana non è altro che la «sanctae Trinitatis relata narratio» (Concilio XI di Toledo: DS 528): il racconto dell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, cui abbiamo creduto sulla parola dei testimoni delle nostre origini, trasmessa nella vivente tradizione ecclesiale («relata narratio»). Chi confessa la fede, parla di Dio raccontando l'Amore, così come si è rivelato nell'evento trinitario di Pasqua:
Credo in te, Padre,
Dio di Gesù Cristo,
Dio dei nostri Padri e nostro Dio:
tu, che tanto hai amato il mondo
da non risparmiare
il tuo Figlio Unigenito
e da consegnarlo per i peccatori,
sei il Dio, che è Amore.
Tu sei il Principio senza principio dell'Amore,
tu che ami nella pura gratuità,
per la gioia irradiante di amare.
Tu sei l'Amore che eternamente inizia,
la sorgente eterna da cui scaturisce
ogni dono perfetto.
Ti ci hai fatti per te,
imprimendo in noi la nostalgia del tuo Amore,
e contagiandoci la tua carità
per dare pace al nostro cuore inquieto.
Credo in te, Signore Gesù Cristo,
Figlio eternamente amato,
mandato nel mondo per riconciliare
i peccatori col Padre.
Tu sei la pura accoglienza dell'Amore,
Tu che ami nella gratitudine infinita,
e ci insegni che anche il ricevere è divino,
e il lasciarsi amare non meno divino
che l'amare.
Tu sei la Parola eterna uscita dal Silenzio
nel dialogo senza fine dell'Amore,
l'Amato che tutto riceve e tutto dona.
I giorni della tua carne,
totalmente vissuti in obbedienza al Padre,
il silenzio di Nazareth, la primavera di Galilea,
il viaggio a Gerusalemme,
la storia della passione,
la vita nuova della Pasqua di Resurrezione,
ci contagiano il grazie dell'amore,
e fanno di noi, nella sequela di te,
coloro che hanno creduto all'Amore,
e vivono nell'attesa della Tua venuta.
Credo in te, Spirito Santo,
Signore e datore di vita,
che ti libravi sulle acque
della prima creazione,
e scendesti sulla Vergine accogliente
e sulle acque della nuova creazione.
Tu sei il vincolo della carità eterna,
l'unità e la pace
dell'Amato e dell'Amante,
nel dialogo eterno dell'Amore.
Tu sei l'estasi e il dono di Dio,
Colui in cui l'amore infinito
si apre nella libertà
per suscitare e contagiare
amore.
La tua presenza ci fa Chiesa,
popolo della carità,
unità che è segno e profezia
per l'unità del mondo.
Tu ci fai Chiesa della libertà,
aperti al nuovo
e attenti alla meravigliosa varietà
da te suscitata nell'amore.
Tu sei in noi ardente speranza,
tu che unisci il tempo e l'eterno,
la Chiesa pellegrina e la Chiesa celeste,
tu che apri il cuore di Dio
all'accoglienza dei senza Dio,
e il cuore di noi, poveri e peccatori,
al dono dell'Amore, che non conosce tramonto.
In te ci è data l'acqua della vita,
in te il pane del cielo,
in te il perdono dei peccati
in te ci è anticipata e promessa
la gioia del secolo a venire.
Credo in te, unico Dio d'Amore,
eterno Amante, eterno Amato,
eterna unità e libertà dell'Amore.
In te vivo e riposo,
donandoti il mio cuore,
e chiedendoti di nascondermi in te
e di abitare in me.
Amen!
credoDioamore di DiofedePadreFiglioSpirito Santo
inviato da Qumran2, inserito il 15/07/2009
PREGHIERA
113. Beatitudini paoline ispirate agli scritti di san Paolo 1
Beati coloro che, come Paolo,
si sentono scelti e amati da Dio
prima della creazione del mondo.
Beati coloro che, come Paolo,
vivono la novità dello Spirito
che nel battesimo ci fa figli di Dio.
Beati coloro che, come Paolo,
lodano il Padre che in Gesù
ci colma di tutte le benedizioni.
Beati coloro che, come Paolo,
vivono con gioia il mistero
del Signore crocifisso e risorto nella loro vita.
Beati coloro che, come Paolo,
si accostano al banchetto dell'Eucaristia,
riconciliati con i fratelli e le sorelle.
Beati coloro che, come Paolo,
ringraziano il Padre che ci chiama a vivere
in comunione con i fratelli e le sorelle
e ci arricchisce della grazia di Cristo.
Beati coloro che, come Paolo,
sono testimoni dell'Amore
e lo annunciano con la vita
come l'unico sommo Bene.
Beati coloro che, come Paolo,
sono guidati dallo Spirito;
sono arricchiti dei suoi doni
e li vivono nel servizio
e nella comunione fraterna.
Beati noi se ci impegniamo
a essere Paolo oggi;
se siamo come lui testimoni fedeli
del Signore Gesù,
e lo annunciamo con gioia e coerenza.
Amen.
beatitudinitestimonianzasan paolo
inviato da Qumran2, inserito il 02/07/2009
PREGHIERA
114. Preghiera a san Giovanni M. Vianney
Guy Bagnard, Vescovo di Belley-Ars
Santo Curato d'Ars, tu hai fatto della tua vita un'offerta totale a Dio per il servizio degli uomini. Che lo Spirito Santo, per la tua intercessione, ci conduca a rispondere oggi, senza debolezza, alla nostra vocazione personale.
Tu sei stato un assiduo adoratore di Cristo nel Tabernacolo. Insegnaci ad avvicinarci con fede e rispetto all'Eucaristia, a gustare la presenza silenziosa di Gesù nel Santissimo Sacramento.
Tu sei stato l'amico dei peccatori. Tu dicevi loro: "Le vostre colpe sono come un granello di sabbia rispetto alla grande montagna della misericordia di Dio". Sciogli i legami della paura che talvolta ci tengono lontani dal perdono di Dio. Aumenta in noi il pentimento per le nostre colpe. Mostraci il vero volto del Padre che attende instancabilmente il ritorno del figliol prodigo.
Tu sei stato il sostegno dei poveri: "Il mio segreto è molto semplice: dare tutto senza conservare niente". Insegnaci a condividere con quelli che sono nel bisogno, rendici liberi riguardo al denaro e a tutte le false ricchezze.
Tu sei stato un figlio affettuoso della Vergine Maria, "il tuo più vecchio amore". Insegnaci a pregarla con la semplicità e la fiducia di un bambino.
Tu sei diventato il testimone esemplare dei Parroci dell'universo. Che la tua carità pastorale conduca i pastori a ricercare la vicinanza con tutti, senza preferenze. Ottieni loro l'amore per la Chiesa, lo slancio apostolico, la solidità nelle prove.
Ispira ai giovani la grandezza del ministero sacerdotale e la gioia di rispondere alla chiamata del buon Pastore.
Santo Curato d'Ars, sii tu il nostro intercessore presso Dio. Amen.
sacerdotipretipresbiterianno sacerdotale
inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009
TESTO
Voi dovete essere la radiosità di Gesù stesso. Il vostro sguardo deve essere il suo, le vostre parole le sue. La gente non cerca i vostri talenti, ma Dio in voi. Conducetela a Dio, mai verso voi stessi. Se non la conducete a Dio significa che cercate voi stessi e la gente vi amerà soltanto per voi, non perché le ricorderete Gesù. Il vostro desiderio deve essere di "offrire soltanto Gesù" nel vostro ministero, piuttosto che voi stessi. Ricordate che soltanto la vostra comunione con Gesù porta alla comunicazione di Gesù. Come Gesù era strettamente unito al Padre tanto da essere il suo splendore e la sua immagine, cosi, con la vostra unione con Gesù, voi diventate la sua radiosità, una trasparenza di Cristo, affinché quelli che vi hanno visto in certo qual modo avranno visto lui.
Per poter essere veramente sacerdoti secondo il Cuore di Gesù avete bisogno di pregare molto e di tanta penitenza. Un sacerdote ha bisogno di unire il proprio sacrificio al sacrificio di Cristo se vuole veramente essere una cosa sola con lui sull'altare.
sacerdotepretecelibatoeucaristiaanno sacerdotale
inviato da Luca Peyron, inserito il 26/06/2009
PREGHIERA
116. Preghiera a Maria per i sacerdoti 1
Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, donna dell'Ascolto e del Servizio, a te ci rivolgiamo per preparare con la nostra preghiera l'anno dedicato alla santificazione dei sacerdoti.
Ti affidiamo ciascuno di loro, come Gesù sulla croce ti ha affidato il discepolo Giovanni. Ti chiediamo di accompagnarli con la tua bontà materna, perché ogni giorno ripetano il loro "sì" a Dio, come tu stessa hai fatto a Nazaret e in tutta la tua vita, fin sotto la croce e oltre.
Tu eri presente con gli apostoli nel cenacolo e con loro hai invocato e poi accolto il dono dello Spirito, che li ha resi coraggiosi testimoni del tuo Figlio, crocifisso e risorto, e li ha sostenuti nell'annunciare il Vangelo ad ogni creatura. Tu stessa li hai accompagnati con la tua preghiera, e la tenerezza di Madre.
Accompagna anche i nostri sacerdoti, soprattutto quando intraprendono strade nuove e non facili per annunciare anche nel nostro tempo la bellezza dell'amore del Padre. Aiutali ad essere autentici e fedeli, generosi e misericordiosi, puri di cuore e solleciti verso ogni persona.
Sostienili nelle giornate difficili, e aiutali a rialzarsi quando sperimentano la debolezza della loro risposta.
Fa' che siano attenti ascoltatori della Parola del tuo Figlio e annunciatori instancabili di questo tesoro che il Cristo ha affidato alla Chiesa perché sia seme gettato nei solchi dell'umanità.
Sostieni chi fatica ad essere fedele, e dona la consolazione che aiuta a superare i momenti difficili. Invoca con loro e per loro lo Spirito perché siano servitori della comunità sull'esempio e con la forza del Figlio tuo, che si è fatto servo per amore e ha indicato nel servizio uno dei modi per renderlo presente e vivo in mezzo ai suoi.
Aiutali a spezzare per tutti il Pane della Parola e dell'Eucaristia e ad essere compagni di viaggio per tutti coloro che cercano nel Vangelo la risposta alle tante domande della vita, il sollievo alle tante sofferenze che spesso ci rendono tristi.
Accompagnali tutti con il tuo amore di Madre; o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!
mariasacerdotisacerdoziopretipresbiteri
inviato da Don Remigio Menegatti, inserito il 19/06/2009
TESTO
117. Sogno una grande speranza 1
Cardinale Francesco Saverio Van Thuan, Testimoni della speranza. Esercizi spirituali tenuti alla presenza di Ss. Giovanni Paolo II, Citta Nuova, Roma 2006, pag 58-59
Sogno una Chiesa che è Porta Santa , aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell'umanità, tutta protesa a consolarla.
Sogno una Chiesa che è Parola, che mostra il libro del Vangelo ai quattro punti cardinali della terra, in un gesto di annuncio, di sottomissione alla Parola di Dio, come promessa dell'Alleanza eterna.
Sogno una Chiesa che è Pane, Eucaristia, che si lascia mangiare da tutti, affinché il mondo abbia la vita in abbondanza.
Sogno una Chiesa che è appassionata di quella unità che ha voluto Gesù.
Sogno una Chiesa che è in cammino, Popolo di Dio, che dietro al Papa che porta la croce, entra nel tempio di Dio e pregando e cantando va incontro a Cristo Risorto, speranza unica, incontro a Maria e a tutti i Santi.
Sogno una Chiesa che porta nel suo cuore il fuoco dello Spirito Santo, e dove c'è lo Spirito, c'è la libertà, c'è il dialogo sincero con il mondo; e specialmente con i giovani, con i poveri e con gli emarginati, c'è il discernimento dei segni dei nostri tempi.
Sogno una Chiesa che è testimone di speranza e di amore, con fatti concreti, come quando si vede il Papa abbracciare tutti... nella grazia di Gesù Cristo, nell'amore del Padre e nella comunione dello Spirito, vissuti nella preghiera e nell'umiltà.
inviato da Stefano Targa, inserito il 12/06/2009
PREGHIERA
Giovanni Paolo II, Le mie preghiere, a cura di Santino Spartà, Ed. Mondolibri
Padre misericordioso,
Signore della vita e della morte.
Il nostro destino è nelle tue mani.
Guardaci con bontà
e guida la nostra esistenza
con la tua Provvidenza,
piena di sapienza e di amore.
Ravviva in noi, o Signore,
la luce della fede
affinché accettiamo il mistero
di questo immenso dolore,
e crediamo che il tuo amore
sia più forte della morte.
Guarda, o Signore,
con bontà l'afflizione di coloro
che piangono la morte di persone care:
figli, padri, fratelli, parenti, amici.
Sentano essi la presenza di Cristo
che consolò la vedova di Naim
e le sorelle di Lazzaro,
perché egli è la risurrezione e la vita.
Trovino il conforto dello Spirito,
la ricchezza del tuo amore,
la speranza della tua provvidenza
che apre sentieri
di rinnovamento spirituale
e assicura a quelli che lo amano
un futuro migliore.
Aiutaci a imparare
da questo mistero di dolore
che siamo pellegrini sulla terra,
che dobbiamo essere sempre preparati,
perché la morte
può giungere all'improvviso.
Ricordaci che dobbiamo seminare sulla terra
ciò che raccoglieremo
moltiplicato nella gloria,
affinché viviamo, guardando sempre a te,
Padre e Giudice
dei vivi e dei morti,
che alla fine ci giudicherai nell'amore.
Ti ringraziamo, Padre,
perché nella fede
il dolore ci avvicina di più a te,
e in esso cresce la fratellanza e la solidarietà
di tutti coloro che aprono il cuore
al prossimo bisognoso.
Da questo luogo
che conserva i resti mortali
di tanti nostri fratelli
ascolta la nostra preghiera:
"Da' loro, o Signore,
il riposo eterno e risplenda
per essi la luce perpetua.
Riposino in pace.
E a noi che continuiamo a vivere,
pellegrini in questa valle di lagrime,
da' la speranza di riunirci a te,
nella tua casa paterna,
dove tuo Figlio Gesù
ci ha preparato un posto
e la Vergine Maria ci guida
verso la comunione dei Santi".
Amen.
inviato da Giovanna Gioia, inserito il 11/06/2009
PREGHIERA
Signore, mio Dio, Padre buono
ti offro per mezzo di Gesù,
la mia adorazione e la mia lode.
Ti ringrazio per la gioia
che mi hai fatto trovare nel roverismo,
soprattutto per i fratelli che mi hai fatto
conoscere e servire.
Ti offro me stesso
con tutti i doni che mi hai dato;
aiutami a fare sempre del mio meglio
per compiere il mio dovere.
Fa' che io sia fedele alla mia promessa,
fino a quando la mia strada
mi condurrà a te.
Così sia.
inserito il 05/06/2009
PREGHIERA
Rivista Il Cenacolo
Padre, sulle nostre terre d'Europa,
tessute di ombre e di luce, di notte e di brume,
di mattine soleggiate e di sere cariche di frutti;
sulle nostre terre d'Europa imbevute
di sangue e di compassione, di fanatismo
e di ricongiungimenti fraterni, volgi, Signore, il tuo sguardo.
Conosciamo bene il nostro passato di ingiustizia,
così come gli ideali di libertà e le luci di futuro
offerte senza calcolo al mondo moderno,
ma tu, Signore, dove ci chiami oggi?
Tu hai dato a qualcuno, cinquant'anni or sono, uno spirito di Pace:
e così, la riconciliazione ha vinto ogni spirito di rivincita,
la fiducia ha ricucito le lacerazioni. Colline d'orgoglio
si sono abbassate, pianure fertili si sono aperte
ed è venuta la pace. Cha sia la tua Pace!
Noi ti benediciamo o Padre, per i passi compiuti
gli uni verso gli altri; abbiamo saputo vincere la voce del sospetto,
scoprire ciò che sta al di là delle frontiere e delle maschere,
abbiamo trovato fratelli e sorelle in umanità.
Ti benediciamo per i semi di umanità germinati in mezzo a noi:
per le tante ricchezze spirituali di cui ci hai colmato.
Ti benediciamo per tutte queste lingue, culture e religioni
che cantano la generosità dei tuoi doni.
Che lo Spirito di Pentecoste ci insegni l'universalità!
Che il Cristo, compagno di Martino e di Benedetto,
di Caterina e di Cirillo sulle strade d'Europa,
accompagni oggi il nostro cammino.
Sia Lui stesso l'ospite della nostra casa comune
l'ispiratore della nosrta solidarietà.
inviato da Ester Da Ponte, inserito il 05/06/2009