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TESTO
Giacomo Perico, Resta con noi Signore, San Paolo Edizioni, 2011
Se mi ami non piangere! Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine, e in questa luce che tutto investe e penetra, tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall'incanto di Dio, dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al confronto.
Mi è rimasto l'affetto per te: una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo, anche se tutto era allora così fugace e limitato. Ora l'amore che mi stringe profondamente a te, è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi, tu pensami così!
Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine, pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell'amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
sul web questo testo viene attribuito a Sant'Agostino ma dovrebbe essere di padre Giacomo Perico, sacerdote gesuita, ispirato dalla morte di suo padre .
morteparadisovita eternadefunti
inviato da Mariangela Molari, inserito il 25/05/2002
RACCONTO
C'era una volta un piccolo baco, appoggiato ad un ramo che viveva una vita tranquilla, chiuso nel suo piccolo mondo di seta, sempre al caldo. Il baco guardava con ammirazione il mondo esterno, la luce del giorno e i bagliori delle stelle di notte e avrebbe voluto sapere cosa c'era là, fuori dal suo piccolo mondo; ma non riusciva ad oltrepassare la barriera dei fili di seta e così era costretto a vivere lì, con tutti i comfort che desiderava ma anche con una voglia incredibile di scoprire cosa c'era oltre. Ciò che il baco non poteva sapere era che un giorno avrebbe avuto quella possibilità ma solo quando sarebbe stato pronto per coglierla. Ogni giorno si sforzava immensamente per rompere la seta e sentire l'aria fresca sul suo volto ma ogni sera si rimetteva a letto esausto per lo sforzo. Non vedeva la tela rompersi e scioccamente pensava che tutti i suoi sforzi fossero inutili. Poi un giorno a poco a poco riuscì a fare un primo buchino nella tela dei fili di seta. Il cuore gli si riempì di emozione e gioia. E quel piccolo risultato lo portò a incrementare ancora di più i suoi sforzi. Ormai sentiva che era pronto, sentiva che in lui qualcosa era cambiato ma soprattutto avvertiva ancora di più il desiderio di scoprire il mondo.
La mattina dopo completò la sua opera: riuscì ad allargare il buco e ad uscire dalla sua casetta. Si appoggiò delicatamente sul ramo e rimase per qualche secondo ad ammirare il paesaggio attorno a sé, a sentire l'aria fresca nei suoi polmoni e il tepore del sole sul suo viso. Iniziò a muovere qualche passo per sgranchirsi dopo la fatica ma sentiva un peso enorme dietro la schiena e non capiva cosa fosse. Tutto d'un tratto arrivò un improvvisa folata di vento che gli fece perdere l'equilibrio e inesorabilmente scivolare dal ramo verso il vuoto. Credeva che ormai fosse la fine: ciò che non sapeva era che il peso sulla schiena erano le sue stupende ali e che tutti gli sforzi compiuti per rompere la tela non erano stati inutili bensì necessari a irrobustirle e permettergli di volare verso il suo obiettivo, sostenendolo sempre, sia nel vento, che nella tempesta che con il sole.
Il baco era diventato una stupenda farfalla.
crocesofferenzasacrificioimpegno
inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002
RACCONTO
Bruno Ferrero, L'importante è la rosa
Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all'Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l'elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: «Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?».
«Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l'atto di andarsene.
Allora accadde qualcosa d'inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell'uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre.
«Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese la giovane francese.
«Della rosa», rispose il poeta.
«Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all'umanità un significato spirituale, suscitare un'inquietudine dello spirito. E' necessario che l'umanità venga irrorata dall'alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così» (Antoine de Saint-Exupéry).
amoreinterioritàspiritualitàbisogno di affetto
inviato da Maria, inserito il 21/05/2002
RACCONTO
84. L'amore alla prova del tempo
Un signore organizzò un viaggio in Cina per conoscere parte dei suoi tanti misteri ed ammirare questo popolo così numeroso. Dopo pochi giorni che si trovava lì, s'innamorò follemente di una donna cinese. Poiché non conosceva la lingua, a malapena poteva comunicare con lei a gesti. Tutto il suo affetto passava attraverso le diverse espressioni, ma non attraverso la parola. Una volta tornato al suo paese, poiché non poteva capire le sue lettere, si mise a studiare la difficile lingua cinese. Così la sua relazione con la donna poteva continuare. Ci vollero mesi ed anni perché arrivasse a dominare la lingua. Fece un dottorato in lingua cinese, divenne un famoso sinologo, teneva conferenze sull'arte e la cultura cinese, viaggiava in tutto il mondo. Ma la lingua e la cultura cinese, i viaggi e la fama lo assorbirono così tanto che arrivò a dimenticare la donna della quale un tempo era stato innamorato. E soltanto in alcuni momenti del suo gran daffare ricordava con nostalgia quel primo amore per il quale aveva iniziato tutto e che aveva fatto cambiare direzione alla sua vita. Indubbiamente è molto importante riuscire ad andare in alto e ad innamorarsi, ma lo è anche riuscire a far sì che quell'amore scenda e sia presente nel quotidiano.
inviato da Filippa Castronovo, inserito il 09/05/2002
RACCONTO
85. L'uomo con le mani legate 1
C'era un uomo come tutti gli altri. Normale. Aveva qualità positive e negative. Non era diverso da noi.
Una volta bussarono all'improvviso alla sua porta. Quando uscì, si incontrò con certi suoi amici. Erano in molti ed erano arrivati insieme. I suoi amici gli legarono le mani.
Dopo gli spiegarono che così era meglio, che con le mani legate non poteva combinare nulla di male (si dimenticarono però di dirgli che in tal modo non poteva fare neanche qualcosa di buono). E se ne andarono, lasciando una guardia alla porta perché nessuno potesse slegargli le mani.
All'inizio si disperò e cercò di rompere i lacci. Quando si rese conto dell'inutilità dei suoi sforzi, cercò di adattarsi alla nuova situazione. A poco a poco fece in modo di arrangiarsi per sopravvivere con le mani legate. Dapprima gli costava molto anche togliersi le scarpe. Impiegò un giorno ad arrotolarsi una sigaretta. E cominciò a dimenticarsi che prima aveva le mani libere... Passarono molti anni. Quell'uomo arrivò ad adattarsi alle mani legate.
Durante questo tempo, la guardia alla porta gli raccontava, giorno dopo giorno, delle cose cattive che facevano di fuori gli uomini con le mani libere (ma si dimenticava di dirgli delle cose buone che facevano). Continuavano a trascorrere gli anni.
L'uomo con le mani legate si adattò sempre più. E quando il guardiano gli ripeteva che, grazie a quella notte in cui i suoi amici erano venuti per legargli le mani, egli non aveva più avuto la possibilità di fare del male (ma non gli diceva che non aveva più avuto anche la possibilità di fare del bene), quell'uomo cominciò a credere che era meglio, molto meglio, vivere con le mani legate. Erano così belle quelle legature, così tranquillizzanti!
Passarono molti, moltissimi anni. Un giorno i suoi amici sorpresero il guardiano nel sonno, entrarono in casa sua, gli sciolsero i nodi delle corde che gli legavano le mani. "Adesso sei libero", gli dissero.
Ma l'avevano slegato troppo tardi. Le sue mani erano completamente paralizzate.
peccatolibertàlibertà interiore
inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002
ESPERIENZA
Teresio Bosco, Madre Teresa di Calcutta, biografia
C'è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi-chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.
«Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa', piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.
I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell'ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt'intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella.
Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti.
E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare.
Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia.
Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!».
Madre Teresa affermò tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un «profeta». Pur nella miseria dove la nostra economia scaltra l'ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l'amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l'amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.
«Noi lo aiutiamo ad uscire dalla miseria. Ma lui ci regala qualcosa di più: ci insegna una maniera diversa di vivere: servirsi delle cose, ma non diventare prigionieri delle cose, credere che ci sono valori assai più importanti del denaro: l'amore, il calore della famiglia, il sorriso dei bambini, l'amicizia, la gioia...».
inviato da Marianna Sebastiani, inserito il 08/05/2002
RACCONTO
Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua
C'era una volta, tanto tempo fa, in un piccolo villaggio, la bottega di un falegname. Un giorno, durante l'assenza del padrone, tutti i suoi arnesi da lavoro tennero un gran consiglio.
La seduta fu lunga e animata, talvolta anche veemente. Si trattava di escludere dalla onorata comunità degli utensili un certo numero di membri.
Uno prese la parola: "Dobbiamo espellere nostra sorella Sega, perché morde e fa scricchiolare i denti. Ha il carattere più mordace della terra".
Un altro intervenne: "Non possiamo tenere fra noi sorella Pialla: ha un carattere tagliente e pignolo, da spelacchiare tutto quello che tocca".
"Fratel Martello - protestò un altro - ha un caratteraccio pesante e violento. Lo definirei un picchiatore. E' urtante il suo modo di ribattere continuamente e dà sui nervi a tutti. Escludiamolo!".
"E i Chiodi? SI può vivere con gente così pungente? Che se ne vadano. E anche Lima e Raspa. A vivere con loro è un attrito continuo. E cacciamo anche Cartavetro, la cui unica ragion d'essere sembra quella di graffiare il prossimo!".
Così discutevano, sempre più animosamente, gli attrezzi del falegname. Parlavano tutti insieme. Il martello voleva espellere la lima e la pialla, questi volevano a loro volta l'espulsione di chiodi e martello, e così via. Alla fine della seduta tutti avevano espulso tutti.
La riunione fu bruscamente interrotta dall'arrivo del falegname. Tutti gli utensili tacquero quando lo videro avvicinarsi al bancone di lavoro. L'uomo prese un asse e lo segò con la Sega mordace. Lo piallò con la Pialla che spela tutto quello che tocca. Sorella Ascia che ferisce crudelmente, sorella Raspa che dalla lingua scabra, sorella Cartavetro che raschia e graffia, entrarono in azione subito dopo.
Il falegname prese poi i fratelli Chiodi dal carattere pungente e il Martello che picchia e batte.
Si servì di tutti i suoi attrezzi di brutto carattere per fabbricare una culla. Una bellissima culla per accogliere un bambino che stava per nascere. Per accogliere la Vita.
Dio ci guarda con l'occhio del falegname.
occhi di Dio su di noiamore di Diocorrezione fraternaconvivere
inviato da Stefania Raspo, inserito il 05/05/2002
ESPERIENZA
88. Stupendo "Presepe vivente" non pubblicizzato a...
In questi giorni tutti i mezzi di comunicazione annunciano che le amministrazioni comunali, le parrocchie, le associazioni, hanno organizzato il: "Presepe vivente a..., nei giorni..., dalle ore... alle ore...; il 6 gennaio l'arrivo dei Magi con i doni...; comparse numero...; scenario suggestivo sul...; prenotarsi allo..., offerta libera" e noi annotiamo le date per poterli vedere tutti. Con questa mia lettera volevo fare anche io un po' di pubblicità ad un presepe reale...
La Società Consumista, Egoista, ha organizzato sulla Campi - Lecce, un presepe vivente, dal 1 gennaio al 31 dicembre (fin quando non ci diamo una mossa); dalle ore 00,00 alle ore 24,00; arrivano i doni (vestiti usati, pasta, olio, burro tutto aiuto CEE). I personaggi (non comparse) sono circa 300; le grotte sono fatte di roulotte bucate, senza finestre, freddissime d'inverno, bollenti in estate; le luminarie: poca luce di giorno (la notte salta sempre perché non avendo il bue e l'asino per riscaldarsi accendono tutti le stufe ed è normale che la piccola cabina elettrica non riesca a mantenere e quindi i vari bambinelli rimangono al freddo e al gelo, riscaldati dalla disperazione dei genitori che danno un po' di calore abbracciandoli, col rischio di soffocarli); gli animali: topi, scarafaggi; i servizi (se così si possono chiamare): una quindicina per 300 persone, acqua fredda; l'assistenza medica (solo le urgenze al pronto soccorso, se fanno in tempo; ma è meglio prevenire che curare). Il resto lo vedrete voi. Ah! Dimenticavo, non bisogna prenotarsi, né fare lunghe code, l'ingresso è gratuito, anzi uscendo da questo presepe vi accorgerete come loro vi avranno dato qualcosa: sì, capirete molte cose della vita. Uscendo non direte Che bello e poi tutto finisce lì. Non avrete parole, ma ve lo ricorderete per tutta la vita. Lo spazio Campo Sosta Panareo per realizzare questo presepe è stato messo a disposizione (e abbandonato) dal Comune di Lecce.
I personaggi di questo presepe mi fanno venire in mente i pastori al tempo di Gesù: non godevano di diritti civili ed erano considerati gli ultimi della società. Vivevano immersi nell'abiezione e dal punto di vista delle norme religiose nell'impurità totale, senza alcuna possibilità di riscatto. Venivano trattati alla stregua di bestie, con una differenza a favore delle bestie: si può tirare un animale caduto in un fosso, ma non un pastore. Proprio a costoro si rivolge l'angelo. Non parole di condanna, ma un annunzio di grande gioia, la nascita di colui che li libererà dall'emarginazione. Quelli che gli uomini avevano confinato nelle tenebre (in un campo sosta) sono i primi a rendersi conto della luce che risplende, mentre quanti vivono nello splendore (ricchezza) rimangono nelle tenebre. Quando Gesù si presenta nella storia, nessun sacerdote di Gerusalemme se ne accorge. I pastori sì, loro se ne andarono dalla grotta "glorificando e lodando Dio": questo era compito esclusivo degli angeli.
Correremo anche noi il rischio di non accorgerci della nascita di Gesù? Ci inginocchieremo davanti ad un bambino fatto di gesso che non soffre né il caldo né il gelo e ci dimenticheremo che nasce in carne ed ossa nel "Campo Sosta Panareo"?. E i musulmani del Campo quella notte ascolteranno gli angeli che canteranno "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama", e il giorno di Natale, stando ai semafori delle nostre città o davanti alle porte delle nostre chiese, ci annunceranno la grande gioia che Gesù è nato anche per loro. Ci vogliamo impegnare quanto prima a cambiare un po' lo scenario di questo presepe vivente (ci vuole qualche novità per l'anno prossimo)? Andate a vedere e decidete quale modifica apportare. Magari un prefabbricato andrebbe bene.
Santo Natale a tutti.
Natalepovertàsolidarietàcaritàamore
inviato da Fra Angelo De Padova, inserito il 30/04/2002
TESTO
Helder Camara, Camminiamo la speranza
Partire è anzitutto uscire da sé.
Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro "io".
Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita. Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l'importanza di questo nostro mondo l'umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire. Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche.
Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.
E' possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.
Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato. Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intelligenza e delicatezza,
soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.
Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l'arrivo, lo sbarco. Ma c'è cammino e cammino: partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia
per costruire un mondo più giusto e umano.
scoutpartireroutestradacamminosperanza
inviato da Maria Vitali, inserito il 30/04/2002
TESTO
90. Quanto mi hai fatto soffrire, Chiesa, eppure... 4
Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!
Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!
Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.
Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!
Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porte della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.
No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei?
A costruirne un'altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia Chiesa, non più quella di Cristo.
Sono abbastanza vecchio per capire che non sono migliore degli altri.
L'altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: "Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi, non è più credibile". Mi fa pena!
O è un sentimentale che non ha esperienza, e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.
Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra...
La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo.
Forse che la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?
Quando Paolo arrivò a Gerusalemme portando nel cuore la sua sete di universalità, forse che i discorsi di Giacomo sul prepuzio da tagliare o la debolezza di Pietro che si attardava con i ricchi di allora e che dava lo scandalo di pranzare solo con i puri, poterono dargli dei dubbi sulla veridicità della Chiesa, che Cristo aveva fondato fresca fresca, e fargli venire la voglia di andarne a fondare un'altra ad Antiochia o a Tarso?
Forse che a Santa Caterina da Siena, vedendo il Papa che faceva una sporca politica contro la sua città, poteva saltare in capo l'idea di andare sulle colline senesi, trasparenti come il cielo, e fare un'altra Chiesa più trasparente di quella di Roma cosi spessa, così piena di peccati e così politicante?
...La Chiesa ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all'ultimo, di soli peccatori, e che peccatori!
Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede.
Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo.
Parla della dolcezza dei Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi.
Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa' che cercare denaro e alleanze con i potenti.
Coloro che sognano cose diverse da questa realtà non fanno che perdere tempo e ricominciare sempre da capo. E in più dimostrano di non aver capito l'uomo.
Perché quello è l'uomo, proprio come lo vede visibile la Chiesa, nella sua cattiveria e nello stesso tempo nel suo coraggio invincibile che la fede in Cristo gli ha dato e la carità dei Cristo gli fa vivere.
Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa- Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.
No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un'altra su una pietra ancora più debole che sono io.
...E se le minacce sono così numerose e la violenza del castigo così grande, più numerose sono le parole d'amore e più grande è la sua misericordia. Direi proprio, pensando alla Chiesa e alla mia povera anima, che Dio è più grande della nostra debolezza.
E poi cosa contano le pietre? Ciò che conta è la promessa di Cristo, ciò che conta è il cemento che unisce le pietre, che è lo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre mai tagliate come siamo noi!...
E il mistero sta qui.
Questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io...
Ognuno di noi può sentire con tremore e con infinito gaudio che ciò che passa nel rapporto Dio-Chiesa è qualcosa che ci appartiene nell'intimo.
In ciascuno di noi si ripercuotono le minacce e la dolcezza con cui Dio tratta il suo popolo di Israele, la Chiesa. A Ognuno di noi Dio dice come alla Chiesa: "Io ti farò mia sposa per sempre" (Osea 2, 21), ma nello stesso tempo ci ricorda la nostra realtà: "La tua impurità è come la ruggine. Ho cercato di toglierla, fatica sprecata! E' così abbondante che non va via nemmeno col fuoco" (Ezechiele 24, 12).
Ma poi c'è ancora un'altra cosa che forse è più bella. Lo Spirito Santo, che è l'Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri.
Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo, il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice.
E' come se il male non avesse potuto toccare la profondità più intima dell'uomo. E' come se l'Amore avesse impedito di lasciar imputridire l'anima lontana dall'amore.
"Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle", dice Dio a ciascuno di noi nel perdono, e continua: "Ti ho amato di amore eterno; per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele" (Geremia 3 1, 3-4).
Ecco, ci chiama "vergini" anche quando siamo di ritorno dall'ennesima prostituzione nel corpo, nello spirito e nel cuore.
In questo, Dio è veramente Dio, cioè l'unico capace di fare le "cose nuove".
Perché non m'importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, è più necessario che faccia "nuovi" i nostri cuori.
E questo è il lavoro di Cristo.
E questo è l'ambiente divino della Chiesa...
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002
RACCONTO
C'era una volta un ragazzo con un brutto carattere.
Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno.
Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato.
Nelle settimane seguenti, imparò a controllarsi e il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì giorno per giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare i chiodi.
Finalmente arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò alcun chiodo nello steccato e andò dal padre a dirglielo.
Il padre allora gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non aveva perso la pazienza e litigato con qualcuno.
I giorni passarono e finalmente il ragazzo poté dire al padre che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato.
Il padre portò il ragazzo davanti allo steccato e gli disse: "Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà mai più come prima".
Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita. Puoi piantare il chiodo nel cuore di una persona, e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà.
amiciziapassatomaleconseguenzeferiterabbia
inviato da Matteo Preto, inserito il 09/04/2002