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PREGHIERA

841. Mi hai fatto conoscere

Rabindranath Tagore, Gitanjali, 63

Mi hai fatto conoscere ad amici che non conoscevo. Mi hai fatto sedere in case che non erano la mia. Mi hai portato vicino il lontano, e reso l'estraneo un fratello. In fondo al cuore mi sento a disagio quando abbandono l'abituale rifugio; scordo che il vecchio abita nel nuovo, e là tu stesso hai dimora.

Attraverso la nascita e la morte, in questo oppure in altri mondi, ovunque mi conduci, sei tu, lo stesso, unico compagno della mia vita senza fine, che unisci con legami di gioia il mio cuore a ciò che non è familiare.

Se conosco te nessuno mi sarà estraneo, non vi sarà porta chiusa, né legami.

Oh esaudisci la mia preghiera: ch'io non perda mai la carezza dell'uno nel gioco dei molti.

mondialitàmissionefratellanza universale

inviato da Suor Cristina Giustozzi, inserito il 09/05/2002

TESTO

842. Grande silenzio

Antica Omelia sul Sabato Santo

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.

Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.

Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.

Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effigie, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.

Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.

Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati.

Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.

Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.

Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli.»

redenzionesalvezzapasquasabato santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

843. Una viola al Polo Nord

Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi

Una mattina, al Polo Nord, l'orso bianco fiutò nell'aria un odore insolito e lo fece notare all'orsa maggiore (la minore era sua figlia):
- Che sia arrivata qualche spedizione?

Furono invece gli orsacchiotti a trovare la viola. Era una piccola violetta mammola e tremava. di freddo, ma continuava coraggiosamente a profumare l'aria perché quello era il suo dovere.

- Mamma, papà - gridarono gli orsacchiotti.
- Io l'avevo detto subito che c'era qualcosa di strano - fece osservare per prima cosa l'orso bianco alla famiglia. - E secondo me non è un pesce.
- No di sicuro - disse l'orsa maggiore -, ma non è nemmeno un uccello.
- Hai ragione anche tu - disse l'orso, dopo averci pensato su un bel pezzo.
Prima di sera si sparse per tutto il Polo la notizia: un piccolo, strano essere profumato, di colore violetto, era apparso nel deserto di ghiaccio, si reggeva su una sola zampa e non si muoveva. A vedere la viola vennero foche e trichechi, vennero dalla Siberia le renne, dall'America i buoi muschiati, e più di lontano ancora volpi bianche, lupi e gazze marine. Tutti ammiravano il fiore sconosciuto, il suo stelo tremante, tutti aspiravano il suo profumo, ma ne restava sempre abbastanza per quelli che arrivavano ultimi ad annusare, ne restava sempre come prima.

- Per mandare tanto profumo - disse una foca - deve avere una riserva sotto il ghiaccio.
- Io l'avevo detto subito - esclamò l'orso bianco - che c'era sotto qualcosa.

Non aveva detto proprio così, ma nessuno se ne ricordava. Un gabbiano, spedito al Sud per raccogliere informazioni, tornò con la notizia che il piccolo essere profumato si chiamava viola e che in certi paesi, laggiù, ce n'erano milioni.

- Ne sappiamo quanto prima - osservò la foca. - Com'è che proprio questa viola è arrivata proprio qui! Vi dirò tutto il mio pensiero: mi sento alquanto perplessa.
- Come ha detto che si sente? - domandò l'orso bianco a sua moglie.
- Perplessa. Cioè, non sa che pesci pigliare.
- Ecco - esclamò l'orso bianco - proprio quello che penso anch'io.

Quella notte corse per tutto il Polo un pauroso scricchiolio. I ghiacci eterni tremavano come vetri e in più punti si spaccarono. La violetta mandò un profumo più intenso, come se avesse deciso di sciogliere in una sola volta l'immenso deserto gelato, per trasformarlo in un mare azzurro e caldo, o in un prato di velluto verde. Lo sforzo la esaurì. All'alba fu vista appassire, piegarsi sul suo stelo, perdere il colore e la vita.

Tradotto nelle nostre parole e nella nostra lingua il suo ultimo pensiero dev'essere stato pressappoco questo:

- Ecco, io muoio... Ma bisognava pure che qualcuno cominciasse... Un giorno le viole giungeranno qui a milioni. I ghiacci si scioglieranno, e qui ci saranno isole case e bambini.

responsabilitàimportanza del singolo

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

844. Un uomo libero   1

Rabindranath Tagore

Ero giovane e mi sentivo forte. Quella mattina di primavera uscii di casa e gridai: "Io sono a disposizione di chi mi vuole. Chi mi prende?".

Mi lanciai sulla strada selciata. Sul suo cocchio, con la spada in mano e seguito da mille guerrieri, passava il Re. "Ti prendo io al mio servizio", disse fermando il corteo. "E in compenso ti metterò a parte della mia potenza". Ma io della sua potenza non sapevo che farmene. E lo lasciai andare.
"Io sono a disposizione di tutti. Chi mi vuole?".

Nel pomeriggio assolato, un vecchio pensieroso mi fermò, e disse: "Ti assumo io, per i miei affari. E ti compenserò a suon di rupie sonanti". E cominciò a snocciolarmi le sue monete d'oro. Ma io dei suoi quattrini non sapevo che farmene. E mi voltai dall'altra parte.

La sera arrivai nei pressi di un casolare. Si affacciò una graziosa fanciulla e mi disse: "Ti prendo io e ti compenserò col mio sorriso". Io rimasi perplesso. Quanto dura un sorriso? Frattanto quello si spense e la fanciulla dileguò nell'ombra. Passai la notte disteso sull'erba, e la mattina ero madido di rugiada.
"Io sono a disposizione... Chi mi vuole?".

Il sole scintillava già sulla sabbia, quando scorsi un bambino che, seduto sulla spiaggia, giocava con tre conchiglie. Al vedermi alzò la testa e sorrise, come se mi riconoscesse. "Ti prendo io", disse, "e in cambio non ti darò niente". Accettai il contratto e cominciai a giocare con lui. Alla gente che passava e chiedeva di me, rispondevo: "Non posso, sono impegnato".
E da quel giorno mi sentii un uomo libero.

libertàgratuitàricchezzapovertà

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

845. Dio ama te   2

Un uomo aveva sempre il cielo dell'anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all'amore di Dio. Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi scuri dubbi, incontrò un pastore. Il pastore era un brav'uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l'aria particolarmente disperata e gli chiese:
"Che cosa ti turba tanto, amico?".
"Mi sento immensamente solo".
"Anch'io sono solo, eppure non sono triste".
"Forse perché Dio ti fa compagnia..."
"Hai indovinato".

"Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me?".

"Vedi laggiù quel villaggio?", gli chiese il pastore, "Vedi le finestre di ogni casa?".
"Vedo tutto questo".

"Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell'arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra".

rapporto con Dioincontrare Diosperanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

846. Spiritualità come risveglio

Anthony De Mello

Un tale bussa alla porta di suo figlio: "Paolo", dice, "svegliati!".
Paolo risponde: "Non voglio alzarmi, papà".
Il padre urla: "Alzati, devi andare a scuola".
Paolo dice: "Non voglio andare a scuola".
"E perché no?" chiede il padre.

"Ci sono tre ragioni", risponde Paolo. "Prima di tutto, è una noia; secondo, i ragazzi mi prendono in giro; terzo, io odio la scuola".

E il padre dice: "Bene, adesso ti dirò io tre ragioni per cui devi andare a scuola: primo, perché è tuo dovere; secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo, perché sei il preside".

spiritualitàconsapevolezzaresponsabilità

4.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

847. Pozzanghere   1

Storia Zen

Un giorno due monaci camminavano per una strada di campagna mentre pioveva a dirotto. Ad una svolta della via, videro a un tratto una ragazza, giovane e bella, che esitava nel superare una vasta pozzanghera.

«T'aiuto io, ragazza», disse uno dei due monaci, e senza esitare la prese tra le braccia e la depose dall'altro lato del pantano.

L'altro monaco non disse nulla. Ripresero la strada fino a che, a sera, non giunsero in un tempio a pregare. Terminata l'orazione, finalmente sbottò: «Fratello, sai bene che noi monaci non dobbiamo avere familiarità con donne; e soprattutto con quelle giovani e graziose. Perché dunque lo hai fatto?».

L'altro rispose: «Io quella ragazza l'ho lasciata laggiù. Non ti accorgi che tu la stai ancora portando con te?».

purezzainnocenzacuoreipocrisiabenemaleinterioritàesteriorità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

TESTO

848. Ho perso la paura e ritrovato l'amore

Mio Dio, da tanto tempo io cercavo il tuo volto e mi chiedevo a chi potessi rassomigliare.

E ora sono contento di scoprire questo bambino neonato coricato sulla paglia di una mangiatoia. Eccolo, dunque, il tuo volto!

Sei tu questo neonato? Ma allora assomigli a tutti i bambini del mondo perché non ci sono differenze tra te e loro. Quanto è strana la vita!

Prima ero io che avevo paura di te, che mi sentivo sempre in colpa; ed ora sei tu quello che non bisogna spaventare.

Prima mi aspettavo che tu ti chinassi su di me per tirarmi fuori dai miei sentieri cattivi ed ora sono io che mi curvo su di te, come ci si curva su un bambino appena nato.

Mio Dio, pensavo che tu fossi uno spauracchio e invece sei un bambino piccolo piccolo.

Là sulla paglia, in questa notte d'inverno, ho perso la paura ed ho ritrovato l'amore.

Nataleamore di Dio

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

TESTO

849. Non cambiare   1

Anthony de Mello, Il canto degli uccelli

Per anni sono stato un nevrotico. Ero ansioso, depresso ed egoista. E tutti continuavano a dirmi di cambiare. E tutti continuavano a dirmi quanto fossi nevrotico.

E io mi risentivo con loro, ed ero d'accordo con loro, e volevo cambiare, ma non ci riuscivo, per quanto mi sforzassi.

Ciò che mi faceva più male era che anche il mio migliore amico continuava a dirmi quanto fossi nevrotico. Anche lui continuava a insistere che cambiassi.

E io ero d'accordo anche con lui, e non riuscivo ad avercela con lui. E mi sentivo cosi impotente e intrappolato.

Poi, un giorno, mi disse: «Non cambiare. Rimani come sei. Non importa se cambi o no. Io ti amo così come sei; non posso fare a meno di amarti».

Quelle parole suonarono come una musica per le mie orecchie: «Non cambiare. Non cambiare. Non cambiare... Ti amo».

E mi rilassai. E mi sentii vivo. E, oh meraviglia delle meraviglie, cambiai!

Ora so che non potevo cambiare davvero finché non avessi trovato qualcuno che mi avrebbe amato, che fossi cambiato o meno.

È così che mi ami, Dio?

amore di Dioaccettazione di séaccettazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

850. È buio dentro di me

Dietrich Bonhoeffer, Natale 1943

È buio dentro di me,
ma presso di te c'è luce.

Sono solo,
ma tu non mi abbandoni.

Sono impaurito,
ma presso di te c'è aiuto.

Sono inquieto,
ma presso di te c'è pace.

In me c'è amarezza,
ma presso di te c'è pazienza.

Io non comprendo le tue vie,
ma tu conosci la mia via.

sofferenzasolitudinefedefiducia

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

851. Tardi ti ho amato   4

S. Agostino, Confessioni 10.27.38

Tardi ti ho amato,
bellezza così antica e così nuova,
tardi ti ho amato.
Tu eri dentro di me, e io fuori.
E là ti cercavo.
Deforme, mi gettavo
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
quelle creature che non esisterebbero
se non esistessero in te.
Mi hai chiamato,
e il tuo grido ha squarciato la mia sordità.
Hai mandato un baleno,
e il tuo splendore
ha dissipato la mia cecità.
Hai effuso il tuo profumo;
l'ho aspirato e ora anelo a te.
Ti ho gustato,
e ora ho fame e sete di te.
Mi hai toccato,
e ora ardo dal desiderio della tua pace.

conversionedesiderio di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 08/05/2002

TESTO

852. La scintilla della preghiera   2

Per accendere un fuoco basta una scintilla. Prima di avviare una preghiera prova a concentrarti sull'amore di Dio. Prova a dire con molta schiettezza a Dio un grazie di cuore per l'amore personale che ha per te. Ma fallo con responsabilità, con onestà. Non bastano le parole, ci vuole tutto il cuore. Prova a pregare così:

Padre io ti ringrazio per l'amore
personale che hai per me.
Ti ringrazio che mi hai amato
prima che nascessi.
Ti ringrazio che mi amerai
per tutta l'eternità.
Ti ringrazio che mi hai amato
quando non pensavo a te,
quando t'ignoravo,
quando ero indifferente a te,
quando ti offendevo.
Ti ringrazio che mi ameresti
anche se diventassi un Giuda.
Ti ringrazio che mi ami in questo
momento e mi accetti come sono.

Provate anche a riandare ad un momento speciale della vita in cui Dio vi ha fatto toccare con mano il suo amore. Facendo proprio col cuore quest'atto d'onestà verso Dio, che forse non avete mai fatto, o avete fatto raramente, avrete una preparazione eccezionale per affrontare una vera preghiera.

E' la scintilla buttata sulla stoppia: la fiammata non mancherà perché la preparazione migliore ad aprirci all'amore è proprio aprire il cuore e la mente a capire quanto Dio ci ha amati, e ci ama.

preghieraamore di Diodoni di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luana Minto, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

853. I giorni perduti   1

Dino Buzzati, Centottanta racconti

Qualche giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion. Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in auto.

Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò nel baratro, che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali. Kazirra si avvicinò all'uomo e gli chiese: "Ti ho visto portare fuori quella cassa dal mio parco. Cosa c'era dentro? E cosa sono tutte queste casse?".

Quello lo guardò e sorrise: "Ne ho ancora tante sul camion, da buttare. Non sai? sono i tuoi giorni perduti. Li aspettavi vero? Sono venuti. Che ne hai fatto? Guardali, infatti, ancora gonfi. E adesso...". Kazirra guardò. Formavano un gruppo immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno. C'era dentro una strada d'autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata che se ne andava per sempre. E lui neppure la chiamava. Ne aprì un secondo. C'era una camera d'ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo aspettava. Ma lui era in giro per affari.

Si sentì prendere da una certa cosa qui, alla bocca dello stomaco. Boccheggiò. Lo scaricatore stava diritto sul ciglio del vallone, immobile come un giustiziere. "Signore - gridò Kazirra - mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi due giorni. La supplico. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole".

Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per dire che era troppo tardi. Poi svanì nell'aria. E l'ombra della notte scendeva.

rimpiantitempovalore del tempoomissionioccasioni

inserito il 08/05/2002

RACCONTO

854. Abramo e l'angelo   1

Abramo, ormai vecchissimo, era seduto su una stuoia nella sua tenda di capo tribù, quando vide sulla pista del deserto un angelo venirgli incontro.

Ma quando l'angelo gli si fu avvicinato, Abramo ebbe un sussulto: non era l'angelo della vita, era l'angelo della morte.

Appena gli fu di fronte Abramo si fece coraggio e gli disse: "Angelo della morte, ho una domanda da farti: io sono amico di Dio, hai mai visto un amico desiderare la morte dell'amico?".

L'angelo rispose: "Sono io a farti una domanda: hai mai visto un innamorato rifiutare l'incontro con la persona amata?".

Allora Abramo disse: "Angelo della morte, prendimi".

mortevitaeternaparadiso

5.0/5 (1 voto)

inserito il 08/05/2002

RACCONTO

855. Il monaco e la brocca

dagli Apoftegmi dei Padri del deserto

C'era un monaco che viveva da parecchi anni in un monastero: giovane esuberante e facoltoso, aveva lasciato ogni cosa per diventare santo.

Prima aveva le mani come l'avorio, ora incallite come le squame dei coccodrilli; prima il suo volto era liscio e rasato, la sua capigliatura lucida di unguenti, la sua toga adorna di fermagli d'argento: ora, tosato come una pecora, portava sotto la tonaca un duro cilicio. Aveva sì domato la carne, ma una passione ancora resisteva tenace: la tendenza ad adirarsi.

Se un fratello nel mietere lasciava indietro una spiga, subito gli strappava di mano la falce con gesto iracondo. Se al vicino di stallo sfuggiva una nota falsa nel coro, arrotava i denti e gli allungava una gomitata.

Un giorno si presentò all'Abate: "Padre - gli disse - ben vedo che non sono fatto per vivere con i fratelli: trovo in loro continue occasioni di peccato. Io mi figuravo che i monaci fossero tutti perfetti, invece mi sono d'inciampo. Mi ritirerò nel deserto, al di là del fiume. Laggiù, solo con Dio, non avrò più occasione di adirarmi". E trascurando gli ammonimenti dell'Abate, prese con sé una brocca per attingere acqua dal fiume e se ne partì.

Sdraiato sulla tiepida arena, dormì il più bel sonno di vita sua. Poi cantò i suoi dodici salmi senza una nota stonata, e pregò con fervore. Com'era quieto e felice in quella solitudine, in quel silenzio!

Ora occorreva andare al fiume per attingere acqua. Andò e tornò, salmeggiando quasi come in estasi. Ma - che è che non è - la brocca si rovesciò, e giù tutta l'acqua a correre per l'arena. "Pazienza!" disse il monaco, e rifece la via andata e ritorno, quieto come l'olio, meditando sulla morte.

Posò a terra la brocca, e di nuovo quella gli sfuggì di mano. Vi rimase un po' di umidore, ma dentro neppure una goccia. "Maledizione! Cos'è mai questo? Il diavolo mi vuole tentare. Orsù, pazienza!". Trafelato, riprende la via, attinge e fa ritorno. E la brocca rotola a terra una terza volta. "Maledetta sii tu! Vattene al diavolo!". Una pedata furiosa e la brocca va in cento pezzi.

Sferra calci ai frantumi, e solleva un polverone di sabbia. Il povero giovane ha capito, e torna piangendo al monastero. "Padre mio, mea culpa!" dice all'Abate. "Ho rotto la brocca a furia di calci: ecco qua i cocci. La causa delle mie collere non è la compagnia dei fratelli: il nemico (e si picchiava il petto) è qui dentro".

male nel cuorepeccatoira

inserito il 08/05/2002

RACCONTO

856. La pettegola e la gallina

A una donna che si accusava di frequenti maldicenze, San Filippo Neri domandò: «Vi capita proprio spesso di sparlare così del prossimo?»
«Molto spesso, Padre», rispose la donna.

«Figliola, il vostro errore è grande. E' necessario che ne facciate penitenza. Ecco cosa farete: uccidete una gallina e portatemela subito, spennandola lungo la strada da casa vostra fin qui».

La donna ubbidì, e si presentò al santo con la gallina spiumata.

«Ora», le disse Filippo, «ritornate per le strade attraversate e raccogliete ad una ad una le penne della gallina...».

«Ma è impossibile, Padre», ribatté la donna, «col vento che tira oggi non si troveranno più».

«Lo so anch'io», concluse il santo, «ma ho voluto farvi comprendere che se non potete raccogliere le penne di una gallina sparpagliate dal vento, come potrete riparare a tutte le maldicenze gettate in mezzo alla gente, a danno del vostro prossimo?»

non giudicaremaldicenzepettegolezzigiudizio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

857. La formica n. 49.783.511

Un formicaio ai piedi di un vecchio abete. Milioni di formiche nere corrono senza sosta, perfettamente organizzate. Sezione trasporto aghi e foglie; sezione ricerca semi, insetti, larve; sezione allevamento e cura piccoli; comitato difesa dagli assalti...

Un giorno la formica n. 49.783.511 si fermò. Ansimando s'appoggiò al lungo ago che stava trascinando e alzò lo sguardo. Si sentiva svenire... abituata a scansare i fili d'erba, i sassolini, i bruchi, ora i suoi occhi si smarrivano nell'azzurro immenso del cielo, il cuore le scoppiava d'emozione guardando il grande tronco, i rami ordinati, il verde brillante.

"N. 49.783.511 - gridò il capo settore - gli altri sgobbano e tu poltrisci! T'assegno un quarto d'ora supplementare!".

La sera la formica n. 49.783.511 fece il recupero di lavoro. Poi mentre tutte s'infilavano nelle tane, restò fuori e scoprì le stelle. Un incanto!

Tutta la notte ebbe gli occhi pieni di luce. Da allora i turni supplementari aumentavano, ma lei non si preoccupava. Diceva a tutti: "Alzate gli occhi. c'è qualcosa di grande sopra di noi, non possiamo portare solo larve e semi. Non avete mai guardato nemmeno l'abete!".

La prendevano in giro: "Tu guardi e guardi, ma come riempiamo le riserve di cibo? Chi ripara la casa quando piove?".

La formica n. 49.783.511 lavorava, s'impegnava, rendeva bello il suo formicaio. Ma brontolavano lo stesso: "Se guardare il cielo fosse utile, dovresti essere più brava di noi, invece sei anche tu come noi. Le stelle non servono a niente".

Che volete, per capire che cos'è guardare il cielo bisogna provare, spiegare non si può.

Hai mai provato a spiegare la preghiera? C'è sempre un tizio pieno di "saggezza", che ti risponde: "uomo n. 789.451.331 smettila. Bisogna studiare, lavorare, produrre; fare sport per mantenersi sani; bisogna cambiare il mondo, avere mentalità scientifica; bisogna divertirsi, essere moderni...".

Il formicaio umano va avanti. Io credo d'essere importante perché porto aghi d'abete, o rivoluzionario perché faccio confusione.
E non ho il coraggio di guardare il cielo.

senso della vitaricerca di sensovitastuporeinteriorità

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

TESTO

858. Se non riuscirai ad essere santo...

L. Boff

Udii un vecchio confratello ragionevole e buono, perfetto e santo, dire: "Se sentirai la chiamata dello Spirito, ascoltala e cerca di essere santo con tutta la tua anima, con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze.

Se, però, per umana debolezza non riuscirai ad essere santo, cerca allora di essere perfetto con tutta la tua anima, con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze.

Se, tuttavia, non riuscirai ad essere perfetto a causa della vanità della tua vita, cerca allora di essere buono con tutta la tua anima, con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze.

Se, ancora, non riuscirai ad essere buono a causa delle insidie del Maligno, cerca allora di essere ragionevole con tutta la tua anima, con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze.

Se, infine, non riuscirai ad essere santo, né perfetto, né buono, né ragionevole a causa del peso dei tuoi peccati, allora cerca di portare questo peso di fronte a Dio e affida la tua vita alla sua misericordia.

Se farai questo senza amarezza, con tutta umiltà e con giovialità di spirito a causa della tenerezza di Dio che ama gli ingrati e i cattivi, allora incomincerai a capire cosa sia ragionevole, imparerai ciò che è buono, lentamente aspirerai ad essere perfetto, e infine anelerai ad essere santo.

Se farai questo ogni giorno, con tutta la tua anima, con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze, allora io ti garantisco, fratello: sarai sulla strada di Francesco, non sarai lontano dal Regno di Dio!".

santitàpeccatoconversionemiglioramentomisericordia di Dio

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

859. Il paese dei cani

Gianni Rodari, Favole al telefono

C'era una volta uno strano piccolo paese. Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.

Facciamo un esempio. Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo, donna o bambino.

Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perché c'era sempre qualcuno per la strada.

Facciamo un altro esempio. Il signore che abitava la casetta numero 99, rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli fauci e facendogli capire che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni. Lo stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per strada c'era sempre qualcuno spaventato.

Figurarsi se capitava un forestiero. Allora i novantanove cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta, passavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte zitte dietro le finestre a spiare fin che il forestiero non fosse passato.

A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel paese erano diventati tutti un po' sordi, e tra loro parlavano pochissimo. Del resto non avevano mai avuto grandi cose da dire e da ascoltare.

Pian piano, a starsene sempre zitti e immusoniti, disimpararono anche a parlare. E alla fine capitò che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani. Loro forse credevano di parlare, ma quando aprivano la bocca si udiva una specie di "bau bau" che faceva venire la pelle d'oca. E così, abbaiavano i cani, abbaiavano gli uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove villette sembravano diventate novantanove canili.

Però erano graziose, avevano tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi.

Una volta capitò da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi famosi viaggi. I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare nervoso un paracarro. Domandò una informazione a una donna ed essa gli rispose abbaiando. Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un ululato.
"Ho capito, - concluse Giovannino - E' un'epidemia".

Si fece ricevere dal sindaco e gli disse: "Io un rimedio sicuro ce l'avrei. Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno benissimo anche senza inferriate. Secondo, mandate i cani a caccia, si divertiranno di più e diventeranno più gentili. Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare di nuovo".
Il sindaco gli rispose: "Bau! Bau!".

"Ho capito, - disse Giovannino, - il peggior malato è quello che crede di essere sano".
E se ne andò per i fatti suoi.

Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, può darsi che siano dei cani cani, ma può anche darsi che siano gli abitanti di quello strano, piccolo paese.

comunitàlitigareconvivereconflittopacecomunione

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

860. Guardare negli occhi

II comandante delle truppe d'occupazione disse al sindaco del paese di montagna: «Siamo sicuri che state nascondendo un traditore nel vostro paese. Se lei non ce lo consegna, tormenteremo lei e la sua gente con ogni possibile mezzo».

II paese nascondeva davvero un uomo che sembrava buono e innocente ed era amato da tutti. Ma cosa poteva fare il sindaco ora che era minacciato il benessere dell'intero paese? Giornate di discussione al consiglio comunale non portarono ad alcuna conclusione. Così, alla fine, il sindaco affrontò la questione con il prete del paese. Il prete e il sindaco passarono tutta una notte ad esaminare le Scritture e alla fine trovarono una soluzione: «È meglio che un uomo muoia e la nazione sia salva».

Cosi il sindaco consegnò l'innocente alle forze d'occupazione, pregandolo di perdonarlo. L'uomo disse che non c'era niente da perdonare. Non voleva che il paese corresse rischi per causa sua. Egli fu torturato crudelmente, finché le sue grida non risuonarono per tutto il paese e infine fu giustiziato.

Vent'anni dopo un profeta passò per quel paese, andò diritto dal sindaco e gli disse: «Cosa avete fatto? Quell'uomo era stato mandato da Dio come salvatore di questo paese. E voi l'avete consegnato perché fosse torturato e ucciso».

«Cosa potevo fare?», si scusò il sindaco. «II prete ed io abbiamo guardato le Scritture e abbiamo agito di conseguenza».

«Questo è stato il vostro errore», disse il profeta. «Avete guardato le Scritture. Ma avreste anche dovuto guardare nei suoi occhi».

coscienzaParola di Diobibbia

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

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