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TESTO

vitavita eternaimpegnoresponsabilitàsenso della vitaparadiso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristina Catapano, inserito il 07/09/2008

PREGHIERA

62. Missionari ogni giorno

Giuditta De Feo

Signore Gesù,
missionario del Padre,
hai inviato gli apostoli
inondati dal tuo Spirito
ad annunciare il tuo Vangelo
fino agli estremi confini della terra.

Oggi ti fidi di noi
ci invii ad annunciare
la tua parola.

Ti preghiamo
per quelle anime generose
che lasciano la propria famiglia,
la propria casa
e si spingono
in terre sconosciute
per essere come te,
donare il pane...
donare te pane vivo
disceso dal cielo,
donare la propria vita
come hai fatto tu.

Signore, ti preghiamo
anche per il nostro "ricco occidente"
spesso cristiano solo di nome,
ma sempre più povero di te,
incapace di riconoscere il tuo amore,
perché amori passeggeri
attraggono sempre più...!

Aiuta, Signore
ciascuno di noi
a saper lasciare la terra
della "convenienza"
della comodità
per esserti testimone
in un ambiente
indifferente ai valori
da te proclamati.

Sostienici con il tuo spirito
per essere missionari
ogni giorno
lì dove ci chiami a vivere!

missionemissionarietàevangelizzazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuditta De Feo, inserito il 07/09/2008

PREGHIERA

63. Dio onnipotente, che io possa risorgere con Gesù

Adattamento dalla liturgia del sabato dopo le ceneri

Dio onnipotente,
grazie perché hai mandato il tuo divin Figlio Gesù
a chiamare non i giusti, ma i peccatori.
Grazie perché tu sei buono, pieno di misericordia
e sempre pronto al perdono.
Gazie perché guardi con bontà la debolezza dei tuoi figli,
tra i quali sono pure io con le mie fragilità e miserie;
grazie perché la tua misericordia è generosa
e ti rivolgi a me con una clemenza grande;
grazie perché mi difendi dal male
e mi assicuri la tua paterna protezione;
grazie perché tendi il tuo orecchio a me
che sono povero e infelice.
Ho bisogno, ogni giorno e tutto il giorno, della tua pietà
perché non muoia nei miei peccati
ma cambi vita e direzione di cammino e viva.
Per questo, fa' che partecipi alla Pasqua del tuo divin Figlio Gesù
e con lui io risorga:
almeno da una mia pigrizia e inerzia costante,
almeno da un mio rimando ricorrente,
almeno da un mio ritardo abituale,
almeno da una mia omissione comoda,
almeno da una mia indecisione irresponsabilizzante,
almeno da una mia trascuratezza danneggiante.
Insegnami a camminare sulla tua strada e per la tua strada
con pensieri e azioni conformi alla tua volontà.
Ascolta, per intercessione di Maria, la mia preghiera di supplica
e custodiscimi nella fedeltà al mio unico Salvatore e al suo Vangelo.
Amen.

risurrezioneresurrezionepasquaconversionequaresimacambiamentoresponsabilità

inviato da Don Guido Olivieri, inserito il 06/02/2008

TESTO

64. Dalla testa ai piedi   2

Tonino Bello

Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi.

Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.

Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all'acqua, più che alle parole. Non c'è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un "linguaggio a lunga conservazione".

È difficile, per esempio, sottrarsi all'urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un'autentica martellata quel richiamo all'unica cosa che conta: "Convertiti e credi al Vangelo". Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d'ulivo benedetti nell'ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all'impegno per la pace, all'accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione. Quello "shampoo alla cenere", comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell'acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l'abbiamo "udita con gli occhi", pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l'offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.

Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.

Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell'attesa di Cristo? "Una tantum" per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni!

Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.

La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l'ardore, mettiamoci alla ricerca dell'acqua da versare... sui piedi degli altri.

Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.

Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.
Un grande augurio.

mercoledì delle ceneriquaresimapentimentoserviziopenitenzaGiovedì Santolavanda dei piedi

4.7/5 (3 voti)

inviato da Sandra Aral, inserito il 05/02/2008

TESTO

65. Maria donna in cammino   1

Tonino Bello, Nigrizia, novembre 1990, p. 53

Se i personaggi del vangelo avessero avuto una specie di contachilometri incorporato, penso che la classifica dei più infaticabili camminatori l'avrebbe vinta Maria. Gesù a parte, naturalmente. Ma si sa, egli si era identificato a tal punto con la strada, che un giorno ai discepoli invitati a mettersi alla sua sequela confidò addirittura: «Io sono la via». La via. Non un viandante!

Siccome allora Gesù è fuori concorso, a capeggiare la graduatoria delle peregrinazioni evangeliche è lei: Maria. La troviamo sempre in cammino, da un punto all'altro della Palestina, con uno sconfinamento anche all'estero. Viaggio di andata e ritorno da Nazaret verso i monti di Giuda, per trovare la cugina. Viaggio fino a Betlem. Di qui a Gerusalemme, per la presentazione al tempio.

Espatrio clandestino in Egitto. Ritorno guardingo in Giudea e poi di nuovo a Nazaret. Finalmente, sui sentieri del Calvario, ai piedi della Croce, dove la meraviglia espressa da Giovanni con la parola stabat, più che la pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime l'immobilità statuaria di chi attende sul podio il premio della vittoria.

Icona del camminare, la troviamo seduta solo al banchetto del primo miracolo. Seduta, ma non ferma. Non sa rimanersene quieta. Non corre col corpo, ma precorre con l'anima. E se non va lei verso l'ora di Gesù, fa venire quell'ora verso di lei, spostandone indietro le lancette, finché la gioia pasquale non irrompe sulla mensa degli uomini.

Sempre in cammino. E per giunta in salita. Da quando si mise in viaggio verso la montagna, fino al giorno del Golgota, anzi fino al crepuscolo dell'Ascensione, quando salì anche lei con gli apostoli «al piano superiore» in attesa dello Spirito, i suoi passi sono sempre scanditi dall'affanno delle alture.

Avrà fatto anche discese, e Giovanni ne ricorda una quando dice che Gesù, dopo le nozze di Cana, discese a Cafarnao insieme con sua madre. Ma l'insistenza con cui il Vangelo accompagna con il verbo "salire" i suoi viaggi a Gerusalemme, più che alludere all'ansimare del petto o al gonfiore dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta la fatica di un esigente itinerario spirituale.

Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate, ma non abbiamo traguardi. Siamo pellegrini come te, ma senza santuari verso cui andare. Camminiamo sull'asfalto, e il bitume cancella le nostre orme. Forzati del camminare, ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che dia senso alle nostre itinerante.

E con tutti i raccordi anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita non si raccorda con nessun svincolo costruttivo, le ruote girano a vuoto sugli anelli dell'assurdo, e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami.

Santa Maria, donna della strada, fa' che i nostri sentieri siano, come lo furono i tuoi, strumenti di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine. Liberaci dall'ansia della metropoli e donaci l'impazienza di Dio. L'impazienza di Dio ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di strada. L'ansia della metropoli, invece, ci rende specialisti del sorpasso. Ci fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a noi.

Santa Maria, donna della strada, segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio, facci capire come, più che sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia le carovaniere dei nostri pellegrinaggi.

È su questi itinerari che crescerà la nostra fede. Prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il filo dei giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell'aria.

Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell'effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine di turisti senza meta.

Se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, Samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa valle di lacrime, in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi verso i monti da dove verrà l'aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà l'esultanza del magnificat.

Come avvenne in quella lontana primavera, sulle alture della Giudea, quando ci salisti tu.

stradacamminomariamadonnapellegrinaggio

5.0/5 (1 voto)

inserito il 11/01/2008

TESTO

66. Maria, donna accogliente

Tonino Bello, Nigrizia, giugno 1991, p. 58

La frase si trova in un testo del Concilio Vaticano II, ed è splendida per dottrina e concisione. Dice che, all'annuncio dell'Angelo, Maria «accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio».

Nel cuore e nel corpo
Fu, cioè, discepola e madre del Verbo. Discepola, perché si mise in ascolto della Parola e la conservò per sempre nel cuore. Madre, perché offrì il suo grembo alla Parola e la custodì per nove mesi nello scrigno del corpo.
Forse per capire fino in fondo la bellezza di questa verità, il vocabolario non basta. Bisogna ricorrere alle espressioni visive. E allora non c'è di meglio che rifarsi ad una celebre icona orientale, che raffigura Maria con il divin Figlio Gesù inscritto sul petto. È indicata come "la Madonna del segno", ma potrebbe essere chiamata "la Madonna dell'accoglienza", perché, con gli avambracci levati in alto, in atteggiamento di offertorio o di resa, essa appare il simbolo della più gratuita ospitalità.

Accolse nel cuore
Fece largo, cioè, nei suoi pensieri ai pensieri di Dio. ma non si sentì, per questo, ridotta al silenzio. Offrì volentieri il terreno vergine della sua intimità alla germinazione del Verbo, ma non si considerò espropriata di nulla. Gli cedette con gioia il suolo più inviolabile della sua vita, ma senza dover ridurre gli spazi della sua libertà. Diede alloggio al Signore nella sua casa, ma non ne sentì, la presenza come violazione di domicilio. Gli aprì le porte delle stanze più segrete, ma senza subirne lo sfratto.

Accolse nel corpo
Sentì, cioè, il peso fisico di un altro essere che prendeva dimora nel suo grembo di madre. Adattò, quindi, i suoi ritmi a quelli dell'ospite. Modificò le sue abitudini in funzione di un compito che non le alleggeriva certo la vita. Consacrò i suoi giorni alla gestazione di una creatura che non le avrebbe risparmiato preoccupazioni e fastidi. E poiché il frutto benedetto del seno suo era il Verbo di Dio che s'incarnava per la salvezza dell'umanità, capì di aver contratto con tutti i figli di Eva un debito di accoglienza che avrebbe pagato con cambiali di lacrime.

Quell'ospitalità fondamentale la dice lunga sullo stile di Maria e delle sue mille altre accoglienze di cui il vangelo non parla, ma che non ci è difficile intuire. Nessuno fu mai respinto da lei. Tutti trovarono riparo sotto la sua ombra. Dalle vicine di casa, alle antiche compagne di Nazaret. Dai parenti di Giuseppe, agli amici di gioventù di suo figlio. Dai poveri della contrada, ai pellegrini di passaggio. Da Pietro, in lacrime dopo il tradimento, a Giuda che, forse, quella notte non riuscì a trovarla in casa.

Santa Maria, donna accogliente, aiutaci ad accogliere la Parola nell'intimo del cuore. A capire, cioè, come hai saputo fare tu, le irruzioni di Dio nella nostra vita. Egli non bussa alla porta per intimarci lo sfratto, ma per riempire di luce la nostra solitudine. Non entra in casa per metterci le manette, ma per restituirci il gusto della vera libertà.

Lo sappiamo: è la paura del nuovo a renderci spesso inospitali nei confronti del Signore che viene. I cambiamenti ci danno fastidio. E siccome lui scombina sempre i nostri pensieri, mette in discussione i nostri programmi e manda in crisi le nostre certezze, ci nascondiamo come Adamo nell'Eden, ogni volta che sentiamo i suoi passi. Facci comprendere che Dio, se ci guasta i progetti, non ci rovina la festa; se disturba i nostri sonni, non ci toglie la pace. E una volta che l'avremo accolto nel cuore, anche il nostro corpo brillerà della sua luce.

Santa Maria, donna accogliente, rendici capaci di gesti ospitali verso i fratelli. Sperimentiamo tempi difficili, in cui il pericolo di essere defraudati dalla cattiveria della gente ci fa vivere dietro porte blindate e sistemi di sicurezza. Non ci fidiamo più l'uno dell'altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è diventato organico nei rapporti con il prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi, dietro i cancelli dei nostri recinti.

Disperdi, ti preghiamo, le nostre diffidenze. Facci uscire dalla trincea degli egoismi corporativi. Sfascia le cinture delle leghe. Allenta le nostre ermetiche chiusure nei confronti di chi è diverso da noi. Abbatti le nostre frontiere. Quelle culturali, prima di quelle geografiche. Queste ultime cedono ormai sotto l'urto dei popoli "altri", ma le prime restano tenacemente impermeabili. Visto allora che siamo costretti ad accogliere stranieri nel corpo della nostra terra, aiutaci ad accoglierli anche nel cuore della nostra civiltà.

Santa Maria, donna accogliente, ostensorio del corpo di Gesù deposto dalla croce, accoglici sulle tue ginocchio, quando avremo reso lo spirito anche noi. Dona alla nostra morte la quiete fiduciosa di chi poggia il capo sulla spalla della madre e si addormenta sereno. Tienici per un poco sul tuo grembo, così come ci hai tenuti nel cuore per tutta la vita. Compi su di noi i rituali delle ultime purificazioni. E portaci, finalmente, sulle tue braccia davanti all'Eterno.

Perché solo se saremo presentati da te, sacramento della tenerezza, potremo trovare pietà.

mariamadonnaaccoglienzastranieriospitalitàmigrazione

inviato da Giovanni Graziano Tassello, inserito il 11/01/2008

TESTO

67. Il primo presepe

Johann Jorgensen

La santa sera tutto era pronto, a Greccio, come frate Francesco aveva desiderato; verso l'ora di mezzanotte, tutto il popolo di quei pressi era convenuto intorno al presepe per festeggiare la nascita del Signore. Come ci racconta Tomaso da Celano: «Greccio era diventata una nuova Betlemme; la foresta risuonava di voci melodiose e le rocce echeggiavano ai canti della folla». Ognuno portava torce accese, mentre, vicino al presepe, stavano i frati coi loro ceri; tanto che i boschi erano rischiarati come fosse pieno giorno. Sulla mangiatoia che serviva d'altare, un prete lesse la messa, perché il divino fanciullo fosse presente, sotto le specie del pane e del vino, al modo stesso che lo era stato corporalmente a Betlemme. Ci fu pure un istante in cui Giovanni Vellita ebbe l'impressione di vedere un vero bambino coricato nella mangiatoia, ma che sembrava morto, o, per lo meno, addormentato. Ed ecco che frate Francesco si avvicina al bambino e lo prende teneramente tra le braccia; ed ecco che anche il bambino si sveglia, sorride a frate Francesco, e, con le sue piccole mani, gli accarezza le guance barbute e la stoffa grigia della sottana! Visione che, del resto, non aveva nulla di stupefacente per messer Vellita: poiché egli conosceva già parecchi cuori, in cui, allo stesso modo, Gesù era stato morto, o per lo meno addormentato, fino al giorno in cui frate Francesco, con la sua parola e il suo esempio, non l'aveva risvegliato e risuscitato.

Dopo la lettura del Vangelo, frate Francesco, in veste di diacono, si avanzò verso la folla. «Sospirando profondamente, ci dice Celano, accasciato sotto la pienezza della sua pietà, e traboccante di meravigliosa gioia, il santo di Dio si drizzò presso la mangiatoia. E la sua voce, la sua voce forte e dolce, la sua voce chiara e sonora, trascinò gli uditori a ricercare il bene supremo».

Frate Francesco predica alla folla. «Con parole d'una dolcezza squisita, parla del povero re nato quella notte che è il Signore Gesù, nella città di David. E, ogni volta che vuole pronunciare il nome di Gesù, ecco che egli è tutto arso dal fuoco del suo amore, e che, invece di dirgli questo nome, lo chiama teneramente il Bambino di Betlemme! E, questa parola Betlemme, la dice col tono d'un agnello belante; e quando ha proferito il nome di Gesù, lascia scivolare la lingua sulle labbra, come per assaporare la dolcezza che quel nome ha sparso dietro di sé, passando su quelle labbra. E non fu che molto tardi che terminò quella santa notte di vigilia, e che ciascuno, con il cuore pieno di gioia, se ne ritornò alla sua casa».

«In seguito, questo luogo, dove era stato piantato il presepe, fu consacrato al Signore con l'erezione di un tempio; e sopra la mangiatoia fu alzato un altare in onore del nostro beato Padre Francesco: così che, là dove poco prima le bestie senza ragione mangiavano il fieno dalla greppia, oggi gli uomini, per la salute delle loro anime e del loro corpo, ricevono l'Agnello immacolato, Nostro Signore Gesù Cristo, che, spinto da ineffabile amore, ha dato la sua carne per la vita del mondo, e che, col Padre e lo Spirito Santo, vive e regna in somma grandezza per tutti i secoli dei secoli. Così sia!».

natalepresepepresepioSan Francesco

inviato da Franco Canzian, inserito il 19/12/2007

PREGHIERA

68. Preghiera per i laici   1

Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica "Christifideles Laici"

O Vergine santissima,
Madre di Cristo e Madre della Chiesa,
con gioia e con ammirazione,
ci uniamo al tuo Magnificat,
al tuo canto di amore riconoscente.

Con te rendiamo grazie a Dio,
«la cui misericordia si stende
di generazione in generazione»,
per la splendida vocazione
e per la multiforme missione
dei fedeli laici,
chiamati per nome da Dio
a vivere in comunione di amore
e di santità con lui
e ad essere fraternamente uniti
nella grande famiglia dei figli di Dio,
mandati a irradiare la luce di Cristo
e a comunicare il fuoco dello Spirito
per mezzo della loro vita evangelica
in tutto il mondo.

Vergine del Magnificat,
riempi i loro cuori
di riconoscenza e di entusiasmo
per questa vocazione e per questa missione.

Tu che sei stata,
con umiltà e magnanimità,
«la serva del Signore»,
donaci la tua stessa disponibilità
per il servizio di Dio
e per la salvezza del mondo.
Apri i nostri cuori
alle immense prospettive
del Regno di Dio
e dell'annuncio del Vangelo
ad ogni creatura.

Nel tuo cuore di madre
sono sempre presenti i molti pericoli
e i molti mali
che schiacciano gli uomini e le donne
del nostro tempo.
Ma sono presenti anche
le tante iniziative di bene,
le grandi aspirazioni ai valori,
i progressi compiuti
nel produrre frutti abbondanti di salvezza.

Vergine coraggiosa,
ispiraci forza d'animo
e fiducia in Dio,
perché sappiamo superare
tutti gli ostacoli che incontriamo
nel compimento della nostra missione.
Insegnaci a trattare le realtà del mondo
con vivo senso di responsabilità cristiana
e nella gioiosa speranza
della venuta del Regno di Dio,
dei nuovi cieli e della terra nuova.

Tu che insieme agli Apostoli in preghiera
sei stata nel Cenacolo
in attesa della venuta dello Spirito di Pentecoste,
invoca la sua rinnovata effusione
su tutti i fedeli laici, uomini e donne,
perché corrispondano pienamente
alla loro vocazione e missione,
come tralci della vera vite,
chiamati a portare molto frutto
per la vita del mondo.

Vergine Madre,
guidaci e sostienici perché viviamo sempre
come autentici figli e figlie
della Chiesa di tuo Figlio
e possiamo contribuire a stabilire sulla terra
la civiltà della verità e dell'amore,
secondo il desiderio di Dio
e per la sua gloria.
Amen.

laiciimpegnoresponsabilitàlaicato

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/05/2007

PREGHIERA

69. Preghiera Giornata Mondiale per le Vocazioni 2006

Benedetto XVI

O Padre, fa' sorgere fra i cristiani
numerose e sante vocazioni al sacerdozio,
che mantengano viva la fede
e custodiscano la grata memoria del tuo Figlio Gesù
mediante la predicazione della sua parola
e l'amministrazione dei Sacramenti,
con i quali tu rinnovi continuamente i tuoi fedeli.
Donaci santi ministri del tuo altare,
che siano attenti e fervorosi custodi dell'Eucaristia,
sacramento del dono supremo di Cristo
per la redenzione del mondo.
Chiama ministri della tua misericordia,
che, mediante il sacramento della Riconciliazione,
diffondano la gioia del tuo perdono.
Fa', o Padre, che la Chiesa accolga con gioia
le numerose ispirazioni dello Spirito del Figlio tuo
e, docile ai suoi insegnamenti,
si curi delle vocazioni al ministero sacerdotale
e alla vita consacrata.
Sostieni i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi,
i consacrati e tutti i battezzati in Cristo,
affinché adempiano fedelmente la loro missione
al servizio del Vangelo.
Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.
Maria, Regina degli Apostoli, prega per noi!

vocazione

inviato da Qumran2, inserito il 01/05/2007

PREGHIERA

70. Vieni, Spirito Santo   2

Vieni, Spirito Santo,
e irrompi come un vento impetuoso nelle nostre comunità,
vieni a sconvolgere le nostre liturgie troppo rigide, i nostri consigli parrocchiali, pastorali,
troppo convenzionati, le nostre catechesi troppo dotte,
vieni a portare vita in queste nostre comunità troppo polverose, ammuffite, troppo ordinate.
Vieni Spirito Santo come un fuoco ardente,
brucia tutto ciò che ci impedisce di seguire il Vangelo di Gesù,
brucia ogni nostro atteggiamento meschino, brucia ogni carico inutile,
brucia ogni paura e ogni gelosia.
Infiamma il nostro cuore, di un coraggio a tutta prova,
di una generosità senza limiti, di una misericordia inesauribile.
Vieni, Spirito Santo, e insegnaci a parlare l'unico linguaggio che tutti possono comprendere:
il linguaggio dell'amore, della salvezza, del perdono.
Liberaci da tutto ciò che complica, indebolisce e annienta le nostre parole.
Donaci di portare a tutti il lieto annuncio con parole cariche di bontà e rispetto.

Pentecosteparrocchiaevangelizzazioneconsiglio pastorale

1.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/10/2006

TESTO

71. Il dono supremo

Paolo VI, dall'omelia per il Giovedì Santo, 11 aprile 1974

Dove siamo? perché siamo qui riuniti? che cosa stiamo facendo? La celebrazione di questo rito esige da noi un momento d'intensa concentrazione.

È pur vero: essa non è in sostanza che una Santa Messa, quale noi celebriamo ogni giorno e moltiplichiamo in tanti luoghi diversi. Ma oggi questo rito vuole assumere il suo pieno e originario significato. Esso vuole ricordare, anzi rinnovare le sue ragioni costitutive, e acquista per noi, in ogni suo aspetto, un rilievo particolare; noi vogliamo onorare la sua misteriosa e complessa realtà; la sua origine, ch'è l'ultima Cena del Signore; la sua natura, ch'è il sacrificio eucaristico; i suoi rapporti con la Pasqua giudaica, memoriale della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù e poi segno della promessa messianica circa i futuri destini di quel popolo; il suo aspetto innovatore, ch'è l'inaugurazione d'un nuovo Testamento, d'una nuova alleanza, cioè d'un nuovo piano religioso, eminentemente più elevato e più perfetto, fra Dio e l'umanità, mediante il sacrificio d'una vittima unica e nuova, Gesù Cristo stesso.

Noi siamo collocati all'incrocio delle grandi linee traiettorie dei destini storici, profetici e spirituali dell'umanità: qui si conclude l'Antico Testamento; qui si inaugura il Nuovo; qui l'incontro con Cristo, da evangelico e particolare, si fa sacramentale e universalmente accessibile, qui la intenzione fondamentale della sua presenza nel mondo, con la celebrazione dei due misteri essenziali della sua vita nel tempo e sulla terra, l'Incarnazione e la Redenzione, si svela in gesti ed in parole indimenticabili: «Sapendo Gesù, dice infatti il Vangelo, che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Giovanni 13, 1), cioè fino all'estremo limite, fino al dono supremo di Sé.

Questo è il tema sul quale ora dobbiamo fissare la nostra attenzione. Non ne saremo veramente capaci, come non sono capaci i nostri occhi di sostenere lo sguardo diretto della luce del sole. Ma non dovranno questi nostri occhi umani e fedeli stancarsi di contemplare ciò che il misterioso fulgore dell'ultima Cena fa risplendere davanti a noi: i gesti dell'amore che si offre e si dà, e che assumono l'aspetto e la dimensione d'un amore assoluto, divino; l'amore che si esprime nel sacrificio.

Per la versione completa, clicca qui.

amoredonoeucaristiagiovedì santosacrificioultima cenamessa

inviato da Luca, inserito il 01/05/2006

TESTO

72. Lettera a Massimo, ladro zingaro ammazzato

Tonino Bello

A Molfetta, durante una tentata rapina un metronotte, per legittima difesa, sparò e uccise il ladro, uno zingaro. Il Vescovo, Monsignor Tonino Bello, saputa la notizia si recò al cimitero e rimase contristato dalla solitudine del morto: non c'era nessuno alle sue esequie e scrisse una lettera ad un uomo che non l'avrebbe mai letta, a Massimo, il ladro zingaro ammazzato.

Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon'ora al cimitero a celebrare le esequie per te.

Ma non ho potuto pronunciare l'omelia. Perché alla mia messa non c'era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate.

Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana.

Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù, ricordati di me!...».

Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata nel fango con te!

Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome.

Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome.
Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto.

Ma non per la tua morte. Perché, stando ai parametri codificati della nostra ipocrisia sociale, forse te la meritavi. Hai sparato tu per primo sul metronotte, ferendolo gravemente. E lui si è difeso. E stamattina, quando sono andato a trovarlo in ospedale, mi ha detto piangendo che anche lui strappa la vita con i denti. E che, con quei quattro luridi soldi per i quali rischia ogni notte la pelle, deve mantenere dieci figli: il più grande quanto te, il più piccolo di un anno e mezzo.

No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita.

Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco!

Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l'icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre.

Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch'io che, l'altro giorno, quando c'era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica.
Perdonaci, Massimo.

Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo.

Perdonaci per l'indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire.

Perdonaci se, ad appena otto giorni dall'inizio solenne del l'anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica.
Addio, fratello ladro.

Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada.

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inserito il 07/02/2006

ESPERIENZA

73. Jacques Fesch: la drammatica storia di un giovane moderno   1

Chi è Jacques Fesch? E' un giovane moderno, che a 24 anni commette un terribile delitto, epilogo di una vita vuota e senza ideali, piena di egoismo e di capricci. Ecco una veloce cronaca del delitto. Il 24 febbraio 1954 Jacques entra al mattino nel negozio di un cambiavalute e ordina un quantitativo d'oro. L'uomo si fida perché sa che alle spalle del giovane c'è un opadre facoltoso che può pagare. Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacquaes torna per prelevare l'oro e approfittando di un momento di disattenzione del cambiavalute lo colpisce alla testa con il calcio della pistola del padre. Il cambiavalute reagisce urlando. Jacques fugge e si nasconde in un palazzo vicino fino a che è riconosciuto da un polizziotto accorso sul posto. All'ingiunzione di fermarsi Jacques spara e uccide l'agente di polizia. Intervengono poi altri agenti che lo catturano.

Perché questo delitto assurdo? Jacques voleva aprire una propria attività e chiede un grosso prestito al padre che glielo rifiuta. Sa che il figlio ha le mani bucate! Allora Jacques decide di compiere una rapina: di procurarsi i soldi con l'inganno.

Che cosa accade in carcere? Viene raggiunto dal cappellano ma egli lo rifiuta dicendo: "Io non ho la fede e non ho bisogno di lei!". Passano i giorni, chiuso tra quattro pareti, solo con la sua disperazione. Ma una notte: "Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo. Ora quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita per le conseguenze del mio delitto; ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello di soccorso: "Mio Dio, Mio Dio aiutami!". E instantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia dove viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola! Ho creduto e non capivo più come avessi fatto prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace". Quella notte Jacques udì una voce che gli diceva: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Una frase per lui incomprensibile, il cui senso capirà più tardi.

Inizia una nuova vita in Cristo. Il cambiamento di questo giovane è qualche cosa di straordinario: è una testimonianza di quanto Dio può operare. "Ora veramente ho la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un uomo morto!". Jacques organizza la vita in prigione come la vita in un monastero: si dà un orario per la preghiera, legge libri religiosi e la Bibbia, scrive lettere per dare conforto ai suoi famigliari, che stanno vivendo una grossa crisi, vuole soprattutto poter vivere per riparare il male fatto.

Arriva il giorno del processo: il 3 aprile 1957 si apre il processo che si conclude con la sua condanna a morte. In quel momento capisce la frase: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Jacques dopo un iniziale smarrimento vive la sentenza e la condanna come una vocazione ad amare fino in fondo la croce di Gesù. Egli desidera prepararsi spiritulamente alla sua morte e desidera salutare da vero cristiano tutti coloro che lo hanno amato e coloro a cui ha fatto del male. Scrive alla moglie e alla sua piccola figlia di 6 anni, si mette in contatto, tramite il suo avvocato anche con la famiglia del gendarme che lui ha ucciso per chiedere il perdono. Nonostante il grande cambiamento di vita che stupisce lo stesso presidente della Repubblica a cui era stata inoltrata la domanda di grazia, la sentenza viene confermata per il 30 settembre.

Le ultime ore: l'attesa dell'incontro con Gesù. "Ancora soltanto qualche ora di lotta, prima di conoscere Colui che è l'Amore. Oggi sarò in cielo. Cara mamma, innanzi tutto ti devo dire un grosso grazie per tutto l'amore di cui mi hai circondato in questi ultimi mesi... Tu sai che Gesù ha detto nel suo vangelo: Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. Con queste righe io ti affido la mia bambina e mia moglie. Proteggile assiduamente. Amale in Dio e sii certa che di lassù io vi proteggerò e veglierò su di voi...". Alle 5,30 del mattino del 30 settembre le guardie carcerarie che sono veute a prenderlo per l'esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. Si confessa e riceve l'Eucarestia. Abbraccia il crocefisso e si avvia verso la ghigliottina... Le ultime sue parole: "Signore non abbandonarmi, io confido in te!".

confessioneconversionecambiare vitapeccatomisericordia di Dio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 13/12/2005

TESTO

74. Terza Lettera a Timoteo   2

Francesco Lambiasi

La seguente lettera è uno "pseudoepigrafo paolino", sulla conversione missionaria del prete; è una simpatica e profonda lettera rivolta da un vescovo ai preti di oggi.

Carissimo fratello Timoteo,

da circa un mese sei parroco in Santa Maria del terzo Millennio. Come non ricordare la solenne e commovente "presa di possesso"? L'unica pecca che stava per guastare la festa fu proprio quella bruttissima espressione - "presa di possesso" - che il cancelliere vescovile voleva implacabilmente inserire nel verbale da conservare nell'archivio Diocesano e in quello parrocchiale. Ti ho letto nel lampo degli occhi che stavi per scattare - per dire con la vostra brutalità giovanile che non ti sentivi affatto un vassallo in atto di prendere possesso del suo ambìto feudo. Intervenni io, un po' a gamba tesa, e spiegai alla tanta gente in festa che tu, la parrocchia, non l'avresti mai e poi mai vista come un "tuo" possesso, ma solo come un dono immeritato e preziosissimo, e a quel punto mi permisi un'autocitazione, presa dalla mia seconda lettera ai cristiani di Corinto: noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia.

Mi telefonasti la sera dopo, e mi dicesti: "Che bella parrocchia! E c'è anche la luna!". Da allora non ti ho più visto né sentito, ma dato che siamo al primo... "trigesimo" di quel felice inizio, ho pensato bene di scriverti questa breve lettera, perché vorrei che la tua gioia di essere parroco crescesse di giorno in giorno.

Sì, lo so: questo miracolo della beatitudine è purtroppo un po' raro tra noi pastori, ma non è improbabile e niente affatto impossibile. Ed è proprio di questo che vorrei parlarti. Stai sereno, non ti rifilo un trattato di ascetica e mistica sulla carità pastorale. Ti vorrei parlare solo di una condizione assolutamente irrinunciabile - "sine qua non", si diceva ai miei tempi - perché il miracolo si avveri. Sarai un parroco felice nella misura in cui sarai un vero missionario. Non si scappa: o missionari o... dimissionari.

E' una conversione profonda, che bisogna rinnovare ogni giorno. Ogni mattina, prima di mettere i piedi fuori dal letto, beato te se dirai: "Grazie, Signore, per avermi creato, fatto cristiano, e grazie per avermi fatto questi piedi belli per il vangelo". Scrivi sullo specchio in sagrestia, o almeno in quello del bagno: "Non sono un professionista del sacro, né un insegnante della fede: sono un annunciatore del vangelo". Quando ero a Corinto io avevo scritto sulla porta della stanzetta nella casa di Aquila e Priscilla: Non sono stato mandato qui a battezzare, ma ad evangelizzare.
Ricordi la grammatica di base del missionario, che ti ho insegnato quando prima di essere tuo vescovo, ti ho fatto da rettore in seminario? E' una grammatica costruita su un quadrilatero di certezze che devono rimanere solide più delle fondamenta della tua splendida chiesetta romanica:

- La parola di Dio è come l'acqua e la neve, se cade...
- La Parola non è lontana, ma molto vicina al cuore, anzi è dentro. Basta trovare il modo per far scattare il contatto...
- "Come agnelli tra i lupi" non è per farci sbranare, ma per far accogliere il messaggio: quanto più siamo deboli umanamente...
- A noi tocca il compito di annunciare. E' il Signore che veglia sulla sua parola perché si realizzi...

Stai attento, Timoteo: devi essere severo nel vigilare che questo spirito missionario non venga aggredito da virus micidiali, quali l'IO-latria del prete che pensa: "Come me non c'è nessuno: prima di me e dopo di me, non ci sarà nessuno uguale a me!". Perciò niente cose alla "W il parroco!". Un altro virus che fa strage in casa nostra è quello dello stress da pastorale: correre, competere, confliggere e alla fine... l'eterno riposo! Ma non c'è da scherzare neanche con la depressio clericalis (si chiama così anche quando infetta i laici): la si vede come un messaggio scritto sulla maglietta in quei "nostri" che vanno in giro con l'aria fritta di chi sembra dire: "fateme 'na flebo". Ti ripeto: devi essere severo. E se lo sarai con te, potrai vigilare anche sullo spirito missionario dei "vicini". Per esempio i gruppi - dal coro a quello liturgico, a quello catechistico e caritativo, dall'AC ai carismatici - non devono essere luoghi di potere o gradini per emergere (è un pericolo sempre in agguato), ma sviluppare il servizio al vangelo. Allora la tua - la vostra - parrocchia non sarà una scuola in cui si spiega il cristianesimo o, peggio ancora, un ufficio di controllo della fede dei parrocchiani, ma riuscirete a far circolare la parola di Dio per le strade, in modo che la gente la incontri.

E con gli altri? Quelli che si servono della parrocchia per continuare abitudini e consuetudini sociali; quelli che la ignorano: cosa puoi esigere se non hanno le motivazioni? Allora ringrazia Dio tutte le volte che càpitano a messa. Tutte le volte che ti portano i figli al catechismo. Tutte le volte che ti chiedono i sacramenti, per sé o per i figli, o il funerale per il caro estinto. Anche se per le loro motivazioni non proprio di fede. Tutte le volte! Non è una disgrazia: è un dono di Dio che vengano, quando saresti tu che dovresti andare a cercarli.

Accogliendoli così come sono, non farai finta che abbiano le tue motivazioni. Quindi non li rimproveri e non li ricatti, non imponi loro dei compiti come se avessero le tue motivazioni, non parli loro e non fai prediche come se avessero la fede. Ti comporti da missionario: entri nella loro situazione, cerchi di capire le loro domande e i loro interessi, parli la loro lingua, proponi con libertà e chiarezza il messaggio, non imponi loro dei fardelli che nemmeno tu riesci a portare.
Per finire, permettimi di ricordarti alcune regole che ti potranno servire per misurare il tuo spirito missionario.

1. Non maledire i tempi correnti: è arrivato al capolinea il cristianesimo dell'abitudine e sta rinascendo il cristianesimo per scelta, per innamoramento.
2. Non anteporre nulla all'annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. Afferra ogni situazione, ogni problema, ogni interesse e riportalo lì, al centro di tutta la fede.
3. Annuncia il cristianesimo delle beatitudini e non vergognarti mai del vangelo della croce: Cristo non toglie nulla e dà tutto!
4. Il vangelo è da proporre, non da imporre. Non imporlo mai a nessuno, neanche ai bambini, soprattutto ai bambini: gli resterebbe un ricordo negativo per tutta la vita.
5. Non amareggiarti per l'indifferenza dei "lontani" e non invocare mai il fuoco dal cielo perché li consumi, ma fa' festa anche per uno solo di loro che si converte.
6. Ricorda: il kerygma non è come un chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Il messaggio cristiano non è da ripetere meccanicamente, è da reinterpretare nella mentalità e nella lingua della gente: vedi s. Paolo. Scusami: guarda me...
7. Sogna una parrocchia che sia segno e luogo di salvezza, non club di perfetti.
8. Non credere di comunicare il vangelo da solo! Almeno in 2, meglio in 12, molto meglio in 72! Creare un gruppo di parrocchiani veri per evangelizzare i presunti tali.
9. Ricordati che i laici non vanno usati come ausiliari utili, ma vanno aiutati a diventare collaboratori corresponsabili.
10. Non ridurti mai a vigile del traffico intraparrocchiale: tu non sei il coordinatore delle attività o il superanimatore di gruppi, ma sei una vera guida, sei il primo evangelizzatore.

Ti auguro di credere sempre nella presenza forte e dolce dello Spirito Santo e ti raccomando di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani.

Caro Timoteo, ti ripeto quanto ti scrissi nella mia prima Lettera: Custodisci con cura tutto quanto ti è stato affidato. Evita le chiacchiere contrarie alla fede. E ti raccomando pure quanto ti scrissi nella seconda Lettera: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù: annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna, rimprovera, raccomanda e incoraggia con tutta la tua pazienza.

La grazia sia con te e con tutti i fedeli della tua comunità, anche con quelli che ancora non sei riuscito ad incontrare!

Paolo, missionario di Gesù Cristo

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4.3/5 (3 voti)

inserito il 01/10/2005

TESTO

75. Vivere da innamorati...

Tonino Bello

Innamorarsi di Gesù Cristo, come fa chi ama perdutamente una persona e imposta tutto il suo impegno umano e professionale su di lei, attorno a lei raccorda le scelte della sua vita, rettifica i progetti, coltiva gli interessi, adatta i gusti, corregge i difetti, modifica il suo carattere, sempre in funzione della sintonia con lei. Cosa non fa ad esempio un uomo per la sua donna, perché ha impostato la sua vita su di lei?

Osservando la vita di tanti nostri amici, dei nostri compagni di studi, ci accorgiamo come l'amore totalizzante investe non soltanto l'aspetto della loro affettività, ma trascina nel suo vortice i giorni, le notti, il riposo, il lavoro, la gioia, il dolore, le delusioni, le speranze. E' un investimento totale.

Quando parlo di innamoramento di Gesù Cristo voglio dire questo: un investimento totale della nostra vita. Per noi il Signore non è una fascia, una frangia, un merletto, sia pure notevole, che si aggiunge al panneggio della nostra esistenza.

L'amore per Cristo, se non ha il marchio della totalità, è ambiguo. Il Part-time, il servizio a ore, magari col compenso maggiorato per lo straordinario, con Cristo non è ammissibile; un servizio a ore saprebbe di mercificazione...

Innamorarsi di Gesù Cristo vuol dire: conoscenza profonda di lui, dimestichezza con lui, frequenza diuturna nella sua casa, assimilazione del suo pensiero, accoglimento senza sconti delle esigenze più radicali del Vangelo. Vuol dire ricentrare davvero la vita intorno al Signore Gesù, perché la nostra esistenza, come diceva Dietrich Bonhoeffer, diventi "una esistenza teologica".

amoresequelaGesù Cristoradicalità

inviato da Giovanni Vacca, inserito il 21/06/2005

PREGHIERA

76. Preghiera per le vocazioni   1

Giovanni Paolo II, Messaggio Giornata Mondiale per le vocazioni 1987

Signore Gesù,
come un giorno hai chiamato i primi discepoli
per farne pescatori di uomini,
così continua a far risuonare anche oggi
il tuo dolce invito: "Vieni e seguimi"!
Dona ai giovani e alle giovani
la grazia di rispondere prontamente alla Tua voce!
Sostieni nelle loro fatiche apostoliche
i nostri vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate.
Dona perseveranza ai nostri seminaristi
e a tutti coloro che stanno realizzando
un ideale di vita totalmente consacrato al Tuo servizio.
Risveglia nelle nostre comunità
L'impegno missionario.
Manda, Signore, operai nella tua messe
e non permettere che l'umanità si perda
per mancanza di pastori, di missionari
e di persone votate alla causa del Vangelo.
Maria, Madre della Chiesa, modello di ogni vocazione,
aiutaci a rispondere di "sì" al Signore che ci chiama
per collaborare al disegno divino di salvezza.
Amen.

vocazionechiamata

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inviato da Bianco Alessandro, inserito il 21/04/2005

PREGHIERA

77. È Pasqua   1

Antonio Merico, Vangelo e vita. Preghiere dell'anno liturgico "C", Elledici, Leumann 2004, p. 49

Gesù è veramente risorto!
Anche noi siamo accorsi al sepolcro.
Anche noi siamo andati oltre la pietra.
Anche noi abbiamo visto!
Siamo chiamati a fare il passo decisivo della fede.
La risurrezione di Gesù
ci invita ad uscire dalla nostra incredulità,
a scegliere con convinzione e fiducia la via del cielo.

È Pasqua!
È il giorno della vita che più non muore,
della gioia che non ha mai fine.
È Pasqua!
È il tempo del credente che esce allo scoperto,
che testimonia la sua speranza,
che si fortifica nelle difficoltà,
che annuncia la vita nuova in Cristo risorto.

È Pasqua!
Nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa
che annuncia speranza là dove regna la disperazione,
che annuncia una forza là dove si subisce la violenza,
che annuncia il riscatto là dove vige la schiavitù.

È Pasqua!
Cristo è veramente risorto, per sempre, per tutti!
La sua risurrezione è speranza, certezza.
Diventiamo noi stessi testimoni per gli altri.
Curiamo le ferite dei nostri fratelli.

È Pasqua!

pasquarisurrezioneresurrezione

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inviato da Alessandro Bianco, inserito il 05/03/2005

ESPERIENZA

78. Il Sacerdote

Chi è che ci prepara l'Eucaristia e ci dona Gesù?
E' il Sacerdote.
Se non ci fosse il Sacerdote, non esisterebberero né il Sacrificio della Messa, né la S. Comunione, né la Presenza Reale di Gesù nei Tabernacoli.

E chi è il Sacerdote?
E' l'"Uomo di Dio". Difatti, è solo Dio che lo sceglie e lo chiama da mezzo agli uomini, con una vocazione specialissima ("Nessuno assume da sé questo onore, ma solo chi è chiamato da Dio": Eb 5,4), lo separa da tutti gli altri ("segregato per il Vangelo": Rm 1,1), lo segna con un carattere sacro che durerà in eternamente ("Sacerdote in eterno": Eb 5,6) e lo investe dei divini poteri del Sacerdozio ministeriale perché sia consacrato esclusivamente alle cose di Dio: il Sacerdote "scelto fra gli uomini è costituito a prò degli uomini in tutte le cose di Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati" (Eb 5,1-2).

Vergine, povero, crocifisso
Con la Sacra Ordinazione il Sacerdote viene consacrato nell'anima e nel corpo. Diviene un essere tutto sacro, configurato a Gesù Sacerdote. Per questo il Sacerdote è il vero prolungamento di Gesù; partecipa della stessa vocazione e missione di Gesù; impersona Gesù negli atti più importanti della redenzione universale (culto divino ed evangelizzazione); è chiamato a riprodurre nella sua vita l'intera vita di Gesù: vita verginale, povera, crocifissa. E' per questa conformità a Gesù che egli è "Ministro di Cristo fra genti" (Rm 15, 16), guida e maestro delle anime (Mt 28, 20).
Lo Spirito Santo configura l'anima del Sacerdote a Gesù, impersona Gesù in lui, di modo che "il Sacerdote all'altare opera nella stessa Persona di Gesù" (S. Cipriano), ed "è il padrone di tutto Dio" (S. Giovanni Crisostomo).

Rispetto e venerazione
Sappiamo che S. Francesco d'Assisi non volle diventare Sacerdote perché si riteneva troppo indegno di così eccelsa vocazione. Venerava i Sacerdoti con tale devozione da considerarli suoi "Signori", poiché in essi vedeva solamente "il Figlio di Dio"; in particolare venerava le mani dei Sacerdoti, che egli baciava sempre in ginocchio con grande devozione; e anzi baciava anche i piedi e le stesse orme dove era passato un Sacerdote.
Il S. Curato d'Ars diceva: "Si dà un gran valore agli oggetti che sono stati deposti, a Loreto, nella scodella della Vergine Santa e del Bambino Gesù. Ma le dita del Sacerdote, che hanno toccato la Carne adorabile di Gesù Cristo, che si sono affondate nel calice, dove è stato il suo Sangue, nella pisside dove è stato il suo Corpo, non sono forse più preziose?".
Sappiamo, del resto, che l'atto di venerazione di baciare le mani del Sacerdote è stato premiato da Dio con veri miracoli. Nella vita di S.Ambrogio, si legge che un giorno, appena celebrata la S. Messa, il Santo fu avvicinato da una donna paralitica che volle baciargli le mani. La poveretta riponeva grande fede in quelle mani che avevano consacrato l'Eucaristia: e fu guarita all'istante. Lo stesso, a Benevento, una donna paralitica da quindici anni, chiese al Papa Leone IX di poter bere l'acqua da lui adoperata durante la S. Messa per l'abluzione delle dita. Il Santo Papa accontentò l'inferma in questa richiesta umile come quella della Cananea che chiese a Gesù "le briciole che cadono dalla mensa dei padroni" (Mt 15, 27). E fu subito guarita anche lei.
"Se io incontrassi - diceva il S. Curato d'Ars - un Sacerdote e un Angelo, saluterei prima il Sacerdote, poi l'Angelo... Se non ci fosse il Sacerdote, a nulla gioverebbe la Passione e la Morte di Gesù... A che servirebbe uno scrigno ricolmo d'oro, quando non vi fosse chi lo apre? Il Sacerdote ha le chiavi dei tesori celesti..."
Ma questa sublimità di grandezza comporta responsabilità enormi che pesano sulla povera umanità del Sacerdote; umanità in tutto identica a quella di ogni altro uomo. "Il Sacerdote - diceva S. Bernardo - per natura è come tutti gli altri uomini, per dignità è superiore a qualsiasi altro uomo della terra, per condotta deve essere emulo degli Angeli".
Per questo Padre Pio diceva: "Il Sacerdote o è un santo o è un demonio". O santifica, o rovina. San Giovanni Bosco diceva che "un prete o in paradiso o in inferno non va mai solo: vanno sempre con lui un gran numero di anime, o salvate col suo santo ministero o col suo buon esempio, o perdute con la sua negligenza nell'adempimento dei propri doveri e col suo cattivo esempio".
Veneriamo il Sacerdote e siamogli grati perché ci dona Gesù; ma soprattutto preghiemo per la sua altissima missione, che è la missione stessa di Gesù: "Come il Padre ha mandato Me, così io mando voi" (Gv 20, 21). Missione divina che fa girar la testa e impazzire di amore, a rifletterci fino in fondo. Il Sacerdote è assimilato al Figlio di Dio, e il Santo Curato d'Ars diceva che "solo in cielo misurerà tutta la sua grandezza. Se già sulla terra lo intendesse, morrebbe non di spavento, ma di amore... Dopo Dio, il Sacerdote è tutto".

sacerdotesacerdozioprete

inviato da Anna Lollo, inserito il 07/01/2005

PREGHIERA

79. Preghiera per la parrocchia

Mons. Giuseppe Verucchi

Signore, ti ringraziamo per i doni che ci hai fatto per mezzo della vita e della missione della parrocchia.
Nella comunità abbiamo ricevuto, tante volte l'Eucaristia, la Parola, il dono dello Spirito e il perdono dei peccati!
Qui siamo stati educati nella vita di fede, abbiamo maturato la capacità di amare, siamo stati aiutati a vivere la nostra vocazione.
Dona, o Signore, alla nostra parrocchia la grazia di rinnovarsi per svolgere, anche oggi, la sua missione nella fedeltà a te e all'uomo.
O Maria, guidaci ad essere assidui all'ascolto della Parola, perseveranti nella preghiera, uniti nell'assemblea eucaristica, ferventi nella comunione e nella carità verso il prossimo, gioiosi testimoni di Cristo nel mondo e coraggiosi annunciatori dei valori del Vangelo.
Benedici, o Madre, tutte le parrocchie del mondo, perché continuino ad essere fuochi d'amore, fari di luce, comunità di vita, sorgenti di comunione e di speranza.
Amen.

parrocchiacomunitàchiesa

inviato da Davide Benazzi, inserito il 10/08/2004

TESTO

80. Chi è Gesù

Autori vari

Credo che l'uomo più grande esistito finora sulla terra sia Gesù Cristo, e che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto di più nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di lui, sia stato detto in contrasto con lui.
Elio Vittorini, scrittore

Gesù è la non violenza allo stato puro; è quella parte di noi che fa dono di sé e che si scontra con il negativo della vita. (...) Gesù evoca istantaneamente un' idea di fratellanza disarmata, di protesta pacifica contro ogni autoritarismo e volontà di sopraffazione. Forse per questo molti giovani oggi nel mondo sono portati a vedere in Gesù il fratello...
Nelo Risi, regista

Onestamente, non vi so dire chi sia per me Cristo, oggi. Per me è quello che era ieri, il più sublime caso di estremismo che io conosca.
Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista

Invece di cercare libri e pitture sul Nuovo Testamento, ho aperto il Vangelo e vi ho trovato non già la storia di una persona con i capelli divisi sulla fronte e con le mani congiunte in atto di preghiera, bensì un essere straordinario, dalle labbra tonanti e dai gesti bruschi e decisi che rovesciava tavole, cacciava demoni e passava col selvaggio mistero del vento dal mistero della montagna ad una paurosa demagogia. (...) La letteratura su Cristo è stata, e forse saggiamente, dolce e remissiva. Ma la parola di Gesù è stranamente gigantesca: piena di cammelli che saltano attraverso le crune degli aghi e di montagne scaraventate in mare.
G.K. Chesterton, scrittore

«L'immediatezza con la quale Gesù insegna, non ha paralleli nel giudaismo contemporaneo. ed essa è tale che egli osa perfino opporre alla lettura della legge la diretta e presente volontà di Dio».
«Ognuna delle scene narrate nei Vangeli descrive la straordinaria padronanza di Gesù nell'affrontare le diverse situazioni, a seconda dei tipi di persone che incontra».
«Il suo modo di comportarsi e il suo metodo vengono a trovarsi ogni volta in contrasto con quello che gli uomini si aspettano da lui e con ciò che dal loro punto di vista sperano per sé».
«Bisognerebbe una buona volta mettere vicini tutti i passi dei vangeli nei quali si parla di questo discernimento di Gesù, senza lasciarsi prendere dal timore che si tratti di un impegno meramente sentimentale».
«I vangeli chiamano questa manifesta immediatezza del potere sovrano di Gesù la sua "autorità"».
«L'aiuto che Gesù dà ha il carattere di una partecipazione genuina, che prende in mano con passione la situazione...».
«Essenziale è l'indissolubile connessione fra quanto è stato qui detto e il messaggio di Gesù intorno alla realtà di Dio, del suo Regno e della sua volontà... Rendere presente la realtà di Dio: ecco il mistero essenziale di Gesù».
G. Bornkamm, Gesù di Nazareth

Gesù Cristo

inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004

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