Quando hai bisogno, Qumran ti dà una mano, sempre.
Ora Qumran ha bisogno di te.
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TESTO
Madre Teresa di Calcutta, ai giovani durante un Congresso Eucaristico
Oggi fra i giovani del mondo, Gesù vive la propria passione nei giovani sofferenti, affamati, handicappati... in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame.
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì con quel bambino?
E quelle migliaia che muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione...
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì?
E quando i giovani cadono, come Gesù è caduto più e più volte per noi, noi siamo lì come Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la croce? I barboni, gli alcolizzati, i senzatetto vi guardano. Non siate come quelli che guardano senza vedere. Guardate e vedete.
Possiamo iniziare a percorrere la Via Crucis, passo dopo passo, con gioia.
Gesù si è fatto pane della vita per noi. Abbiamo Gesù, sotto forma di pane della vita a darci forza.
sofferenzariconoscere Gesùvia crucissolidarietàdoloreimpegnoresponsabilitàpovertà
inviato da Chiara Palmanti, inserito il 21/06/2005
RACCONTO
C'era una volta una pecorella ribelle.
Essa vagava senza ben sapere che strada prendere.
Più volte Dio gliel'aveva mostrata ma lei voleva fare di testa sua, voleva cavarsela da sola.
Poiché la strada che si era scelta era comoda e priva di sacrifici.
Un bel giorno stanca di vivere nell'oppio decise di seguire la voce di Dio.
La strada che Dio le mostrò era tutta in salita.
La pecorella voleva tornare indietro, Dio però la incoraggiò ed ella riprese il suo cammino... a volte cadeva a terra, Dio però non la lasciava sola, se la metteva in braccio e l'aiutava nel proseguire.
La pecorella arrivò alla meta proposta da Dio sanguinante e straziata.
Ma quel che è strano è che arrivò felice.
Il Signore se la portò in paradiso.
Ora le disse nessuno ti farà del male sarai tutta mia io che tanto ho sperato in te e che tanto ti ho amata.
La pecorella capì che più grande ricompensa non poteva avere.
amore di Diosequeladoloresofferenzacrocefiduciafede
inviato da Alessia, inserito il 19/06/2005
TESTO
203. C'era una volta l'Amore...
Poesia brasiliana
C'era una volta l'Amore... L'Amore abitava in una casa pavimentata di stelle e adornata di sole. Un giorno l'Amore pensò a una casa più bella. Che strana idea quella dell'Amore! E fece la terra, e sulla terra, ecco fece la carne e nella carne ispirò la vita e, nella vita, impresse l'immagine della sua somiglianza.
E la chiamò uomo! E dentro l'uomo, nel suo cuore, l'Amore costruì la sua casa: piccola ma palpitante, inquieta, insoddisfatta come l'Amore. E l'Amore andò ad abitare nel cuore dell'uomoe ci entrò tutto là dentro, perché il cuore dell'uomo è fatto di infinito.
Ma un giorno... l'uomo ebbe invidia dell'Amore. Voleva impossessarsi della casa dell'Amore, la voleva soltanto e tutta per sé, voleva per sé la felicità dell'Amore come se l'Amore potesse vivere da solo. E l'Amore fu scacciato dal cuore dell'uomo. L'uomo allora cominciò a riempire il suo cuore, lo riempì di tutte le ricchezze della terra, ma era ancora vuoto. L'uomo, triste, si procurò il cibo col sudore della fronte, ma era sempre affamato e restava con il cuore terribilmente vuoto. Un giorno l'uomo... decise di condividere il cuore con tutte le creature della terra. L'Amore venne a saperlo... Si rivestì di carne e venne anche lui a ricevere il cuore dell'uomo. Ma l'uomo riconobbe l'Amore e lo inchiodò sulla croce. E continuò a sudare per procurarsi il cibo. L'Amore allora ebbe un'idea: si rivestì di cibo, si travestì di pane e attese silenzioso. Quando l'uomo affamato lo mangiò, l'Amore ritornò nella sua casa... nel cuore dell'uomo. E il cuore dell'uomo fu riempito di vita, perché la vita è Amore.
inviato da Anna Lollo, inserito il 19/06/2005
TESTO
204. La prova necessaria per volare! 1
"Dio non ci manda mai prove senza darci insieme la forza necessaria per sopportarle"
(Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce)
Non vi sembri questa frase il pagliativo di una disperata che non riesce a dare un senso alla propria sofferenza; certo Edith nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, non poteva che chiedersi il perché di quella prova.
Ebbene, a me questa sua frase ha cambiato la vita; non fraintendetemi, non c'è nessuno a cui la vita sorrida sempre, ma, può accadere che, ad un certo punto, si decida di sorridere alla vita, comunque, dovunque e con chiunque essa scorra. Penso sia stata la scelta di Santa Teresa Benedetta della Croce.
Perché dunque la prova? Perché la sofferenza? Incredibile ma vero: per scoprire le forze che Dio stesso ci ha dato. Essa invero è strumento tramite cui conoscere se stessi, prendere soprattutto coscienza dei propri limiti, in modo da imparare a confidare in Colui che solo può intervenire in nostro aiuto. Gesù per primo "pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì"(Eb.5,8).
D'altronde, un padre che vuole insegnare al figlio a camminare, prima o poi, dovrà lasciargli le manine, per fargli sperimentare l'equilibrio. Questo non significa che lo abbandoni: quello stesso padre non starà lì, proprio dietro il figlioletto, con le braccia aperte, pronto a prevenire le cadute, o, se del caso, a rialzarlo? Dal dolore di quelle prime cadute il figlio potrà, in compenso, apprendere l'arte del camminare, indispensabile per affrontare la vita.
Allo stesso modo, Dio, nostro Padre, ci lascia pian piano le mani, perché, anche provando a volte dolore, possiamo prender coscienza della natura divina che è in noi. Dunque, la prova, la sofferenza, che poi, almeno per quel che mi riguarda, si traduce spesso in un senso di abbandono, non è che quel lasciarci le mani, da parte di Dio, che ci porta ad imparare a camminare verso la Vita Vera in un fiducioso abbandono.
Passare per lo stretto buco del bozzolo è lo sforzo necessario affinché la farfalla possa trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che possa volare.
Se Dio ci permettesse di vivere la nostra vita senza mai incontrare ostacoli, saremmo limitati. Non potremmo essere forti come siamo. Non potremmo mai volare!
provasofferenzadolorecrocecrescitarapporto con Dio
inviato da Fabio Scattarella, inserito il 21/02/2005
PREGHIERA
Signore, accogli le preghiere e i lamenti
di coloro che soffrono e
di quanti si adoperano per alleviarne il dolore.
Tu che hai percorso la via del calvario
e hai trasformato la croce in segno di amore e di speranza
conforta coloro che sono afflitti, soli e sfiduciati.
Dona loro:
la pazienza sufficiente per sopportare le lunghe attese
il coraggio necessario per affrontare le avversità
la fiducia per credere in ciò che è possibile
la saggezza per accettare ciò che è rimasto irrisolto
la fede per confidare nella tua Provvidenza.
Benedici le mani, le menti e i cuori degli operatori sanitari
perché siano presenze umane e umanizzanti
e strumenti della tua guarigione.
Benedici quanti nelle nostre comunità
si adoperano per accompagnare i malati
perché accolgano la profezia della vulnerabilità umana
e si accostino con umiltà al mistero del dolore.
Aiutaci Signore a ricordarci
che non siamo nati felici o infelici,
ma che impariamo ad essere sereni
a seconda dell'atteggiamento che assumiamo
dinanzi alle prove della vita.
Guidaci, Signore,
a fidarci di Te e ad affidarci a Te.
Amen.
malattiamalatiammalatiaffidamentopazienzacoraggiodolorecrocesofferenza
inviato da Anna Barbi, inserito il 30/01/2005
TESTO
206. Beati gli afflitti, perché saranno consolati
Tonino Lasconi, Amico Dio
Beati voi
che non dite:
"Quando sto bene io...
stanno bene tutti!"
ma vi fate carico
delle sofferenze degli altri.
Beati voi
che nella sofferenza
non vi chiudete in voi stessi
ma cercate conforto nei fratelli
che io vi ho messo vicino.
Beati voi
che a colui che soffre
non dite: "Pazienza,
Dio ha voluto così!"
ma gli dite:
"Coraggio, ti aiuto io:
Dio ti vuole felice!"
sofferenzaconsolazionecrocedoloresolidarietà
inviato da Marco Malatesta, inserito il 07/01/2005
ESPERIENZA
207. L'esperienza che si fa messaggio
Carissimi catechisti,
è autentica. Ieri sera stavo amministrando l'eucarestia, durante la messa solenne, quando si è presentato un papà con la figlioletta in braccio. Il Corpo di Cristo. Amen. E gli ho fatto la comunione.
La bambina allora, che osservava con occhi colmi di stupore, si è rivolta a suo padre e gli ha chiesto: «È buona?». Sono rimasto letteralmente bruciato da quell'interrogativo. A tal punto, che mi son dovuto fermare. Poi, con la pisside in mano, mi son fatto largo fra la gente, ho raggiunto quel signore che si era già allontanato, e ho sentito il bisogno di dare un bacio alla sua bambina.
Quella domanda mi è parsa splendida. E siccome nell'omelia avevo detto che in fatto di fede possiamo trasmettere agli altri solo ciò che sperimentiamo noi stessi, ho pensato che il Signore, con la battuta ingenua di una bambina e nel linguaggio spontaneo dei semplici, avesse voluto restituirmi la sintesi del mio lungo discorso.
In effetti, ciò che rende credibili sulle nostre labbra di annunciatori la trasmissione del messaggio di Gesù è soltanto l'esperienza che noi per primi facciamo della sua verità. Una verità che non passa, se chi la trasmette non ne pregusta un assaggio e non se ne nutre in abbondanza.
La domanda di quella bambina, perciò, ci stringe d'assedio, perché chiama in causa non tanto il nostro sapere religioso, quanto lo spessore del nostro vissuto concreto.
«È buona?». Perché, se la mensa di cui tu parli ti riempie di forze, desidero sedermi anch'io alla tua tavola. Spezzane un po' anche per me di quel pane che tu gusti avidamente. Fammi bere alla stessa brocca, se è vero che quell'acqua toglie la sete e ti placa l'arsura dell'anima.
«È buona?». Perché se l'hai già provato tu che la legge del Signore è perfetta e rinfranca l'anima, come dicono i salmi, o che gli ordini del Signore fanno gioire il cuore, e le sue parole sono più dolci del miele e di un favo stillante... fa' assaporare pure a me queste delizie del palato e non escludermi da condivisioni di così squisita bontà.
Carissimi catechisti, io non so bene cosa ieri sera, a messa, avesse voluto da me il Signore, il quale per dirla ancora con le Scritture, si esprime spesso con la bocca dei bimbi e dei lattanti.
Ha voluto provocarmi a uscire dall'assuefazione ad un cibo troppo distrattamente consumato? Ha inteso rimproverarmi la sistematica assenza di gratitudine per il Suo Pane disceso dal cielo? Ha voluto farmi prendere coscienza con quanto poco stupore accolgo la ricchezza dei suoi doni?
Non lo so.
Certo è che, se quella bambina avesse potuto capirmi e io mi fossi sentito meno indegno di accreditarmi certi meriti, avrei risposto per conto del suo papà, rimasto muto, e avrei voluto dirle: «Sì che è buona l'eucarestia. Così come è buona la sua Parola. Così come è buona la sua amicizia. Così come è buona la sua croce. Te lo dico io che non posso più resistere senza quell'ostia. Che non so più fare a meno della sua Parola di vita eterna. Che sperimento la sua amicizia, sia nel gaudio di quando Lui mi è accanto, come nella nostalgia quando mi manca. Te lo dico io che ho una croce leggera sul petto, e una pesante sulle spalle. Quest'ultima, però, da quando ho capito che è una scheggia di quella portata da Lui, da simbolo delle mie sconfitte, si è tramutata in fontana di speranza. Per me e per gli altri. Parola di uomo!».
eucaristiatestimonianzacristianesimo
inviato da Michelangelo Dessì Sdb, inserito il 08/12/2004
TESTO
S. Giovanni della Croce, Fiamma d'amor viva, 11,4.
Poco importa che un uccello sia legato ad un filo sottile invece che ad uno grosso, perché, per quanto sia sottile, rimarrà legato come al grosso, fin tanto che non lo romperà per volare. La verità è che quello sottile è più facile da rompere; però, per facile che sia, se non lo rompe, non volerà.
distaccolibertàlibertà interiore
inviato da Luigi, inserito il 07/12/2004
ESPERIENZA
209. Testimonianza di Benedetta Bianchi Porro
Benedetta Bianchi Porro, Oltre il silenzio. Diari e lettere
Caro Natalino,
in «Epoca» è stata riportata una tua lettera. Attraverso le mani, la mamma me l'ha letta. Sono sorda e cieca, perciò le cose, per me, diventano abbastanza difficoltose.
Anch'io come te, ho ventisei anni, e sono inferma da tempo. Un morbo mi ha atrofizzata, quando stavo per coronare i miei lunghi anni di studio: ero laureanda in medicina a Milano. Accusavo da tempo una sordità che i medici stessi non credevano all'inizio. Ed io andavo avanti casi non creduta e tuffata nei miei studi che amavo disperatamente. Avevo diciassette anni quando ero già iscritta all'Università.
Poi il male mi ha completamente arrestata quando avevo quasi terminato lo studio: ero all'ultimo esame. E la mia quasi laurea mi è servita solo per diagnosticare me stessa, perché ancora (fino allora) nessuno aveva capito di che si trattasse.
Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista; ora è notte. Però nel mio calvario non sono disperata. lo so che in fondo alla via Gesù mi aspetta.
Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli.
Fra poco io non sarò più che un nome; ma il mio spirito vivrà qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano.
E tu, Natalino, non sentirti solo. Mai. Procedi serenamente lungo il cammino del tempo e riceverai luce, verità: la strada sulla quale esiste veramente la giustizia, che non è quella degli uomini, ma la giustizia che Dio solo può dare.
Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio.
Lui mi sorride e accetta la mia cooperazione con Lui.
Ciao, Natalino, la vita è breve, passa velocemente. Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per giungere in Patria.
Ti abbraccio. Tua sorella in Cristo, Benedetta
Lettera di Benedetta Bianchi Porro, già molto malata, ad un giovane disperato.
inviato da Don Roberto Rossi, inserito il 29/07/2004
TESTO
Vivere è più che lottare:
è dare come un albero dà i suoi frutti:
i passeri i loro canti;
il ruscello quanto dà ai prati.
Vivere è più che credere
È dare uno scopo e dire, ad alta voce,
che si porta una croce.
Vivere è raccogliere all'infinito
Come raccolgono i colori dalla luce
In una fonte qui per terra!
Chi ha dato del suo agli altri
E ha diviso il suo essere
Ha visto che nel cesto del suo cuore
Si è moltiplicato il pane
E sempre ne rimane in resto.
Io stesso tendo le mani a Dio ed esclamo:
"Signore,
guarda ciò che la vita ha fatto di me!"
E tuttavia, ogni volta
Che mi siedo di fronte al foglio
Nuoto tra le rocce difficili di questa mia vita
E strappo una stella o un diamante
Mentre nella superficie
Mi crescono dolori
E una desolazione di pianto.
vitacrocesofferenzasperanzaimpegnomalattiadolore
inviato da Lidia Pautasso, inserito il 29/07/2004
PREGHIERA
211. Invocazione allo Spirito (versione lunga)
Tonino Bello, Parole d'amore
Spirito di Dio che agli inizi della creazione ti libravi sugli abissi dell'universo, e trasformavi in sorriso di bellezza il grande sbadiglio delle cose, scendi ancora sulla terra e donale il brivido dei cominciamenti. Questo mondo che invecchia, sfioralo con l'ala della tua gloria.
Dissipa le rughe. Fascia le ferite che l'egoismo sfrenato degli uomini ha tracciato sulla sua pelle. Mitiga con l'olio della tenerezza le arsure della sua crosta. Restituiscile il manto dell'antico splendore, che le nostre violenze le hanno strappato, e riversale sulle carni inaridite anfore di profumi.
Permea tutte le cose, e possiedine il cuore.
Facci percepire la tua dolente presenza nel gemito delle foreste divelte, nell'urlo dei mari inquinati, nel pianto dei torrenti inariditi, nella viscida desolazione delle spiagge di bitume.
Restituiscici al gaudio dei primordi. Riversati senza misura sulle nostre afflizioni.
Librati ancora sul nostro vecchio mondo in pericolo. E il deserto, finalmente, ridiventerà giardino, e nel giardino fiorirà l'albero della giustizia, e frutto della giustizia sarà la pace.
Spirito Santo che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza. Frantuma la corazza della nostra assuefazione all'esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure. Scuotici dall'omertà.
Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri.
E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e della ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.
Donaci la gioia di capire che tu non parli solo ai microfoni delle nostre Chiese.
Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei.
Spirito Santo che hai invaso l'anima di Maria per offrirci la prima campionatura di come un giorno avresti invaso la Chiesa e collocato nei suoi perimetri il tuo nuovo domicilio, rendici capaci di esultanza.
Donaci il gusto di sentirci "estroversi". Rivolti, cioè, verso il mondo, che non è una specie di chiesa mancata, ma l'oggetto ultimo di quell'incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa è stata costituita.
Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle vele perché, sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso impegno missionario ci solleciti a partire.
Se dobbiamo camminare sull'asciutto, mettici le ali ai piedi perché, come Maria, raggiungiamo in fretta la città. La città terrena. Che tu ami appassionatamente. Che non è il ripostiglio dei rifiuti, ma il partner con cui dobbiamo "agonizzare" perché giunga a compimento l'opera della Redenzione.
Spirito di Dio che presso le rive del giordano sei sceso con pienezza sul capo di Gesù e l'hai proclamato Messia, dilaga su questo corpo sacerdotale raccolto davanti a te.
Adornalo di una veste di Grazia. Consacralo con l'unzione, e invitalo a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, e a promulgare l'anno di misericordia del Signore.
Se Gesù ha usato queste parole di Isaia per la sua autoproclamazione nella sinagoga di Nazareth e per la stesura del suo manifesto programmatico, vuole dire che anche la Chiesa oggi deve farsi solidale con i sofferenti, con i poveri, con gli oppressi, con i deboli, con gli affamati e con tutte le vittime della violenza.
Facci capire che i poveri sono i "punti di entrata" attraverso i quali tu, Spirito di Dio, irrompi in tutte le realtà umane e le ricrei. Preserva, perciò, la tua sposa dal sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi sia il sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi sia l'indulgenza alle mode di turno, e non invece la feritoia attraverso la quale la forza di Dio penetra nel mondo e comincia la sua opera di salvezza.
Spirito Santo dono del Cristo morente, fa' che la Chiesa dimostri di aver ereditato davvero. Trattienila ai piedi di tutte le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale, parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto e ripeta con il salmo "le mie lacrime, Signore, nell'otre tuo raccogli".
Rendila protagonista infaticabile di deposizione del patibolo, perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di Madre. In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza.
E donale di non arrossire mai della Croce, ma di guardare ad essa come all'antenna della sua nave, le cui vele tu colmi di brezza e spingi con fiducia lontano.
Spirito di Pentecoste ridestaci all'antico mandato di profeti, dissigilla le nostre labbra, contratte dalle prudenze carnali. Introduci nelle nostre vene il rigetto per ogni compromesso. E donaci la nausea di lusingare i detentori del potere per trarne vantaggio.
Trattienici dalle ambiguità. Facci la grazia del voltastomaco per i nostri peccati. Poni il tuo marchio di origine controllata sulle nostre testimonianze.
E facci aborrire dalle parole, quando esse non trovino puntuale verifica nei fatti.
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli. Aiutaci a vedere i riverberi delle tue fiamme nei processi di purificazione che avvengono in tutti gli angoli della terra. Aprici a fiducie ecumeniche. E in ogni uomo di buona volontà facci scorgere le orme del tuo passaggio.
Spirito del Signore dono del Risorto agli apostoli del cenacolo,
gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitudine della gente e con l'olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro. Liberali dalla paura di non farcela più. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano. Fa' risplendere di gioia i loro corpi. Rivestili di abiti nuziali. E cingili con cinture di luce.
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà.
inviato da Marco V. Stocchi, inserito il 29/07/2004
PREGHIERA
Circondato fedelmente e silenziosamente da forze buone, custodito e confortato meravigliosamente voglio trascorrere questi giorni con voi e con voi incamminarmi verso il nuovo anno.
Le cose passate tormentano i nostri cuori, il peso duro dei giorni brutti ci opprime: o Signore, da' ai nostri spiriti affranti la salvezza che ci hai preparato. Tu ci porgi il pesante e amaro calice della passione, pieno fino all'ultima goccia: noi lo prendiamo, grati, senza tremare, dalle tue care e buone mani.
Eppure, tu vuoi darci ancora la gioia per questo mondo e lo splendore del suo sole: ci ritorna alla mente il nostro passato e a te appartiene tutta la nostra vita.
Fa' che le candele che hai portato al nostro buio oggi ardano in silenzio e caldamente; raccoglici, se è possibile, di nuovo insieme: noi lo sappiamo, la tua luce arde nella notte.
Se ora si diffonde attorno a noi il silenzio, fa' che percepiamo il suono delle cose che, invisibili, si ergono attorno a noi, inno di lode di tutti i tuoi figli.
Custoditi meravigliosamente da forze buone aspettiamo, felici, le cose future: Dio è con noi la sera e la mattina e, sicuramente, ogni nuovo giorno.
fiducia in Diosperanzafuturoanno nuovorapporto con Diocrocesofferenza
inviato da Antonella Longo, inserito il 29/07/2004
TESTO
213. La passione delle pazienze 2
Madeleine Delbrel, La gioia di credere, Gribaudi
La passione, la nostra passione, sì, noi l'attendiamo. Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l'ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati. Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così noi dobbiamo essere separati. Come un giovane animale che viene sgozzato, così noi dobbiamo essere uccisi.
La passione, noi l'attendiamo. Noi l'attendiamo, ed essa non viene.
Vengono, invece, le pazienze.
Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria.
Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
E' l'autobus che passa affollato;
il latte che trabocca,
gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gli invitati che nostro marito porta in casa e quell'amico che, proprio lui, non viene;
E' il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più;
E' la voglia di tacere e il dover parlare,
E' la voglia di parlare e la necessità di tacere;
E' voler uscire quando si è chiusi
e rimanere in casa quando bisogna uscire;
E' il marito al quale vorremmo appoggiarci
e che diventa il più fragile dei bambini;
E' il disgusto della nostra parte quotidiana,
E' il desiderio febbrile di tutto quanto non ci appartiene.
Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.
E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando - per dare la nostra vita - un'occasione che ne valga la pena.
Perché abbiamo dimenticato che come ci son rami che si distruggono col fuoco, così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perché abbiamo dimenticato che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci son fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l'indossano.
Ogni riscattto è un martirio, ma non ogni martirio èsanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all'altro della vita.
E' la passione delle pazienze.
passionedolorecrocesofferenzapazienza
inviato da Chiara Pongetti, inserito il 28/07/2004
PREGHIERA
Chiara Lubich, Scritti Spirituali vol. 2
Quando si parla d'amore, Signore, forse gli uomini pensano ad una cosa sempre uguale. Ma quanto è vario l'amore! Ricordo che quando t'ho incontrato non mi preoccupavo d'amarti. Forse perché eri tu che mi hai incontrato e tu stesso pensavi a riempire il mio cuore.
Ricordo che alle volte ero tutta fiamma, anche se il fardello della mia umanità mi dava noia e avevo l'impressione di trascinare il peso. Allora, già d'allora per grazia tua, capivo un po' chi ero io e chi tu, e vedendo quella fiamma come un dono tuo.
Poi mi hai indicato una via per trovarti.«Sotto la croce, sotto ogni croce - mi dicevi - ci sono io. Abbracciala e mi troverai». Me l'hai detto molte volte e non ricordo le argomentazioni che adducevi. So che mi hai convinta.
Allora, al sopravvivere d'ogni dolore, pensavo a te, e con volontà ti dicevo il mio sì... Ma la croce restava il buio che incupiva l'anima, lo strazio che la dilaniava, o altro... Quante sono le croci della vita! Ma tu, più tardi, mi hai insegnato ad amarti nel fratello e allora, incontrato il dolore, non mi fermavo ad esso, ma accettatolo, pensavo a chi mi stava accanto, dimentica di me, E dopo pochi istanti, tornata in me, trovavo il mio dolore dileguato. Così per anni e anni: ginnastica continua della croce, ascetica dell'amore. Sono passate tante prove e tu lo sai: tu che conti i capelli del mio capo, le hai annoverate nel tuo cuore. Ora l'amore è un altro: non è solo volontà.
Lo sapevo che Dio è Amore, ma non lo credevo così.
ricerca di Diotrovare Diorapporto con Diodoloresofferenzacroce
inviato da Anna Lollo, inserito il 28/07/2004
PREGHIERA
Chiara Lubich, Scritti spirituali, vol. 1
T'ho trovato in tanti luoghi, Signore!
T'ho sentito palpitare nel silenzio altissimo d'una chiesetta alpina,
nella penombra del tabernacolo
di una cattedrale vuota,
nel respiro unanime d'una folla
che ti ama e riempie
le arcate della tua chiesa di canti e d'amore.
T'ho trovato nella gioia,
ti ho parlato al di là del firmamento stellato,
mentre a sera, in silenzio,
tornando dal lavoro a casa.
Ti cerco e spesso ti trovo.
Ma dove sempre ti trovo è nel dolore.
Un dolore un qualsiasi dolore
è come il suono della campanella
che chiama la sposa di Dio alla preghiera.
Quando l'ombra della croce appare,
l'anima si raccoglie
nel tabernacolo del suo intimo
e scordando il tintinnio della campana
ti «vede» e ti parla.
Sei Tu che mi vieni a visitare.
Sono io che ti rispondo:
«Eccomi Signore, te voglio, te ho voluto».
E in quest'incontro l'anima non sente il dolore,
ma è come inebriata del tuo amore:
soffusa di te, impregnata di te: io in te, tu in me,
affinché siamo uno.
E poi riapro gli occhi alla vita,
alla vita meno vera,
divinamente agguerrita,
per condurre la tua guerra.
ricerca di Diotrovare Diorapporto con Diodoloresofferenzacroce
inviato da Anna Lollo, inserito il 28/07/2004
PREGHIERA
Quando ti ho incontrato e mi hai detto: "Seguimi",
non sapevo quello che avrei vissuto venendoti dietro;
non sapevo quello che avrei dovuto lasciare
e quello che in cambio mi avresti dato.
Quando ti ho incontrato,
l'unica cosa era volerti amare,
perché intuivo che eri l'Amore,
e che avevi dato la tua vita:
nessuno per me l'aveva mai fatto!
Quando ti ho incontrato,
anche il dolore sembrava meno faticoso da accettare,
forse perché, per grazia tua,
capivo appena che era l'amore con cui ti amavo.
Ora che vivo con te, che vivo di te,
sembra che la vita abbia un altro senso,
quello di chi, sperimentato l'amore, ha un solo desiderio:
essere te, per amare come te l'umanità.
E tu mi fai così,
dolce mistero della tua misericordia,
che solo l'umile cuore di chi sa che è solo un dono tuo,
riesce ad accogliere, a custodire, a vivere.
Offrirti al Padre, in quel pane e in quel vino,
come in quel giorno a lui ti sei offerto
su di una croce.
Offrirti all'uomo, che cerca, soffre,
non vede, spesso non capisce,
eppure sente palpitare dentro di sé
il desiderio di unirsi a te.
Quando ti ho incontrato,
ti ho seguito perché eri Amore.
Ora sono qui, davanti a te,
scompaiono i dolori, le gioie, i dubbi, le certezze,
la paura, l'entusiasmo, e resti tu, solo tu...
e la vita sarà sempre così.
vocazionesequelasacerdoziochiamatarapporto con Dio
inviato da Antonio Pinizzotto, inserito il 28/07/2004
TESTO
Chi altro ti può capire se non quel Cuore adorabile che tutto si è dato e ogni giorno continua a donarsi per noi Suoi fratelli: è il Figlio dell'eterno Padre, Gesù Salvatore. Basta guardarlo per farti rapire il cuore.
Lui ha sete, sete profonda di te: ti attende per parlarti e per ascoltarti, ma sei sempre impegnato nel tuo lavoro. Sembra quasi che gli uffici materiali che svolgi siano la cosa più importante per tenerti in vita, ma non è vero. Colui che mantiene ogni vita è il padrone di tutte le vite, che vuol darti quelle gioie che ancora ti mancano, vuol farti capire che senza di lui non puoi far nulla, ma con lui puoi realizzare tutto, anche quello che ti è difficile.
Apri la porta di una chiesa, entra e nella solitudine aprigli il tuo cuore, e, se nel confessionale vi fosse un prete, fatti lavare la coscienza. Tornerà, allora, sul tuo volto il sorriso dei giorni passati, e il desiderio di essere del Cuor di Gesù amico per sempre. Porterai allora più volentieri la tua croce e ti accorgerai che sarà meno pesante perché lui ha accettato di essere il tuo Cireneo, e, senza accorgerti, camminerai più spedito sul sentiero della salvezza.
rapporto con Diomisericordiapreghieracrocefaticagioia
inviato da Anna Lollo, inserito il 27/07/2004
TESTO
S. Tommaso d'Aquino, Conferenze
Nessun esempio di virtù è assente dalla croce. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita.
Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.
Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non aprì la sua bocca (cfr. At 8, 32). Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.
Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte.
Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il Re dei re e il Signore dei signori. Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.
Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perché «si sono divise tra loro le mie vesti» (Gv 19, 24); non gli onori, perché ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr. Is 53, 4); non alle dignità, perché intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr. Mc 15, 17); non ai piaceri, perché «quando avevo sete, mi han dato da bere aceto» (Sal 68, 22).
GesùcrocesofferenzaumiltàpazienzaCrocifissoobbedienzainterioritàesteriorità
inviato da Pier Luca Bancale, inserito il 27/07/2004
PREGHIERA
Theodossios Maria della Croce, Scoprire l'altro Universo. La via Sacra della Redenzione
Signore, lunga è la notte del combattimento
Signore, dona agli amati la Tua grande benedizione di pace
Il tuo bacio di profonda allegrezza
Kyrie, Tu conosci ogni cosa
Tu conosci la sincerità della mia preghiera
Tu conosci la nudità della mia terra
E Tu conosci Signore il segno del mio numero
Ma fa' di me una buona guida per gli amati, Signore
Fa' che io sia dolcezza e luce sulla loro strada
Lunga è la notte del combattimento
E il mio verbo vacilla di inquità
Ma tu conosci ogni cosa
E Tu puoi ogni cosa
Fa' di me una buona guida
Insegna agli amati il Tuo amore attraverso le mie pene
Kyrie, Kyrie, Kyrie.
inviato da Andrea Athanassiadis, inserito il 10/07/2004
PREGHIERA
220. Non ti cercheremo nelle altezze
Bruno Forte, Preghiere
Non ti cercheremo nelle altezze, o Signore,
ma in questa crocefissa storia dell'uomo,
dove tu sei entrato
conficcandovi l'albero della croce,
per lievitarla verso la terra promessa
con la forza contagiosa
della tua resurrezione.
Donaci,
di vivere in solidarietà profonda
col nostro popolo
per crescere, e patire,
e lottare con esso,
e rendere presente,
dove tu ci hai posto,
la tua Parola
di giudizio e di salvezza.
Liberaci da ogni forma di amore
universale e astratto,
per credere all'umile
e crocifisso amore,
a questa terra,
a questa gente.
crocedoloresofferenzasolidarietàGesùCristoimpegnoresponsabilità
inviato da Carla Carletti, inserito il 30/03/2004