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TESTO
201. Lucciole d'amore, scarafaggi di rabbia 1
"L'uomo è stato creato da Dio perché ami". Questa affermazione riassume in sé tutto quanto sia necessario dire. Certo, poi si possono dare spiegazioni, si può approfondire e discutere. Ma in ogni caso quella frase contiene tutto il necessario. Capita a volte di stupirsi per la gratuità dell'amore che riceviamo. Capita a volte che una persona abbia una semplice gentilezza verso un altro individuo, che dica una parola buona, che abbia anche solo uno sguardo di dolcezza o risponda un "grazie" di cuore, anche quando esso non sia dovuto. Queste sono piccolezze, ma ciascuna è una piccola gemma d'amore, una piccola luce... una lucciola d'amore. Ciò che le caratterizza è la loro semplicità da una parte e la loro assoluta, completa gratuità dall'altra. È un'esperienza bellissima accorgersi poi di come a volte possa instaurasi un vero e proprio circolo virtuoso grazie alla presenza di queste piccole, semplici lucciole d'amore. Se qualcuno lancia a un altro una piccola lucciola d'amore, chi la riceve ne sarà felice. Non è davvero la felicità entusiasta e sfrenata che si può provare nel vedere, per esempio, realizzato un proprio grande desiderio... è tuttavia pur sempre una piccola felicità, un senso di benessere, una piccola lucciola che, a volte, è sufficiente ad illuminare quella che altrimenti sarebbe stata solo una grigia e fredda giornata di noie, di malumori e di preoccupazioni. Forse, allora, capiterà che chi riceve una piccola lucciola d'amore si accorga della sua gratuità e del benessere che gli deriva dal ricevere questo piccolo gesto. Forse capiterà anche che si fermi un momento a riflettere e a gustare quel piccolo benessere. E forse, a questo punto, gli sorgerà il desiderio di fare altrettanto verso altre persone: donare piccole e gratuite lucciole d'amore. Se, poi, questo individuo davvero proverà a donarne alcune, allora si accorgerà con grande, meraviglioso stupore di quanto sia facile lanciare agli altri lucciole d'amore, di quanta poca fatica costi, e di quanta gioia porti non solo agli altri ma anche a lui per primo! Già, perché la fatica che occorre per lanciare piccole lucciole d'amore è davvero poca: un sorriso, una parola gentile, un gesto semplice, una cortesia da nulla, una risposta garbata ad una do-manda... sono molti gli esempi, le occasioni capitano mille volte al giorno! Chi riceve una lucciola d'amore sa quanto essa possa far bene, quanto scaldi il cuore!
Esistono a volte, invece, situazioni opposte: malumori e grattacapi possono chiudere il cuore degli uomini, e questi si riducono allora a scortesie, a risposte sgarbate, a dimenticare un "grazie" o un saluto... e questi comportamenti sono gratuiti e inaspettati, altrettanto quanto le lucciole d'amore. Sono scarafaggi di rabbia, che intristiscono il cuore, oscurano la giornata e rischiano, a volte, di innescare veri e propri circoli viziosi, in cui chi riceve uno scarafaggio di rabbia si incupisce al punto da lanciarne a sua volta ad altre persone, e così via...
Ma talvolta accade qualcosa di meraviglioso: capita infatti che qualcuno riceva uno di questi scarafaggi di rabbia e risponda ad esso con una piccola lucciola d'amore, diretta proprio verso chi gli aveva mandato la scortesia. Forse una sola lucciola in quel momento non basterà a rischiarare un cuore incupito, forse neppure due o tre... ma a volte capita di vedere persone che non si scoraggiano, e che portano dentro sé una luce tanto grande da potersi permettere di intestardirsi nel "bombardare" quel cuore cupo con lucciole d'amore. Oggi una, domani un'altra, dopodomani ancora... e dai e dai, a un certo punto anche nel cuore cupo compare un raggio di luce. E questa persona, che fino ad ieri era cupa, accenna timidamente a lanciare a sua volta a un'altra persona una piccola, minuscola, timidissima lucciola d'amore. Che gioia, che stupore, che meraviglia quando questo accade! Che meraviglia scoprire che c'è un altro cuore che si è rischiarato, e quanta gioia c'è nel vedere che questo cuore ci prende gusto, che assapora la felicità di donare lucciole d'amore, ancora e ancora... diventa quasi una droga!
A volte capita però che le persone siano esauste, che rientrino a casa sfinite da una giornata di duro lavoro, di impegni, di scadenze, di fatiche... è come se, a volte, nel rientrare a casa venisse lasciata fuori dalla porta tutta la luce che avevano albergato in cuore fino a quel momento. Si comportano con le persone più care, con i famigliari, con la moglie, con il marito come se, adesso che sono finalmente a casa, "pretendessero" di ricevere a tutti i costi qualche lucciola d'amore da essi. Se è vero che le lucciole d'amore donate dalle persone più care e dalla persona amata sono le più luminose e le più lenitive nei confronti di un animo stanco ed esausto, è anche vero purtroppo che la pretesa che lucciole ci vengano donate è in se stessa un vero e proprio scarafaggio di rabbia. E uno scarafaggio di rabbia diretto verso la persona amata morde e graffia molto di più che non uno scarafaggio lanciato da un semplice conoscente o addirittura da uno sconosciuto! Le lucciole d'amore non devono essere mai pretese: altrimenti, si spengono. L'unico modo per mantenerle sempre luminose e vive è donarle, e le più preziose sono quelle che rispondono ad un piccolo scarafaggio di rabbia, perché a volte hanno il potere di tramutarlo in una bellissima lucciola!
generositàamoregratuitàdono di séamare i nemici
inviato da Isabella, inserito il 29/07/2004
PREGHIERA
Chiara Lubich, Scritti Spirituali vol. 2
Quando si parla d'amore, Signore, forse gli uomini pensano ad una cosa sempre uguale. Ma quanto è vario l'amore! Ricordo che quando t'ho incontrato non mi preoccupavo d'amarti. Forse perché eri tu che mi hai incontrato e tu stesso pensavi a riempire il mio cuore.
Ricordo che alle volte ero tutta fiamma, anche se il fardello della mia umanità mi dava noia e avevo l'impressione di trascinare il peso. Allora, già d'allora per grazia tua, capivo un po' chi ero io e chi tu, e vedendo quella fiamma come un dono tuo.
Poi mi hai indicato una via per trovarti.«Sotto la croce, sotto ogni croce - mi dicevi - ci sono io. Abbracciala e mi troverai». Me l'hai detto molte volte e non ricordo le argomentazioni che adducevi. So che mi hai convinta.
Allora, al sopravvivere d'ogni dolore, pensavo a te, e con volontà ti dicevo il mio sì... Ma la croce restava il buio che incupiva l'anima, lo strazio che la dilaniava, o altro... Quante sono le croci della vita! Ma tu, più tardi, mi hai insegnato ad amarti nel fratello e allora, incontrato il dolore, non mi fermavo ad esso, ma accettatolo, pensavo a chi mi stava accanto, dimentica di me, E dopo pochi istanti, tornata in me, trovavo il mio dolore dileguato. Così per anni e anni: ginnastica continua della croce, ascetica dell'amore. Sono passate tante prove e tu lo sai: tu che conti i capelli del mio capo, le hai annoverate nel tuo cuore. Ora l'amore è un altro: non è solo volontà.
Lo sapevo che Dio è Amore, ma non lo credevo così.
ricerca di Diotrovare Diorapporto con Diodoloresofferenzacroce
inviato da Anna Lollo, inserito il 28/07/2004
TESTO
Siamo convinti che la nostra vita sarà migliore quando saremo sposati, quando avremo un primo figlio o un secondo. Poi ci sentiamo frustrati perché i nostri figli sono troppo piccoli per questo o per quello e pensiamo che le cose andranno meglio quando saranno cresciuti.
In seguito siamo esasperati per il loro comportamento da adolescenti.
Siamo convinti che saremo più felici quando avranno superato quest'età.
Pensiamo di sentirci meglio quando il nostro partner avrà risolto i suoi problemi, quando cambieremo l'auto, quando faremo delle vacanze meravigliose, quando non saremo più costretti a lavorare.
Ma se non cominciamo una vita piena e felice ora, quando lo faremo?
Dovremo sempre affrontare delle difficoltà di qualsiasi genere.
Tanto vale accettare questa realtà e decidere d'essere felici, qualunque cosa accada.
Alfied Souza diceva: "Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la mia vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c'erano sempre ostacoli da superare strada facendo, qualcosa d'irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati. In seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli: erano la vita."
Questo modo di percepire le cose ci aiuta a capire che non c'è un mezzo per essere felici ma la felicità è il mezzo.
Di conseguenza gustate ogni istante della vostra vita e gustatelo ancora di più quando potete dividerlo con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita.
Ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno.
Allora smettete di aspettare di finire la scuola, di tornare da scuola, di perdere 5 kg, di avere dei figli, di vederli andare via di casa.
Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi.
Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova.
Smettete di aspettare la primavera, l'estate, l'autunno o l'inverno.
Smettete di aspettare di lasciare questa vita, e decidete che non c'è momento migliore per essere felici che il momento presente. Quello donato da Dio.
La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio.
Un pensiero per oggi:
Lavorate, come se non aveste bisogno di soldi.
Amate, come se non doveste soffrire mai.
Ballate, come se nessuno vi guardasse.
Ora rifletti bene e cerca di rispondere a queste domande:
Nomina le 5 persone più ricche del mondo.
Nomina le 5 ultime vincitrici del concorso Miss Universo.
Nomina 10 vincitori del premio Nobel.
Nomina i 5 ultimi vincitori del premio Oscar come migliore attore od attrice.
Come va? Male? Non preoccuparti.
Nessuno di noi ricorda i migliori di ieri.
E gli applausi se ne vanno! E i trofei si impolverano!
I vincitori sì dimenticano!
Adesso rispondi a queste altre:
Nomina 3 professori che ti hanno aiutato nella tua formazione.
Nomina 3 amici che ti hanno aiutato in tempi difficili.
Pensa ad alcune persone che ti hanno fatto sentire speciale.
Nomina 5 persone con cui passi volentieri il tuo tempo.
Come va? Meglio? Le persone che segnano la differenza nella tua vita non sono quelle con le migliori credenziali, con molti soldi, o i migliori premi... sono quelle che si preoccupano per te, che si prendono cura di te, quelle che ad ogni modo stanno con te.
Rifletti un momento. La vita è molto corta!
Tu, in che lista sei? Non lo sai?... Permettimi di darti un aiuto...
Non sei tra i famosi,... però sei tra quelli perché il Signore ha voluto che tu fossi mio fratello o mia sorella.
vitaviveresenso della vitaaccettazioneaccettazione di sépositivitàottimismo
inviato da Claudio Fiorini, inserito il 28/07/2004
TESTO
204. Lettera di Gesù Bambino a noi 2
Carissimo,
anche quest'anno è passato il mio compleanno, il Natale.
In realtà, da molti anni fa (circa 2000) si festeggia il mio compleanno. I primi anni sembrava che avessero capito quanto io ho fatto per loro, però oggi la gente si raduna e si diverte, senza sapere la ragione della festa.
Un'altra cosa che mi dispiace è che nel giorno del mio compleanno, fanno regali a tutti meno che a me.
Qualcuno dice: "Come faccio a farti un regalo se nemmeno ti vedo?" Io rispondo: "Lasciami nascere nella tua anima. Non mi mandare via con il peccato. Se desideri vedermi guardami nell'Ostia Santa. Sono venuto per salvarti. A Betlemme mia madre mi teneva fra le sue mani, il sacerdote sull'Altare mi tiene tra le sue. Aiuta i poveri, visita gli ammalati e quelli che sono soli, perdona le offese, pensa ai tuoi fratelli e mi vedrai in ognuno di loro e sarà come se l'avessi fatto a me. Questi sono i regali che mi piacerebbe ricevere".
Sono passati 20 secoli ed ogni anno la storia si ripete.Nel migliore dei casi mi vedono come un bambino qualunque, non come Dio fatto uomo. Mi fa pena vederli vivere con tanta sete di amore avendo la Fonte così vicina.
Finisco questa lettera sperando di non averti annoiato. Però credimi, anche se hai poco o niente da offrirmi, lasciami entrare nel tuo cuore. Per me sarà il più bel dono che tu mi possa fare.
Con infinito amore, il tuo miglior amico e il tuo Dio,
Gesù Bambino
inviato da Marco Ferrari, inserito il 27/07/2004
RACCONTO
Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda - lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.
Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.
"Che quantità di Dio!" esclamò sorridendo costui guardandosi intorno, "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori. Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale".
"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."
"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"
"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.
Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.
Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.
Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.
"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"
"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."
"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."
E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.
Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.
"Ma che cosa fa', reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"
"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"
Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."
" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."
"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."
"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."
"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.
Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).
Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"
Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?
Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.
"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."
Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.
"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"
inviato da Manuel Toniato, inserito il 27/07/2004
RACCONTO
206. Antonio, mister D.I.O. per gli amici, e Camilla 1
Antonio aveva finalmente realizzato il suo progetto, lo scopo della sua esistenza, realizzare una via che unisse tutti i popoli del mondo e per questo venne nominato Dottore In Onniscienza, per gli amici Mr. D.I.O.. Per celebrare l'avvenimento venne realizzato un grandissimo museo, un museo particolare a dire la verità, sempre aperto, 24 ore su 24 e 365 giorni all'anno, un museo dove non si paga il biglietto d' ingresso e tutti coloro che lo visitano non vogliono più andare via e, nonostante tutto, più gente entra e più cresce lo spazio disponibile per altra gente ancora.
Il pezzo forte di questo museo, illuminato da una luce particolare, che lo rende ancora più affascinante, è Camilla, una vecchia e assai malandata Jeep. Camilla era la macchina con cui Mr. D.I.O si spostava in giro per il mondo per studiare, progettare e realizzare il suo disegno. A dire il vero Mr. D.I.O. aveva in testa anche come doveva essere Camilla, innanzitutto il colore della carrozzeria, bianco o nero, rosso, giallo, o quel verde olivastro tanto esotico per lui non facevano alcuna differenza, anche la forma esterna non era di grande importanza, tozza o filante, alta o bassa per lui era la stessa cosa. Le cose veramente importanti per lui erano altre, ad esempio dei buoni fari per poter vedere nell'oscurità, una buona radio per captare anche le voci più lontane, delle ruote sempre capaci di sorreggerne il peso e un cuore, pardon, un motore che non si stancasse mai di farla andare avanti, anche piano, ma sempre avanti, e dei finestrini ampi, per poter vedere bene all'esterno, non solo le bellezze di questo mondo, ma anche e soprattutto per non perdere mai la direzione giusta in cui procedere e riuscire a vedere e interpretare i segnali che Mr. D.I.O., man mano che costruiva la via metteva per evitare che altri si perdessero.
Anche se può sembrare strano fin dai primi tempi in cui i due si trovarono a lavorare insieme capirono entrambi che l'altro aveva qualcosa di speciale, Antonio era convinto che Camilla lo potesse in qualche modo sentire, e Camilla, dal canto suo, sembrava intuirne i pensieri. Anzi, da quella volta che Antonio mise mano al suo computer di bordo aveva maturato una specie di autocoscienza e spesso si chiedeva se i segnali erano abbastanza chiari, se, per esempio, su una strada apparentemente facile anziché un semplice limite di velocità era il caso di mettere anche un avviso del tipo "attento alla curva puoi ucciderti o uccidere qualcun altro", o mettere nei posteggi dei cartelli con la scritta "non rubare il posteggio a chi sta aspettando da prima di te"oppure decorare le macchine nuove con scritte del tipo "non desiderarmi solo perché sono più nuova della tua", o altri ancora che potessero in qualche modo essere di maggior aiuto alle persone intente a raggiungere la propria meta.
Con il passare del tempo l'intesa cresceva sempre di più, tanto che Camilla ogni tanto si permetteva di agire come di testa sua e Mr. D.I.O. la lasciava fare, anche se ogni tanto non rispettava le regole, tagliare per i prati per accorciare la strada o passare con il semaforo arancione per la fretta in fin dei conti erano delle infrazioni venali e comunque lui era sempre lì, pronto a riportarla in carreggiata. I due andarono avanti così per moltissimi anni, Camilla di tanto in tanto usciva di strada, Antonio la riprendeva e se restava qualche piccolo segno sulla carrozzeria non importava, importante era andare avanti, sempre e insieme. Tutto sembrava procedere per il meglio fino a quando Camilla in qualche modo intuì che per lei Mr. D.I.O. aveva in mente qualcosa di speciale, da quel momento fu presa da una strana smania di correre e fare di testa sua. Antonio faceva ricorso a tutta la sua pazienza e abilità per tenere Camilla in strada e ci riuscì sempre fino a quando, ormai vicinissimi al museo dove Camilla avrebbe trovato il suo posto d'onore, Camilla per la smania di arrivare prima uscì dalla strada segnata e, incurante dei cartelli di attenzione, imboccò quella che sembrava una bellissima scorciatoia, una strada larga, ben asfaltata e leggermente in discesa. Viaggiare su quella strada era bellissimo e non si faceva neanche fatica ma inesorabilmente la discesa si faceva sempre più ripida e la strada più stretta e tortuosa, Camilla provò a frenare ma ormai era troppo tardi e i freni non ressero allo sforzo, provò allora ad uscire dalla strada, sperando di riuscire a fermarsi strisciando contro gli alberi che la fiancheggiavano.
Dopo aver strisciato su molti alberi, sobbalzato su innumerevoli sassi Camilla finalmente terminò la sua corsa dentro un fosso, era veramente malridotta, il suo desiderio in quel momento era di farsi rottamare quando si accorse che Antonio non c' era, probabilmente era stato sbalzato fuori durante la sua folle corsa, in quel momento fu presa dal panico, si rese conto di essere veramente sola, capì che anche quando faceva di testa sua Mr. D.I.O. le era comunque vicino, pronto a correggerla e perdonare gli sbagli. Fu questo a farle trovare la forza di rimettersi in moto, in fondo il motore era forte e lentamente e con fatica riuscì a riportarla sulla giusta via anche se la carrozzeria era ammaccata, le ruote non perfettamente allineate e i fari, già appannati dagli anni, sembravano sul punto di piangere (era solo il lavafari rotto che perdeva acqua).
Quando si fermò un attimo per raffreddare l'acqua del radiatore Camilla si accorse che Antonio, Mr. D.I.O. per gli amici, era lì seduto su un paracarro che la guardava ammirato, appena l'acqua nel radiatore si raffreddò Antonio si rimise al volante e portò Camilla nel suo museo e la sistemò al posto che si meritava, il migliore. Ai visitatori che gli chiedevano come mai Camilla, così malridotta era al posto d' onore Mr. D.I.O. dava questa risposta, Avevo un progetto, ma da solo non lo potevo realizzare, avevo bisogno di qualcuno che mi portasse per il mondo, avevo bisogno di qualcuno su cui poter contare, avevo bisogno di qualcuno a cui dare fiducia nella certezza che, anche se talvolta per fare di testa sua sorvola su alcune regole, trova poi il coraggio di ammettere i propri sbagli e la forza per tornare sulla strada segnata, perché è solo nella luce che la illumina che Camilla mette in risalto le sue doti, quelle che le hanno permesso di riuscire a fare tutto questo.
regolepeccatopentimentoperdonouomorapporto con Dio
inviato da Mauro Bianchi, inserito il 27/07/2004
RACCONTO
207. Il piccolo re solitario 1
Bruno Ferrero, Nuove Storie, Ed. Elle Di Ci
Lontano, lontano da qui, in un mare dal nome strano, c'era una piccola isola, con le spiagge bianche e le colline verdi. Sull'isola c'era un castello e nel castello viveva un piccolo re. Era un re abbastanza strano, perché non aveva sudditi. Nemmeno uno.
Ogni mattina il piccolo re, dopo aver sbadigliato ed essersi stiracchiato, si lavava le orecchie e si spazzolava i denti; poi si calcava in testa la corona e cominciava la sua giornata. Se splendeva il sole, il piccolo re correva sulla spiaggia a fare sport. Era un grande sportivo. Deteneva infatti tutti i record del regno: da quello dei cento metri di corsa sulla sabbia, al lancio della pietra, a tutte le specialità di nuoto, eccetto lo sci acquatico, perché non trovava nessuno che guidasse il reale motoscafo. E dopo ogni gara, il re si premiava con la medaglia d'oro. Ne aveva ormai tre stanze piene.
Ogni volta che si appuntava la medaglia sul petto, si rispondeva con garbo: "Grazie, maestà!".
Nel castello c'era una biblioteca, e gli scaffali erano pieni di libri. Al re piacevano molto i fumetti d'avventure. Un po' meno le fiabe, perché nelle fiabe tutti i re avevano dei sudditi. "E io neanche uno!" si diceva il re. "Ma come dice il proverbio: è meglio essere soli che male accompagnati".
E quando faceva i compiti, si dava sempre dei bellissimi voti. "Con i complimenti di sua maestà", si dichiarava.
Una sera, però, sentì un certo nonsoché che lo rendeva malinconico; camminò fino alla spiaggia, deciso a cercare qualche suddito, e pensava: "Se solo avessi cento sudditi".
Allora proseguì sulla spiaggia verso destra, ma la riva era completamente deserta.
"Se solo avessi cinquanta sudditi", disse il re; tornò indietro e camminò sulla spiaggia verso sinistra fino a che poté, ma la riva era ugualmente deserta. Il re si sedette su uno scoglio ed era un po' triste; e di conseguenza non si accorse nemmeno che quella sera c'era un magnifico tramonto.
"Se solo avessi dieci sudditi, probabilmente sarei più felice".
Notò lontano sul mare alcuni pescatori sulle loro barche e si rallegrò.
"Sudditi", gridò il re; "sudditi, da questa parte, ecco il re, urrà!".
Ma i pescatori non lo sentirono, e tutto quel gridare rese rauco il re. Tornò a casa e scivolò sotto la sua bella trapunta colorata; si addormentò e sognò un milione di sudditi che gridavano "urrà" nel momento in cui lo vedevano.
Non dormì a lungo. Un vociare forte e disordinato lo svegliò. Il piccolo re non aveva sudditi, ma aveva dei nemici accaniti. Erano i pirati del terribile Barbarossa.
Sembravano sbucare dall'orizzonte, con la loro nave irta di cannoni, con i loro baffi spioventi e il ghigno feroce, e i coltellacci fra i denti.
"All'arrembaggio!", gridava Barbarossa, il più feroce di tutti. E i trentotto pirati entravano urlando nel castello e facevano man bassa di tutto quello che trovavano. A forza di scorrerie, nel castello era rimasto ben poco di asportabile, così i pirati avevano preso l'abitudine di riportare qualcosa ogni volta per poterlo rubare nella scorreria successiva.
Il piccolo re aveva una paura tremenda dei pirati e soprattutto del crudele Barbarossa che ogni volta sbraitava: "Se prendo il re, lo appendo all'albero della nave!".
Così, quando sentiva arrivare i pirati, si nascondeva in uno dei tanti nascondigli segreti del castello. Dentro, rannicchiato nel buio, aspettava la partenza dei pirati. Era così da tanto tempo ormai, e il piccolo re non si sentiva affatto un fifone. "Se avessi un esercito", pensava, "Barbarossa e la sua ciurma non la passerebbero liscia".
Un mattino, il re si svegliò a un suono completamente nuovo. Lo ascoltò e si rese conto che non aveva mai udito un suono simile. "Forse sono arrivati i miei sudditi", pensò il re, e andò ad aprire la porta. Sul gradino della porta sedeva un enorme gatto arancione.
"Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono il gatto", disse il gatto.
"Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il gatto; "ho fame e ho freddo".
Il re lasciò entrare il gatto nella sua casa, e il gatto fece un giro intorno e vide quanto era grande e confortevole.
"Che bellissima casa hai".
"Sì, non è male", disse il re; e improvvisamente si accorse di tutte le cose che non aveva mai visto in molti anni.
"E' perché io sono il re", disse il re; ed era molto soddisfatto.
"Io resterò qui", decise il gatto, e si sistemò nella casa per vivere con il re; e il re fu felice perché ora aveva finalmente un suddito.
"Dammi del cibo", disse il gatto, e il re corse via immediatamente per andare a prendere cibo per il gatto.
"Fammi un letto", disse il gatto; e il re corse alla ricerca di una trapunta e di un cuscino.
"Ho freddo", disse il gatto; e il re accese un fuoco affinché il gatto potesse scaldarsi.
"Ecco fatto, signor Suddito", disse il re al gatto.
E il gatto rispose: "Grazie, signor Re".
E il re non notò neppure che, sebbene fosse il re, serviva il gatto.
Il tempo passava e il re era felice in compagnia del gatto, e il gatto mostrava al re ogni cosa che il re nella sua solitudine era riuscito a dimenticare: il tramonto, la rugiada del mattino, le conchiglie colorate e la luna che scivolava attraverso il cielo come la barca dei pescatori sul mare.
Qualche volta accadeva al re di passare davanti a uno specchio, e quando vedeva la sua immagine diceva: "Il re, urrà". E si salutava. Non era più il campione assoluto dell'isola. Il gatto lo batteva nel salto in alto, in lungo e nell'arrampicata sugli alberi; ma il re continuava a eccellere nel nuoto e nel lancio della pietra.
Un mattino, il re sentì bussare alla porta del castello. Corse ad aprire, pensando: "Arrivano i sudditi". Si trovò davanti un piccoletto con la faccia allegra. Era un pinguino, con la camicia bianca e il frac di un bel nero lucente.
"Buongiorno", disse il re con grande dignità; "io sono il re, urrà".
"E io sono un pinguino", disse il pinguino.
"Tu sei mio suddito", disse il re.
"Lasciami entrare", ribatté il pinguino; "ho fame e ho i piedi congelati. Sono stufo di abitare su un iceberg".
Il re lasciò entrare il pinguino nella sua casa e gli presentò il gatto, che fu molto felice di fare conoscenza con il pinguino.
"Penso che mi fermerò qui con voi", disse il pinguino.
Il re ne fu felicissimo. Adesso aveva due sudditi. Corse a preparare una buona cenetta per il pinguino, mentre il gatto portava al nuovo ospite due soffici pantofole.
"Io farò il maggiordomo. Mi ci sento portato", dichiarò il pinguino. "Terrò in ordine il castello e servirò gli aperitivi in terrazza".
Così furono in tre a guardare i tramonti. Ed era ancora meglio che in due. Il re non vinceva più molte gare sportive, perché il pinguino lo batteva a nuoto e nei tuffi. Scoprì, sorprendentemente, che si può essere contenti anche se non si vince sempre.
Ma una sera, lontano all'orizzonte, apparve la nave del pirata Barbarossa.
"Presto scappiamo a nasconderci", gridò il re.
"Neanche per sogno", disse il gatto. "Siamo in tre e possiamo battere quei prepotenti".
"Certo", ribatté il pinguino. "Basta avere un piano".
"Nell'armeria del castello c'è l'armatura del gigante Latus", disse il re.
"Bene", disse il gatto. "Ci infileremo nell'armatura e affronteremo i pirati".
"Il gatto si metterà sulle mie spalle, e il re sul gatto, così potrà brandire la spada", continuò il pinguino.
"Approvo il piano", concluse il re.
Così fecero. Quando approdarono alla spiaggia, i pirati rimasero paralizzati dalla sorpresa. Verso di loro, a grandi passi ondeggianti, avanzava un gigante che brandiva un enorme e minaccioso spadone. "E' tornato il gigante Latus!", gridarono. "Si salvi chi può!". E si buttarono in acqua per raggiungere la nave. Da allora nessuno li vide mai più.
Sulla spiaggia dell'isola il piccolo re, il gatto e il pinguino si abbracciarono ridendo. Poi il gatto e il pinguino sollevarono il re e lo gettarono in aria gridando: "Re è il migliore amico che c'è, urrà!".
inviato da Suor Lucia Brasca FMA, inserito il 27/07/2004
PREGHIERA
Theodossios Maria della Croce, Scoprire l'altro Universo. La via Sacra della Redenzione
Signore, lunga è la notte del combattimento
Signore, dona agli amati la Tua grande benedizione di pace
Il tuo bacio di profonda allegrezza
Kyrie, Tu conosci ogni cosa
Tu conosci la sincerità della mia preghiera
Tu conosci la nudità della mia terra
E Tu conosci Signore il segno del mio numero
Ma fa' di me una buona guida per gli amati, Signore
Fa' che io sia dolcezza e luce sulla loro strada
Lunga è la notte del combattimento
E il mio verbo vacilla di inquità
Ma tu conosci ogni cosa
E Tu puoi ogni cosa
Fa' di me una buona guida
Insegna agli amati il Tuo amore attraverso le mie pene
Kyrie, Kyrie, Kyrie.
inviato da Andrea Athanassiadis, inserito il 10/07/2004
PREGHIERA
Vento del Suo Spirito che soffi dove vuole, libero e liberatore,
vincitore della legge, del peccato e della morte... Vieni!
Vento del Suo Spirito che alloggiasti
nel ventre e nel cuore di una cittadina di Nazareth... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti impadronisti di Gesù
per inviarlo ad annunciare una buona notizia ai poveri
e la libertà ai prigionieri... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti portasti via nella Pentecoste
i pregiudizi, gli interessi e la paura degli Apostoli
e spalancasti le porte del cenacolo
perché la comunità dei seguaci di Gesù
fosse sempre aperta al mondo, libera nella sua parola
coerente nella sua testimonianza
e invincibile nella sua speranza... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti porti via sempre le nuove paure della Chiesa
e bruci in essa ogni potere che non sia servizio fraterno
e la purifichi con la povertà e con il martirio... Vieni!
Vento del Suo Spirito che riduci in cenere la prepotenza, l'ipocrisia e il lucro
e alimenti le fiamme della Giustizia e della Liberazione
e che sei l'anima del Regno... Vieni!
Vieni o Spirito perché siamo tutti vento nel tuo Vento,
vento del tuo Vento,
dunque eternamente fratelli.
inviato da Massimo Di Lullo, inserito il 22/12/2003
PREGHIERA
210. Preghiera di chi si vuol bene
Accogli, mio Dio, le parole che mi salgono dal cuore,
proteggi anche questa notte il mio amore.
Veglia su di lui (lei) mentre si addormenta
e fa' che nel sonno riparatore trovi la forza
per una vita più intensa e l'energia per un lavoro più fecondo.
Fa' che domattina si svegli senza aver dimenticato il mio nome;
fa' che riceva subito il mio saluto;
fa' che il mio pensiero lo accompagni per tutta la giornata
e lo difenda da ogni cosa bassa e volgare;
fa' che contiunui ad amarmi come l'amo.
E tu, che hai creato il mondo,
consenti che questa scintilla nata in me viva,
diventi fiamma e non si spenga mai.
Rendi questo nostro amore più alto e profondo,
liberalo dalla viltà e dagli inganni
affinché cresca nella gioia e si espanda nella luce.
Fa' che la mia vita serva alla sua
e la sua anima si specchi nella mia,
fa' che mi chiami e gli risponda,
che mi cerchi e mi trovi, oggi, domani e sempre.
Insegnaci a soffrire l'uno per l'altra,
mostraci la via dell'elevazione
perché ancora uniti di cielo in cielo
possiamo ricongiungerci in te, mio Dio, e così sia.
inviato da Floriana Moschitta, inserito il 16/12/2003
TESTO
211. Ho trovato una mano che mi aiuta
Dominique Green, condannato a morte, 9 febbraio 1996, dalla prigione della contea Harris - Hudston
Ho trovato una mano che mi aiuta
Una spalla forte a cui appoggiarmi
Un sorriso gentile che mi rallegra
Un'amicizia buona da cui dipendere
A volte temo che possa dissolversi
Anche se è sempre nei miei pensieri
Mentre passo i miei giorni
Intrappolato nel buio
Ne hanno portato via un altro
Un amico che non rivedrò più
Sono debole, sto impazzendo
Che cosa posso fare?
Troppe cose, a catena, non vanno
Troppe per poterle contare
Non riesco più a sopportarle
...e tu?
pena di mortesolidarietàpaurasolitudine
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 27/08/2003
TESTO
Desmond Tutu, traduzione Guiomar Parada
Oggi la maggior parte del Terzo Mondo è tenuta in ostaggio da una schiavitù altrettanto orribile, nelle sue conseguenze devastanti, di quella del passato. La maggior parte del Terzo Mondo è stremato sotto il peso del più invalidante e stremante debito internazionale. Le statistiche sono impressionanti: in Etiopia 100.000 bambini muoiono ogni anno di malattie facili da prevenire, mentre il governo spende per ripagare il debito quattro volte quello che spende per la spesa sanitaria.
Spesso ci è difficile capire le statistiche e gli giriamo le spalle. E' tutto così impersonale. Proviamo a personalizzarlo un poco. Immaginate il vostro piccolo, non vaccinato contro il morbillo o la difterite, che lentamente si spegne davanti ai vostri occhi senza che voi possiate fare alcunché, perché non ci sono medicinali a disposizione.
I paesi poveri sono costretti alla povertà, all'ignoranza, alla malattia, alla fame e alla morte. Le risorse che dovrebbero essere impegnate per costruire strade e dighe, per le scuole e per pagare i maestri, per comperare libri e per l'assistenza sanitaria, sono deviate, con conseguenze disastrose, per ripagare debiti che non diminuiscono, ma anzi aumentano per via dei crescenti tassi d'interesse e della svalutazione delle valute di questi paesi poveri. Anche se economicamente fosse una cosa logica, e non lo è, certamente non è logico dal punto di vista morale.
I paesi poveri non sono in grado di spezzare le catene che li hanno schiavizzati in maniera così rovinosa. Noi che seguiamo il Falegname di Nazareth sappiamo che quando si dà da mangiare agli affamati e da vestire ai poveri, lo si fa per Lui ed Egli ci ha esortato a perdonare i nostri debitori per essere perdonati dal nostro Padre in cielo. Ma più chiaramente siamo vincolati dalla lezione del Capitolo 25 del Levitico, che decreta che ogni 50 anni gli schiavi siano messi in libertà, che i debiti siano cancellati e che la proprietà ipotecata ritorni ai proprietari legittimi senza vincoli, per dare una opportunità alle persone di ricominciare da capo, di iniziare nuovamente, nello spirito della nostra fede che è la fede di sempre nuovi inizi quando si è perdonati. Le cancellazioni del debito si sono già verificate nel passato; nei confronti della Germania dopo la guerra, e gli Usa hanno cancellato 7 miliardi di dollari all'Egitto a seguito dell'operazione Desert Storm.
I paesi poveri, sollevati dal vincolo del debito, potrebbero sviluppare economie robuste che potrebbero diventare anche vigorosi mercati di consumo. Siamo fatti per essere uniti. In Africa diciamo che "una persona è una persona attraverso altre persone". Siamo legati da una delicata rete di interdipendenza. Crediamo nell'ubuntu, la mia umanità è dentro alla tua umanità. Ubuntu parla di generosità, di compassione, di ospitalità, di condivisione. Io sono perché voi siete. Se io vi disumanizzo, allora, che lo voglia o no, mi disumanizzo anch'io. Liberare il Terzo Mondo da questa nuova forma di schiavitù vi permetterà di rendere migliore la vostra propria umanità e camminerete a testa alta, anche voi liberati.
(l'autore è premio Nobel per la pace)
povertàricchezzagiustiziaingiustiziafame nel mondomondialitàcaritàamoredebitosfruttamentoschiavitùlibertà
inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003
RACCONTO
Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d'ospedale.
A uno dei due uomini era permesso mettersi seduto sul letto per un'ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo.
Il suo letto era vicino all'unica finestra della stanza. L'altro uomo doveva restare sempre sdraiato. Infine i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio l'uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra. L'uomo nell'altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Le anatre e i cigni giocavano nell'acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano abbracciati tra fiori di ogni colore e c'era una bella vista della città in lontananza. Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena. In un caldo pomeriggio l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse vedere la banda, poteva sentirla. Con gli occhi della sua mente così come l'uomo dalla finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane.
Un mattino l'infermiera del turno di giorno portò loro l'acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno. L'infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l'altro uomo chiese se poteva spostarsi nel letto vicino alla finestra. L'infermiera fu felice di fare il cambio, e dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco. L'uomo chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori da quella finestra. L'infermiera rispose che l'uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro. ''Forse, voleva farle coraggio.'' disse.
Vi è una straordinaria felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione. Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata.
Se vuoi sentirti ricco conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare.
L'oggi è un dono, è per questo motivo che si chiama presente.
dono di séfelicitàgioiadonaresacrificio
inviato da Anna Barbi, inserito il 27/08/2003
RACCONTO
C'era una volta un pesciolino che viveva in un piccolo laghetto. Lì era nato e lì si era svolta da sempre la sua vita di pesciolino. Conosceva benissimo quel laghetto. C'erano i suoi amichetti pesciolini, i suoi genitori, i suoi parenti. Era un po' come una piccola famiglia. Conosceva benissimo quel laghetto, i suoi confini, l'esatta profondità dell'acqua in ogni suo punto, le rocce, il fondo scuro e melmoso tipico di ogni laghetto. Riusciva a nuotare persino ad occhi chiusi. C'era una cosa sola che non conosceva, perché i suoi gli avevano sempre impedito di avvicinasi: una piccola fessura, stretta e buia. Chissà perché gli avevano sempre impedito di avvicinarsi, chissà perché tutti si tenevano a debita distanza da questa fessura.
Il nostro amico pesciolino cresceva e, piano piano, diventava grande, proprio come i suoi genitori. Con lui cresceva anche la sua voglia di nuotare, di guizzare da una parte all'altra, di saltare fuori dall'acqua... ma purtroppo in quel laghetto non c'era tanto spazio per fare tutto questo, si rischiava di urtarsi uno con l'altro, di dare fastidio ai piccolini, di smuovere troppo il fondo melmoso. Con lui cresceva anche la curiosità per quella fessura misteriosa, della quale mai nessuno gli aveva fornito spiegazioni.
Preso da un'irrefrenabile curiosità il nostro amico pesciolino ci si volle avvicinare. Vista da vicino non era poi così stretta, e poi in fondo ad essa si intravedeva qualcosa di misterioso, che non si riusciva ad identificare precisamente. Fu così che decise di passarvi in mezzo. "Mi butto", pensò, e così fece. Iniziò a nuotare velocemente, perché aveva paura e tutt'intorno il buio si era fatto più pesto. Le pareti sembravano circondarlo, era proprio difficile nuotare in quelle condizioni. Fu preso dallo sconforto e dalla paura, ora sì rimpiangeva il piccolo laghetto nel quale, sebbene con qualche difficoltà, riusciva a nuotare più liberamente. La fatica era diventata davvero tanta e il nostro amico pesciolino era quasi sul punto di tornare indietro. Ma non appena fece per girare le pinne, un piccolo bagliore azzurro gli apparve dal fondo del canale. Era un azzurro fortissimo, che non aveva mai visto prima di allora. Allora ritrovò le energie che sembrava aver perduto e ricominciò a nuotare deciso. L'azzurro si faceva via via più forte e la distanza diminuiva sempre più. "Un altro piccolo sforzo ed è fatta", pensò. Alla fine, quasi accecato da un azzurro intensissimo, il nostro amico pesciolino arrivò alla fine del canale che sfociava nel mare. Lì era tutto meraviglioso, neanche nei libri di scuola aveva mai visto una cosa così. Poteva nuotare quanto voleva da una parte all'altra senza mai trovare un confine, il colore dell'acqua era bellissimo e il fondo molto limpido. E poi c'erano dei pescioni giganteschi, enormi, e degli altri piccoli, piccoli, piccoli ma con dei colori stupefacenti. E poi c'erano un sacco di piante strane, animali bizzarri con le chele, conchiglie enormi, pesci lunghi e stretti, larghi e piatti, alcune cose strane che sembravano volare nell'acqua.. "E' troppo bello - pensò - devo assolutamente convincere tutti a venire qui! Altro che il nostro laghetto".
Così si buttò nuovamente nel canale e con una gran forza ed entusiasmo riuscì a tornare nel laghetto. Che strano, questa volta il tragitto gli era sembrato molto più facile.
"Presto! Presto! Statemi tutti a sentire! Ho attraversato il canale e ho scoperto dove porta!".
"Impossibile! - disse il pesce più vecchio - quella fessura porta alla morte. Nessuno ci deve entrare! Quei pochi che l'hanno oltrepassata non sono mai tornati indietro. Lo dicevo io che tu eri un pesce un po' troppo esuberante! Tornate ai vostri lavori e non dategli retta."
"Ma no! Fidatevi! Io ci sono già passato, il canale porta al mare. Con tutta la fantasia che avete non riuscireste mai ad immaginare di quale colore meraviglioso è l'acqua e quanti pesci ci sono, grandi, piccoli, colorati, e poi il mare è vasto, sconfinato, si può nuotare in ogni direzione senza darsi fastidio, il fondo è limpido e molto profondo, e poi c'è un profumo meraviglioso!".
Ma gli altri pesci, forti delle loro comode certezze, insicuri e paurosi, non vollero dargli retta. "Io sto bene qui", "In fondo non ci è mai mancato niente", dicevano e, ad uno ad uno, si allontanavano.
Fu così che il nostro amico pesciolino, amareggiato e deluso, ma non per questo sconfortato, decise di fare ritorno da solo al mare. "Quando tornerò qui - pensava tra sé e sé, insieme ai pesci del mare mi crederanno!". Arrivato al mare cominciò a fare un sacco di nuove amicizie e a raccontare a tutti la sua storia. Gli rimanevano solo alcuni interrogativi ai quali non riusciva a dare risposta: dov'erano finiti i pesci che si erano avventurati precedentemente per il canale? da quali altri laghetti provenivano i pesci del mare? e perché adesso le sue squame, che nel laghetto gli erano sembrate sempre grigie e opache, sembravano brillare di una luce nuova?
realizzazionecoraggioabbandonoabbandono in Dio
inviato da Emanuele Meconcelli, inserito il 12/08/2003
PREGHIERA
215. Accoglimi, o Dio, in te mi rifugio 1
Accoglimi, o Dio, in te mi rifugio.
Ho scelto la tua via voglio seguirti.
Ma faccio presto a stancarmi allora mi scoraggio.
In questi momenti, mi vien voglia di scegliere le strade più facili:
fare le cose tanto per farle,
disinteressarmi degli altri,
accontentarmi di un bel vestito
o di un bel paio dì scarpe,
gironzolare per ore
masticando gomme e leccando gelati.
Accoglimi, Dio, in te mi rifugio.
Non voglio vivere al lumicino
quando tu mi hai dato energie per essere un faro.
Accoglimi, Dio!
Come un bambino nel seno di sua madre,
mi rifugio in te.
In te, che sei mio padre e mia madre;
buono e forte; misericordioso e potente.
Accoglimi, o Dio, in te mi rifugio.
sequelascoraggiamentoabbandono in Dio
inviato da Maria Teresa Zanfini, inserito il 12/08/2003
PREGHIERA
216. Preghiera di affidamento a Maria della chiesa in Europa 1
Giovanni Paolo II, dall'esortazione Apostolica Ecclesia in Europa
Maria, Madre della speranza,
cammina con noi!
Insegnaci a proclamare il Dio vivente;
aiutaci a testimoniare Gesù, l'unico Salvatore;
rendici servizievoli verso il prossimo,
accoglienti verso i bisognosi,
operatori di giustizia,
costruttori appassionati
di un mondo più giusto;
intercedi per noi che operiamo nella storia
certi che il disegno del Padre si compirà.
Aurora di un mondo nuovo,
mostrati Madre della speranza e veglia su di noi!
Veglia sulla Chiesa in Europa:
sia essa trasparente al Vangelo;
sia autentico luogo di comunione;
viva la sua missione
di annunciare, celebrare e servire
il Vangelo della speranza
per la pace e la gioia di tutti.
Regina della pace
Proteggi l'umanità del terzo millennio!
Veglia su tutti i cristiani:
proseguano fiduciosi sulla via dell'unità,
quale fermento
per la concordia del Continente.
Veglia sui giovani,
speranza del futuro,
rispondano generosamente
alla chiamata di Gesù.
Veglia sui responsabili delle nazioni:
si impegnino a costruire una casa comune,
nella quale siano rispettati
la dignità e i diritti di ciascuno.
Maria, donaci Gesù!
Fa' che lo seguiamo e lo amiamo!
Lui è la speranza della Chiesa,
dell'Europa e dell'umanità.
Lui vive con noi, in mezzo a noi,
nella sua Chiesa.
Con Te diciamo
«Vieni, Signore Gesù» (Ap 22, 20):
Che la speranza della gloria
infusa da Lui nei nostri cuori
porti frutti di giustizia e di pace!
inviato da Anna Barbi, inserito il 12/08/2003
PREGHIERA
217. Preghiera missionaria (alla Madonna della strada)
Maria, Madonna della strada,
hai camminato sui monti della Giudea,
portando, sollecita, Gesù e la sua gioia;
hai camminato da Nazareth a Betlemme
dove è nato il tuo bambino, il Signore nostro;
hai camminato sulle strade dell'esilio
per salvare il Figlio dell'Altissimo;
hai camminato sulla via del Calvario
per diventare nostra Madre.
Continua a camminare
accanto ai missionari del tuo Figlio
che sulle strade del mondo vogliono,
come te, Arca di Alleanza,
portare a tutte le genti Gesù,
il suo vangelo, la sua salvezza.
MariaMadonnamissionemissionarievangelizzazionestradaroute
inviato da Anna Barbi, inserito il 28/06/2003
PREGHIERA
218. Preghiera per la liturgia delle ceneri
Signore,
ecco le nostre fronti segnate dalle ceneri,
come stipiti delle porte
di coloro che tu stavi per liberare dall'Egitto.
Ecco i nostri cuori segnati dalle ceneri,
quelle delle nostre colpe
bruciate dal fuoco del tuo amore.
Ecco le nostre mani segnate dalle ceneri,
quelle delle nostre violenze
distrutte dalla tua tenerezza.
Ecco i nostri piedi segnati dalle ceneri,
quelle dei falsi idoli
dissolti al roveto ardente della Verità.
I cammini dove tu ci inviti a seguirti
sono, anch'essi, segnati dalle ceneri,
non come segno di tristezza,
ma come pegno di purezza.
La tua colonna di fuoco ha bruciato le spine:
le ceneri renderanno fertile
il terreno pietroso delle nostre aride vite.
Così segnati dalle ceneri
eccoci, Signore, pronti a seguirti
sulla via ardente che conduce alla Vita.
Lì, noi vogliamo bruciare le sovrastrutture inutili,
le parole vane, i gesti di rifiuto.
Alla chiamata della tua bruciante Parola,
noi presenteremo i nostri cuori
e ci convertiremo al Vangelo.
mercoledì delle ceneriquaresima
inviato da Tomaso, inserito il 01/04/2003
RACCONTO
Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole
Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l'auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra macchina.
La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone. Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: "In caso di incidente..., ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!"
Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. Le persone contano, non le cose. Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l'organizzazione, l'efficienza materiale! Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incaraggiarsi, ridere, passeggiare...
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio. Noi e la nostra capacità d'amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo...
Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. "Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?".
"Prendimi la mano" rispose il bambino.
interioritàamoreesterioritàbeni materialicoppiamatrimoniosposigenitorifiglifamigliaavariziadistaccolibertà interiore
inviato da Patrizia Traverso, inserito il 01/04/2003
TESTO
Primo Levi, Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per un pezzo di pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
olocaustorazzismocampi di concentramentoantisemitismocrudeltàgiornata della memoriashoah
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 31/03/2003