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TESTO

1. Il lavoro

Kahlil Gibran, Il profeta

Allora un contadino disse: Parlaci del Lavoro.
E lui rispose dicendo:
Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l'anima della terra.
Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita, che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l'infinito.

Quando lavorate siete un flauto attraverso il quale il sussurro del tempo si trasforma in musica.
Chi di voi vorrebbe essere una canna silenziosa e muta quando tutte le altre cantano all'unisono?

Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita.
E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo.

Ma se nella vostra pena voi dite che nascere è dolore e il peso della carne una maledizione scritta sulla fronte, allora vi rispondo: tranne il sudore della fronte niente laverà ciò che vi è stato scritto.

Vi è stato detto che la vita è tenebre e nella vostra stanchezza voi fate eco a ciò che è stato detto dagli esausti.
E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio,
E ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere,
E ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro,
E ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore;
E quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi, con gli altri e con Dio.

E cos'è lavorare con amore?
E' tessere un abito con i fili del cuore, come se dovesse indossarlo il vostro amato.
E' costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato.
E' spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia, come se dovesse goderne il frutto il vostro amato.
E' diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito,
E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intorno a voi.

Spesso vi ho udito dire, come se parlaste nel sonno:
"Chi lavora il marmo e scopre la propria anima configurata nella pietra, è più nobile di chi ara la terra.
E chi afferra l'arcobaleno e lo stende sulla tela in immagine umana, è più di chi fabbrica sandali per i nostri piedi".
Ma io vi dico, non nel sonno ma nel vigile e pieno mezzogiorno, il vento parla dolcemente alla quercia gigante come al più piccolo filo d'erba;
E che è grande soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore.

Il lavoro è amore rivelato.
E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l'elemosina di chi lavora con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l'uomo del tutto.
E se spremete l'uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino.
E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto, renderete l'uomo sordo alle voci del giorno e della notte.

lavoro

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 11/12/2002

RACCONTO

2. Il tesoro del giardiniere   1

Leone Tolstoi, Racconti

C'era una volta un uomo che faceva il giardiniere. Non era ricco, ma lavorando sodo era riuscito a comperare una bella vigna. Aveva anche allevato tre figli robusti e sani. Ma proprio qui stava il suo cruccio: i tre ragazzi non mostravano in alcun modo di condividere la passione del padre per il lavoro campestre.

Un giorno il giardiniere sentì che stava per giungere la sua ultima ora. Chiamò perciò i suoi ragazzi e disse loro: «Figli miei, debbo rivelarvi un segreto: nella vigna è nascosto tanto oro da bastare per vivere felici e tranquilli. Cercate questo tesoro, e dividetevelo fraternamente tra voi.» Detto questo, spirò.

Il giorno dopo i tre figli scesero nella vigna con zappe, vanghe e rastrelli, e cominciarono a rimuovere profondamente il terreno. Cercarono per giorni e giorni, poiché la vigna era grande e non si sapeva dove il padre avesse nascosto l'oro di cui aveva parlato. Alla fine si accorsero di aver zappato tutta la terra senza aver trovato alcun tesoro. Rimasero molto delusi.

Ma dopo qualche tempo, compresero il significato delle parole del padre: infatti quell'anno la vigna diede una quantità enorme di splendida uva, perché era stata ben curata e zappata.

Vendettero l'uva e ne ricavarono molti rubli d'oro, che poi divisero fraternamente secondo la raccomandazione del padre. E da quel giorno compresero che il più grande tesoro per l'uomo è il frutto del suo lavoro.

impegnolavororesponsabilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

3. La grotta azzurra   1

Bruno Ferrero, Il canto del grillo

Era un uomo povero e semplice. La sera, dopo una giornata di duro lavoro, rientrava a casa spossato e pieno di malumore. Guardava con astio la gente che passava in automobile o quelli seduti ai tavolini del bar.

"Quelli sì che stanno bene", brontolava l'uomo, pigiato nel tram, come un grappolo d'uva nel torchio. "Non sanno cosa vuol dire tribolare... Tutte rose e fiori, per loro. Avessero la mia croce da portare!".

Il Signore aveva sempre ascoltato con molta pazienza i lamenti dell'uomo. E, una sera, lo aspettò sulla porta di casa.

"Ah, sei tu, Signore?" disse l'uomo, quando lo vide. "Non provare a rabbonirmi. Lo sai bene quant'è pesante la croce che mi hai imposto". L'uomo era più imbronciato che mai.

Il Signore gli sorrise bonariamente."Vieni con me. Ti darò la possibilità di fare un'altra scelta", disse.

L'uomo si trovò all'improvviso dentro una enorme grotta azzurra. L'architettura era divina. Ed era tempestata di croci: piccole, grandi, tempestate di gemme, lisce, contorte.

"Sono le croci degli uomini", disse il Signore,"scegline una". L'uomo buttò con malagrazia la sua croce in un angolo e, fregandosi le mani, cominciò la cernita.

Provò una croce leggerina. ma era lunga e ingombrante. Si mise al collo una croce da vescovo, ma era incredibilmente pesante di responsabilità e sacrificio.

Un'altra, liscia e graziosa in apparenza, appena fu sulle spalle dell'uomo cominciò a pungere come se fosse piena di chiodi.

Afferrò una croce d'argento, che mandava bagliori, ma si sentì invadere da una straziante sensazione di solitudine e abbandono. La posò subito. Provò e riprovò, ma ogni croce aveva qualche difetto.

Finalmente, in un angolo semibuio, scovò una piccola croce, un po' logorata dall'uso. Non era troppo pesante, né troppo ingombrante. Sembrava fatta apposta per lui. L'uomo se la mise sulle spalle con aria trionfante. "Prendo questa!", esclamò. Ed uscì dalla grotta.

Il Signore gli rivolse il suo sguardo dolce dolce. E in quell'istante l'uomo si accorse che aveva ripreso proprio la sua vecchia croce: quella che aveva buttato via entrando nella grotta. E che portava da tutta la vita.

"Come in un sogno mattutino, la vita si fa sempre più luminosa a mano a mano che la viviamo, e la ragione di ogni cosa appare finalmente chiara" (Ricther).

accettazione di sésofferenzacrocedolore

5.0/5 (2 voti)

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 03/05/2002