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TESTO

1. Lettera d'amore di Dio per te   2

Aleteia

Figliolo mio,

forse non mi conosci, ma Io so tutto di te. So quando ti siedi e quando ti alzi, conosco ogni passo che fai e so il numero esatto dei capelli sulla tua testa, perché sei stato fatto a mia immagine. Ti ho conosciuto prima che tu nascessi, ti ho scelto quando ho pianificato la creazione, non sei stato un errore, perché ogni tuo giorno è già scritto nel mio Libro. Sei stato fatto in modo meraviglioso, Io ti ho formato nel ventre di tua madre e ti ho preso dal suo grembo il giorno in cui sei nato.

Chi non mi conosce mi ha presentato in modo sbagliato, non sono né lontano né arrabbiato, ma sono l'espressione perfetta dell'amore, manifestato in mio Figlio Gesù... ed è mio desiderio amarti, semplicemente perché sei stato creato per essere mio figlio e affinché Io sia tuo Padre.

Io sono colui che provvede ad ogni tua esigenza, il mio piano per il futuro è pieno di speranza. Perché ti amo di un amore eterno. I miei pensieri per te sono smisurati, sono come la sabbia del mare. Sono vicino a te per salvarti, in te mi rallegro e gioisco. Non smetterò mai di farti del bene: se ascolti la mia parola e la metti in pratica, sarai il mio tesoro speciale.

Voglio con tutto il mio cuore e con tutta la mia anima che tu prosperi, desidero mostrarti cose grandi e meravigliose. Se mi cerchi con tutto il cuore mi incontrerai... Trova il tuo diletto in me e Io ti concederò i desideri del tuo cuore. Perché sono Io che suscito in te ciò che tu vuoi. Sono potente, e posso fare in te molto più di quanto tu immagini.

Sono il Padre che ti consola in tutte le tue tribolazioni, sono vicino a te quanto il tuo cuore è ferito. Vedo che a volte sei tanto lontano da me, e arrivo a temere di perderti per sempre. Ieri ti ho visto molto triste e avrei voluto privarti di questo dolore. Ho gridato ai quattro venti, ma non sei venuto a cercarmi. Ti ho visto parlare con i tuoi amici, ti ho visto mangiare fuori orario e ho camminato con te nella strada verso casa. Ho quasi visto con i tuoi occhi ciò che stavi guardando tu, ciò che ti ha provocato tanta nostalgia. Avrei voluto che tu mi prestassi ascolto. Ma non l'hai fatto, e quindi ho aspettato tutto il giorno.

Ti ho donato un bel tramonto a conclusione delle tue giornate, e una leggera brezza per permetterti di riposare meglio. Ti ho aspettato, dopo un giorno così frenetico, ma non sei mai venuto. La scorsa notte ti ho visto dormire e ti ho voluto toccare la fronte. Ti ho mandato dei raggi di luna dentro casa per vedere se ti fossi svegliato, ma hai continuato a dormire.

Ti parlo all'orecchio attraverso le foglie degli alberi e il profumo dei fiori, grido a te nei ruscelli di montagna, e attraverso gli uccelli canto il mio amore per te. Ti rivesto del calore del sole e profumo l'aria della natura con l'aroma della natura. Ascolto il silenzio dentro di te e provo a suscitare in te dei buoni desideri. Non sono lontano, sono nel tuo cuore. Regala uno sguardo d'amore a tutti coloro che ti circondano, e mi troverai, in ogni momento.

Oggi ho cercato qualcuno che mi prestasse le sue mani per scriverti, d'ora in poi scriverò direttamente nel tuo cuore. Se me lo permetti, devi solo dirmi ‘Sì'... So che è difficile vivere in questo mondo, lo è davvero, ma se confidi in me ti darò nuove forze. A partire da oggi. Parla con me, scarica i tuoi pesi e le tue ansie su di me. Ho sempre tempo per te, raccontami ogni cosa, piangi se vuoi, asciugherò ogni tua lacrima e accarezzerò il tuo volto.

Chiamami a qualsiasi ora del giorno o della notte, non dormo mai e ti risponderò sempre. Se tu riuscissi a guardare l'universo con amore, a vederti nello specchio con umiltà, a mostrare tenerezza a chi ti sorride, misericordia a chi ti chiede compassione e perdono a chi ti fa piangere... la mia voce diventerà il tuo pensiero.

Come il pastore guida le sue pecore, così io ti conduco vicino al mio cuore. Un giorno asciugherò ogni lacrima dai tuoi occhi ed eliminerò tutto il dolore che hai sofferto sulla terra. Ti amo tanto, al punto da aver mandato mio Figlio Gesù affinché tu abbia vita eterna. Perché in Gesù ho rivelato il mio Amore per te, Lui è la rappresentazione esatta del mio essere. È venuto per dimostrarti che Io sono dalla tua parte, non contro di te. È venuto per dirti che non ricorderò più dei tuoi peccati. Gesù è morto affinché tu possa riconciliarti con me, la Sua morte è stata la massima espressione del mio amore per te... Ho dato ogni cosa per avere il tuo amore...

Vieni a casa e celebra la festa più grande che il Cielo abbia mai visto... Sono sempre stato, e sempre sarò, tuo Padre. La domanda è: vuoi essere mio figlio? Sono con le braccia aperte, aspetto te. Devi soltanto ricevere mio Figlio Gesù nel tuo cuore.
Ti abbraccio e non me ne vado. Resto al tuo fianco. Ti amo!
Con affetto: tuo papà, Dio.

amore di DioDio padrepaternità di Diorapporto con Dio

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

2. Preghiera a Maria alla conclusione del mese di maggio   1

don Sandro Vigani, Gente Veneta, Settimanale della Diocesi di Venezia

Quando ti penso, Maria, vedo una giovane donna
che si prepara al matrimonio,
una figlia d'Israele cresciuta nella fede e nella storia
di un popolo col quale Dio ha intrecciato
una meravigliosa alleanza.
Vedo una donna che sta progettando il proprio futuro,
pensa alla casa, ai figli, allo sposo,
è innamorata della vita e delle tradizioni della propria gente.
E' piena di attese, di curiosità
e forse anche di un po' di timore.

Il Signore è entrato, potente, Maria,
nella casa della tua esistenza, e la storia del mondo
è cambiata per sempre, duemila anni fa,
perché Tu quel giorno hai detto di «sì».
Il vento di Dio ha soffiato forte e mescolato
le carte dei tuoi progetti, come il vento della primavera
a volte alza la sabbia sulla riva del mare.
Penso alla tua paura, Maria, quel giorno.
Alle parole con le quali, stupita,
chiedi conto al messaggero di Dio
di quello che sta accadendo in Te:
«Come è possibile, io non conosco uomo».
E penso alle paure che tante volte
hanno popolato la casa della mia vita,
ai momenti di buio, di dolore, di incertezza.
Alle direzioni così strane
che spesso ha preso la mia strada,
a come il vento di Dio l'ha battuta
e ha scombinato le tracce
che credevo indispensabili per orientami.

Maria, dopo la prima paura ti sei fidata.
O forse ti sei abbandonata, arresa alla voce del Signore
alla quale sentivi di non poter resistere.
Forse non sempre hai capito subito,
ma hai conservato nel tuo cuore
il senso di quello che ti accadeva.
E al tuo cuore hai attinto
negli anni che sono venuti,
mentre accompagnavi tuo figlio Gesù
giorno dopo giorno verso la croce,
finché quel significato si è dispiegato davanti ai tuoi occhi.
Io ho resistito mille volte più di Te a quella voce,
finché sulla mia strada,
sotto la sabbia e la terra delle mie debolezze,
a poco a poco sono comparse
altre tracce più vive e più vere,
che mi parlavano di quanto il tuo Figlio mi amava.

Anche oggi, molte volte, so di resistere a quella voce,
e mi affido alla pazienza di Dio
perché a poco a poco mi aiuti a leggere
nelle pagine della mia vita le parole che scrive per me.

Maria, hai accolto nel tuo grembo il figlio di Dio.
Sei stata ad un tempo madre e figlia.
Mi chiedo come hai vissuto questo duplice ruolo.
Quel figlio che cresceva in te e poi accanto a te,
era tuo ma non ti apparteneva.
Lo amavi come ogni madre,
accarezzavi per lui i tuoi progetti,
mentre lo cullavi tra le tue braccia,
e dovevi ogni giorno distaccarti da lui,
lasciare che andasse per la sua strada dove lo voleva suo Padre.
La vita è fatta anche di molti distacchi.

Maria, io credo che per poter
affrontare i momenti più difficili accanto a Gesù,
Tu abbia avuto nel tuo cuore un'invincibile speranza,
che si era accesa quando il messaggero di Dio
ti aveva assicurato che il Signore
non ti avrebbe mai abbandonata.
Maria, abbiamo il tesoro più grande
che un uomo possa sperare di avere,
la perla per la quale vale la pena vendere tutto,
abbiamo con noi il Signore.
Aiutaci ad accendere la nostra speranza,
perché il fuoco di Dio che non distrugge,
ma dona la vita,
bruci dentro di noi e attorno a noi.
Fa' che comprendiamo che vale la pena di credere,
essere cristiani conviene: così impareremo a guardare
la vita ed il mondo con occhi pieni di luce.

MariaMadonnafiduciaGesù

4.5/5 (2 voti)

inviato da Don Mario Sgorlon, inserito il 11/08/2012

PREGHIERA

3. Preghiera eucaristica

Antonio Rungi

Gesù dolcissimo, mi prostro davanti a te
a conclusione di un cammino eucaristico,
in cui ho compreso sempre più quanto conta
l'amare te, adorare te, stare vicino a te,
non allontanarsi mai da te, neppure per brevi istanti
della nostra frenetica vita quotidiana.

Gesù amabile, ostia santa, ostia d'amore,
fa di me, mediante te, un'ostia vivente
consacrata all'amore,
capace di donarmi a te nell'amore,
un amore capace di prendere totalmente il mio cuore,
capace di donarsi agli altri senza riserve
e senza alcun pentimento di aver
data la propria vita per gli amici,
come tu ci hai insegnato, fino al sacrificio della croce.

Gesù adorabile, ostia immacolata, pura e senza macchia
fa' di me, sull'esempio del cuore immacolato di Maria,
un cuore puro ed un'anima pura,
senza falsità, impurità, senza più macchie di peccato,
senza odio e risentimenti,
ma solo con una grande pace della mente,
del cuore e dell'intelletto.

Gesù mite agnello, immolato sull'altare della croce,
per la redenzione dell'umanità,
fa di me uno strumento di perdono e di misericordia
soprattutto quando più difficile si fa il perdono
nel tuo santo nome.

Gesù eucaristia,
mentre ti adoro qui presente
nel santissimo sacramento dell'altare
rinnovando la mia fede in te che sei il Verbo Incarnato
e il Redentore dell'umanità,
fa di tutti noi un cuor solo ed un'anima sola,
nell'immenso amore eucaristico
che fonda la Chiesa come unico popolo di Dio
in cammino verso il banchetto eterno del cielo.
Amen.

eucaristiaoffertasacrificiodono di sé

2.5/5 (2 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 24/06/2012

TESTO

4. Intervista a Cleofa, uno dei due discepoli di Emmaus   1

Stuart Jackman, Il caso del Nazareno, Ed. Paoline 1985 (pag. 188-196)

Stavamo tornando a casa, continuando a confabulare sugli avvenimenti di questo fine settimana, riandandovi per la centesima volta. Ci sforzavamo di dare un qualche costrutto alle cose, ma senza molto successo. Ed ecco che, a circa un chilometro dalla città, ci si avvicina un uomo...

- Era il Nazareno?
Be', questa è la cosa buffa: Noi non l'abbiamo riconosciuto. Siamo stati suoi seguaci per quasi due anni. Non eravamo di quelli importanti, ma credevamo in lui, l'abbiamo ascoltato decine di volte mentre parlava... eppure quello che si è avvicinato a noi ieri pomeriggio, ci parve del tutto forestiero.
Inoltre, sembrava completamente all'oscuro di quanto era successo a Gerusalemme in questi ultimi giorni. Si unì alla nostra conversazione, ma ci toccò informarlo sulla crocifissione di venerdì scorso e sulle voci di ieri mattina sulla risurrezione.
Sembrava non fosse al corrente di nulla, ma poi, conversando con noi, si è rifatto ai tempi passati e, cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, è giunto ai giorni nostri. Aveva tutto sulle punte delle dita, formidabile era! Ce ne stavamo lì, imbambolati a bocca aperta a guardarlo. Tutti quei passaggi e brani di profezie, i testi più difficili, egli li ha collegati tra loro... come tasselli di un puzzle. Ha reso chiaro tutto l'insieme e l'ha fatto apparire quasi - come dire? - inevitabile. Soprattutto la risurrezione!
E questo è il punto culminante, la conclusione prodigiosa che dà significato a tutto il resto! Il Messia viene, ma la gente non lo riconosce. Nessuno lo accoglie perché non corrisponde in nulla a quello che noi ci attendevamo ch'egli fosse. Invece di incoronarlo re, lo mettiamo a morte. Non sappiamo chi sia e così ci liberiamo di lui. Ma il Messia è il vincitore della morte. E il terzo giorno egli ritorna in vita per stabilire il suo regno.

- Se il Messia è il vincitore della morte, come può morire?
Ma se non incontra la morte faccia a faccia come può vincerla?
Questo è quanto il nostro misterioso compagno di viaggio ci spiegò chiaramente. Se il Messia vuole soccorrere gli uomini, deve condividere con loro l'esperienza della morte, deve morire come muoiono tutti gli uomini. Noi non possiamo essere partecipi della vita nel suo regno, se egli non ha prima condiviso con noi la morte.

- I suoi nemici del Sinedrio gli dicevano: "Se sei il Figlio di Dio, salva te stesso"
Eppure sembra un'idea piuttosto ragionevole!

Oh certamente avrebbe potuto farlo!... Ma allora non ci avrebbe aiutati: se egli avesse inventato per sé una scappatoia dell'ultimo minuto, allora non avrebbe fatto per noi alcuna differenza. Non si vince la morte evitandola. La si vince solo se la si accetta per poi superarla, ritornando in vita dall'altro lato. Siccome Gesù Nazareno ha fatto questo, noi non dobbiamo più aver paura della morte.

- E mentre egli vi spiegava tutte queste cose, voi continuaste a non riconoscerlo?
Non prima di aver raggiunto Emmaus. Ci disse che avrebbe proseguito, ma lo convincemmo a fermarsi da noi, come nostro ospite graditissimo. Fu così ch'egli venne a casa con noi e là avvenne il fatto: l'abbiamo riconosciuto durante la cena! Ce ne stavamo seduti attorno al tavolo, pronti a mangiare. Lo invitammo a dire la preghiera di ringraziamento, secondo il nostro costume. A quel punto egli prese il pane, pronunciò la benedizione, e lo spezzò. Lo stavamo guardando, e in quel momento l'abbiamo riconosciuto: Gesù, il Messia, che era morto ed è vivo di nuovo! Ch'egli sia benedetto!

- Lei è sicuro di questo?
Nel modo più assoluto! So perfettamente chi era, perché gli stavamo seduti a fianco e lo fissavamo mentre spezzava il pane. Ed era Gesù! Era proprio Gesù!

- E poi cosa accadde?
E' scomparso! Svanito! Un istante prima era là che ci porgeva il pane, e un attimo dopo era sparito!
Per nulla impauriti, ci siamo precipitati fuori, abbiamo piantato la cena lasciando di stucco le nostre famiglie e siamo ripartiti subito per Gerusalemme.

- Lei sa certamente che le autorità prendono molto sul serio tutta questa faccenda, avrà visto le pattuglie per le strade... Non ha un po' di paura per quanto le potrebbe capitare?
Be', un po' di paura ce l'ho. Ma, vede, il peggio che possano fare è uccidermi. Ma adesso la morte non è più una cosa importante. Gesù l'ha reso sufficientemente chiaro: la morte non è la fine, ma soltanto un inizio. Fino a ieri mattina noi fruivamo solo di una mezza vita... eravamo tutti vivi a metà. Questo è ciò che eravamo. Ma ora è tutto diverso: Lui è di nuovo vivo, e siccome lui è vivo, anche noi siamo vivi a nostra volta. Vivi per davvero, come non l'eravamo mai stati!

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5.0/5 (2 voti)

inviato da Laura Baravelli, inserito il 18/04/2012

RACCONTO

5. Il pacchetto dei biscotti   5

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d'attesa di un grande aeroporto. Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla.

Accanto a lei c'era la sedia con i biscotti e dall'altro lato un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l'uomo ne prese uno; lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro. Tra sé pensò: "Ma tu guarda, se solo avessi un po' più di coraggio gli avrei già dato un pugno...".

Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l'uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva uno anche lui. Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò: "Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!".

L'uomo prese l'ultimo biscotto e lo divise a metà! "Ah!, questo è troppo"; pensò e cominciò a sbuffare indignata, si prese le sue cose, il libro, la sua borsa e si incamminò verso l'uscita della sala d'attesa.

Quando si sentì un po' meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l'attenzione ed evitare altri dispiaceri.

Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando nell'aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.

Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quel uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell'orgoglio.

Quante volte nella nostra vita mangeremo o avremo mangiato i biscotti di un altro senza saperlo? Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, guarda attentamente le cose, molto spesso non sono come sembrano!

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5.0/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 18/01/2011

TESTO

6. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

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inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

RACCONTO

7. Gli errori del cuore

Paulo Coelho

Noi siamo abituati alla vecchia scusa: anche se conosciamo che il nostro cuore sa qual è la decisione migliore da prendere, non seguiamo mai ciò che dice - e, per giustificare la nostra vigliaccheria, ci convinciamo che era in errore. Una bella storia di Gibran illustra fino a dove ci possono portare le limitazioni.

Disse l'Occhio: "Guardate che bella montagna abbiamo sul nostro orizzonte!". L'Orecchio tentò di udirla, ma non ci riuscì. Allora la Mano disse: "Sto cercando di sentirla, ma non la trovo". Fu la volta del Naso: "Non c'è nessuna montagna, perché non ne sento l'odore". E tutti giunsero alla conclusione che l'Occhio era in errore.

decideredecisioneconversioneveritàerrorecoscienzacuore

inviato da Qumran2, inserito il 10/09/2006

RACCONTO

8. Arrivarono solo in tre   3

Bruno Ferrero, Novena di Natale per i bambini, LDC

Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo: i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva. Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano; per questo erano chiamati Re Magi.

Nell'anno O, studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione: proprio in una notte di quell'anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla dei Re dei re. Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima; i Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada. Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.

Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.

Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello. Così, ben presto, si scordò della stella.

Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso. Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.

Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi. Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini delll'universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana. Quando si ricordò della stella era troppo tardi: non riuscì più a trovarla.

Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell'Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali. Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio. Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.

Solo Melchior, re dei Persiani, Balthasar, re degli Arabi e Gaspar, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore. Così ognuno di loro arrivò puntuale all'appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.

Soltanto i Magi che hanno davvero vigilato non hanno perso l'appuntamento più importante della loro vita. Ogni cristiano, come una sentinella, deve stare all'erta e non lasciarsi prendere dalla pigrizia o dal torpore, perché il Signore ci aspetta alla sua culla.

perseveranzapazienzavigilanzaNatalere magiepifania

inviato da Silvia Ongaro, inserito il 03/05/2006

TESTO

9. Ogni minuto, un attimo di eternità

Justo Mullor, Dio crede nell'uomo

Ogni minuto è il riassunto di tutta la storia: quella universale - che scriviamo tutti, senza rendercene quasi conto - e quella personale, che costruiamo giorno dopo giorno, senza mai sapere quando finirà. Ogni momento può essere il tocco finale di una meravigliosa avventura o la conclusione deludente di un progetto incompiuto.

Il tempo, il cui mistero è più profondo di quello dello spazio, ci è stato dato da Dio come dono e, insieme, come vocazione: quella di usarlo, davanti a Lui e agli altri, per fare del mondo un luogo sempre più degno del suo Creatore e delle creature alle quali Egli lo ha affidato. Il tempo ci è stato dato per moltiplicare le luci che fughino le tenebre; per fare di più e sempre meglio; perché ci siano più case e meno catapecchie; meno analfabeti e più libri; più pace e meno guerre; più libertà e meno schiavitù; più gioia e meno sofferenze; più salute e meno malattie. E, soprattutto, perché "Dio sia tutto in tutti" (1 Cor 15,28): prima nella nostra coscienza, poi nella nostra vita e, infine, nella grande storia dell'umanità.

Il tempo, per il suo carattere inesorabile e fuggente, esige che vigiliamo. Se non del tutto svegli, dobbiamo almeno essere pronti ad aprire gli occhi ed a metterci in cammino al primo segno del passaggio di Dio e delle sue esigenze.

impegnoresponsabilitàtempovalore del tempo

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002

TESTO

10. Perfetta letizia

San Francesco d'Assisi

Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente il cruciava, chiamò frate Leone il quale andava un poco innanzi, e disse così: "Frate Leone, avvegnadio ch'e frati minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e buona edificazione, nondimeno scrivi, e nota diligentemente, che non è ivi perfetta letizia".

E andando più oltre, santo Francesco il chiamò la seconda volta: "O frate Leone, benché 'l frate minore illumini i ciechi, distenda gli attratti, cacci i demoni, renda l'udire a' sordi, l'andare a' zoppi, il parlare a' mutoli e (maggior cosa è) risusciti il morto di quattro dì, scrivi che non è in ciò perfetta letizia".

E andando un poco, santo Francesco grida forte: "O frate Leone, se 'l frate minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienzie e tutte le scritture, sì ch'e sapesse profetare e rivelare non solamente le cose future, ma eziandio i segreti delle coscienzie e degli animi, scrivi che non è in ciò perfetta letizia".

Andando un poco più oltre, santo Francesco ancora chiamò forte: "O frate Leone, pecorella di Dio, benché 'l frate minore parli con lingua d'angeli e sappi i corsi delle stelle e le virtù dell'erbe e fossongli rivelati tutti i tesori della terra e cognoscesse le nature degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e degli uomini e degli arbori e delle pietre e delle radici e dell'acque, scrivi che non ci è perfetta letizia".

E andando anche un pezzo, santo Francesco chiama forte: "O frate Leone, benché 'l frate minore sapesse sì bene predicare, che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo, scrivi che non è ivi perfetta letizia".
E durando questo modo di parlare bene due

...E durando questo modo di parlare ben di due miglia, Frate Lione con grande ammirazione il domandò: «Padre, io ti prego dalla parte di Dio, che tu mi dica dov'è perfetta letizia».

E Santo Francesco sì gli rispose: «Quando noi saremo a Santa Maria degli Angeli, cosi bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo, e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo alla porta; e il portinaio verrà adirato e dirà: "Chi siete voi?", e noi diremo: "Noi siamo due de' vostri Frati". E colui dirà: "Voi non dite vero: anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri; andate via"; e non ci aprirà, e faracci star di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e con la fame insino alla notte; allora se noi tanta ingiura e tanta crudeltate sosterremo pazientemente senza turbarsene e senza mormorare di lui; e penseremo umilmente e caritativamente che quello portinaio veramente ci cognosca, e che Iddio il fa parlare contra a noi: o Frate Lione, iscrivi, che qui è perfetta letizia. E se noi perseveriamo picchiando, e egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate, dicendo: "Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, che qui non mangerete né albergherete". Se noi questo sosterremo con pazienza e con allegrezza e con amore: o Frate Lione, iscrivi, che qui è perfetta letizia. E se noi, pur costretti dalla fame e dal freddo, più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto, che ci apra e mettaci dentro; e quello più scandalizzato dirà: "Costoro son gaglioffi importuni, io gli pagherò bene come sono degni"; e uscirà fuori con un bastone nocchieruto e piglieracci per lo cappuccio e getteracci in terra e involgeracci nella neve, e batteracci nodo a nodo con quello bastone: se noi tutto questo sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore: o Frate Lione, iscrivi, che qui è perfetta letizia. E però odi la conclusione: sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e disagi. Imperocché in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perché non sono nostri, ma di Dio; onde dice l'Apostolo: "Che hai tu, che tu non abbi da Dio?"... Ma nella croce della tribolazione ben ci possiamo gloriare, perocché questo è nostro; e perciò dice l'Apostolo: "Io non mi voglio gloriare, se non nella croce del Nostro Signor Gesù Cristo"».

letiziacrocesofferenzaumiltàgioialibertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Emilio Centomo, inserito il 11/12/2002

TESTO

11. Lettera alla Parrocchia

Centro di Orientamento Pastorale [COP], a conclusione della 52ma Settimana di aggiornamento pastorale a Bergamo; Settimana, luglio 2002

Cara parrocchia,

sappiamo che più o meno consapevolmente molti, anche tra i cristiani, non ti ritengono oggi un riferimento necessario per la loro vita e che in certe zone d'Italia non sei più il centro dell'esperienza di un popolo.

Sappiamo che, per molti, rischi di essere soltanto una stazione di servizio distributrice di sacramenti e di elemosine e che, per alcuni gruppi, sei poco più di una base logistica.

Sappiamo tuttavia che molte associazioni, gruppi e movimenti trovano in te non solo un luogo di accoglienza e di ospitalità, ma la casa e la scuola dove crescere nella fede, per essere missionari nella città degli uomini.

Sappiamo che la fatica del rinnovamento nella fedeltà al Vangelo può togliere anche a te un po' di respiro ed entusiasmo.

Sappiamo che vorresti essere una comunità di celebrazione, di carità e di annuncio, ma che, a volte, ti mancano persone, parole di incoraggiamento e gesti di sostegno.

Sappiamo, infine, che potresti essere una delle molte comunità che sono senza pastore, ma noi non ti molliamo, anzi scommettiamo sulla tua grande capacità di rigenerarti, come hai fatto tante volte nella storia.

Non siamo nostalgici, vogliamo - con te e per te - essere creativi.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nel tuo essere Chiesa tra le case, porzione di quella grande comunità che è la Chiesa universale, che noi apprendiamo a fare comunione; è tra le tue mura, chiese, cappelle, tessuti di relazione che incontriamo la comunità, sacramento cui è affidata la Parola che genera per tutti salvezza.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo compiere oggi il percorso necessario di Parola, rito e carità che ci unisce a Cristo.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nella celebrazione eucaristica che troviamo il sostegno decisivo per la nostra fede, la sorgente per la nostra sete di senso, la forza per una convivenza nella giustizia e nella pace.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo imparare, da laici, consacrati e da preti, come si fa a essere laici, consacrati e preti in mezzo alla gente.

Siamo convinti che ancora molte persone si accostano a te con domande semplici di umana comprensione, di pietà e di condivisione e tu hai ancora per ciascuno parole e gesti di speranza e di fiducia.

Siamo convinti che con te si viene ancora a misurare l'incredulità fragile di molti uomini e donne, la loro nostalgia di Dio, il loro stesso rancore per l'inganno e le trappole in cui sono caduti e tu hai sempre un percorso di fede da ricominciare.

Siamo convinti che il Vangelo che proponi (e come lo proponi) in fedeltà allo Spirito che guida la Chiesa è la risposta ultima alle grandi domande dell'uomo.

Ti vogliamo aiutare a farti cantiere di formazione nei tuoi gesti solenni e quotidiani, nella tua assemblea domenicale, nell'accompagnare con il sacramento la vita che nasce, muore, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella malattia.

Ti vogliamo aiutare a farti scuola di comunione anche nelle varie forme associative (pensiamo ad esempio, all'Azione Cattolica) generate da quella fantasia cristiana che tanta ricchezza di crescita spirituale, di fede e di apostolato ha portato alla vita delle nostre comunità. Ti vogliamo aiutare a farti punto di speranza nella capacità di incontrarti con le domande anche più petulanti e disperate, perché le sappia far diventare percorsi di vita e di fede.

Ti vogliamo aiutare a farti segno di quel "totalmente altro" che chiede di mescolarci nella società e di essere presenti nelle istituzioni abitandole da cristiani capaci di mostrare il Volto di Cristo, crocifisso e risorto, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che tu ci aiuti a contemplare.

Ti vogliamo aiutare a vivere pienamente, con responsabilità e con gioia la dimensione Diocesana, ad aprirti alla collaborazione con tutte le altre parrocchie, superando ogni autosufficienza.

Ti vogliamo aiutare a confrontarti con un territorio che cambia per l'arrivo di altre culture e altre religioni, a portare al tuo interno per offrirla sull'altare dell'Eucaristia la vita quotidiana dei tuoi fedeli vita di famiglia, vita di lavoro e di disoccupazione, vita di italiani e di stranieri, vita culturale, politica, apertura al mondo intero.

Ti vogliamo aiutare a osare nella verità il dialogo con ogni ricerca di Dio e per questo ti chiediamo di essere esigente con noi stessi perché l'accoglienza e l'ascolto siano il frutto di una fede pensata. Cara parrocchia chiedici di più, sapremo darti anche di più e soprattutto lascia sempre trasparire sul tuo volto l'immagine beatificante del Volto di Dio.

parrocchialaicicollaborazioneresponsabilitàcorresponsabilitànuova evangelizzazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/09/2002

RACCONTO

12. Guardare negli occhi

II comandante delle truppe d'occupazione disse al sindaco del paese di montagna: «Siamo sicuri che state nascondendo un traditore nel vostro paese. Se lei non ce lo consegna, tormenteremo lei e la sua gente con ogni possibile mezzo».

II paese nascondeva davvero un uomo che sembrava buono e innocente ed era amato da tutti. Ma cosa poteva fare il sindaco ora che era minacciato il benessere dell'intero paese? Giornate di discussione al consiglio comunale non portarono ad alcuna conclusione. Così, alla fine, il sindaco affrontò la questione con il prete del paese. Il prete e il sindaco passarono tutta una notte ad esaminare le Scritture e alla fine trovarono una soluzione: «È meglio che un uomo muoia e la nazione sia salva».

Cosi il sindaco consegnò l'innocente alle forze d'occupazione, pregandolo di perdonarlo. L'uomo disse che non c'era niente da perdonare. Non voleva che il paese corresse rischi per causa sua. Egli fu torturato crudelmente, finché le sue grida non risuonarono per tutto il paese e infine fu giustiziato.

Vent'anni dopo un profeta passò per quel paese, andò diritto dal sindaco e gli disse: «Cosa avete fatto? Quell'uomo era stato mandato da Dio come salvatore di questo paese. E voi l'avete consegnato perché fosse torturato e ucciso».

«Cosa potevo fare?», si scusò il sindaco. «II prete ed io abbiamo guardato le Scritture e abbiamo agito di conseguenza».

«Questo è stato il vostro errore», disse il profeta. «Avete guardato le Scritture. Ma avreste anche dovuto guardare nei suoi occhi».

coscienzaParola di Diobibbia

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

13. Un lampo

Piero Gribaudi, Bimbi del Vangelo

Quando vide che il tramonto stava dipingendo di viola le nubi, Eleazar si accorse, come ridestandosi da un sogno, di averla fatta grossa. Che cosa avrebbe detto a casa? Gli avrebbero creduto? Ma soprattutto che cosa avrebbero mangiato, quella sera, il babbo e la mamma?

Fu quest'ultimo pensiero a spingerlo di corsa verso i 12 canestri allineati accanto a un pozzo abbandonato. Vuoti! Vuoti anch'essi come la sua bisaccia, che sentiva rendergli sul fianco floscia come un pensiero inutile.

La sua bisaccia che poche ore prima conteneva un tesoro: cinque pani e due grandi pesci essiccati.

Che cosa era successo? Perché si era prestato con tanta spontaneità, lui - l'unico che avesse con sé un po' di cibo - a quell'incredibile gioco cui aveva assistito con stupore, gioia, emozione, sino a dimenticare il correre del tempo?

Stentava ancora a raccapezzarsi, in quel susseguirsi di eventi: la richiesta del suo prezioso cibo da parte dei discepoli di Gesù, il suo sì immediato, e poi il movimento continuo della mano del Rabbi nell'estrarre dalla sua bisaccia quel che non poteva contenere: migliaia di pani, migliaia di pesci, a saziare le migliaia di persone tra le quali si era infilato anche lui quasi per caso, per curiosità, per udire parole che solo in parte aveva capite ma che gli erano scese nel cuore come il più squisito dei cibi.

E poi, quell'allegro desinare in gruppi a forma di aiuole di cinquanta, cento persone, rese un po' ebbre dell'abbondanza del cibo spirituale e di quello materiale; al punto che il Rabbi, vedendo lo spreco dei rifiuti nell'erba, aveva ordinato di raccoglierli in dodici cesti.

Tutto straordinario, incredibile, quasi magico. Ma la conclusione? Lui, che pure si era saziato, aveva completamente dimenticato i suoi cinque pani e i suoi due pesci.

Ce n'erano talmente tanti! Ce n'erano, appunto... Ma adesso, che tutti se n'erano andati, pure i cesti degli avanzi erano stati svuotati. E lui che era costretto a tornare a casa a raccontare cose dell'altro mondo, però a mani vuote.

A Eleazar venne un groppo in gola, un grosso nodo di pianto e rabbia. E diede un gran calcio all'ultimo cesto. Vide così, acceso dall'ultimo raggio dell'ultimo sole, un piccolissimo lampo. Gli si avvicinò.

Era un pesciolino non più lungo del suo mignolo, rimasto incastrato fra le maglie del cesto. Lo raccolse, e fu allora che notò una formica trascinare una mollica di pane dieci volte più grande di lei.

Raccolse anche la mollica. Forse, mostrando a casa quei minuscoli avanzi, avrebbe potuto illustrare meglio tutte le meraviglie cui aveva assistito. Ne era assai poco convinto, Eleazar, ma tentar non nuoce.

Fu così che lo avrete già capito, Eleazar trasse quella sera a casa, sul povero tavolo disadorno, di fronte alle ghirlande di occhi dei fratellini e di mamma e papà, non uno ma diecimila pesciolini piccini e diecimila briciole di pane.

Sinché il tavolo fu colmo sino al soffitto, e i pesciolini scivolavano a terra e ai piedi del tavolo si moltiplicavano pure i gatti e le galline facendo un gran chiasso.

Alla fine, smise di affondare la mano nella bisaccia, perché le dita gli dolevano, il sole era ormai alto, i fratellini dormivano per la grande abbuffata. Mamma e papà continuavano a chiedergli di quell'uomo, Gesù, e di quale magia avesse fatto lui, il loro figliolo generoso e distratto. E lui non sapeva che rispondere, se non con un sorriso.

condivisione

inviato da Stefania Raspo, inserito il 07/05/2002