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TESTO

21. Maria donna in cammino

Tonino Bello, Nigrizia, novembre 1990, p. 53

Se i personaggi del vangelo avessero avuto una specie di contachilometri incorporato, penso che la classifica dei più infaticabili camminatori l'avrebbe vinta Maria. Gesù a parte, naturalmente. Ma si sa, egli si era identificato a tal punto con la strada, che un giorno ai discepoli invitati a mettersi alla sua sequela confidò addirittura: «Io sono la via». La via. Non un viandante!

Siccome allora Gesù è fuori concorso, a capeggiare la graduatoria delle peregrinazioni evangeliche è lei: Maria. La troviamo sempre in cammino, da un punto all'altro della Palestina, con uno sconfinamento anche all'estero. Viaggio di andata e ritorno da Nazaret verso i monti di Giuda, per trovare la cugina. Viaggio fino a Betlem. Di qui a Gerusalemme, per la presentazione al tempio.

Espatrio clandestino in Egitto. Ritorno guardingo in Giudea e poi di nuovo a Nazaret. Finalmente, sui sentieri del Calvario, ai piedi della Croce, dove la meraviglia espressa da Giovanni con la parola stabat, più che la pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime l'immobilità statuaria di chi attende sul podio il premio della vittoria.

Icona del camminare, la troviamo seduta solo al banchetto del primo miracolo. Seduta, ma non ferma. Non sa rimanersene quieta. Non corre col corpo, ma precorre con l'anima. E se non va lei verso l'ora di Gesù, fa venire quell'ora verso di lei, spostandone indietro le lancette, finché la gioia pasquale non irrompe sulla mensa degli uomini.

Sempre in cammino. E per giunta in salita. Da quando si mise in viaggio verso la montagna, fino al giorno del Golgota, anzi fino al crepuscolo dell'Ascensione, quando salì anche lei con gli apostoli «al piano superiore» in attesa dello Spirito, i suoi passi sono sempre scanditi dall'affanno delle alture.

Avrà fatto anche discese, e Giovanni ne ricorda una quando dice che Gesù, dopo le nozze di Cana, discese a Cafarnao insieme con sua madre. Ma l'insistenza con cui il Vangelo accompagna con il verbo "salire" i suoi viaggi a Gerusalemme, più che alludere all'ansimare del petto o al gonfiore dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta la fatica di un esigente itinerario spirituale.

Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate, ma non abbiamo traguardi. Siamo pellegrini come te, ma senza santuari verso cui andare. Camminiamo sull'asfalto, e il bitume cancella le nostre orme. Forzati del camminare, ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che dia senso alle nostre itinerante.

E con tutti i raccordi anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita non si raccorda con nessun svincolo costruttivo, le ruote girano a vuoto sugli anelli dell'assurdo, e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami.

Santa Maria, donna della strada, fa' che i nostri sentieri siano, come lo furono i tuoi, strumenti di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine. Liberaci dall'ansia della metropoli e donaci l'impazienza di Dio. L'impazienza di Dio ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di strada. L'ansia della metropoli, invece, ci rende specialisti del sorpasso. Ci fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a noi.

Santa Maria, donna della strada, segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio, facci capire come, più che sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia le carovaniere dei nostri pellegrinaggi.

È su questi itinerari che crescerà la nostra fede. Prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il filo dei giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell'aria.

Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell'effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine di turisti senza meta.

Se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, Samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa valle di lacrime, in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi verso i monti da dove verrà l'aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà l'esultanza del magnificat.

Come avvenne in quella lontana primavera, sulle alture della Giudea, quando ci salisti tu.

stradacamminomariamadonnapellegrinaggio

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inserito il 11/01/2008

PREGHIERA

22. Maria donna di frontiera   1

Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni

Maria donna feriale,
rendimi allergico ai tripudi di feste che naufragano nel vuoto.

Maria donna dell'attesa,
distruggi in me la frenesia di volere tutto e subito.

Maria donna innamorata,
affrancami dalla voglia di essere sempre capito e amato.

Maria donna gestante,
donami la gioia di sentire nel grembo i fremiti del mondo.

Maria donna accogliente,
dilata a non finire in me la tenda dell'accoglienza.

Maria donna missionaria,
rendi polverosi i miei piedi per il lungo calcare sentieri del mondo.

Maria donna di parte,
rendi costante in me il rigetto di ogni compromesso.

Maria donna del pane,
affina in me il gusto dell'essenziale nella semplicità.

Maria donna di frontiera,
snidami dalle retroguardie della mia codardia spirituale.

Maria donna in cammino,
provoca in me il rifiuto definitivo della poltrona e delle pantofole.

Maria donna del vino nuovo,
regalami un cuore traboccante di gioia e di letizia.

Maria donna del silenzio,
stabilisci il mio domicilio nella contemplazione di Dio.

Maria donna del servizio,
prestami il tuo grembiule preparato a Nazareth e mai dismesso.

Maria donna vera,
strappami le plastiche facciali che sfregiano l'immagine di Dio.

Maria donna del popolo,
abolisci in me ogni traccia di privilegio e annullane anche il desiderio.

Maria donna che conosce la danza,
fa' di me un rigo musicale su cui ognuno possa cantare la sua vita.

Maria donna elegante,
donami un sorriso per ogni gesto di amore.

Maria donna dei nostri giorni,
depenna eventuali rimpianti del passato, perché renda già presente il futuro.

Maria donna dell'ultima ora,
affretta il mio passo verso il fratello che mi attende, verso il Cristo che mi precede, verso il Padre pronto ad accogliermi nell'Amore dello Spirito.

mariamadonna

5.0/5 (1 voto)

inserito il 11/01/2008

TESTO

23. La vera gloria nasce soltanto dal dolore

Plinio Correa de Oliveira

La vita della Chiesa e la vita spirituale di ogni fedele sono una lotta continua. A volte, Dio concede alla sua Sposa giorni di grandezza spendida, visibile e tangibile. Egli dà alle anime momenti di ammirevole consolazione interiore o esteriore.

Ma la vera gloria della Chiesa e dei fedeli viene dalla sofferenza e dalla lotta. Lotta arida, senza bellezza sensibile né poesia definibile. Lotta in cui si avanza talora nella notte dell'anonimato, nel fango del disinteresse e dell'incomprensione, sotto la bufera e i bombardamenti scatenati dalle forze congiunte del demonio, del mondo e della carne. Una lotta che riempie di ammirazione gli Angeli del Cielo e attira la benedizione di Dio.

combattimento spiritualespiritualitàinterioritàconversione

inviato da Maria Rita Perricone, inserito il 25/11/2007

PREGHIERA

24. Ave, Maria, o arca santa!

dall'antifonario della Chiesa Copta egiziana

Ave, Maria, o arca santa!
Ave al castello, abitato dal Signore.

Ave al giardino spirituale, rimasto sigillato.
Tu sei il trono dell'Onnipotente.

Ave all'abitazione del vero Circonciso.
Tu sei stata scelta come
la più virtuosa tra le potenze sante.

Ave al giardino che non è stato coltivato
e dal quale, nonostante questo,
è spuntato l'albero della vita,
che irrora le anime assetate di giustizia.

Ave al calice, che a tutto il mondo
offre da bere il vino del Dio vivente.

Ave a te, o Maria, che sei migliore degli angeli
e che sei stata scelta da Dio creatore.

Ave all'ampio castello, nel quale venne
ed abitò Cristo, nostro Dio.

Per sua intercessione, o Signore,
dona a noi la remissione dei nostri peccati.

(dossologia da dirsi dinanzi all'immagine della Vergine nella commemorazione della Dormizione della Vergine, che si celebra il 31 ottobre)

MariaMadonna

inviato da Anna Piccirillo, inserito il 20/08/2007

TESTO

25. Vita comunitaria

Jean Vanier, Ogni uomo è una storia sacra

La vita comune può diventare una vera scuola in cui si cresce nell'amore; è la rivelazione della diversità, anche di quella che ci da fastidio e ci fa male; è la rivelazione delle ferite e delle tenebre che ci sono dentro di noi, della trave che c'è nei nostri occhi, della nostra capacità di giudicare e di rifiutare gli altri, delle difficoltà che abbiamo ad ascoltarli e ad accettarli. Queste difficoltà possono condurre a tenersi alla larga dalla comunità, a prendere le distanze da quelli che danno fastidio, a chiudersi in se stessi rifiutando la comunicazione ad accusare e a condannare gli altri; ma possono anche condurre a lavorare su se stessi per combattere i propri egoismi e il proprio bisogno di essere al centro di tutto, per imparare a meglio accogliere, comprendere e servire gli altri. Così la vita in comune diventa una scuola di amore e una fonte di guarigione. L'unione di una vera comunità viene dall'interno, dalla vita comune e dalla fiducia reciproca; non è imposta dall'esterno, dalla paura. Deriva dal fatto che ciascuno è rispettato e trova il suo posto: non c'è più rivalità. Unita da una forza spirituale, questa comunità è un punto di riferimento ed è aperta agli altri; non è elitista o gelosa del proprio potere. Desidera semplicemente svolgere la propria missione insieme ad altre comunità, per essere un fattore di pace in un mondo diviso.

comunitàgruppo

inviato da Qumran2, inserito il 19/08/2007

TESTO

26. ContemplaTTivi   1

Tonino Bello, Cirenei della gioia

Secondo me questo gesto significa due cose: se non ci alziamo da tavola, se non ci alziamo da quella tavola, ogni nostro servizio è superfluo, inutile, non serve a niente. Qui arriviamo al punto nodale di tutte le nostre riflessioni, di tutta la revisione della nostra vita spirituale. Diciamo la verità: è probabile che noi si faccia un gran servizio alla gente, molta diaconia, ma spesso è una diaconia che non parte da quella tavola.

Solo se partiamo dall'eucaristia, da quella tavola, allora ciò che faremo avrà davvero il marchio di origine controllata, come dire, avrà la firma d'autore del Signore. Attenzione: non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l'amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l'eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose.

Dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell'azione. La contemplattività, con due t, la dobbiamo recuperare all'interno del nostro armamentario spirituale. Allora comprendete bene: si alzò da tavola vuol dire la necessità della preghiera, la necessità dell'abbandono in Dio, la necessità di una fiducia straordinaria, di coltivare l'amicizia del Signore, di poter dare del tu a Gesù Cristo, di poter essere suoi intimi.

Non ditemi che sono un vescovo meridionale che parlo con una carica emotiva di particolari vibrazioni: le sentite pure voi queste cose; tutti avvertite che, a volte, siamo staccati da Cristo, diamo l'impressione di essere soltanto dei rappresentanti della sua merce, che piazzano le sue cose senza molta convinzione, solo per motivi di sopravvivenza. A volte ci manca questo annodamento profondo.

Qualche volta a Dio noi ci aggrappiamo, ma non ci abbandoniamo. Aggrapparsi è una cosa, abbandonarsi un'altra. Quand'ero istruttore di nuoto - ero molto bravo, e quando ero in seminario tantissimi hanno imparato da me a nuotare - quante volte dovevo incoraggiare gli incerti: «Dai, sono qui io; non ti preoccupare...». Se qualcuno stava annaspando o scendendo giù, io gli passavo accanto e quello si avvinghiava fin quasi a strozzarmi. Questo è solo un abbraccio di paura, non un abbraccio d'amore.

Qualche volta con Dio facciamo anche noi così: ci aggrappiamo perché ci sentiamo mancare il terreno sotto i piedi, ma non ci abbandoniamo. Abbandonarsi vuol dire lasciarsi cullare da lui, lasciarsi portare da lui semplicemente dicendo: «Dio, come ti voglio bene!».

Allora: se non ci alziamo da quella tavola, magari metteranno anche il nostro nome sul giornale, perché siamo bravi ad organizzare, chissà quali marce o quali iniziative per le prostitute, per i tossici, per i malati di AIDS... diranno che siamo bravi, che sappiamo organizzare; trascineremo anche le folle per un giorno o due; però dopo, quando si accorgeranno che non c'è sostanza, che non c'è l'acqua viva, la gente se ne va.

Ma alzarsi da tavola come ha fatto Gesù significa anche un'altra cosa. Significa che da quella tavola ci dobbiamo alzare: significa che non si può star lì a fare la siesta; che non è giusto consumare il tempo in certi narcisismi spirituali che qualche volta ci attanagliano anche nelle nostre assemblee.

Infatti è bello stare attorno al Signore con i nostri canti che non finiscono mai o a fare le nostre prediche. Ma c'è anche da fare i conti con la sponda della vita. Spesso, come lamenta il papa nella Chiristi fideles laici, c'è una dissociazione tra la fede e la vita.

La fede la consumiamo nel perimetro delle nostre chiese e lì dentro siamo anche bravi; ma poi non ci alziamo da tavola, rimaniamo seduti lì, ci piace il linguaggio delle pantofole, delle vestaglie, del caminetto; non affrontiamo il pericolo della strada. Bisogna uscire nella strada in modo o nell'altro: c'è uscito anche Giuda, «ed era notte» (Gv. 13,30).

Dobbiamo alzarci da tavola. Il Signore Gesù vuole strapparci dal nostro sacro rifugio, da quell'intimismo, ovattato dove le percussioni dei mondo giungono attutite dai nostri muri, dove non penetra l'ordine del giorno che il mondo ci impone.

Ecco, carissimi confratelli, questo è il primo verbo che dovremmo meditare moltissimo..

amorecaritàattivitàcontemplazioneservizioeucaristia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Luigi Pisoni, inserito il 17/11/2006

TESTO

27. Vacanze estive   1

Giovanni Paolo II, Angelus, 6 luglio 2003

Le molteplici occupazioni e i ritmi accelerati della vita rendono talora difficile coltivare la dimensione spirituale. Le vacanze estive, però, se non vengono 'bruciate' nella dissipazione e dal semplice divertimento, possono diventare un'occasione propizia per ridare respiro alla vita interiore.

vacanzeinteriorità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marco Malatesta, inserito il 27/06/2006

ESPERIENZA

28. Dio, nella sofferenza ci ama in modo particolare.

Ercoli Lorena

Spesso sento rivolgermi questa domanda: "Dove trovi la forza di reagire nonostante la tua malattia?".

Nella mia malattia, ho da 10 anni una forma di sclerosi multipla progressiva, ho visto un disegno di Dio, un qualcosa di prezioso, perché Gesù ha scelto, per la redenzione del mondo, il dolore.

Nella sofferenza ho sempre abbracciato, con Amore, la croce che Gesù mi ha donato con la malattia è per questo che Lo ringrazio nel più profondo del cuore. Al mattino il mio primo pensiero è per Lui: "Gesù tu sei tutto il mio bene, la cosa più preziosa che io ho, ti offro la mia giornata, ma soprattutto la mia sofferenza, il mio corpo debilitato dalla malattia, mi rimetto alla Tua volontà".

Io non amo certo il dolore in sé, ma amo Gesù crocifisso e abbandonato che è in me e in ogni persona provata dalla sofferenza, per questo mi sento amata da Dio in modo particolare perché mi fa sentire simile a Suo Figlio.

Non è facile seguire Gesù, mi capita di attraversare momenti di buio dove non riesco più a trovare un rapporto così profondo con Lui.

E' con la preghiera che riesco, con fatica ma poi con gioia, a ritrovare la comunione spirituale con Lui e dirGli: "Donami la forza non solo di un rapporto con Te, ma il coraggio di amarti".

Gesù poteva scegliere mille modi per salvarci, ma ha scelto il dolore per redimerci.

Nei momenti difficili della vita, causati da una sofferenza, da una malattia ricordiamoci che tutto questo è un tesoro, una perla che la comunità e i famigliari stessi, non devono disprezzare ed emarginare.

Io credo, che Dio ci ama tutti di un amore infinito e ad uno ad uno. Gesù sulla croce ha gridato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato". Un malato non va mai abbandonato, ma ognuno di noi diventi prossimo per l'altro.

amorerapporto con Diocrocesofferenzadoloreredenzionesacrificiosolitudinesolidarietà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Ercoli Lorena, inserito il 08/12/2005

TESTO

29. Il denaro

Non tutto quello che desideriamo
Può comprarci il denaro.
Per esempio si può comprare:
il letto, ma non il sono;
il cibo, ma non l'appetito;
il libro, ma non l'intelligenza;
la cultura, ma non la sapienza;
una casa, ma non la famiglia;
la medicina, ma non la salute;
lo svago, ma non la felicità;
la tranquillità, ma non la pace;
la sicurezza materiale, ma non la spirituale;
il crocifisso, ma non la fede;
un posto nel cimitero, ma non nel cielo;
compagnia, piacere, risate, ma non veri amici.


Altra versione

I soldi possono comperare una casa, ma non un focolare.
I soldi possono comperare un letto, ma non sonno.
I soldi possono comperare un orologio, ma non il tempo.
I soldi possono comperare una posizione, ma non il rispetto.
I soldi possono pagare le medicine, ma non la salute.
I soldi possono comperare del sangue, ma non la vita.
I soldi possono comperare il sesso, ma non l'amore.

ricchezzasoldifelicitàdenaro

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 21/06/2005

TESTO

30. Gesù bussa al tuo cuore   1

Vito Mangia

Forse siamo tutti un po' come Giovanni Battista in carcere: quando sorgono i dubbi, le ansie, abbiamo bisogno di conferme.

Noi facciamo il nostro dovere: lavoriamo, studiamo, intratteniamo relazioni, diamo qualcosa di noi stessi agli altri; poi sentiamo bisogno di qualcos'altro, qualcosa di cui non sappiamo dire il nome...

Sarà troppo, sarà esagerato pensare che quel "qualcosa", quel "qualcuno" è Dio? Si tratta di un'esigenza profonda, intima, viscerale.

Quando non capiamo cosa sia, riempiamo, copriamo, quasi annebbiamo questa esigenza.

La "imbottiamo" - per tenerla buona e al suo posto - e la ricopriamo di cose da fare. A volte la riconosciamo, questa benedetta esigenza di Dio, ma è troppo impegnativo seguire le sue indicazioni.

Meglio rimandare a domani, alla prossima settimana, o meglio: alla prossima adorazione, al prossimo ritiro, al prossimo incontro associativo e di gruppo, al prossimo rosario, alla prossima condivisione spirituale, alla prossima confessione, al prossimo silenzio. Cioè lontano, dopo, mai.

In fondo il "poi" è o non è - nei proverbi e nella realtà - parente del "mai"? È la nostra natura, siamo fatti così...

Signore, ci devi proprio capire, noi abbiamo bisogno di segni, di essere scossi, di vederti... sennò non ti seguiamo.

"Hai capito, Signore?", diciamo dentro di noi. E il Signore non capisce. Fa il testardo lui.

Noi gli chiediamo se ne vale davvero la pena e lui risponde a modo suo. Arriva, passa, bussa al cuore, continua a camminare.

A volte ci destiamo, facciamo in tempo ad alzarci dalle comode poltrone dei nostri interessi, a spoltrirci dai comodi divani dei nostri divertimenti e narcisismi; a volte facciamo in tempo ad affacciarci dalla finestra del nostro cuore e lo vediamo. Lui, Gesù, che ci passa accanto ed opera prodigi: alcuni vedono con occhi diversi la realtà, altri sentono finalmente la sua Parola, i poveri in spirito si dicono beati, chi si dimenava negli stagni fangosi del peccato trova il coraggio e la forza di rialzarsi, di ripulirsi, di andare oltre.

A volte ci viene la tentazione di andare alla porta, spalancarla, uscire per strada e gridare: "Aspetta, Gesù, aspettami! Faccio ancora in tempo a seguirti?".

E lui si volta da lontano, guarda con tenerezza infinita dentro i nostri occhi. E si ferma.

attesaavventoimpegnospiritualitàinterioritàvita spiritualerapporto con Dio

inviato da Don Vito Mangia, inserito il 21/02/2005

RACCONTO

31. Se i peccati... fossero pietre   1

Due donne si recarono da un saggio, che aveva fama di santo, per chiedere qualche consiglio sulla vita spirituale. Una pensava di essere una grande peccatrice. Nei primi anni del suo matrimonio aveva tradito la fiducia del marito. Non riusciva a dimenticare quella colpa, anche se poi si era sempre comportata in modo irreprensibile, e continuava a torturarsi per il rimorso. La seconda invece, che era sempre vissuta nel rispetto delle leggi, si sentiva perfettamente innocente e in pace con se stessa. Il saggio si fece raccontare la vita di tutte e due.

La prima raccontò tra le lacrime la sua grossa colpa. Diceva, singhiozzando, che per lei non poteva esserci perdono, perché troppo grande era il suo peccato. La seconda disse che non aveva particolari peccati da confessare.

Il sant'uomo si rivolse alla prima: «Figliola, vai a cercare una pietra, la più pesante e grossa che riesci a sollevare e portamela qui». Poi, rivolto alla seconda: «E tu, portami tante pietre quante riesci a tenerne in grembo, ma che siano piccole».

Le due donne sì affrettarono a eseguire l'ordine del saggio. La prima tornò con una grossa pietra, la seconda con un'enorme borsa piena di piccoli sassi. Il saggio guardò le pietre e poi disse: «Ora dovete fare un'altra cosa: riportate le pietre dove le avete prese, ma badate bene di rimettere ognuna di esse nel posto esatto dove l'avete presa. Poi tornate da me».

Pazientemente, le due donne cercarono di eseguire l'ordine del saggio. La prima trovò facilmente il punto dove aveva preso la pietrona e la rimise a posto. La seconda invece girava invano, cercando di ricordarsi dove aveva raccattato le piccole pietre della sua borsa. Era chiaramente un compito impossibile e tornò mortificata dal saggio con tutte le sue pietre.

Il sant'uomo sorrise e disse: «Succede la stessa cosa con i peccati. Tu, - disse rivolto alla prima donna - hai facilmente rimesso a posto la tua pietra perché sapevi dove l'avevi presa: hai riconosciuto il tuo peccato, hai ascoltato umilmente i rimproveri della gente e della tua coscienza, e hai riparato grazie al tuo pentimento. Tu, invece, - disse alla seconda - non sai dove hai preso tutte le tue pietre, come non hai saputo accorgerti dei tuoi piccoli peccati. Magari hai condannato le grosse colpe degli altri e sei rimasta invischiata nelle tue, perché non hai saputo vederle».

peccatopentimentoconfessioneperdono di Diomisericordiacoscienzaumiltà

4.0/5 (2 voti)

inviato da Samiland80, inserito il 08/12/2004

TESTO

32. Mercoledì delle ceneri

Paolo VI

Date un pensiero al rito dell'imposizione delle Ceneri. Meriterebbe una prefazione storica, che lo fa risalire all'antico Testamento (Cfr. ad es. Ier. 25, 34; Iud. 9, 1; Dan. 9, 3, etc.), e lo travasa nel nuovo (Cfr. Luc. 10, 13; Matth. 11, 21), e poi nella prassi dei primi secoli cristiani e nei seguenti. Ma guardatene il senso, il pessimismo cioè che grava sulla vita umana nel tempo; rileggete uno dei libri, sapienziali, e in certo senso, quasi sconcertante, della Bibbia, l'Ecclesiaste (ora indicato col termine ebraico Qohèlet), che comincia con le famose parole, adatte per un cimitero dell'umanità senza speranza: «vanità della vanità, tutto è vanità» (Eccl. 1, 1); e ripensate al pauroso verismo di certa letteratura e di certa filosofia contemporanea; e vi convincerete della sincerità della Chiesa nella sua pedagogia spirituale; ella non può passare sotto silenzio l'esperienza della morte e del dissolvimento, a cui la nostra temporale esistenza è condannata. Ma con questa immediata rettifica ad una concezione disperata del nostro vero destino: la vita, in Cristo, sarà vittoriosa. E cioè bisogna ricordare e scoprire l'aspetto positivo della quaresima, cioè della penitenza cristiana. Essa non è voluta e promossa per offendere e per rattristare l'uomo, insaziabilmente avido di vita, di pienezza, di felicità, ma per ammaestrarlo e per condurlo, mediante l'arduo cimento della penitenza, alla conquista, o meglio alla riconquista del «paradiso perduto». Periodo perciò di riflessione si apre davanti a noi. È la concezione, in fondo, della nostra vita che passa all'analisi della coscienza cristiana; è l'autocritica fondamentale, è la filosofia che sfocia nella sapienza, è lo sforzo di salvataggio, dall'inevitabile naufragio travolgente, che accetta la mano salvatrice di Cristo, che ci è offerta in questa palestra spirituale. Procuriamo di comprendere, cerchiamo di profittarne.

mercoledì delle ceneripenitenzaquaresimasalvezza

inviato da Luca Peyron, inserito il 08/12/2004

PREGHIERA

33. Preghiera di ringraziamento dei genitori per la Prima Comunione dei figli   2

Padre,
ti lodiamo e ti ringraziamo per il dono di questi figli
essi sono il segno vivente del tuo amore
nelle nostre famiglie.

Tu ami tanto i bambini, perché sono semplici.
Li hai creati puri e santi e li hai affidati a noi
perché ci vuoi tuoi collaboratori,
messaggeri del tuo amore.

Oggi, in questa particolare occasione,
riconoscendoci creature umane, noi genitori
ti offriamo con umiltà i nostri errori e fallimenti:
ti chiediamo perdono
se non sempre siamo stati di buon esempio,
se ci siamo preoccupati più del loro benessere fisico
che non del loro bene spirituale,
se li abbiamo trascurati
in qualche aspetto della loro vita,
se li abbiamo amati in maniera sbagliata.

Per poter amare, dobbiamo avere un cuore puro
e per avere un cuore puro
dobbiamo metterci in relazione con te,
caro Padre, attraverso la preghiera.
Aiutaci ad affidare insieme ogni mattino
la nostra giornata a te,
che solo puoi dare luce e limpidezza.

Saziaci della tua misericordia
che ci dona la forza di perdonarci l'un l'altro
e la gioia di amare ed educare i nostri figli,
affinché possiamo rivelare e comunicare loro
il tuo amore provvidente, dolce e forte.
Questo è il bene più grande
che ai figli si possa donare.
Amen.

genitorifigliringraziamentoPrima Comunione

inviato da Nicoletta Galbusera, inserito il 29/07/2004

PREGHIERA

34. Colloquio d'amore

Luigi di Blois, 1506-1566, abate benedettino

Signore, sono affamato di te!
Nutri questo mendicante
col flusso continuo della tua divinità.
Rallegrami con la presenza che tanto desidero della tua grazia.
Ecco la mia domanda, ecco il mio desiderio:
che il tuo amore che arde mi penetri interamente,
mi riempia e mi trasformi a sua immagine.

O luce che sempre brilla e non è mai oscurata, illuminami!
Fuoco che sempre brucia e non si estingue mai, abbracciami!
O amore, sempre ardente e che mai s'intiepidisce, assobrimi e trasformami in te!

O amato, donami di trovarti,
e poi tenerti e di stringerti forte a me
in un abbraccio spirituale.
Io ti desidero, sospiro verso di te.
Concediti a me,
unisciti intimamente alla mia anima
e inebriami con il vino del tuo amore.

O Gesù, fiore più bello
della più bella primavera;
vita eterna, vita che sei la mia vita
e senza la quale muoio;
vita che sei la mia gioia
e senza la quale piango;
amabile e dolce vita,
donami di essere unito
e di addormentarmi nella pace in te.

Abbatti, dolce Gesù,
l'odiosa muraglia della mia tiepida vita
e fa' che in tutta gioia e libertà,
io ti segua con un coraggio invincibile.
Fa' che si levi il vento violento
di una infinitamente ardente carità,
che mi precipiti in te così impetuosamente
da far sì che non abbia più altro respiro all'infuori di te.

ricerca di Diorapporto con Diopreghiera

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 28/07/2004

PREGHIERA

35. Gratitudine   2

Chiara Lubich, La dottrina spirituale

Ti voglio bene
non perché ho imparato a dirti così,
non perché il cuore mi suggerisce questa parola,
non tanto perché la fede mi fa credere che sei amore,
nemmeno soltanto perché sei morto per me.

Ti voglio bene
perché sei entrato nella mia vita
più dell'aria nei miei polmoni
più del sangue nelle mie vene.
Sei entrato dove nessuno poteva entrare
quando nessuno poteva aiutarmi
ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi.

Ogni giorno ti ho parlato.
Ogni ora ti ho guardato
e nel tuo volto ho letto la risposta,
nelle tue parole la spiegazione,
nel tuo amore la soluzione.

Ti voglio bene
perché per tanti anni hai vissuto con me
ed io ho vissuto di Te.
Ho bevuto alla tua legge
e non me n'ero accorta.

Me ne sono nutrita, irrobustita,
mi sono ripresa,
ma ero ignara
come il bimbo che beve dalla mamma
e ancor non sa chiamarla
con quel dolce nome.

Dammi d'esserti grata
- almeno un po' -
nel tempo che mi rimane,
di questo amore che hai versato su di me,
e m'ha costretta a dirti:
Ti voglio bene.

rapporto con DioGesùamore

5.0/5 (2 voti)

inviato da Cecilia Leone, inserito il 27/10/2003

PREGHIERA

36. Ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno   1

Tonino Bello

Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato .Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei. E' perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te. Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: "Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla".

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Grazie, perché obbligandoci a prendere atto Dei nostri bilanci deficitari, ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori. E che, se tu non custodisci la città, invano veglia il custode. E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi tu. Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento. Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione. Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.

Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell'efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno, esigono il nostro rendimento di grazie. Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni. Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna. Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri. Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall'amore che ci porti, che non ti regge l'animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere reverendi. Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché, al tuo sguardo, non c'è bancarotta che tenga. Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell'anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti. Spogliaci, Signore, d'ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime.

preghierarapporto con Diomisericordia di Diomagnanimitàfine annonuovo annocapodannoapostolato

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inviato da Don Giosuè Lombardo, inserito il 28/06/2003

TESTO

37. La Scrittura

S. Giovanni Crisostomo

Si sente dire: "Non è mio compito leggere la Scrittura. Tocca a coloro che hanno rinunciato a questo mondo". Ebbene, io vi dico che avete più bisogno delle Scritture voi che non i monaci. Quanto ad essi, ciò che li salva è il loro genere di vita! Voi, al contrario, siete nel pieno della mischia, siete esposti senza tregua a nuove ferite.

Perciò voi avete bisogno della Scrittura: un bisogno continuo per attingervi la forza...

Molti mi diranno: "E gli affari... e il lavoro?". Bel pretesto, in verità! Voi discutete con i vostri amici... andate allo spettacolo... assistete agli incontri sportivi... Allora? Quando si tratta della vita spirituale pensate che sia cosa senza importanza?

Ah, dimenticavo! Vi è un'altra scusa: "Noi non abbiamo libri!". Questo pretesto merita solo una bella risata!

BibbiaSacra ScritturaParola di Diospiritualitàvita spirituale

inviato da Eleonora Polo, inserito il 14/12/2002

TESTO

38. Il nostro compagno più vicino

S. Teresa di Gesù

Rivolgi gli occhi su di te e guardati dentro. Lì troverai il tuo Signore.

Vorrei trovare le parole per spiegare che cos'è quest'amicizia sacra con il Compagno della nostra anima, il più santo dei santi, dove non esiste ostacolo che impedisca all'anima e al suo Sposo di restare soli insieme ogni volta che l'anima sceglie di entrare nella propria interiorità e di chiudersi la porta alle spalle, per non lasciare entrare nulla di ciò che è terreno e vivere in quel paradiso con il suo Dio.

Dico "sceglie", perché è necessario capire che non mi sto riferendo ad uno stato soprannaturale, ma ad una condizione che dipende da una nostra scelta e in cui, per grazia di Dio, possiamo entrare volontariamente.

Il problema è che non ci rendiamo conto che Egli è vicino a noi e lo immaginiamo lontano... così lontano da dover andare in paradiso per trovarlo.

Oh Signore, perché non rivolgiamo lo sguardo al tuo volto, quando è così vicino a noi?

interioritàpreghierarapporto con Diovita spirituale

5.0/5 (1 voto)

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

TESTO

39. Desiderare tutto per amore di Gesù

San Giovanni della Croce

L'anima cerchi sempre di inclinarsi:
non al più facile, ma al più difficile;
non al più saporoso, ma al più insipido;
non a quello che piace di più, ma a quello che piace di meno;
non al riposo, ma alla fatica;
non al più, ma al meno;
non al conforto, ma a quello che non è conforto;
non al più alto e pregiato, ma al più vile e disprezzato;
non alla ricerca di qualche cosa, ma a non desiderare niente;
non alla ricerca del lato migliore delle cose create, ma del peggiore;
e a desiderare nudità, privazioni e povertà di quanto v'è al mondo per amore di Gesù Cristo.

amare Cristoimpegnointerioritàumiltàvita spirituale

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

TESTO

40. La via della perfezione

S. Giovanni della Croce

La via della perfezione non consiste nella molteplicità delle meditazioni, delle pratiche e dei gusti, sebbene tutto ciò sia in qualche modo necessario ai principianti, ma in una sola cosa, nel sapere, cioè, rinunciare a se stessi all'interno e all'esterno, abbracciando le sofferenze e annientandosi in tutto.

perfezionerinunciasofferenzadolorecrocevita spirituale

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inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

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