I tuoi ritagli preferiti

PERFEZIONA LA RICERCA

Tutti i ritagli

Indice alfabetico dei temi

Invia il tuo ritaglio

Hai cercato uscire

Hai trovato 82 ritagli

Ricerca avanzata
tipo
parole
tema
fonte/autore

Pagina 2 di 5  

ESPERIENZA

21. Una poesia prima di andare via

Roxsana Chavez

La costanza è una di quelle virtù che ci permette di raggiungere i sogni più lontani e il cuore delle persone; è un lavoro continuo e delicato: il mio Padre Fondatore ci diceva sempre che per arrivare ad un'anima si deve fare come fanno gli uccelli nel posarsi sul ramo, cioè delicatamente.

Conobbi Mario in un reparto isolato dell'ospedale di Terni, uno di quei reparti in cui nessuno entra, per paura di contagio; era sempre in compagnia di un anziano, sembrava essere suo padre.

Lui scriveva al computer ed era talmente concentrato, che a malapena mi salutò quando entrai nella stanza, avevo l'impressione che io non gli fossi molto simpatica, invece l'anziano mi salutò cortesemente.

Il giorno seguente io ed un'altra sorella entrammo nella stessa stanza: Mario ci salutò e cordialmente c'invitò ad uscire; conclusi che quell'uomo aveva bisogno d'aiuto!

Da quel momento passai da lui ogni giorno, anche senza entrare nella stanza, almeno lo salutavo dalla porta, finché un giorno, finalmente, m'invitò ad entrare, cominciammo a parlare e mi spiegò che stava trascrivendo nel portatile delle poesie, scritte dall'anziano, che io pensavo fosse suo padre, ma che in realtà era un amico, famoso poeta di Terni.

Pian piano Mario mi raccontò tutta la sua vita, molto sofferta già dall'infanzia, con conseguenze, alla fine, nefaste. Il rapporto tra noi iniziò a migliorare, sapevo però, che non sarebbe durato a lungo, mentre il suo animo andava via via migliorando, purtroppo quella bestiale malattia svolgeva lentamente il suo scopo, portarlo via.

Durante una di queste visite iniziammo a parlare di poesia e gli suggerii di scriverne una di suo pugno: lui si rifiutò categoricamente, perché non ne aveva mai scritta una; al termine della visita, ci accordammo affinché ciascuno di noi ne avrebbe scritta una.

La sua salute peggiorò, tanto che lui non riusciva né a scrivere né a parlare: capii che da un momento all'altro, saremmo arrivati a ciò che lo aspettava.
Un giorno non lo vidi più, se n'era andato.
Il suo amico mi disse che Mario era riuscito a scrivere la poesia e me la consegnò; era bellissima e diceva così:

"Sei venuta a trovarmi
Portando Cristo con te
Mi hai sorriso
Piena di luce e di serenità
Io non trovo parole
Ma il silenzio che hai scoperto
Lo hai compreso
Scusa le mie difficoltà
E considerami
Un amico vero sincero
Che apprezza
Il tuo sorriso fraterno".

Quanta ragione ha Cristo, quando afferma che "chi cerca, trova", sono sicura che Mario è morto in pace.

Quante volte le parole dette sono troppe, con Mario ho capito che il silenzio, tante volte sinonimo di chiusura, è piuttosto un richiamo a stare con le persone, soprattutto un richiamo ad ascoltare ed accogliere quel silenzio che può trasmettere tante cose.

Credo che per fare questo sia sufficiente essere veri strumenti di Dio per lasciar trasparire quello che Lui, in quel momento, vuol dire loro.

costanzaperseveranzasilenziopoesiaessere strumento di Diosolitudineincontro

5.0/5 (2 voti)

inviato da Roxsana Chavez, inserito il 07/02/2012

TESTO

22. Sono brutto, sono brutta...   1

Vittorino Andreoli, Lettera ad un adolescente

È incredibile come questo aspetto della persona sia mutato nel tempo e come sensibilità estetica sia diventata una preoccupazione dominante. Un giudizio che nell'adolescente sa di pena capitale: sono brutto, sono brutta. Si tratta di un pregiudizio generale, perché tutti gli adolescenti, indistintamente, sono insoddisfatti del proprio corpo e si sentono brutti. E guai se qualcuno tenta di consolarti: è la prova che davvero sei fuori misura e non ti resta che la fuga dal mondo. Per fortuna ci sono le metamorfosi artificiali, per correggere quelle naturali. Gli strumenti vanno dal trucco del viso, dagli orecchini delle ragazze della mia adolescenza agli oggetti più strampalati che oggi si ci aggancia alle parti del viso più strane. Ai padiglioni auricolari, adesso, si può stendere persino la biancheria e trasformarli in un'esposizione, una sorta di mercatino dell'usato. Ma arriviamo al come vestirsi, alle cose da indossare, alle cose da abbinare. E qui per tutti gli adolescenti, e anche per te mio caro, vale un altro principio universale: avete tutto ma vi manca sempre quello che ci vorrebbe in quel momento. Delle 36 paia di jeans manca proprio quello che andrebbe bene quel pomeriggio e che invece puntualmente possiede l'amico. Tu lo sai bene, se devi uscire alle sei del pomeriggio, già alle quattro ti piazzi davanti allo specchio e alle cinque e mezzo sei arrabbiato perché non hai nulla da mettere e guardi desolato le tre ante dell'armadio piene di cose inutili. Per fortuna alle sei uscite e vi trovate nel gruppo vestiti tutti uguali, maschi con maschi, femmine con femmine, come si trattasse di un collegio. Ma la fortuna è che l'adolescenza passa, almeno dal punto di vista del corpo. L'attenzione dapprima esclusiva al proprio corpo si sposta su altri corpi e accade che una ragazza si innamori di te nonostante tu sia un mostro...
Insomma l'estetica viene vinta dalla funzionalità o comunque ti convinci che la migliore prova estetica sia la funzionalità e che la bellezza dipende dal gusto, dal tipo di relazione, da saper portare il corpo e, ricordalo, persino da come lo neghi.

corporeitàadolescenzaaccettazioneinterioritàesteriorità

inserito il 22/01/2012

TESTO

23. La missione è testimonianza

Mons. Luigi Padovese, II Assemblea ecclesiale del Patriarcato di Venezia, 11 ottobre 2009

Essere uniti per essere testimoni (...) non riguarda soltanto le nostre Chiese di Oriente che vivono in una situazione minoritaria e di confronto con il mondo islamico, ma si può applicare anche alle Chiese di Europa messe a confronto con una società pluralistica e dove è anche dalla comunione dei cristiani tra loro che deve nascere la loro testimonianza. Come è stato osservato la Chiesa non ha una missione, non fa missione, ma è missione. E dunque va capita da essa. Se vuol rimanere Chiesa di Cristo deve uscire da sé. In quanto - come dice il Concilio. Vaticano II - è "sacramento universale di salvezza", essa è ordinata al Regno, è al suo servizio, esiste per proclamare il vangelo, e non soltanto oggi come misura d'emergenza in tempo di crisi, ma come costitutiva del suo essere. E il senso di tale impegno è di far sì che un'esperienza divenuta messaggio torni ad essere esperienza. Noi parliamo di ciò che "abbiamo visto ed udito", dichiara Giovanni (1 Gv 1,3).

La missione dunque è testimonianza resa all'amore di Gesù Cristo e al volto di Dio da lui rivelato. Si tratta di portare gli uomini a scoprire liberamente che il cammino di fede alla sequela di Gesù arricchisce la vita: va restituito al vangelo il carattere di vangelo, cioè di notizia che dà gioia, trasmettendo la visione che Gesù aveva del Regno, ma pronti a raccogliere anche delusioni. Ma non può essere altrimenti poiché la fede, in quanto espressione congiunta della grazia di Dio e della libera adesione umana, non si può imporre ma soltanto proporre.

Ed è qui che il ruolo della testimonianza diventa fondamentale anche perché, come diceva un Padre della Chiesa - "gli uomini si fidano più dei loro occhi che delle loro orecchie".

Annunciare Gesù Cristo per l'Apostolo Paolo è stata una necessità che nasceva dall'amore per lui. Ciò significa che chi incontra Cristo non può fare a meno di annunciarlo, sia con la vita che con le parole.

Monsignor Luigi Padovese, vescovo, ucciso il 3 giugno 2010.

testimonianzamartiriofedeevangelizzazionechiesamissione

inviato da Qumran2, inserito il 11/01/2012

TESTO

24. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

25. Missione è   1

Dom Hélder Câmara

Missione è
partire, camminare, lasciare tutto,
uscire da se stessi, rompere la crosta
di egoismo che ci chiude
nel nostro Io.

È smettere di girare
intorno a noi stessi
come se fossimo
il centro del mondo e della vita.

È non lasciarsi bloccare
dai problemi del piccolo mondo
al quale apparteniamo:
l'umanità è più grande.

Missione è sempre partire,
ma non è divorare chilometri.
È, soprattutto, aprirsi agli altri
come a fratelli,
è scoprirli e incontrarli.

E, se per incontrarli e amarli
è necessario attraversare i mari
e volare lassù nel cielo,
allora missione è partire
fino ai confini del mondo.

missionemissionari

5.0/5 (1 voto)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 08/07/2011

PREGHIERA

26. Maria donna coraggiosa   1

Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni, ed. San Paolo

Santa Maria, donna coraggiosa, alcuni anni fa in una celebre omelia pronunciata a Zapopan nel Messico, Giovanni Paolo II ha scolpito il monumento più bello che il magistero della Chiesa abbia mai elevato alla tua umana fierezza, quando disse che tu ti presenti come modello «per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime dell'alienazione».

Dunque, tu non ti sei rassegnata a subire l'esistenza. Hai combattuto. Hai affrontato gli ostacoli a viso aperto. Hai reagito di fronte alle difficoltà personali e ti sei ribellata dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare. Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita.

Perciò, Santa Maria, donna coraggiosa, tu che nelle tre ore di agonia sotto la croce hai assorbito come una spugna le afflizioni di tutte le madri della terra, prestaci un po' della tua fortezza. Nel nome di Dio, vendicatore dei poveri, alimenta i moti di ribellione di chi si vede calpestato nella sua dignità. Alleggerisci le pene di tutte le vittime dei soprusi. E conforta il pianto nascosto di tante donne che, nell'intimità della casa, vengono sistematicamente oppresse dalla prepotenza del maschio.

Ma ispira anche la protesta delle madri lacerate negli affetti dai sistemi di forza e dalle ideologie di potere. Tu, simbolo delle donne irriducibili alla logica della violenza, guida i passi delle "madri-coraggio" perché scuotano l'omertà di tanti complici silenzi. Scendi in tutte le "piazze di maggio" del mondo per confortare coloro che piangono i figli desaparecidos. E quando suona la diana di guerra, convoca tutte le figlie di Eva perché si mettano sulla porta di casa e impediscano ai loro uomini di uscire, armati come Caino, ad ammazzare il fratello.

Santa Maria, donna coraggiosa, tu che sul Calvario, pur senza morire hai conquistato la palma del martirio, rincuoraci col tuo esempio a non lasciarci abbattere dalle avversità. Aiutaci a portare il fardello delle tribolazioni quotidiane, non con l'anima dei disperati, ma con la serenità di chi sa di essere custodito nel cavo della mano di Dio. E se ci sfiora la tentazione di farla finita perché non ce la facciamo più, mettiti accanto a noi. Siediti sui nostri sconsolati marciapiedi. Ripetici parole di speranza.

E allora, confortati dal tuo respiro, ti invocheremo con la preghiera più antica che sia stata scritta in tuo onore: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio; non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Così sia.

mariadolorecoraggiomaternitàvenerdì santocalvarioimpegno

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2011

TESTO

27. Trenta consigli per rendere la vita più bella   3

1. Cammina da 10 a 30 minuti tutti i giorni. Mentre cammini, sorridi.
2. Siediti e stai in silenzio per almeno 10 minuti.
3. Ascolta ogni giorno della buona musica, è un alimento autentico per lo spirito.
4. Quando ti alzi al mattino pronuncia quanto segue: "Il mio proposito odierno è...".
5. Gioca più dell'anno passato.
6. Leggi più libri dell'anno passato.
7. Osserva il cielo almeno una volta al giorno e renditi conto della maestosità del mondo che ti circonda.
8. Sogna di più quando stai sveglio.
9. Vivi con entusiasmo ed energia.
10. Non farti sfuggire l'opportunità d'abbracciare chi apprezzi.
11. Cerca di far ridere almeno tre persone al giorno.
12. Elimina il disordine dalla tua casa, dal tuo scrittoio e lascia che nuove energie entrino nella tua vita.
13. Fai una colazione da Re, pranza come un Principe e cena da Mendicante.
14. Sorridi e ridi di più.
15. La vita è troppo corta per perdere tempo ad odiare qualcuno.
16. Non prenderti troppo sul serio; non lo fa più nessuno.
17. Non devi necessariamente uscire vincitore da ogni discussione; accetta quando non sei d'accordo ed impara dagli altri.
18. Mettiti in pace con il tuo passato, così non ti rovinerai il presente.
19. Non paragonare la tua vita con quella di un altro; ha fatto un cammino diverso.
20. Nessuno è responsabile della tua felicità se non te stesso.
21. Ricorda che non hai il controllo di tutto ciò che succede, però "Sì" di ciò cha fai con esso.
22. Ogni giorno, impara qualcosa di nuovo.
23. Non importa quanto la situazione sia buona o cattiva; cambierà
24. Il tuo lavoro non si occupa di te quando sarai ammalato. I tuoi amici lo faranno; mantieniti in contatto con loro.
25. Lascia perdere tutto ciò che non sia utile, buono o divertente.
26. L'invidia è una perdita di tempo; hai già tutto quello che desideri.
27. Tieniti in contatto con i tuoi familiari; scrivi loro dicendo ."vi sto pensando"!!!
28. Il meglio deve ancora arrivare.
27. Quello che la maggioranza pensa di te, non è un'incombenza.
29. Sfrutta un viaggio. E' un'opportunità da cui devi trarre il maggior beneficio.
30. La vita è bella; godila finché puoi.

vitagioia di vivereapprezzare le piccole cose

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/03/2011

ESPERIENZA

28. La gente chi dice che io sia?

Domenica. Giorno di festa, di riposo dallo stress. Mi allontano con fatica dal tepore del letto e mi incammino verso la chiesa, per la Messa. Fatica, certo, ma anche gioia trepidante nell'attesa di quel momento di sosta nel quale dire il mio grazie per la settimana passata e per quella che mi viene donata.

Sulle panche lucide, con una strana predilezione per il fondo della chiesa, siedono composte le signore impellicciate, le bambine con il vestitino nuovo, le mamme e i papà, le vecchiette ferventi. Comincia la Messa. Il Vangelo è quello in cui Gesù domanda: «La gente chi dice che io sia?».

Sono tanto assorta nell'omelia che non mi accorgo di un fermento crescente alle mie spalle, fino a che comincio a sentire chiaramente frasi del tipo: «E' una vergogna!», «Serena, non guardare, ascolta la Messa!», «Andrea, fai finta di niente!», «Qualcuno la faccia uscire!».

Mi volto, e mi accorgo che una delle tante sedie vuote è ora occupata da una vecchia vagabonda che ho già visto qualche volta. È una donna sola, alcoolizzata, che non ha una casa; vive in un mondo suo e si porta sempre dietro un borsone lurido come i suoi vestiti. Di solito in chiesa viene quando piove e non c'è nessuno: allora, chi entra viene accolto dal canto melanconico della sua voce stentata.

Le signore con la pelliccia sono scandalizzate e le mamme si tengono stretti i loro bambini, come se da un momento all'altro la donna potesse mangiarli in un boccone!

La Messa è interrotta, mentre il brusio aumenta. Alla fine due volontari della Croce Rossa intervengono e conducono fuori la donna. Tutti tirano un sospiro di sollievo: dopotutto i bambini sono salvi, no?!

Il prete riprende l'omelia scusandosi per lo spiacevole inconveniente.

«La gente chi dice che io sia?».

Assisto sgomenta al triste spettacolo dell'ipocrisia di sempre.

"La Messa è finita: andate in pace!". Ma quale pace?!

"Vedete, fratelli, duemila anni fa, gli apostoli risposero a Gesù dicendo: «La gente pensa che tu sia Geremia, altri che sei Elia, altri dicono che sei un profeta». Oggi credo che la risposta giusta sia: Gesù è una povera vecchia, che non ha nessuno e non ha una casa; senza qualcuno che si prenda cura di lei e con cui ridere; rifiutata dalla gente che incontra perché è diversa...e non ha la pelliccia".

Se il prete avesse detto queste parole, cosa sarebbe successo?

diversitàcaritàrapporto con Dioriconoscere Gesù

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristina Carmagnola, inserito il 10/11/2010

RACCONTO

29. Il cavallo nel pozzo   4

Un giorno, il cavallo di un contadino cadde in un pozzo. Non riportò alcuna ferita, ma non poteva uscire da lì con le sue proprie forze. Per molte ore l'animale nitrì fortemente, disperato, mentre il contadino pensava a cosa avrebbe potuto fare.

Finalmente, il contadino prese una decisione crudele: pensò che il cavallo era già molto vecchio e non serviva più a niente, e anche il pozzo ormai era secco ed aveva bisogno di essere chiuso in qualche maniera. Così non valeva la pena sprecare energie per tirar fuori il cavallo dal pozzo. Allora chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a interrare vivo il cavallo.

Ciascuno di essi prese una pala e cominciò a gettare della terra dentro il pozzo. Il cavallo non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo, e pianse disperatamente. Tuttavia, con sorpresa di tutti, dopo che ebbero gettato molte palate di terra, il cavallo si calmò.

Il contadino guardò in fondo al pozzo e con sorpresa vide che ad ogni palata di terra che cadeva sopra la schiena, il cavallo la scuoteva, salendo sopra la stessa terra che cadeva ai suoi piedi. Così, in poco tempo, tutti videro come il cavallo riuscì ad arrivare alla bocca del pozzo, passare sopra il bordo e uscire da lì, trottando felice.

La vita ti getta addosso molta terra, tutti i tipi di terra. Soprattutto se tu sei già dentro un pozzo. Il segreto per uscire dal pozzo è scrollarsi la terra che portiamo sulle spalle e salire sopra di essa. Ciascuno dei nostri problemi è un gradino che ci conduce alla cima. Possiamo uscire dai buchi più profondi se non ci daremo per vinti. Adoperiamo la terra che ci tirano per fare un passo verso l'alto!

Ricordati di queste cinque regole per essere felice:
1. Libera il cuore dall'odio.
2. Libera la mente dalle eccessive preoccupazioni.
3. Semplifica la tua vita.
4. Dà in misura maggiore e coltiva meno aspettative.
5. Ama di più e... accetta la terra che ti tirano, poiché essa può essere la soluzione e non il problema.

vitasperanzadisperazionedifficoltàreagireaccettazioneserenitàforza interiore

4.8/5 (4 voti)

inviato da Padre Giorgio Bontempi, inserito il 26/06/2010

PREGHIERA

30. La preghiera dei navigatori di Facebook   4

Patrizio Righero, Pastorale Giovanile Diocesi Pinerolo

In questo angolo del mondo digitale, Signore,
ci sono centinaia di nomi,
appiccicati alle pareti di una casa
che esiste solo sullo schermo e nella mia fantasia.

Li chiamo "amici",
ma molti di loro li conosco poco,
altri solo di vista,
altri ancora sono poco più che volti
(a volte nemmeno quelli!).

Qualcuno non l'ho incontrato,
qualcun altro vive dall'altra parte del mondo;
con qualcuno condivido molto,
con altri poco o nulla.
Alcuni li ho scelti.
Altri hanno scelto me.

E ora sono qui,
sulla mia home
come sorelle e fratelli,
posti sulla mia rotta virtuale.

Te li affido, Signore,
uno per uno.
Ti affido le loro speranze,
le loro paure,
i loro progetti di felicità.

Rendimi, per loro,
immagine - sia pur sbiadita!-
del tuo amore paziente e misericordioso.
Rendimi amico vero,
pronto ad ascoltare,
a condividere, a esserci.

Rendimi apostolo,
capace di annunciare,
anche sul Web
il tuo Vangelo di salvezza.

Ti ringrazio, Signore,
per questo spazio immenso,
per questa vita a colori,
per questi incontri che forse non sono così casuali.

Tuttavia, Signore,
di chiedo di non lasciarmi affogare
in questo mare di finta compagnia:
risveglia in me il desiderio
di uscire là fuori,
di ascoltare voci reali,
di abbracciare persone autentiche
e stringere amicizie vere.
Amen.

facebookinternetsocial network

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 04/03/2010

TESTO

31. Partire

Partire, andare, lasciare tutto, uscire da noi stessi, spaccare la corteccia dell'egoismo che ci rinchiude nel nostro piccolo io.
E' smetterla di girare attorno a noi stessi, come se fossimo noi il centro del mondo e della vita.
E' non lasciarsi intrappolare dai problemi del mondo piccino cui apparteniamo.
E' partire continuamente anche senza percorrere chilometri di strada.
E' soprattutto accorgersi degli altri, scoprirli, incontrarli, come fratelli e sorelle.
E se, per incontrarli e amarli, è necessario solcare i mari della nostra indifferenza, volare per i cieli dei nostri sogni, allora la strada è partire e raggiungere i confini del mondo.

incontroincontrarepartirestradacamminoapertura verso gli altrichiusura

5.0/5 (1 voto)

inviato da Forner Fortunato, inserito il 22/12/2009

TESTO

32. Le due sorgenti   2

Tomàs Spidlík, Il professor Ulipispirus e altre storie

La montagna si eleva verso il sole. Ma la montagna pesa. E' fatta di sassi. In qualche recesso delle sue viscere nacquero un giorno due piccole sorgenti d'acqua limpida, che cercavano di uscire all'aperto. Ma la montagna non cedeva: le opprimeva, le soffocava.

Dopo un bel po' di tempo le sorgenti, facendosi largo a poco a poco, riuscirono a venire alla luce ai piedi della montagna. Com'erano stanche! Ma non c'era tempo per riposarsi.

Erano appena scaturite dalla terra quando sentirono delle grida provenienti dal muschio, dall'erba, dai fiorellini, dalle rose alpine: "Dateci da bere! Dateci da bere!"

"Fossi matta!", disse la prima sorgente. "Ho faticato tanto senza sosta laggiù, sottoterra, mentre voi, pigri, ve ne stavate al sole. Non vi darò proprio niente!"

"Non ci darai niente?", disse il muschio piccato. "E allora noi non ti lasceremo passare."

"Ti sbarreremo la strada con le nostre numerose radici", dichiarò l'erba.

"Ti copriremo così nessuno ti troverà", minacciarono i cespugli di rose alpine e di rovi.

La seconda sorgente fu condiscendente: "Bevi, sorella erba, però fatti da parte perché io possa proseguire il mio cammino!" Bevvero un poco anche i cespugli ma si tennero fuori dalla corrente e così il muschio e la rosa alpina.

La sorgente correva. Dava da bere a tutte le piante e tutte le cedevano il passo. La sua acqua era fresca e limpida come cristallo. Lei stessa non sapeva come. Le piante l'amavano e lasciavano che altre sorgenti si unissero a lei. Alla fine arrivò al mare. Quando giunse alla foce, l'azzurro padre Oceano la prese fra le braccia e la baciò sulla fronte. "E dov'è tua sorella sorgente?", le chiese.

"Ah, Padre! Purtroppo è diventata paludosa, marcia e puzzolente."
"Così è la vita, figliola mia", disse padre Oceano.

"Tua sorella non voleva dare agli altri ciò che ha ricevuto. Vedi? Anch'io oggi ti ricevo in restituzione del vapore che da me è salito verso la montagna. La vita è dare. Tenere per sè è la morte."

daredonaresenso della vitagratuitàvita

inviato da Maria Carmela Moretti, inserito il 22/12/2009

PREGHIERA

33. Non vi sono che due amori   2

Michel Quoist

Non vi sono che due amori, o Signore,
l'amore di me, l'amore di te e degli altri,
ed ogni qualvolta mi amo, è un po' meno di amore per te e per gli altri,
una perdita d'amore,
perché l'amore è fatto per uscire da me e volare verso gli altri.
Ogni qualvolta ripiega su me, intisichisce; marcisce e muore.
L'amore di me, o Signore, è un veleno che sorbisco ogni giorno,
l'amore di me mi offre una sigaretta e non ne dà al mio vicino,
l'amore di me sceglie la parte migliore e tiene il posto migliore,
l'amore di me accarezza i miei sensi e ruba il pane sulla mensa degli altri,
l'amore di me parla di me e mi rende sordo all'altrui parola,
l'amore di me sceglie ed impone la scelta all'amico,
l'amore di me mi traveste e mi trucca, vuol farmi brillare eclissando gli altri;
l'amore di me mi compatisce e trascura la sofferenza altrui,
l'amore di me diffonde le mie idee e disprezza quelle altrui,
l'amore di me mi trova virtuoso, mi chiama persona per bene,
l'amore di me mi incita a guadagnar denaro, a spenderlo per il mio piacere, ad ammucchiarlo per il mio avvenire,
l'amore di me mi suggerisce di dare ai poveri per addormentare la mia coscienza e vivere in pace.
L'amore di me m'infila le pantofole e mi adagia in poltrona,
l'amore di me è soddisfatto di me e mi addormenta dolcemente.
La cosa più grave, o Signore, si è che l'amore di me è un amore rubato.
Era destinato agli altri, ne avevano bisogno per vivere, per perfezionarsi, ed io l'ho distolto.
Così l'amore di me crea la sofferenza umana,
così l'amore degli uomini per loro stessi crea la miseria umana,
tutte le miserie umane,
tutte le sofferenze umane,
la sofferenza del ragazzo che la madre batte senza motivo e quella dell'uomo che il padrone riprende davanti agli operai;
la sofferenza della ragazza brutta abbandonata nel ballo e quella della sposa che il marito non abbraccia più;
la sofferenza del bambino che si lascia a casa perché ingombra e quella del nonno deriso dai bambini perché troppo vecchio;
la sofferenza dell'uomo ansioso che non s'è potuto confidare e quella dell'adolescente inquieto di cui s'è messo in ridicolo il tormento;
la sofferenza del disperato che si butta in acqua e quella del bandito che si sta per fucilare;
la sofferenza del disoccupato che vorrebbe lavorare e quella del lavoratore che rovina la sua salute per una paga irrisoria;
la sofferenza del padre che raduna la famiglia in una sola stanza accanto ad un villino vuoto e quella della mamma i cui bambini hanno fame mentre si buttano via i resti di un banchetto;
la sofferenza di chi muore solo, mentre i famigliari nella stanza vicina attendono il momento fatale prendendo il caffè.
Tutte le sofferenze,
tutte le ingiustizie, le amarezze, le umiliazioni, le pene, gli odi, le disperazioni,
tutte le sofferenze sono una fame non saziata,
una fame di amore.
Così gli uomini hanno edificato, lentamente a forza di egoismi, un mondo snaturato che schiaccia gli uomini;
così gli uomini trascorrono sulla terra il loro tempo a rimpinzarsi del loro amore avvizzito,
mentre attorno ad essi gli altri muoiono di fame tendendo loro le braccia.
Hanno rovinato l'amore,
ho rovinato il tuo amore, o Signore.
Questa sera ti chiedo di aiutarmi ad amare.
Concedimi, o Signore, di spargere l'amore vero nel mondo.
Fa' che per mezzo mio e dei tuoi figli penetri un po' in tutti gli ambienti, in tutte le società, in tutti i sistemi economici e politici, in tutte le leggi, i contratti, i regolamenti;
fa' che penetri gli uffici, le officine, i quartieri, le case, i cine, i balli;
fa' che penetri il cuore degli uomini e che mai io dimentichi che la lotta per un mondo migliore è una lotta di amore, al servizio dell'amore.
Aiutami ad amare, o Signore,
a non sprecare le mie potenze di amore,
ad amarmi sempre meno per sempre più amare gli altri,
affinché attorno a me nessuno soffra o muoia
per aver io rubato l'amore che ad essi occorreva per vivere.

Figliuolo, mai giungerai a mettere amore a sufficienza nel cuore dell'uomo e nel mondo,
perché l'uomo ed il mondo hanno fame di un amore infinito,
e Dio solo può amare di amore senza limiti.
Ma se vuoi, figliuolo, ti do la mia vita.
Prendila in te.
Io ti do il mio cuore, lo dono ai miei figli:
ama col mio cuore, figliuolo,
e tutti insieme sazierete il mondo, e lo salverete.

amoreuomosofferenzaingiustiziapovertàegoismochiusuraaltruismoamore di sé

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giovanna Martinetti, inserito il 07/12/2009

ESPERIENZA

34. Riassettare le reti   2

Quand'ero al mare, a me piacevano le lunghe passeggiate lungo la spiaggia, particolarmente se in autunno o in primavera.

Spesso incontravo Olindo, detto "il pescatore". Lo ricordo seduto sulla sponda della sua barca, nell'atteggiamento di chi conversa con gli amici, mentre riassetta la sua rete da pesca. Raramente lo vedevo nell'atto di buttare la rete in mare, né in quello di ritirarla in barca. Eppure, nel suo mercatino che teneva in piazza, non mancava mai il pesce che era sempre fresco e abbondante.

Un giorno lo vidi come sempre in atto di cucire le reti. Mi decisi di fargli quella domanda che altre volte passando volevo rivolgergli: "Come mai ti vedo sempre a riassettare le reti? Quando vai a pescare? Quanto tempo dedichi alla pesca e quanto al riassetto della rete?".

"Ovviamente pesco qualche ora e di notte - mi rispose con la pacatezza propria del pescatore - Anni fa', inesperto com'ero, passavo lunghe ore in barca per la pesca... che non mi rendeva come ora. Avevo troppa fretta di prendere il pesce e non mi curavo della rete, né mi concedevo il tempo di aggiustarla. Il pesce era abbondante, entrava in rete, ma mi scappava quasi tutto attraverso le smagliature. Ora l'esperienza mi ha insegnato che ogni giorno, prima di uscire per la pesca, è importante e prezioso il tempo che dedico a cucire gli strappi. Esco in mare con una rete buona e corredata con l'attrazione di una lampara. Bastano poche ore per prendere il pesce che ti è necessario. Ecco perché vedi che la maggior parte del mio tempo la dedico a cucire e a vendere. Proprio questa mattina ho incontrato l'amico Giulio, responsabile d'una comunità. Vedendomi intento a cucire con pazienza, mi disse: Bravo Olindo, il tuo è un lavoro molto prezioso. Sei un bravo pescatore, perché sei un pescatore «sarto»".

Per una pescagione abbondante, è importante saper "cucire", "perdere" il tempo necessario a riassettare le smagliature della propria vita, perdonandosi e perdonando precisamente "settanta volte sette". È la condizione indispensabile per avere Gesù stesso in barca. È lui la luce che attira. Con lui la pesca risulta sicuramente miracolosa.

spiritualitàpazienzaperdonopastoralesaggezzainterioritàesteriorità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Bianca Biscardi, inserito il 09/08/2009

RACCONTO

35. Il pinguino colorato   5

Bruno Ferrero, Storie belle e buone

Quando mise fuori la testa dall'uovo, fu accolto dalla felicità di tutti.
La comunità dei pinguini dell'Isola Azzurra si strinse intorno a Priscilla e Dagoberto, i suoi genitori, che avevano gli occhi luccicanti e non stavano più nel frac per l'orgoglio.
Perché Filippo era davvero un bel neonato di pinguino.
Aprì il becco ed emise un robusto vagito. Tutti i pinguini presenti applaudirono.
"È un ottimo segno!" disse lo zio Fortebecco.
"È impaziente di affrontare la vita".
Filippo, in effetti, partì alla carica della vita con una gran dose di energia.
Appena le sue zampette furono abbastanza robuste, si allontanò dallo sguardo premuroso dei genitori per infilarsi fra i più discoli dei piccoli pinguini della comunità.
Erano tutti più anziani di lui, ma nessuno lo batteva in coraggio e temerarietà.

Fu Filippo il primo piccolo di pinguino che osò scivolare dalla punta del grande iceberg fino al mare, anche se poi non potè sedersi per due settimane a causa del bruciore sotto la coda.

Fu sempre Filippo, il coraggioso piccolo pinguino, che portò via la colazione all'enorme e spaventoso tricheco Baffodiferro.

Nella banda dei "pinguini irsuti", chiamati così perché si rifiutavano sistematicamente di lasciarsi pettinare le piume del capo dalle loro mamme, Filippo divenne l'incontrastato boss.

"Perché sei sempre così agitato, Filippo mio?", gli chiedeva la mamma, un po' in ansia per quel figlio che cresceva così scapestrato.

Con gli amici, Dagoberto era sinceramente preoccupato:
"Quel monello ha bisogno di una bella strigliata!"
Così spesso, alla sera, Dagoberto, Priscilla e Filippo rappresentavano, senza volerlo, la versione pinguinesca del processo di Norimberga.
"E' tutta colpa tua!".
"No, tua!".
"E' colpa di Filippo!".
La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava:
"Non ne posso più!".

I colori della vita
Un giorno il pinguino Filippo se ne stava sdraiato su una roccia a picco sul mare ed osservava annoiato il formicolio dei pinguini della comunità.
Sembravano tutti felici; lui, invece si sentiva pieno di amarezza.
"Che barba! Un posto tutto bianco, grigio e nero. Dove nessuno si fa i fatti suoi... Deve pur esserci un paese colorato. Pieno di gente colorata. Potrei diventare anch'io pieno di colori... Non ne posso più di questa camicia bianca e di questo ridicolo frac!"
E, impulsivo com'era, si lasciò scivolare giù dalla roccia, si tuffò tra le onde e nuotò via dall'Isola Azzurra.

Approdò alla Terraferma.
Gli avevano sempre raccomandato di evitare il litorale. I pinguini si tenevano prudentemente alla larga dagli anfratti in ombra degli scogli, dove le onde infrangevano con violenza rabbiosa, e foche, piccoli cetacei e altri predatori si acquattavano per far strage degli imprudenti.

"Adesso sono libero e faccio come mi pare", si disse Filippo.
Si arrampicò a fatica e si incamminò sulla spiaggia.
Un forte sbattere d'ali alle sue spalle lo mise in guardia. Un giovane cormorano aveva deciso di attaccarlo.
Ma Filippo era robusto e dotato di un becco forte e tagliente.
Lottarono per un po', facendo volare piume da tutte le parti.
Filippo ci mise tutta la sua rabbia. Il cormorano cominciò a perdere sangue da una ferita alla gola e si spaventò. Si ritirò dal combattimento e volo via lamentandosi e imprecando.
"Aah!", fece Filippo, gonfiando il petto con soddisfazione.
Alcune gocce di sangue del cormorano erano finite sulle sue piume bianche. Il pinguino guardò le macchie rosse e disse:
"Bene! Comincio ad essere colorato".
Ondeggiando, ma più che mai risoluto a continuare la sua esplorazione, Filippo si inoltrò tra le rocce.
"Ehi, amico!!", Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Era pronto di nuovo a combattere, ma di fronte si trovò solo un gabbiano giovane e inoffensivo.
"Ti ho visto sistemare il cormorano", disse il gabbiano. "Sei un duro, tu".
"Certo", rispose Filippo.
"Ti invito a pranzo", insinuò furbescamente il gabbiano.
"Che cosa vuoi dire?".
"Andiamo a rubare le uova dai nidi delle rondini di mare, che ne dici? In due non oseranno farci niente".
Fecero una scorpacciata di uova.
Le povere rondini di mare tentarono invano di difendere i loro nidi. I due briganti mulinavano ali e becchi.
Alla fine, Filippo si guardò il petto: era tutto macchiato dal giallo e arancione dei tuorli d'uovo.
"Altri colori!", si disse. "Questa è vita".
Dietro di lui, si sentiva solo il disperato pigolare delle rondini di mare, che piangevano i nidi e le uova distrutti.

Il grande salto
Si installò in una grotta di ghiaccio azzurra, e ne fece il suo covo.
Un gruppetto di gabbiani e perfino un'otaria con un occhio solo lo riconobbero come capo banda.
Le scorribande del gruppetto furono ben presto temute da tutti.
Filippo veniva chiamato semplicemente "Il pinguino colorato". Infatti la sua elegante livrea bianca e nera era sparita sotto i segni delle imprese che aveva affrontato.
Oltre il rosso del sangue e il giallo delle uova rubate, c'erano tracce verdi, azzurre e anche ciuffi di pelo argentato, che gli erano rimasti attaccati dopo un' epica lotta contro un Husky randagio.
Ma che serviva essere diventato davvero il primo pinguino a colori, se non poteva farsi ammirare dai suoi vecchi amici e dalla sua famiglia?
Il pensiero dell'Isola Azzurra prese a torturarlo.
Anche se non voleva ammettere, sentiva un bel po' di nostalgia dell'allegra comunità dei pinguini.
"Avere una vita colorata non è proprio come me la immaginavo", si diceva sempre più spesso.
Quella esistenza di fughe, attacchi, lotte e brigantaggio non gli piaceva più tanto.

Un mattino riprese la via del mare e tornò a casa
I primi pinguini dell'Isola Azzurra che incontrò erano dei piccoli che giocavano sulle lastre di ghiaccio galleggianti.
Appena lo videro si misero a strillare e scapparono gridando:
"Un mostro! Un mostro!".
Gli adulti fecero largo al suo passaggio, ma non per fargli onore. Lo guardavano tutti con una sorta di ribrezzo.
"Ma perché? Idioti, sono io, non mi riconoscete?", brontolava Filippo.
"Filippo, figliuolo, lo sapevo che saresti tornato". La mamma naturalmente lo riconobbe, ma non osò abbracciarlo.
"Ma in che stato sei...".
"Bentornato, Filippo", gli disse anche il papà. Ma non lo toccò.
Le comari tutt'intorno borbottavano: "Che disgrazia! Poveri genitori...".
Per la prima volta nella sua vita, a Filippo venne voglia di piangere.
Improvvisamente comprese che i suoi colori continuavano a tenerlo lontano; lo rendevano straniero alla comunità dell'Isola Azzurra.
Mentre lui, solo adesso, si accorgeva che soltanto lì poteva essere veramente felice.

Ma come si fa a tornare indietro?
"Papà", chiese.
"Vorrei cancellare questi colori e ricominciare, se è possibile".
Dragoberto esitò, poi guardò Filippo negli occhi e disse:
"C'è un mezzo solo: devi tuffarti dalla Grande Cascata. Laggiù l'acqua è così violenta e rapida che nessun colore può resistere. Ma è tremendamente rischioso. Ci vorrà il tuo coraggio. Te la senti di farlo?".
"Si, papà".
La voce si sparse in un attimo.
Nel giro di pochi minuti c'erano tutti, grandi e piccoli, intorno alla grande cascata.
Non riuscirono a trattenere un "Oh!" sincero quando in alto, dove il fiume precipitava in mare con un fragoroso boato, apparve Filippo. Sembrava così piccolo lassù.
Rimase un attimo fermo a concentrarsi, poi spiccò il salto.
Un salto stupendo, come se improvvisamente gli fossero spuntate le ali.
La corrente lo ghermì come un fuscello e lo scagliò violentemente nel mare ribollente e schiumante.
Il pinguino sparì nel vortice. Tutti trattennero il fiato.
Poi ad un tratto Filippo riemerse.
La forza stessa dell'acqua lo proiettò in alto e tutti videro che le sue piume erano diventate immacolate e che i colori erano scomparsi.
Allora esplosero in un festoso: "Urrà!", che coprì perfino il tuonare dell'acqua.



L'esperienza nascosta nel racconto:
Il pinguino Filippo è annoiato dalla vita di tutti i giorni che è soltanto "bianca, grigia e nera". Sono molti i ragazzi di oggi che considerano noioso ciò che è normale.
La cultura in cui sono immersi è sempre alla ricerca di eccitanti per i sensi, per la mente, per lo spirito.
Questa ricerca travolge limiti e regole. Filippo cerca i colori, li trova diventando ingiusto, ladro, cattivo.
Soltanto quando è davvero diventato colorato si accorge del prezzo da pagare: l'insoddisfazione personale e soprattutto l'allontanamento dalla sua famiglia e dalla comunità. È il prezzo del male, del peccato: essere tagliati fuori, perdere l'identità.
Ma nella comunità dell'Isola Azzurra c'è il modo di cancellare tutto, di ricominciare. E' quello che succede nella Chiesa: Dio ci dà la possibilità di cancellare tutti i colori sbagliati.
Bisogna solo avere il coraggio di buttarsi nella Grande Cascata dell'Amore infinito di Dio che è il Sacramento della Riconciliazione.

Per il dialogo:
L'educatore deve aiutare i ragazzi a percepire il significato simbolico della storia del pinguino Filippo e a riflettere contemporaneamente sulla realtà che anche loro stanno vivendo. Lo può fare con alcune domande:
- Perché il pinguino Filippo decide di partire dalla sua isola?
- Vi è mai venuta la voglia di "mollare tutto"? Quando? Perché?
- Secondo voi, che cosa sono i colori che Filippo cerca?
- Di che tipo sono i colori che Filippo trova? Vi ricordano qualcosa?
- Ci sono certe cose che i ragazzi di oggi desiderano ma che, secondo voi, sono un male? Ne sapete ricordare qualcuna?
- Perché Filippo non viene riconosciuto e accettato nella sua comunità?
- Nella nostra comunità parrocchiale c'è qualche modo particolare per riconoscere di aver sbagliato e per riaccettare quelli che riconoscono di aver commesso il male?

Per l'attività:
I ragazzi possono fare l'esame di coscienza con un cartellone sul quale si trovano i "colori sbagliati": (il rosso dell'ira, il giallo dell'invidia, il viola delle parolacce, il rosa della pigrizia, ecc...)

Anche la Bibbia racconta...
L'evangelista Giovanni (13, 21-30), racconta il tradimento di Giuda e lo conclude con queste parole: "Egli subito uscì. Ed era notte". Il peccato è uscire dalla luce della comunità degli amici di Gesù ed entrare nella notte.

riconciliazioneperdonoconfessionediversitàpeccato

3.8/5 (4 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 17/07/2009

TESTO

36. Del buon uso delle tentazioni

S. Giovanni Maria Vianney

Come il buon soldato non ha paura di combattere, così il buon cristiano non deve aver paura della tentazione. Tutti i soldati sono bravi quando sono all'interno della loro guarnigione: è sul campo di battaglia che si nota la differenza tra i coraggiosi e i vili.

La più grande delle tentazioni è di non averne alcuna. Si potrebbe arrivare a dire che bisogna essere contenti di avere delle tentazioni: è il momento del raccolto spirituale, durante il quale facciamo provviste per il cielo. E' come nel tempo della mietitura: ci si leva di buon mattino, ci si dà un gran daffare, ma non ci si lamenta, perché si raccoglie molto.

Il demonio tenta solamente le anime che vogliono uscire da una situazione di peccato e quelle che sono in stato di grazia. Le altre gli appartengono già: non ha alcun bisogno di tentarle.

Se fossimo profondamente compresi della santa presenza di Dio, sarebbe molto facile per noi resistere al nemico. Sarebbe sufficiente il pensiero "Dio ti vede!" per non peccare mai.

C'era una santa che, dopo esser stata tentata, si lamentava con il Signore dicendogli: «Dov'eri dunque, amatissimo Gesù, durante quella tremenda tempesta?». E il Signore: «Ero al centro del tuo cuore e mi rallegravo di vederti combattere».

tentazionetentazionipeccatolotta spirituale

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 18/06/2009

PREGHIERA

37. Trinità beata

Antonio Merico, Parola Pregata, preghiere per l'anno liturgico A

O Trinità beata,
un solo Dio e un solo Signore,
non nell'unità di una sola persona
ma nella trinità di una sola sostanza.

Noi adoriamo l'unità della natura,
la trinità delle persone,
l'uguaglianza della maestà divina.

Seguire te è lasciarsi guidare dall'amore,
perché tu sei l'amore;
seguire te è uscire dalle tenebre
per passare alla luce della verità.

Fede in te è dar credito
all'esperienza di Gesù,
riconoscerlo come venuto e voluto da te.

Noi siamo tabernacolo vivente
quando ti lasciamo inabitare nel nostro cuore
e più che capire ti contempliamo
lasciandoci da te amare.

Donaci di far conoscere il tuo amore operante
nella storia degli uomini.

Vedi vangelo: Gv 3,16-18

TrinitàamoreDio

inviato da Titti Scianaro, inserito il 17/06/2009

TESTO

38. L'educazione dei figli

Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano, IV secolo d.C.

L'educazione dei figli è impresa per adulti disposti a una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l'affetto necessario.

Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri.

Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.

Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.

Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce loro di volare.

Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.

Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio della passione, il gusto per le cose belle e l'arte, la forza anche di sorridere.

E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.

I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene.

genitorifiglieducareeducazione

inviato da Daniela Filippino, inserito il 11/06/2009

PREGHIERA

39. Preghiera del volontario Avulss   1

Don Giacomo Luzietti, Con l'OARI e l'AVULSS in un cammino di speranza tra gli infermi, Odo Fusi-Pecci, Antonio Todeschini, ed. San Paolo

O Signore,
mentre osservo la mia vita
mi scopro chiuso in me stesso,
assente dalla storia dei fratelli,
lontano dal tuo piano di amore.

Donami la forza di uscire dal mio io,
riempimi della capacità di godere del volto dei fratelli,
stimola in me l'ansia di creare comunione
con ogni creatura che tu mi fai incontrare.

Gli uomini ti potranno conoscere
se io ritrovo l'energia di dimenticarmi,
i fratelli rinnoveranno la speranza nella vita
se io do loro la tua mano,
gli amici scopriranno il tuo volto
se io sarò la tua trasparenza.

O Signore,
sia la mia vita il pane che rinfranca,
sia il mio gesto la bevanda che disseta,
sia la mia parola la luce che brilla.

Allora in una comunione di crescita
e di donazione con tutti i fratelli
in unione con Maria
sarò un magnificat al tuo nome
e un vangelo per il mondo intero.

donogenerositàsolidarietàvolontariato

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giovanna Gioia, inserito il 05/06/2009

TESTO

40. Le persone sono dono   3

Francesco Piras s.j.

Le persone sono doni che Dio creatore ci manda... imballate.
Alcuni hanno un imballaggio bellissimo,
altri sono imballati in carta ordinarissima,
certe persone sono imballate in maniera molto sciolta,
altre in maniera molto stretta,
a volte il dono è stato maltrattato nella posta,
una volta ogni tanto c'è una consegna speciale!

Ma l'imballaggio non è il dono!
E' così facile commettere questo errore;
è simpatico se lo fanno i bambini.

Certe persone-dono sono facili da aprire;
altre hanno bisogno di aiuto per uscire dalle loro scatole:
sarà perché hanno paura?
Credono forse che fa male lasciarsi aprire?
Forse sono già stati aperti prima e sono stati buttati via!
Sarà che il loro dono non è fatto per me?

Io sono una persona. Perciò anch'io sono un dono!
Prima di tutto sono un dono a me stesso.
Dio creatore mi ha dato me stesso!
Ho mai guardato veramente dentro l'imballaggio?
Ho paura di farlo?
Forse non ho mai accettato il dono che io sono.
E' possibile che ci sia qualcosa di più,
dentro l'imballaggio, di quello che immagino?
Forse non ho mai visto il dono meraviglioso che sono io.
Può il dono di Dio essere altro che bello?
Mi piacciono i doni che mi danno quelli che mi vogliono bene,
perché non il dono di me stesso, il dono che sono io?

Io sono anche un dono dato agli altri.
Accetto di essere dato agli altri?
Di essere una persona per gli altri?
Dovranno gli altri accontentarsi dell'imballaggio,
senza mai godere del dono?

Ogni incontro fra persone è uno scambio di doni.
L'amore è una relazione fra persone
che si vedono come sono realmente:
doni dati da Dio per essere dati agli altri.

accettazione di séinterioritàesterioritàdonoaccettazioneprofondità

5.0/5 (1 voto)

inserito il 25/01/2009

Pagina 2 di 5