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RACCONTO

1. Vengo da Samaria

Oliviero Ferro

Nessuno conosce il mio nome. Quel tale che mi ha fatto entrare nel suo racconto ha detto che sono un samaritano. Mi sta bene così, perché quello che ho fatto è una cosa normale per me. Non ho bisogno di pubblicità. Ma, se volete, ve la racconto, a modo mio.

Era un giorno d'estate e faceva molto caldo. Avevo preparato delle cose da andare a vendere a Gerico. Ormai quella strada la conoscevo bene. L'avevo percorsa tante volte. Dopo la sosta in un alberghetto a Gerusalemme, stavo per ripartire, quando un amico mi ha detto di stare attento, perché in questo periodo la strada era pericolosa. Invocai l'aiuto del Signore e cominciai la discesa verso Gerico. Andavo piano, accompagnando il mio asino che faceva fatica. Era sovraccarico. Dovevo fare attenzione che non finisse in un burrone. Quando, ad una curva della strada, sento qualcuno che si lamenta. Affretto il passo e vedo a terra un pover'uomo, pieno di sangue, più morto che vivo. Faccio fermare l'asino contro una roccia e prendo qualcosa per curarlo. Mi faceva compassione. Lui riesce a dirmi qualche parola. Certo, era stato assalito dai banditi che gli avevano portato via tutto e lo avevano picchiato per bene. Mentre lo medicavo, riesce a dirmi che era passato qualcuno prima di me. Mi pare gente che lavorava al tempio (un sacerdote e un levita), ma non si erano fermati. Si vede che avevano fretta. Ma a me interessava lui. Non lo conoscevo, ma lo sentivo come uno della mia famiglia. L'ho pulito per bene e l'ho fasciato. Poi l'ho messo sull'asino e piano piano siamo arrivati a Gerico. Alla prima locanda, lo affido al proprietario, gli do dei soldi e gli dico di accoglierlo come se accogliesse me. E al ritorno, concludo, aggiungerò il resto. Me ne vado a vendere tutte le merci e chissà perché, faccio dei buoni affari. Finalmente, dopo essermi riposato, ritorno alla locanda e trovo l'amico, sano, in piedi. La storia non lo dice, ma ve lo dico io. Ci abbracciamo felici. Lui riprende la sua strada, io la mia. Forse non ci incontreremo più, ma io so che ho incontrato Dio e quell'uomo è diventato mio fratello. Non mi è costato molto fare questo. Mi hanno insegnato a tenere gli occhi aperti e anche il cuore. Così è stato tutto più facile.

buon samaritanomisericordiaopere di misericordiacaritàcompassioneempatia

inviato da P. Oliviero Ferro, inserito il 25/08/2016

TESTO

2. La bisaccia del cercatore   2

Tonino bello, La bisaccia del cercatore, ediz. La meridiana

Se io fossi un contemporaneo di Gesù, se fossi uno degli Undici ai quali Gesù, nel giorno dell'Ascensione, ha detto: "Lo Spirito santo verrà su di voi e riceverete da lui la forza per essermi miei testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, la Samaria e fino all'estremità della terra" (At 1,8), nell'atto di congedarmi dai fratelli, sapete cosa avrai preso con me? Innanzitutto il bastone del pellegrino e poi la bisaccia del cercatore e nella bisaccia metterei queste cinque cose: un ciottolo del lago; un ciuffo d'erba del monte; un frustolo di pane, magari di quello avanzato nelle dodici sporte nel giorno del miracolo; una scheggia della croce; un calcinaccio del sepolcro vuoto. E me ne andrei così per le strade del mondo, col carico di questi simboli intensi, non tanto come souvenir della mia esperienza con Cristo, quanto come segnalatori di un rapporto nuovo da instaurare con tutti gli abitanti, non solo della Giudea e della Samaria, non solo dell'Europa, ma di tutto il mondo: fino agli estremi confini della terra. Ecco, io prenderei queste cose. Ma anche il credente che voglia obbedire al comando missionario di Gesù dovrebbe prendere con sé queste stesse cose.

segnifedecredereobbedienzamissioneevangelizzazionelibertàinterioritàesterioritàtestimonianzaascensione

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inviato da Don Fabio Sgaria, inserito il 23/09/2012

TESTO

3. Nabot possedeva una vigna

S. Ambrogio di Milano, De Nabuthae, 1.1

"Nabot possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab di Samaria..." (1 Re 21).
La storia di Nabot è antica per età, ma nel costume è quotidiana.
Quale ricco, infatti, non desidera ogni giorno avidamente i beni altrui?
Quale potente non pretende di cacciare via il povero dal suo piccolo podere e di togliere chi non ha mezzi dalla terra dei padri?
Chi è mai contento di quello che ha?
Quale ricco non sente accendersi l'animo dal desiderio di possedere i beni del vicino?
Sicché di Acab non ne è nato uno solo; e ciò che è peggio, Acab nasce ogni giorno e non muore mai a questo mondo.
Appena ne scompare uno, ne vengono fuori altri, in gran numero, e sono più quelli che rubano di quelli che accettano di rimetterci.
Ma neppure Nabot è l'unico povero che sia stato ucciso; ogni giorno un Nabot è prostrato, ogni giorno un povero viene ucciso.
Angosciata da questo timore la gente si ritira dalle sue terre e il povero, carico del suo pegno d'amore, emigra con i figli, mentre la moglie lo segue in lacrime, come se accompagnasse il marito al sepolcro.
Fin dove volete arrivare, o ricchi, con le vostre assurde cupidigie?
Pensate di rimanere soli ad abitare la terra?
Perché scacciate chi è compartecipe ai beni della natura e rivendicate per voi soli il possesso dei beni naturali?
La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché voi ricchi vi arrogate il diritto di proprietà del suolo?

ingiustiziaricchezzapovertà

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002