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TESTO

1. Andiamo fino a Betlemme (versione completa)

Don Tonino Bello

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone, e scendere, lungo i sentieri profumati di menta, giù per le gole di Giudea. Per noi ci vuole molto di più che una mezzora di strada. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare l'antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù.

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori i quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d'Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste... per andare a trovare che? «Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia».

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, lo so. Molto più difficile di quanto sia stato per i pastori ai quali, perché si mettessero in cammino, bastarono il canto delle schiere celesti e la luce da cui furono avvolti. Per noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorientati da sussurri e grida che annunziano salvatori da tutte le parti, e costretti ad avanzare a tentoni dentro infiniti egoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nel buio.

Andiamo fino a Betlemme. E' un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so. Ma questo, che dobbiamo compiere «all'indietro», è l'unico viaggio che può farci andare «avanti» sulla strada della felicità. Quella felicità che stiamo inseguendo da una vita, e che cerchiamo di tradurre col linguaggio dei presepi, in cui la limpidezza dei ruscelli, o il verde intenso del muschio, o i fiocchi di neve sugli abeti sono divenuti frammenti simbolici che imprigionano non si sa bene se le nostre nostalgie di trasparenze perdute, o i sogni di un futuro riscattato dall'ipoteca della morte.

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.

Mettiamoci in cammino, dunque, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.

Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte e illuminato di stelle.

E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.

Clicca qui per la versione breve.

nataleincarnazionericerca di Diosperanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

2. Invocazione dello Spirito   2

Remigio Menegatti

Vieni Spirito della fede
E insegnaci a credere fermamente nell'amore di Dio e nella possibilità di vivere come suoi figli.

Vieni Spirito della speranza
E insegnaci a guardare oltre gli ostacoli, e a vivere ogni sfida della vita guidati dalla certezza che sei in noi e ci doni la tua forza.

Vieni Spirito di carità
E insegnaci ad amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze e diventare prossimo di ogni persona che incontriamo, sullo stile di Gesù, servo per amore.

Vieni Spirito della gioia
E insegnaci a riconoscere i segni della presenza di Dio nella nostra vita, e a esultare come Maria che si sente coinvolta pienamente in questa storia di amore.

Vieni Spirito dell'umiltà
E insegnaci che ogni piccolo passo è necessario per arrivare alle grandi mete che ci realizzano come persone e come credenti.

Vieni Spirito della forza
E insegnaci a non prendere paura se i risultati che speriamo non arrivano subito e chiedono anche un po' di sacrificio e sofferenza.

Vieni Spirito della fedeltà
E insegnaci a non abbandonare il cammino che abbiamo iniziato, e a cercare in te, e nella comunità il sostegno nei momenti difficili.

Vieni Spirito della testimonianza
E insegnaci a dare testimonianza del tuo amore, della bellezza di Dio, della gioia che nasce dal Vangelo vissuto giorno per giorno.

Vieni Spirito dell'ascolto
E insegnaci a cercare nelle parole della Bibbia e nelle parole della cronaca il dialogo con Dio e con i fratelli per condividere con tutti la gioia del Vangelo.

Vieni Spirito della festa

E insegnaci a celebrare con gioia e costanza l'incontro con te nella comunità domenicale.

cresimaSpirito Santopentecoste

inviato da Don Remigio Menegatti, inserito il 30/06/2017

PREGHIERA

3. Siamo qui   1

Paolo VI, La vita in Cristo e nella Chiesa, maggio 2014, pag. 53

Siamo qui, Signore Gesù.
Siamo venuti come colpevoli che ritornano
al luogo del loro delitto.
Siamo venuti come colui che ti ha seguito,
ma ti ha anche tradito,
tante volte fedeli e tante volte infedeli.
Siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto
tra i nostri peccati e la tua Passione,
l'opera nostra e l'opera tua.
Siamo venuti per batterci il petto
e domandarti perdono,
per implorare la tua misericordia.
Siamo venuti perché sappiamo che tu puoi,
che tu vuoi perdonarci
perché hai espiato per noi.

Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza.

* Preghiera pronunciata dal Papa il 4 gennaio 1964 nel Santo Sepolcro, durante lo storico viaggio a Gerusalemme

passionepeccatomisericordia di Diosalvezzagiovedì santovenerdì santopasqua

inviato da Giuseppe Impastato, inserito il 20/02/2017

TESTO

4. Risposta viva alla chiamata di Dio

Frère Roger

La nostra vita acquista significato quando è innanzi tutto risposta viva alla chiamata di Dio. Ma come riconoscere una tale chiamata e scoprire ciò che Dio si aspetta da noi? Dio si aspetta che siamo un riflesso della sua presenza, portatori di una speranza del Vangelo. Chi risponde a questa chiamata non ignora le proprie fragilità, così custodisce nel suo cuore queste parole di Cristo: "Non temere, continua a fidarti!".

sequelavocazionechiamatarispostafragilitàfiducia

inviato da Paola Berrettini, inserito il 26/08/2016

PREGHIERA

5. Resta con noi, Signore, perché si fa sera

Antonietta Milella, Commento al Vangelo

Quando le parole non bastano, specialmente quelle scritte dalla tua mano.
Quando non basta che sei venuto a spiegarcele con la tua vita e a testimoniarne la verità con la tua morte.
Quando non basta tutto questo per riconoscerti nel compagno di viaggio che parla con noi.
Quando siamo tristi e smarriti perché pensiamo che te ne sei andato per sempre, nella maniera più atroce, triste e dolorosa e ci hai lasciati irrimediabilmente soli, senza speranza...
Ti prego, fermati a mangiare con noi.
La sera, il buio fa più paura, se tu non ci sei.

Rimani con noi, riposati un po', prima di riprendere il viaggio attraverso le strade del mondo.
Signore, resta con noi che non ancora riusciamo a capirti, non ancora riusciamo a capacitarci che sei andato a morire.
Signore, resta con noi ancora un poco, forse il miracolo di vederti risorto anche noi potremo vederlo, se ci aprirai gli occhi al tuo folgorante mistero.
Torna a spezzare quel pane che la sera prima di morire distribuisti ai tuoi discepoli, invitandoli a fare altrettanto, in memoria di te, perché tutti ne avessimo sempre.
Fatti conoscere nella quotidianità di un gesto così tanto familiare, non capito, dimenticato, quando solennemente lo benedicesti, perché non rimanessimo mai senza di te, mai ci sentissimo soli, mai pensassimo che te ne eri andato per sempre.

Ti voglio incontrare, Signore nel pane spezzato, un gesto che non abbiamo capito abbastanza, ti vogliamo, Signore, riconoscere nella semplicità di ciò che tu hai trasformato in segno indelebile di te che sei il Cristo morto e risorto per noi.
Vogliamo, Signore, incontrarti e abbracciati per sempre, sicuri che non te ne andrai, convinti che quand'anche fosse, hai dato ai tuoi ministri il potere di renderti vivo e presente nell'Eucaristia.
A torto abbiamo pensato che ci avevi illusi, dicendo che saresti stato sempre con noi, sbagliavamo quando ti abbiamo visto morire e non abbiamo creduto che saresti risorto, invano ti stavamo cercando senza guardarti nel volto, senza ascoltare parole che ci avrebbero dato speranza.

Ma ora che il pane è stato spezzato, ora sì che ho capito e ho gioito, perché a tutto tu avevi pensato prima di tornare dal Padre, trasformandoti in cibo e bevanda perenne, per quelli che avevano fame e sete di te.
Grazie Signore perché ora so che tu sei risorto davvero e per sempre.
Grazie, perché ora so dove trovarti.

preghieraeucaristiadiscepoli di emmaus

5.0/5 (3 voti)

inviato da Antonietta Milella, inserito il 05/05/2015

TESTO

6. Essere fedeli al proprio servizio   2

Un sacerdote pone alcune domande a una famosa benefattrice, poco prima della sua morte. "Non pensa che ciò che lei ha fatto è una goccia d'acqua in mezzo ad un'immensità di bisogni?". Risposta: "La sola cosa importante è la fedeltà personale".

Bella lezione! E' ben vero che non possiamo prendere su di noi tutti i problemi del mondo. Ma ciò che Dio richiede da ciascuno di noi è la fedeltà, è una marcia coerente con la nostra fede; è rispondere al bisogno che è posto davanti a noi.

Non dobbiamo forse riconoscere che troviamo spesso dei pretesti per non fare ciò che è posto davanti a noi? Ci stimiamo sovraccarichi di doveri che riteniamo imperativi, sollecitati da tante urgenze che potrebbero attendere, preoccupati da tanti pensieri talvolta ingiustificati.

Molto spesso, simili al sacerdote o al levita della parabola del buon Samaritano (Lc 10,25-37) vediamo il nostro prossimo nelle difficoltà, ma "passiamo oltre" poiché questa è la soluzione più facile.

Bisogna forse ricordare che il buon Samaritano - bella immagine del Signore Gesù Cristo - ha visto il ferito, si è fermato, si è avvicinato, si è chinato su di lui, l'ha curato e lo ha portato in un luogo sicuro?

Tra i nostri vicini, forse il vicino di casa, o nella nostra Chiesa, esistono certamente delle anime ferite dalla vita moderna, che giacciono (moralmente) sul ciglio della strada, incapaci di rialzarsi. Che cosa facciamo per loro?

buon samaritanofedeltàimportanza del singoloimportanza delle piccole coseindifferenzasolidarietà

4.0/5 (2 voti)

inviato da Maria Maistrini, inserito il 23/09/2012

PREGHIERA

7. Preghiera allo Spirito Santo   1

Benedetto XVI, Discorso del Santo Padre Benedetto XVI all'assemblea della CEI, 24 maggio 2012

Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull'abisso,
aiuta l'umanità del nostro tempo a comprendere
che l'esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto del mondo,
e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la libertà
e la società tutta si edifica nella giustizia.

Spirito di Pentecoste, che fai della Chiesa un solo Corpo,
restituisci noi battezzati a un'autentica esperienza di comunione;
rendici segno vivo della presenza del Risorto nel mondo,
comunità di santi che vive nel servizio della carità.

Spirito Santo, che abiliti alla missione,
donaci di riconoscere che, anche nel nostro tempo,
tante persone sono in ricerca della verità sulla loro esistenza e sul mondo.
Rendici collaboratori della loro gioia con l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo,
chicco del frumento di Dio, che rende buono il terreno della vita e assicura l'abbondanza del raccolto.
Amen.

Spirito SantochiesamissioneannunciotestimonianzaPentecoste

5.0/5 (3 voti)

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 25/05/2012

TESTO

8. Riconoscere Cristo   3

Madre Teresa di Calcutta

Se non sai riconoscere Cristo nei poveri, non saprai riconoscerlo neppure nell'Eucaristia, perché un'unica fede illumina i due misteri.

eucaristiafedericonoscere Cristopoveripovertàpresenza di Cristo

inviato da Qumran2, inserito il 05/03/2012

TESTO

9. Il significato dell'Avvento   9

Tonino Bello

Avvento è essere convinti
che il Signore viene ogni giorno,
ogni momento nel qui
e nell'ora della storia,
viene come ospite velato.
E, qui, saperlo riconoscere:
nei poveri, negli umili, nei sofferenti.
Avvento significa in definitiva:
allargare lo spessore della carità!
Tanti auguri scomodi, allora!

avventonatalepoveriincarnazionericonoscere Gesùcarità

5.0/5 (4 voti)

inviato da Laura Alessi, inserito il 13/12/2011

ESPERIENZA

10. Alzati e fatti riconoscere   1

Anthony De Mello, Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni, p. 119

Per dire la verità così com'è ci vuole molto coraggio se si appartiene a un'istituzione.
Per sfidare l'istituzione stessa ci vuole ancora più coraggio. Fu questo che fece Gesù.

Quando Kruscev pronunciò la famosa denuncia dell'epoca staliniana, si dice che qualcuno, in parlamento, abbia esclamato: "Dov'eri tu, compagno Kruscev, quando tutte queste persone innocenti venivano massacrate?".
Kruscev smise di parlare, girò lo sguardo nella sala e disse: "Per favore, si alzi chi ha detto questo".
Ci fu grande tensione nella sala. Nessuno si alzò.
Allora Kruscev disse: "Bene, ora hai la risposta, chiunque tu sia. Io ero allora nella stessa identica posizione in cui tu ora ti trovi".

Gesù si sarebbe alzato.

coraggiotestimonianzacoerenza

5.0/5 (3 voti)

inserito il 08/11/2011

PREGHIERA

11. Ti salutiamo Croce di Cristo

Ti salutiamo, Croce di Cristo,
legno che ha portato il suo corpo donato per noi
nuova arca della nuova ed eterna alleanza
trono e altare dove Cristo, re e sacerdote regna per sempre.

Ti salutiamo, Croce di Cristo
e ti preghiamo per tutti i giovani
che vivranno in queste settimane un momento di grazia
nel loro cammino di fede
e nel cammino verso la Giornata mondiale della Gioventù.

Ti salutiamo, Croce di Cristo,
documento che sigilla e conferma
il riscatto che Cristo ha pagato per noi
per liberarci per sempre dal peccato.

Ti salutiamo, Croce di Cristo,
dove viene immolato l'Agnello di Dio
colui che prende su di sé il nostro peccato
e lo estirpa dal mondo e dal cuore dell'uomo.

Ti salutiamo, Croce di Cristo,
speranza di un'umanità nuova, liberata dal peccato,
uomini e donne disposti a riconoscere come fratello e sorella
per la potenza di chi, su di te inchiodato, ha donato la vita.

Ti salutiamo, Croce di Cristo,
che appari a noi spoglia, nuda, senza il Crocifisso
sei la conferma che lui è risorto, è vivo
sei la certezza che lui è il re vittorioso
donato dal Padre per redimere i fratelli.

crocecrocifissoquaresimavenerdì santo

4.5/5 (2 voti)

inviato da Don Remigio Menegatti, inserito il 19/04/2011

PREGHIERA

12. Preghiera per il Mercoledì delle Ceneri   1

don Roberto Seregni

Ti preghiamo, Signore Gesù,
fa' che questa cenere che scenda sulle nostre teste
con la forza della grandine
e ci svegli dal torpore del peccato.
Fa' che questi quaranta giorni
siano un occasione speciale per convertire il nostro cuore a te,
e rimetterti al primo posto della nostra vita.
Donaci di saper riconoscere il tuo passaggio
e di vivere ogni istante con la certezza
che tu cammini in mezzo a noi,
che tu sai aspettare il nostro passo lento e insicuro;
che tu sai vedere in noi
quello che nemmeno sappiamo immaginare.
In questi quaranta giorni,
metti nel nostro cuore desideri
che palpitino al ritmo della tua Parola.
Maria aggiunga ciò che manca alla nostra preghiera.
Amen.

Mercoledì delle Ceneriquaresimaconversione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 08/03/2011

PREGHIERA

13. Preghiera a Maria, Madre della Moltitudine

Madre Elisabetta - Carmelo di Legnano

Maria, vergine di Nazareth
e crocevia di una moltitudine di volti.
Tu sei la Madre dell'unico Signore
che in te si è fatto carne
per venire ad abitare in mezzo a noi.
La Parola che in te ha seminato
il Vangelo della nostra speranza
educhi i nostri cuori
a tessere legami di fraternità
e progetti di pace.
Tu, anello della generazione
della catena umana,
sei all'origine della storia della salvezza
e nello svuotamento di ogni tuo progetto
rendi possibile il riscatto dell'uomo.
Tutta l'umanità,
desiderio insaziato sulle strade del mondo,
cammina verso di te
casa dell'Umanità di Gesù.
Noi oggi così ti preghiamo:
aiutaci a riconoscere con trasparente sguardo
dentro la storia anonima dei giorni
che tutti siamo nati da uno stesso amore
e tutti destinati ad una fraternità universale.
Amen.

mariasalvezzaumanitàquotidianofraternità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 01/03/2011

ESPERIENZA

14. La gente chi dice che io sia?

Domenica. Giorno di festa, di riposo dallo stress. Mi allontano con fatica dal tepore del letto e mi incammino verso la chiesa, per la Messa. Fatica, certo, ma anche gioia trepidante nell'attesa di quel momento di sosta nel quale dire il mio grazie per la settimana passata e per quella che mi viene donata.

Sulle panche lucide, con una strana predilezione per il fondo della chiesa, siedono composte le signore impellicciate, le bambine con il vestitino nuovo, le mamme e i papà, le vecchiette ferventi. Comincia la Messa. Il Vangelo è quello in cui Gesù domanda: «La gente chi dice che io sia?».

Sono tanto assorta nell'omelia che non mi accorgo di un fermento crescente alle mie spalle, fino a che comincio a sentire chiaramente frasi del tipo: «E' una vergogna!», «Serena, non guardare, ascolta la Messa!», «Andrea, fai finta di niente!», «Qualcuno la faccia uscire!».

Mi volto, e mi accorgo che una delle tante sedie vuote è ora occupata da una vecchia vagabonda che ho già visto qualche volta. È una donna sola, alcoolizzata, che non ha una casa; vive in un mondo suo e si porta sempre dietro un borsone lurido come i suoi vestiti. Di solito in chiesa viene quando piove e non c'è nessuno: allora, chi entra viene accolto dal canto melanconico della sua voce stentata.

Le signore con la pelliccia sono scandalizzate e le mamme si tengono stretti i loro bambini, come se da un momento all'altro la donna potesse mangiarli in un boccone!

La Messa è interrotta, mentre il brusio aumenta. Alla fine due volontari della Croce Rossa intervengono e conducono fuori la donna. Tutti tirano un sospiro di sollievo: dopotutto i bambini sono salvi, no?!

Il prete riprende l'omelia scusandosi per lo spiacevole inconveniente.

«La gente chi dice che io sia?».

Assisto sgomenta al triste spettacolo dell'ipocrisia di sempre.

"La Messa è finita: andate in pace!". Ma quale pace?!

"Vedete, fratelli, duemila anni fa, gli apostoli risposero a Gesù dicendo: «La gente pensa che tu sia Geremia, altri che sei Elia, altri dicono che sei un profeta». Oggi credo che la risposta giusta sia: Gesù è una povera vecchia, che non ha nessuno e non ha una casa; senza qualcuno che si prenda cura di lei e con cui ridere; rifiutata dalla gente che incontra perché è diversa...e non ha la pelliccia".

Se il prete avesse detto queste parole, cosa sarebbe successo?

diversitàcaritàrapporto con Dioriconoscere Gesù

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristina Carmagnola, inserito il 10/11/2010

TESTO

15. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

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inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

RACCONTO

16. Il Natale di Martin   1

Leone Tolstoi

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: - La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.

Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi».
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole:
- Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.

L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso.
Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno.
- Entra - disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica! - rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera - rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.

Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa.
- Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l'accompagnò alla porta.

Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava.
Dopo un po', vide una donna che vendeva mele da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.

Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio:
- Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: «Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l'avete fatto a me».
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

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inviato da Qumran2, inserito il 24/11/2009

TESTO

17. Decalogo della coppia, immagine dell'unione di Cristo con l'umanità   3

Elaborato dai gruppi famiglie Parr. SS. Salvatore, Biancavilla, CT

1°. Dono all'altro senza condizione.
Come Gesù si è donato all'Umanità.

2°. Fedeltà, avere fiducia nell'altro.
Come Gesù resta sempre accanto all'Umanità.

3°. Dialogo, apertura verso l'altro.
Come Gesù parla alla sua Sposa.

4°. Preghiera, raccogliersi insieme per dialogare con Dio.
Come Gesù implora il Padre per la sua Sposa

5°. Perdono, riconoscere le fragilità di entrambi.
Come Gesù si accosta e rialza la sua Sposa caduta.

6°. Testimonianza, mostrare l'amore di Dio.
Come lo ha testimoniato Gesù.

7°. Coerenza, essere sempre presenti.
Come Gesù resta sempre accanto all'Umanità.

8°. Amicizia, raccontare se stessi.
Come Gesù ha parlato del Padre.

9°. Perseveranza, essere forti nella prova.
Come Gesù ha abbracciato la croce per la sua Sposa.

10°. Sacrificio, rinunciare a se stessi.
Come Gesù si è offerto per l'umanità.

coppiaamorematrimoniofamigliasposi

5.0/5 (1 voto)

inviato da Mariella Tirendi, inserito il 20/09/2009

TESTO

18. Le beatitudini oggi   1

Tonino Bello, Alle porte del regno

Ce l'hanno spiegata con mille sfumature, e vien quasi da pensare che ogni biblista abbia un suo modo di leggere questa pagina delle beatitudini: l'unica che vorremmo salvare, se di tutti i libri della terra si dovesse sottrarre all'incendio solo il Vangelo e di tutto il Vangelo si dovesse preservare dalle fiamme soltanto una sequenza di venti righe.

Si intuisce subito che queste parole pronunciate da Gesù nascondono promesse ultraterrene.

Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero. Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni. Traducono, come nessun altro frasario umano, le nostre nostalgie di futuro, e ci proiettano verso quei cieli nuovi e terre nuove in cui la settimana si accorcia a tal punto da conoscere solo il sabato eterno.

Imprigionano il "non ancora" - sempre abbozzato e mai esploso pienamente - di quel "risus paschalis" che ora sperimentiamo solo nella smorfia delle nostre troppo rapide convulsioni di letizia per cedere subito il posto all'amarezza del pianto.

Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c'è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso "regno dei cieli", la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità. Sì, Gesù vuol dare una risposta all'istanza primordiale che ci assedia l'anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. E' l'unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l'uomo. Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale.

Beati: provocazione all'impegno

Che cosa significhi il termine "beati" è difficile spiegarlo.

C'è chi ha voluto specularci sopra, capovolgendo addirittura il senso delle parole del Signore per utilizzarle a scopi di imbonimento sociale. Quasi Gesù avesse inteso dire: state buoni, poveri, perché la misura della vostra felicità futura sarà inversamente proporzionale alla misura della vostra felicità presente. Anzi, quante più sofferenze potete collezionare in questa vita, tanto più vi garantite il successo nell'altra.

E' questo un modo blasfemo di leggere le beatitudini, perché spinge i poveri all'inerzia, narcotizza i diseredati della terra con le lusinghe dei beni del cielo, contribuisce a mantenere in vigore un ordine sociale ingiusto e, in un certo senso, legittima la violenza di chi provoca il pianto degli oppressi dal momento che a costoro, proprio per mezzo delle lacrime, viene offerto il prezzo per potersi pagare, in contanti, il regno di Dio. C'è invece, chi ha visto nella formulazione delle beatitudini un incoraggiamento rivolto ai poveri, agli afflitti, agli umili, ai piangenti, ai perseguitati... per sostenerli con la speranza dei beni del cielo. Quasi Gesù avesse inteso dire: se a un certo punto vi sentite sfiniti per le ingiustizie che patite, tirate avanti lo stesso e consolatevi con le promesse della felicità futura. Guardate a quel che vi toccherà un giorno, e questo miraggio di beatitudine vi spronerà a camminare, così come il desiderio del riposo accelera e sostiene i passi di chi, stanchissimo, sta tornando verso casa.

Anche questo è un modo stravolto di leggere le beatitudini. Meno delittuoso del primo, ma pur sempre alienante e banale. Perché punta sull'idea della compensazione. Perché con la lusinga della meta, non spinge la gente a mutare le condizioni della strada. Perché se non proprio a rassegnarsi, induce a relativizzare la lotta, ad arrendersi senza troppa resistenza, a vedere i segni della ineluttabilità perfino dove sono evidenti le prove della cattiveria umana e a leggere i soprusi dell'uomo come causa di forza maggiore.

E c'è finalmente, il modo legittimo di leggere le beatitudini. Che consiste, essenzialmente, nel felicitarsi con i senzatetto e i senza pane, come per dire: complimenti, c'è una buona notizia! Se tutti si son dimenticati di voi, Dio ha scritto il vostro nome sulla palma della sua mano, tant'è che i primi assegnatari delle case del regno siete voi che dormite sui marciapiedi, e i primi a cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi che ora avete fame.

Felicitazioni a voi che, a causa della vostra mitezza, vi vedete sistematicamente scavalcati dai più forti o dai più furbi: il Signore non solo non vi scavalca nelle sue graduatorie ma vi assicura i primi posti nella classifica generale dei meriti.

Auguri a tutti voi che state sperimentando l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri: c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi, e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia.

Rallegratevi voi che, in un mondo sporco di doppi sensi e sovraccarico di ambiguità camminate con cuore incontaminato, seguendo una logica che appare spesso in ribasso nella borsa valori della vita terrena ma che sarà un giorno la logica vincente.

Su con la vita voi che, sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile anche sulla terra: non lasciatevi scoraggiare dal sorriso dei benpensanti, perché Dio stesso avalla la vostra testardaggine.

Gioia a voi che prendete batoste da tutte le parti a causa della giustizia: le vostre cicatrici splenderanno un giorno come le stimmate del Risorto!

Perché di essi sarà...

Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.

Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace... siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei "poveri", ci interessa fino a un certo punto.

E neppure ci interessa molto sapere se i poveri "in spirito" siano una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.

Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.

Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta... vengono presentate come partecipazione all'esperienza pasquale di Cristo che, attraverso la morte, è entrato nella gloria.

E allora; se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il Cristo l'archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di risurrezione!

La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo, queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le "chances" della loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera espressiva che non lascia dubbi interpretativi: "...perché di essi sarà..."

Quel "...perché di essi sarà..." rappresenta il titolo giuridico di possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di avere non solo la "legittima" ma l'intero asse patrimoniale del regno. E' un passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno può avere il coraggio di impugnare. E', insomma, il timbro a secco che autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito notarile.

La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte all'eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o, almeno, i poveri dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi.

Insomma, o ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri, o ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri.

Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel "Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".

E' la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello delle beatitudini, che sorregge quell'arcata di impegno che ha la chiave di volta nell'opzione dei poveri.

Beati o benedetti

Veniamo a sapere, dunque, che, come titolo valido per l'usufrutto del regno, esiste un'alternativa al titolo di "povertà": quello della "solidarietà" con i poveri. Diventare, cioè, così solidali con loro da esserne il prolungamento. Fare tutt'uno con loro, così da esserne considerati quasi la protesi.

Se si vuole entrare nel regno della felicità perciò occorre vistare il passaporto o col titolo di "beati" o col titolo di "benedetti".

E' splendida l'esortazione che al termine della messa nuziale viene pronunciata sugli sposi: "Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre".
"Beati... perché di essi sarà...".
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi..."

Non potrà mai dimenticare lo stupore di Mons. Gasparini, vescovo missionario nel Sidamo, quando un giorno, indicandomi un gruppo di bambini etiopi, dagli occhi sgranati per fame, dalle gambe filiformi, devastati dalle mosche sul corpo scheletrito, mi disse quasi sottovoce: "Vedi: che questi bambini siano figli di Dio non mi sorprende più di tanto. E neppure che siano fratelli di Gesù Cristo. Ma ciò che mi sconcerta e mi esalta è che questi poveri siano eredi del paradiso! Sembra un assurdo. Ma è proprio per annunciare quest'assurdo, che sono felice di aver speso tutta la mia vita in mezzo a questa gente". "Beati... perché di essi..."
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi...".

Il Signore ci conceda che, nel mazzo delle carte d'identità racchiuse da quei due pronomi personali, un giorno, col visto d'ingresso, poco importa se con la sigla "beati" o con la sigla "benedetti", egli possa trovare anche la nostra.
E ci riconosca. Alle porte del regno.

beatitudiniregno di Diobeatipovertàsolidarietà

inviato da Qumran2, inserito il 06/08/2009

RACCONTO

19. Il pinguino colorato   5

Bruno Ferrero, Storie belle e buone

Quando mise fuori la testa dall'uovo, fu accolto dalla felicità di tutti.
La comunità dei pinguini dell'Isola Azzurra si strinse intorno a Priscilla e Dagoberto, i suoi genitori, che avevano gli occhi luccicanti e non stavano più nel frac per l'orgoglio.
Perché Filippo era davvero un bel neonato di pinguino.
Aprì il becco ed emise un robusto vagito. Tutti i pinguini presenti applaudirono.
"È un ottimo segno!" disse lo zio Fortebecco.
"È impaziente di affrontare la vita".
Filippo, in effetti, partì alla carica della vita con una gran dose di energia.
Appena le sue zampette furono abbastanza robuste, si allontanò dallo sguardo premuroso dei genitori per infilarsi fra i più discoli dei piccoli pinguini della comunità.
Erano tutti più anziani di lui, ma nessuno lo batteva in coraggio e temerarietà.

Fu Filippo il primo piccolo di pinguino che osò scivolare dalla punta del grande iceberg fino al mare, anche se poi non potè sedersi per due settimane a causa del bruciore sotto la coda.

Fu sempre Filippo, il coraggioso piccolo pinguino, che portò via la colazione all'enorme e spaventoso tricheco Baffodiferro.

Nella banda dei "pinguini irsuti", chiamati così perché si rifiutavano sistematicamente di lasciarsi pettinare le piume del capo dalle loro mamme, Filippo divenne l'incontrastato boss.

"Perché sei sempre così agitato, Filippo mio?", gli chiedeva la mamma, un po' in ansia per quel figlio che cresceva così scapestrato.

Con gli amici, Dagoberto era sinceramente preoccupato:
"Quel monello ha bisogno di una bella strigliata!"
Così spesso, alla sera, Dagoberto, Priscilla e Filippo rappresentavano, senza volerlo, la versione pinguinesca del processo di Norimberga.
"E' tutta colpa tua!".
"No, tua!".
"E' colpa di Filippo!".
La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava:
"Non ne posso più!".

I colori della vita
Un giorno il pinguino Filippo se ne stava sdraiato su una roccia a picco sul mare ed osservava annoiato il formicolio dei pinguini della comunità.
Sembravano tutti felici; lui, invece si sentiva pieno di amarezza.
"Che barba! Un posto tutto bianco, grigio e nero. Dove nessuno si fa i fatti suoi... Deve pur esserci un paese colorato. Pieno di gente colorata. Potrei diventare anch'io pieno di colori... Non ne posso più di questa camicia bianca e di questo ridicolo frac!"
E, impulsivo com'era, si lasciò scivolare giù dalla roccia, si tuffò tra le onde e nuotò via dall'Isola Azzurra.

Approdò alla Terraferma.
Gli avevano sempre raccomandato di evitare il litorale. I pinguini si tenevano prudentemente alla larga dagli anfratti in ombra degli scogli, dove le onde infrangevano con violenza rabbiosa, e foche, piccoli cetacei e altri predatori si acquattavano per far strage degli imprudenti.

"Adesso sono libero e faccio come mi pare", si disse Filippo.
Si arrampicò a fatica e si incamminò sulla spiaggia.
Un forte sbattere d'ali alle sue spalle lo mise in guardia. Un giovane cormorano aveva deciso di attaccarlo.
Ma Filippo era robusto e dotato di un becco forte e tagliente.
Lottarono per un po', facendo volare piume da tutte le parti.
Filippo ci mise tutta la sua rabbia. Il cormorano cominciò a perdere sangue da una ferita alla gola e si spaventò. Si ritirò dal combattimento e volo via lamentandosi e imprecando.
"Aah!", fece Filippo, gonfiando il petto con soddisfazione.
Alcune gocce di sangue del cormorano erano finite sulle sue piume bianche. Il pinguino guardò le macchie rosse e disse:
"Bene! Comincio ad essere colorato".
Ondeggiando, ma più che mai risoluto a continuare la sua esplorazione, Filippo si inoltrò tra le rocce.
"Ehi, amico!!", Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Era pronto di nuovo a combattere, ma di fronte si trovò solo un gabbiano giovane e inoffensivo.
"Ti ho visto sistemare il cormorano", disse il gabbiano. "Sei un duro, tu".
"Certo", rispose Filippo.
"Ti invito a pranzo", insinuò furbescamente il gabbiano.
"Che cosa vuoi dire?".
"Andiamo a rubare le uova dai nidi delle rondini di mare, che ne dici? In due non oseranno farci niente".
Fecero una scorpacciata di uova.
Le povere rondini di mare tentarono invano di difendere i loro nidi. I due briganti mulinavano ali e becchi.
Alla fine, Filippo si guardò il petto: era tutto macchiato dal giallo e arancione dei tuorli d'uovo.
"Altri colori!", si disse. "Questa è vita".
Dietro di lui, si sentiva solo il disperato pigolare delle rondini di mare, che piangevano i nidi e le uova distrutti.

Il grande salto
Si installò in una grotta di ghiaccio azzurra, e ne fece il suo covo.
Un gruppetto di gabbiani e perfino un'otaria con un occhio solo lo riconobbero come capo banda.
Le scorribande del gruppetto furono ben presto temute da tutti.
Filippo veniva chiamato semplicemente "Il pinguino colorato". Infatti la sua elegante livrea bianca e nera era sparita sotto i segni delle imprese che aveva affrontato.
Oltre il rosso del sangue e il giallo delle uova rubate, c'erano tracce verdi, azzurre e anche ciuffi di pelo argentato, che gli erano rimasti attaccati dopo un' epica lotta contro un Husky randagio.
Ma che serviva essere diventato davvero il primo pinguino a colori, se non poteva farsi ammirare dai suoi vecchi amici e dalla sua famiglia?
Il pensiero dell'Isola Azzurra prese a torturarlo.
Anche se non voleva ammettere, sentiva un bel po' di nostalgia dell'allegra comunità dei pinguini.
"Avere una vita colorata non è proprio come me la immaginavo", si diceva sempre più spesso.
Quella esistenza di fughe, attacchi, lotte e brigantaggio non gli piaceva più tanto.

Un mattino riprese la via del mare e tornò a casa
I primi pinguini dell'Isola Azzurra che incontrò erano dei piccoli che giocavano sulle lastre di ghiaccio galleggianti.
Appena lo videro si misero a strillare e scapparono gridando:
"Un mostro! Un mostro!".
Gli adulti fecero largo al suo passaggio, ma non per fargli onore. Lo guardavano tutti con una sorta di ribrezzo.
"Ma perché? Idioti, sono io, non mi riconoscete?", brontolava Filippo.
"Filippo, figliuolo, lo sapevo che saresti tornato". La mamma naturalmente lo riconobbe, ma non osò abbracciarlo.
"Ma in che stato sei...".
"Bentornato, Filippo", gli disse anche il papà. Ma non lo toccò.
Le comari tutt'intorno borbottavano: "Che disgrazia! Poveri genitori...".
Per la prima volta nella sua vita, a Filippo venne voglia di piangere.
Improvvisamente comprese che i suoi colori continuavano a tenerlo lontano; lo rendevano straniero alla comunità dell'Isola Azzurra.
Mentre lui, solo adesso, si accorgeva che soltanto lì poteva essere veramente felice.

Ma come si fa a tornare indietro?
"Papà", chiese.
"Vorrei cancellare questi colori e ricominciare, se è possibile".
Dragoberto esitò, poi guardò Filippo negli occhi e disse:
"C'è un mezzo solo: devi tuffarti dalla Grande Cascata. Laggiù l'acqua è così violenta e rapida che nessun colore può resistere. Ma è tremendamente rischioso. Ci vorrà il tuo coraggio. Te la senti di farlo?".
"Si, papà".
La voce si sparse in un attimo.
Nel giro di pochi minuti c'erano tutti, grandi e piccoli, intorno alla grande cascata.
Non riuscirono a trattenere un "Oh!" sincero quando in alto, dove il fiume precipitava in mare con un fragoroso boato, apparve Filippo. Sembrava così piccolo lassù.
Rimase un attimo fermo a concentrarsi, poi spiccò il salto.
Un salto stupendo, come se improvvisamente gli fossero spuntate le ali.
La corrente lo ghermì come un fuscello e lo scagliò violentemente nel mare ribollente e schiumante.
Il pinguino sparì nel vortice. Tutti trattennero il fiato.
Poi ad un tratto Filippo riemerse.
La forza stessa dell'acqua lo proiettò in alto e tutti videro che le sue piume erano diventate immacolate e che i colori erano scomparsi.
Allora esplosero in un festoso: "Urrà!", che coprì perfino il tuonare dell'acqua.



L'esperienza nascosta nel racconto:
Il pinguino Filippo è annoiato dalla vita di tutti i giorni che è soltanto "bianca, grigia e nera". Sono molti i ragazzi di oggi che considerano noioso ciò che è normale.
La cultura in cui sono immersi è sempre alla ricerca di eccitanti per i sensi, per la mente, per lo spirito.
Questa ricerca travolge limiti e regole. Filippo cerca i colori, li trova diventando ingiusto, ladro, cattivo.
Soltanto quando è davvero diventato colorato si accorge del prezzo da pagare: l'insoddisfazione personale e soprattutto l'allontanamento dalla sua famiglia e dalla comunità. È il prezzo del male, del peccato: essere tagliati fuori, perdere l'identità.
Ma nella comunità dell'Isola Azzurra c'è il modo di cancellare tutto, di ricominciare. E' quello che succede nella Chiesa: Dio ci dà la possibilità di cancellare tutti i colori sbagliati.
Bisogna solo avere il coraggio di buttarsi nella Grande Cascata dell'Amore infinito di Dio che è il Sacramento della Riconciliazione.

Per il dialogo:
L'educatore deve aiutare i ragazzi a percepire il significato simbolico della storia del pinguino Filippo e a riflettere contemporaneamente sulla realtà che anche loro stanno vivendo. Lo può fare con alcune domande:
- Perché il pinguino Filippo decide di partire dalla sua isola?
- Vi è mai venuta la voglia di "mollare tutto"? Quando? Perché?
- Secondo voi, che cosa sono i colori che Filippo cerca?
- Di che tipo sono i colori che Filippo trova? Vi ricordano qualcosa?
- Ci sono certe cose che i ragazzi di oggi desiderano ma che, secondo voi, sono un male? Ne sapete ricordare qualcuna?
- Perché Filippo non viene riconosciuto e accettato nella sua comunità?
- Nella nostra comunità parrocchiale c'è qualche modo particolare per riconoscere di aver sbagliato e per riaccettare quelli che riconoscono di aver commesso il male?

Per l'attività:
I ragazzi possono fare l'esame di coscienza con un cartellone sul quale si trovano i "colori sbagliati": (il rosso dell'ira, il giallo dell'invidia, il viola delle parolacce, il rosa della pigrizia, ecc...)

Anche la Bibbia racconta...
L'evangelista Giovanni (13, 21-30), racconta il tradimento di Giuda e lo conclude con queste parole: "Egli subito uscì. Ed era notte". Il peccato è uscire dalla luce della comunità degli amici di Gesù ed entrare nella notte.

riconciliazioneperdonoconfessionediversitàpeccato

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inviato da Qumran2, inserito il 17/07/2009

PREGHIERA

20. Missionari ogni giorno

Giuditta De Feo

Signore Gesù,
missionario del Padre,
hai inviato gli apostoli
inondati dal tuo Spirito
ad annunciare il tuo Vangelo
fino agli estremi confini della terra.

Oggi ti fidi di noi
ci invii ad annunciare
la tua parola.

Ti preghiamo
per quelle anime generose
che lasciano la propria famiglia,
la propria casa
e si spingono
in terre sconosciute
per essere come te,
donare il pane...
donare te pane vivo
disceso dal cielo,
donare la propria vita
come hai fatto tu.

Signore, ti preghiamo
anche per il nostro "ricco occidente"
spesso cristiano solo di nome,
ma sempre più povero di te,
incapace di riconoscere il tuo amore,
perché amori passeggeri
attraggono sempre più...!

Aiuta, Signore
ciascuno di noi
a saper lasciare la terra
della "convenienza"
della comodità
per esserti testimone
in un ambiente
indifferente ai valori
da te proclamati.

Sostienici con il tuo spirito
per essere missionari
ogni giorno
lì dove ci chiami a vivere!

missionemissionarietàevangelizzazione

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inviato da Giuditta De Feo, inserito il 07/09/2008

TESTO

21. C'ero anch'io...   3

Mariangela Forabosco

C'ero anch'io, Signore Gesù, quella notte, nel giardino del Getsemani!
Ero lì, con i tuoi Apostoli ancora sconvolti per tutto quello che ti avevano sentito dire, quella sera; per quei piedi lavati proprio da te, il Maestro; per quel incomprensibile, straziante annuncio della tua imminente morte!

Ero lì, e ti ho visto piangere lacrime e sudare sangue, ti ho sentito implorare il Padre tuo di allontanare l'amaro calice della passione che sentivi vicino...io non capivo!

Avrei voluto inginocchiarmi accanto a te, sulle pietre aguzze, asciugare il tuo sudore di sangue, accarezzare il tuo volto sconvolto, implorarti di fuggire lontano, di metterti in salvo dalla crudeltà degli uomini, ma ti ho sentito dire:" Non sia fatta la mia, ma la tua volontà, Padre"!
Il peso di queste parole è stato troppo grande, per me: ti ho lasciato solo, mi sono allontanata e ho dormito, insieme ai tuoi apostoli.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quel mattino, nel pretorio di Pilato!
Ero lì, e sentivo la folla rumoreggiare, fuori; erano come impazziti, tanto da scegliere, urlando, la liberazione di Barabba e la tua condanna.

Ero lì, quando i soldati ti legavano alla colonna; ero lì, quando i flagelli incidevano la tua carne, quando la tua schiena si inarcava per il dolore atroce. Avrei voluto strappare di mano ai soldati quelle fruste che si accanivano sulla tua carne innocente, avrei voluto liberare quelle tue mani che avevano portato sollievo a tante persone, avrei voluto gridare la mia rabbia per tanto strazio, ma non ho saputo fare altro che rintanarmi in un cantuccio nascosto: ho avuto paura di svelare apertamente il mio amore per te, avevo paura di essere riconosciuta come tua sorella, tua amica e mi sono nascosta.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quel mattino, nel cortile del pretorio, quando Pilato ti consegnò ai soldati per la crocifissione!

Ero lì, quando l'intera coorte iniziò a torturare il tuo corpo martoriato dalla flagellazione. Ti rivestirono di porpora e, intrecciata una corona con pungentissime spine, te la conficcarono nel capo, profondamente; si inginocchiavano davanti a te, uomo dei dolori, dicendoti:"Salve, re dei Giudei!", e ti sputavano addosso e continuavano a percuotere il tuo corpo straziato.

Avrei voluto strappare spina per spina dal tuo capo, avrei voluto liberare il tuo santo corpo da tanta crudeltà, avrei voluto gridare a tutti che si ricordassero quante parole sananti avevi pronunciato, quanti peccati avevi perdonato, con quelle labbra ora tumefatte e sanguinanti. Invece, ancora una volta mi sono nascosta dietro le mie paure, la mia voglia di quieto vivere, la tentazione di non impicciarmi, di non rischiare, e sono fuggita.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quando, carico della croce, percorrevi la via che portava al luogo del supplizio. Tanta gente urlava, ai lati, e ti scherniva: erano gli stessi che la domenica delle Palme stendevano i loro mantelli sotto i tuoi passi e ti chiamavano "Figlio di Davide".

Ero lì, quando cadevi sotto il peso di quel legno! Avrei voluto togliertelo di dosso, asciugarti il volto come ha fatto la Veronica, offrirti dell'acqua, gridarti il mio dolore e la rabbia che provavo nel vederti sopportare così passivamente tanta crudeltà. Invece, non ho trovato il coraggio di farmi riconoscere; ho preferito assistere al tuo martirio senza compromettermi troppo.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quando i colpi del martello risuonavano nell'universo e il Figlio di Dio veniva inchiodato ad una croce, tra due malfattori. Ero lì, quando, ormai allo stremo, trovavi la forza di perdonare i tuoi carnefici "perché non sanno quello che fanno": così hai detto!

Ero lì, quando hai consegnato tua Madre a Giovanni e Giovanni a tua Madre; c'ero anch'io, in quella consegna; c'ero anch'io, in quel perdono; c'era anche la mia salvezza, in quel "tutto è compiuto"! Avrei voluto abbracciare quella croce, che tratteneva il tuo corpo ormai senza vita; avrei voluto strappare di mano la spada che ti ha trafitto il costato; avrei voluto dare la mia vita per la tua, ma, ormai, era troppo tardi, tutto era irrimediabilmente finito!

C'ero anch'io, Signore Gesù, davanti al sepolcro vuoto, quel mattino del primo giorno della settimana! Ero lì, con le altre donne, con Pietro, con Giovanni, con la Maddalena, a guardare stupita la pietra rimossa, le bende piegate, a chiedermi dove fosse il mio Signore.

Ero lì, e non capivo, perché la mia fede era provata duramente dalla tua morte, ma anche perché sapevo di averti lasciato solo, e il mio cuore mi suggeriva rimorso e rimpianto.

Ero lì, e piangevo e avrei voluto ancora una volta fuggire lontano, nascondermi al mio stesso dolore, consapevole che avevo cercato tanto il mio Signore, ma che la mia paura me l'aveva fatto perdere per sempre! Ed ecco che, improvvisamente, quando stavo per andarmene, sconsolata, ho sentito una voce dolcissima chiamarmi per nome: era la tua voce, Signore Gesù!

Eri tornato, eri vivo, eri lì, davanti a me; eri venuto a cercarmi e mi avevi trovata. I miei abbandoni, i miei tradimenti li hai presto dimenticati; hai voluto dirmi che tu sei il vivente, che non mi lascerai mai, che la morte è vinta per sempre ed io sto partecipando, insieme a tutta la creazione, alla tua risurrezione.

Cristo è risorto, alleluia!

crocepassionerisurrezionepasquaresurrezionepauratradimentogetsemanitestimonianzavergogna

5.0/5 (2 voti)

inviato da Mariangela Forabosco, inserito il 21/03/2008

TESTO

22. Siete lì   1

Madre Teresa di Calcutta, ai giovani durante un Congresso Eucaristico

Oggi fra i giovani del mondo, Gesù vive la propria passione nei giovani sofferenti, affamati, handicappati... in quel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché sa che, quando quel tozzo di pane sarà finito, non ce ne sarà più e avrà di nuovo fame.
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì con quel bambino?
E quelle migliaia che muoiono, non solo per un tozzo di pane, ma per un po' d'amore, di considerazione...
Ecco una stazione della Via Crucis. Siete lì?
E quando i giovani cadono, come Gesù è caduto più e più volte per noi, noi siamo lì come Simone il Cireneo, a risollevarli, a prendere su di noi la croce? I barboni, gli alcolizzati, i senzatetto vi guardano. Non siate come quelli che guardano senza vedere. Guardate e vedete.
Possiamo iniziare a percorrere la Via Crucis, passo dopo passo, con gioia.
Gesù si è fatto pane della vita per noi. Abbiamo Gesù, sotto forma di pane della vita a darci forza.

sofferenzariconoscere Gesùvia crucissolidarietàdoloreimpegnoresponsabilitàpovertà

inviato da Chiara Palmanti, inserito il 21/06/2005

TESTO

23. Andiamo fino a Betlemme (versione breve)

Tonino Bello

Andiamo fino a Betlem, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso.

Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dell'onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove egli continua a vivere in clandestinità. A noi il compito di cercarlo. E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua visita.

Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.

Allora, finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra anima sarà libero di smog, privo di segni di morte, e illuminato di stelle.

E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.

Clicca qui per la versione completa.

nataleincarnazionericerca di Diosperanza

inviato da Giovanni Vacca, inserito il 19/06/2005

PREGHIERA

24. Invocazione allo Spirito (versione lunga)

Tonino Bello, Parole d'amore

Spirito di Dio che agli inizi della creazione ti libravi sugli abissi dell'universo, e trasformavi in sorriso di bellezza il grande sbadiglio delle cose, scendi ancora sulla terra e donale il brivido dei cominciamenti. Questo mondo che invecchia, sfioralo con l'ala della tua gloria.
Dissipa le rughe. Fascia le ferite che l'egoismo sfrenato degli uomini ha tracciato sulla sua pelle. Mitiga con l'olio della tenerezza le arsure della sua crosta. Restituiscile il manto dell'antico splendore, che le nostre violenze le hanno strappato, e riversale sulle carni inaridite anfore di profumi.
Permea tutte le cose, e possiedine il cuore.
Facci percepire la tua dolente presenza nel gemito delle foreste divelte, nell'urlo dei mari inquinati, nel pianto dei torrenti inariditi, nella viscida desolazione delle spiagge di bitume.
Restituiscici al gaudio dei primordi. Riversati senza misura sulle nostre afflizioni.
Librati ancora sul nostro vecchio mondo in pericolo. E il deserto, finalmente, ridiventerà giardino, e nel giardino fiorirà l'albero della giustizia, e frutto della giustizia sarà la pace.

Spirito Santo che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza. Frantuma la corazza della nostra assuefazione all'esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure. Scuotici dall'omertà.
Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri.
E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e della ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.
Donaci la gioia di capire che tu non parli solo ai microfoni delle nostre Chiese.
Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei.

Spirito Santo che hai invaso l'anima di Maria per offrirci la prima campionatura di come un giorno avresti invaso la Chiesa e collocato nei suoi perimetri il tuo nuovo domicilio, rendici capaci di esultanza.
Donaci il gusto di sentirci "estroversi". Rivolti, cioè, verso il mondo, che non è una specie di chiesa mancata, ma l'oggetto ultimo di quell'incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa è stata costituita.
Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle vele perché, sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso impegno missionario ci solleciti a partire.
Se dobbiamo camminare sull'asciutto, mettici le ali ai piedi perché, come Maria, raggiungiamo in fretta la città. La città terrena. Che tu ami appassionatamente. Che non è il ripostiglio dei rifiuti, ma il partner con cui dobbiamo "agonizzare" perché giunga a compimento l'opera della Redenzione.

Spirito di Dio che presso le rive del giordano sei sceso con pienezza sul capo di Gesù e l'hai proclamato Messia, dilaga su questo corpo sacerdotale raccolto davanti a te.
Adornalo di una veste di Grazia. Consacralo con l'unzione, e invitalo a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, e a promulgare l'anno di misericordia del Signore.
Se Gesù ha usato queste parole di Isaia per la sua autoproclamazione nella sinagoga di Nazareth e per la stesura del suo manifesto programmatico, vuole dire che anche la Chiesa oggi deve farsi solidale con i sofferenti, con i poveri, con gli oppressi, con i deboli, con gli affamati e con tutte le vittime della violenza.
Facci capire che i poveri sono i "punti di entrata" attraverso i quali tu, Spirito di Dio, irrompi in tutte le realtà umane e le ricrei. Preserva, perciò, la tua sposa dal sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi sia il sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi sia l'indulgenza alle mode di turno, e non invece la feritoia attraverso la quale la forza di Dio penetra nel mondo e comincia la sua opera di salvezza.

Spirito Santo dono del Cristo morente, fa' che la Chiesa dimostri di aver ereditato davvero. Trattienila ai piedi di tutte le croci. Quelle dei singoli e quelle dei popoli. Ispirale, parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini. Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto e ripeta con il salmo "le mie lacrime, Signore, nell'otre tuo raccogli".
Rendila protagonista infaticabile di deposizione del patibolo, perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace sulle sue ginocchia di Madre. In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza.
E donale di non arrossire mai della Croce, ma di guardare ad essa come all'antenna della sua nave, le cui vele tu colmi di brezza e spingi con fiducia lontano.

Spirito di Pentecoste ridestaci all'antico mandato di profeti, dissigilla le nostre labbra, contratte dalle prudenze carnali. Introduci nelle nostre vene il rigetto per ogni compromesso. E donaci la nausea di lusingare i detentori del potere per trarne vantaggio.
Trattienici dalle ambiguità. Facci la grazia del voltastomaco per i nostri peccati. Poni il tuo marchio di origine controllata sulle nostre testimonianze.
E facci aborrire dalle parole, quando esse non trovino puntuale verifica nei fatti.
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli. Aiutaci a vedere i riverberi delle tue fiamme nei processi di purificazione che avvengono in tutti gli angoli della terra. Aprici a fiducie ecumeniche. E in ogni uomo di buona volontà facci scorgere le orme del tuo passaggio.

Spirito del Signore dono del Risorto agli apostoli del cenacolo,
gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitudine della gente e con l'olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro. Liberali dalla paura di non farcela più. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano. Fa' risplendere di gioia i loro corpi. Rivestili di abiti nuziali. E cingili con cinture di luce.
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà.

Clicca qui per la versione breve.

Spirito SantoPentecoste

3.5/5 (2 voti)

inviato da Marco V. Stocchi, inserito il 29/07/2004

PREGHIERA

25. Santo natale   2

Carlo Maria Martini

Signore Gesù,
che cammini sulla nostra terra e soffri le nostre povertà
per annunciare il comandamento della carità,
infondi in noi il tuo Spirito d'amore
che apra i nostri occhi,
per riconoscere in ogni uomo un fratello:
e finalmente diventi quotidiano
il gesto semplice e generoso
che offre aiuto e sorriso,
cura e attenzione al fratello che soffre,
perché in questo Natale
non facciamo festa da soli.
Amen.

Nataleincarnazionebontàsolidarietàamorecaritàfratellanza

inviato da Anna Lianza, inserito il 09/02/2003

PREGHIERA

26. Nella gioia dell'adorazione

Pierre Griolet

Cristo,
Signore del dono senza contraccambio,
illumina le nostre giornate.
Nel vuoto di questo mondo che passa
apri il nostro cuore al tuo amore.
Sì, insegnaci ad ascoltare
nella gioia dell'adorazione.
Ci vuoi felici,
concedici di renderti grazie!
Cristo, tu sei il capo e la vite,
noi le membra e i tralci.
Il tuo Spirito ci irrighi,
perché portiamo frutto.
Sii benedetto
per tante vocazioni al servizio,
che giungono, per grazia e amore,
fino ai limiti dell'impossibile.
Ricevi la lode del popolo santo,
a gran prezzo strappato alle lacrime.
Ricevi la lode dei risorti,
che vanno verso la tua dimora.
Cristo, solo nella lode
possiamo riconoscere
questo mondo che passa
e il regno di gloria
che viene per chiamarci
alla gioia senza nome.

gioialodeadorazione

inviato da Anna Lianza, inserito il 11/12/2002

PREGHIERA

27. La grazia del dialogo

Ignazio Larranaga

Signore Dio, ti lodiamo e ti glorifichiamo per la bellezza di questo dono che si chiama dialogo.

E' un "figlio" prediletto di Dio perché è simile alla corrente alternata che rifluisce incessantemente in seno alla Santa Trinità.

Il dialogo scioglie i nodi,
dissipa i sospetti,
apre le porte,
risolve i conflitti,
fa crescere la persona.
E' voncolo di unità
e fonte di fratellanza.

O Signore Gesù, quando appare la tensione concedimi l'umiltà necessaria per non vler imporre la mia verità contrastando la verità del mio fratello, fa' che io sappia tacere al momeno opportuno e aspettare che egli abbia completato il suo pensiero.

Dammi la saggezza per capire che nessun essere umano è in grado di possedere l'intera verità assoluta, e che non c'è errore o stravaganza ai miei occhi che non racchiuda qualche elemento di verità.

Dammi la saggezza per riconoscere che anch'io, posso sbagliare su qualche aspetto della verità, e che dalla verità del fratello posso invece arricchirmi.

E infine dammi la generosità di pensare che anch'egli ricerca onestamente la verità, e di accogliere senza pregiudizi e con benevolenza le opinioni degli altri.

O Signore Gesù, dacci la grazia del dialogo. Amen

dialogo

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inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 03/12/2002

TESTO

28. Pregare con le parole

La preghiera è una sinfonia,
non si può fare una sinfonia con un solo strumento.
Non si può pregare chiedendo solo aiuto.
Pregare è...
Lodare Dio con l'entusiasmo dei pastori
che hanno visto Gesù nella mangiatoia.
Ringraziare Dio con la gioia del lebbroso
risanato da Gesù.
Raccontare a tutti le meraviglie
che Dio compie per noi, suo popolo.
Riconoscersi peccatore con la commozione del figlio
che abbraccia il padre che lo perdona.
Riconoscere con la fermezza di Pietro
che Gesù è il nostro salvatore.
Interrogare Gesù su che fare nella vita
come lo interroga il giovane ricco.
Dire di sì all'invito di Dio
Con Maria che si dichiara serva del Signore.
Invocare Dio e chiedergli aiuto
con la fede del lebbroso che supplica Gesù.

preghierarapporto con Dio

inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002

PREGHIERA

29. Invocazione allo Spirito Santo   2

Centro Pastorale Ragazzi di Verona

Spirito Santo, noi vogliamo parlare con te e invocarti, anche se facciamo fatica a capire chi sei e a riconoscerti.
Noi crediamo che ci sei vicino e ci vuoi bene, perché Gesù stesso ti ha mandato a noi per farci conoscere e capire le sue parole. Tu ci aiuti a vivere i suoi insegnamenti.
Tu sei con noi dal giorno del Battesimo e ogni momento guidi la nostra vita. Ci vieni donato in modo speciale nella Cresima per renderci testimoni di Gesù.
Ti chiediamo di offrirci i tuoi santi doni per arricchire la nostra vita quotidiana.
Donaci l'intelletto, per capire chi è Dio e quanto è grande il suo amore per noi.
Donaci la scienza, per guardare la vita e tutto ciò che ci circonda con gli occhi stessi di Dio, e riconoscere la sua presenza d'amore in ogni cosa.
Donaci il consiglio, perché tra le tante proposte di ogni giorno possiamo scegliere ciò che piace a te.
Donaci il timor di Dio, per sentire la sua presenza piena di tenerezza e vivere come suoi amici.
Donaci la fortezza, per vivere le grandi scelte della vita, come figli di Dio e fratelli di Gesù.
Donaci la pietà, così che sappiamo orientare il nostro cuore e tutta la nostra vita verso l'amore di Dio, che, come stella polare, ci indica la vera gioia.
Donaci la sapienza, per imparare a misurare ogni gesto con il metro dell'amore di Dio, con la sua bontà e tenerezza di Padre.

Spirito Santodoni dello Spirito Santocresima

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inviato da Marianna, inserito il 25/11/2002

TESTO

30. Confessione di fede della Chiesa del Sud-Africa

Rivista "Il cenacolo" n. 1/2001

Noi crediamo in Dio, il Padre che ha creato il mondo intero e che riunirà tutte le cose in Cristo. Egli vuole che tutti gli uomini vivano insieme come fratelli in un'unica famiglia.

Noi crediamo in Dio, il Figlio che si è fatto uomo, ed è morto ed è risorto nella gloria, riconciliando il mondo intero con Dio, abbattendo tutti i muri che separano gli uomini, tutte le barriere di religione, di classe, di razza, di cultura al fine di creare una umanità unita. Egli è l'unico Signore che ha autorità su tutto. Egli chiama ciascun uomo e la società, la chiesa e la comunità umana, alla riconciliazione, all'unità, alla giustizia, alla libertà.

Noi crediamo in Dio, lo Spirito che è promessa del Regno che viene, che ci dà il potere di annunciare il Vangelo di Cristo e il suo perdono per gli uomini e i popoli, di amare e di servire ogni, creatura, di lottare per la giustizia e per la pace, e di chiamare il mondo intero a riconoscere, qui e ora, il Regno di Dio.

credofede

inviato da Anna, inserito il 27/09/2002

TESTO

31. Il povero che è in noi

Carl Jung, Lettera ad una donna cristiana

Vi ammiro, voi cristiani, perché identificate Cristo con il povero e il povero con Cristo, e quando date del pane ad un povero sapete di darlo a Gesù. Ciò che mi è più difficile comprendere è la difficoltà che avete di riconoscere Gesù nel povero che è in voi. Quando avete fame di guarigione o di affetto, perché non lo volete riconoscere? Quando vi scoprite nudi, quando vi scoprite stranieri a voi stessi, quando vi ritrovate in prigione e malati, perché non sapete vedere questa fragilità come la persona di Gesù in voi?

Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre più difficili... L'arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l'essenza del problema morale e il nocciolo di un'intera visione del mondo... Ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù... quel che faccio al più piccolo dei miei fratello l'ho fatto a Cristo!

Ma se io dovessi scoprire che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più sfacciato degli offensori, il nemico stesso è in me; che sono io stesso ad aver bisogno dell'elemosina della mia bontà, che io stesso sono il nemico d'amare, allora che cosa accadrebbe?

Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana. Allora scompaiono amore e pazienza, allora insultiamo il fratello che è in noi, allora ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, ci nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver mai conosciuto quel miserabile che è in noi.

E se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo.

caritàamoreaccettazione di sé

inviato da Mariangela Molari, inserito il 28/05/2002

PREGHIERA

32. Preghiera dell'animatore

O Dio nostro Padre
Signore della vita, Padre, Figlio e Spirito dell'amore
ci siamo accostati alla tua presenza
manifesta e nascosta in tanti nostri giovani amici
e come a Mosè dinanzi al roveto chiedesti di togliersi i calzari
perché il luogo nel quale si trovava era terra sacra, abitata da te,
così chiedi a noi ancora di toglierci i calzari dinanzi ad ogni giovane
e riconoscere così la tua inesauribile e imprevedibile presenza.

Riconosciamo che tu, Dio Padre, hai sempre avuto cura di noi,
da sempre hai intessuto con noi una relazione d'amore
che tante volte ci ha sorpresi e inquietati,
raccolti e coccolati, sostenuti e trasformati,
ma non sempre, scoperto il tesoro che era in noi,
abbiamo saputo raccoglierlo e restituirlo.

Signore Gesù,
tu hai scelto di essere un Dio inginocchiato
davanti alla tua creatura nel gesto della lavanda dei piedi,
aiutaci a comprendere la potenza trasformante
che scaturisce da questa tua tenerezza.
Avvolti e condotti dalla dolcezza di questo tuo amore,
insegnaci a incontrare, a sorprendere ogni giovane,
tanto da ingenerare in lui il "dubbio"
di essere qualcuno a cui voler bene, di essersi lasciato voler bene.

Spirito dell'amore,
donaci di diventate tessitori sapienti e pazienti di incontri,
servi senza pretese, amanti del tempo che Dio muove incontro a ciascuno
e che ciascuno prende per muoversi
e tornare incontro al Dio suo Padre.
E quando i tuoi ragazzi e i tuoi giovani, Signore,
diventati "grandi" prenderanno congedo da noi,
incamminandosi ognuno per la propria strada,
proprio allora noi, non tristi,
li guarderemo allontanarsi per strade diverse,
in quel momento sapremo di aver contribuito
alla possibilità di raggiungere ognuno se stessi e te,
Dio, Signore di ogni vita.

educareeducatorianimatori

inviato da Emilio Centomo, inserito il 05/05/2002

PREGHIERA

33. Spirito Santo

Filippa Castronovo

Spirito Santo, che il Padre concede a coloro che credono in Gesù e a lui si sottomettono, riempi di te la nostra vita.
Tu, vivente in noi, ci darai occhi per vedere, orecchie per ascoltare, cuore per convertirci,
bocca per lodare Dio e annunciare le sue meraviglie al mondo.

Spirito Santo, tu sei il dono promesso da Gesù risorto per esseri suoi testimoni.
Spirito Santo, tu sei l'atteso dagli apostoli da Maria e dalle donne che seguirono Gesù.
Spirito Santo, tu vieni a riempire i cuori della tua presenza.
Spirito Santo, tu trasformi i dubbi e i timori colmandoli di gioiosa speranza.
Spirito Santo, tu dai il potere di esprimerci e di essere compresi.

Spirito Santo, tu fai realizzare la vera comunione e comunicazione.
Spirito Santo, tu doni il coraggio di annunziare Gesù Cristo, morto e risorto.
Spirito Santo, tu sciogli la nostra lingua perché possiamo proclamare le meraviglie di Dio.
Spirito Santo, tu sei il dono del Padre a coloro che si sottomettono a Lui.
Spirito Santo, tu vivente in noi, attesti che siamo i figli amati dal Padre.

Spirito Santo, tu conduci i credenti nella via della missione.
Spirito Santo, tu elargisci la tua sapienza e ci fai servire in modo evangelico.
Spirito Santo, tu fai crescere la Chiesa e ne allarghi i confini.
Spirito Santo, tu fai camminare la Chiesa nel timore del Signore.
Spirito Santo, tu consoli la Chiesa, donandole pace.

Spirito Santo, la tua presenza dona la luce e noi vediamo il risorto.
Spirito Santo, in te il Padre consacrò Gesù, riempiendolo di potenza.
Spirito Santo, tu incoraggi i chiamati ad aprire nuove vie al Vangelo.
Spirito Santo, tu fai percorrere le strade del mondo senza timore.
Spirito Santo, tu riservi per te e invii in missione.

Spirito Santo, tu guidi i singoli passi del nostro cammino.
Spirito Santo, tu concedi l'intelligenza per riconoscere la verità e denunciare l'errore.
Spirito Santo, tu riempi di gioia coloro che annunciano la Parola con sincerità.
Spirito Santo, tu guidi la tua Chiesa a scelte sapienti, animate dalla carità.
Spirito Santo, tu crei i profeti e li doni alla Chiesa.

Spirito Santo, tu apri le vie al Vangelo e in esse dirigi gli apostoli.
Spirito Santo, tu fai vivere, con coraggio, le fatiche e le tribolazioni per Cristo.
Spirito Santo, tu costituisci in autorità per guidare a Cristo i fratelli.
Spirito Santo, tu hai parlato per mezzo dei profeti, ora parli per mezzo dei credenti in Gesù.
Spirito Santo, tu trasformi la debole parola umana in annuncio fedele e franco del Regno.

Spirito santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 02/05/2002