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PREGHIERA

81. Preghiera per la famiglia   1

Don Angelo Saporiti, Commento alla Festa della Famiglia

Ti preghiamo, Signore,
per la nostra famiglia
e per tutte le famiglie della terra.

Fa' che tra di noi ci sia sempre il dialogo e il rispetto,
e che sappiamo accettarci così come siamo,
senza mai rinfacciarci il bene che ci siamo dati.

Fa' che abbiamo cura dei nostri momenti di unità,
del nostro ritrovarci insieme a tavola
e non attorno alla televisione
o da soli al computer.

Fa' che a nessuno di noi sfuggano i bisogni dell'altro
e fa' che sappiamo aiutare chi tra di noi è stanco
o è preoccupato.

Facci anche litigare, ma facci fare la pace.
Facci avere opinioni diverse, ma facci ricercare il bene che non ci divide.
Fa' che ognuno sia se stesso
e che non impedisca all'altro di esprimersi
per quello che è nella sua natura.

Fa', o Signore, che viviamo insieme
momenti di allegria, di gioia e di festa.
E fa' che nei momenti di prova e di tristezza
non perdiamo mai la fiducia in te.

E quando per qualche nostro familiare
arriverà il momento di lasciare questa terra,
fa', Signore, che siano le tue mani a sorreggere i suoi passi
nel viaggio che porta alla tua casa di luce,
dove un giorno ci ritroveremo uniti in te
e come una grande famiglia
sarà festa per sempre.
Amen.

famiglia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 13/12/2011

TESTO

82. La vera solitudine

Thomas Merton, Nessun uomo è un'isola

La vera solitudine purifica l'anima e la spalanca ai quattro venti della generosità. La falsa solitudine chiude la porta a tutti gli uomini e si esaurisce nelle proprie sciocchezze.

solitudineaperturachiusuragenerositàessenzialitàinteriorità

inviato da Qumran2, inserito il 30/08/2011

RACCONTO

83. Paradiso e inferno   6

Un sant'uomo ebbe un giorno a conversare con Dio e gli chiese: "Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno".

Dio condusse il sant'uomo verso due porte. Aprì una delle due e gli permise di guardare all'interno.

Al centro della stanza, c'era una grandissima tavola rotonda. Sulla tavola, si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant'uomo sentì l'acquolina in bocca. Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall'aspetto livido e malato. Avevano tutti l'aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, legati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del braccio, non potevano portare il cibo alla bocca. Il sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze. Dio disse: "Hai appena visto l'Inferno".

Dio e l'uomo si diressero verso la seconda porta. Dio l'aprì. La scena che l'uomo vide era identica alla precedente. C'era la grande tavola rotonda, il recipiente colmo di cibo delizioso, che gli fece ancora venire l'acquolina in bocca, e le persone intorno alla tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi manici.

Questa volta, però, le persone erano ben nutrite e felici e conversavano tra di loro sorridendo.

Il sant'uomo disse a Dio: "Non capisco!". "E' semplice", rispose Dio, "dipende da un'abilità: essi hanno appreso a nutrirsi reciprocamente tra loro, mentre gli altri non pensano che a loro stessi".

condivisionealtruismoparadisoinferno

4.8/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

84. L'imperatore e il tempo   3

Un imperatore, in punto di morte, convocò i suoi fidati generali, per dettare loro le sue ultime volontà.
Ho tre precisi desideri da esprimervi, disse:
1) che la mia bara sia trasportata a spalle, da nessun altro se non dai medici che non hanno saputo guarirmi;
2) che i tesori, gli ori e le pietre preziose conquistate ai nemici vengano sparse e disseminate a vantaggio del popolo, lungo la strada che porta alla mia tomba;
3) che le mie mani siano lasciate penzolare fuori della bara, alla chiara vista di tutti.

Uno dei generali, scioccato da queste strane ed inaudite ultime volontà del grande condottiero, chiese: Sire, qual è mai il motivo di tutto questo?
L'imperatore, con la voce ormai bassa e tremula, gli rispose:
1) voglio solo i medici a portarmi all'ultima mia dimora, per dimostrare a tutti che non hanno alcun potere di fronte alla malattia e alla morte;
2) voglio il suolo pubblico ricoperto dai miei tesori, perché la gente umile ne tragga qualche vantaggio, ma soprattutto per ricordare a tutti che i beni materiali, qui conquistati, qui restano;
3) voglio le mie mani penzolanti al vento, perché la gente capisca che a mani vuote veniamo e a mani vuote andiamo via.

Questo episodio ci ricorda e ci insegna che il regalo più prezioso che abbiamo nella nostra vita è il tempo. Possiamo conquistare, possiamo costruire case e palazzi, possiamo dipingere più quadri e scrivere più romanzi, possiamo accumulare più ricchezze, ma non possiamo produrre più tempo.
E' per questo che, quando dedichiamo quel po' di tempo che abbiamo e quel po' che ci rimane a un animale, a un'idea, a una persona che amiamo, alla gente che comprendiamo e rispettiamo... facciamo una grande opera. Il miglior regalo che possiamo fare a qualcuno è, dunque, quello di dedicargli il nostro tempo.

Varie presentazioni trovate in rete attribuiscono questo testo ad Alessandro Magno, ma non ci sono elementi fondati per affermarlo con certezza.

tempovitaricchezzamortesenso della vita

4.3/5 (4 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

85. Leggenda di Natale a Cresburg   2

Cresburg è l'unico paese del mondo cristiano in cui le campane suonano la gloria della nascita del Redentore cinque minuti dopo la mezzanotte.

Viveva a Cresburg una vecchina di oltre cent'anni: si chiamava Gret.
Una sera, era la sera del ventiquattro dicembre, nella piccola casa entrò improvvisamente la Morte: era passata dalla porta chiusa, silenziosamente.

Gret, che stava sferruzzando lestamente, alzò gli occhi su lei:
- E' ora? - chiese ansiosa.
- E' ora - rispose la Morte.
- Aspetta ancora un poco, te ne prego - supplicò la vecchina - Devo finire questa maglia di lana.

- Quanto tempo occorre?
Gret diede un rapido sguardo al lavoro, fece un breve conto e rispose: - Due ore. Due ore mi bastano.
- E' troppo.
- Ma io devo assolutamente finire la maglia. Tutti gli anni ne faccio una per il Bambino che nasce. E se non riesco a finirla, il Bambino avrà freddo. Non senti che gelo?
- Due ore di ritardo nell'ubbidire alle leggi di Dio - rispose gravemente la Morte - significano duecento anni di pene da scontarsi prima di raggiungere la pace divina.
La vecchina ebbe un moto di sgomento.

Ma poi scosse il capo: - Non importa - rispose - Il Bambino, senza maglia, soffrirebbe. Duecento anni? Pazienza.
E continuò a sferruzzare veloce, mentre la Morte, in un angolo, attendeva.
Mancavano pochi minuti alla mezzanotte, allorché Gret alzò il capo: Sono pronta, disse alla Morte.

Uscirono insieme e s'incamminarono vicine sotto il cielo coperto di stelle.
Troc, troc, faceva la falce, picchiando sulle scapole nude della Morte.
Sulla grande strada alberata dovettero fermarsi.

Circondato da un alone di luce bianchissima, avanzava il Bambino che si recava a Betlemme.
La vecchina si inginocchiò, e, quando Egli le fu vicino, gli porse umilmente la maglia.
Gesù si fermò, guardò la Morte che attendeva, poco discosto e chiese: - Dove andate?
- A scontar duecento anni di pene per raggiungere la felicità eterna - rispose la vecchina.

Il Bambino la fece alzare e si rivolse alla Morte: - Vattene - le disse - L'accompagno io.
La prese per mano e ritornò indietro sulla via percorsa, fino in Paradiso.
Poi riprese il cammino per andare a Betlemme: quando vi giunse era la mezzanotte e cinque minuti.

Di cosa ha bisogno il Dio Bambino?
Di nulla, se non del calore dell'amore di chi si mette in gioco per lui, come lui si è messo in gioco per salvare i suoi fratelli!

natale

5.0/5 (2 voti)

inviato da Suor Maria Nerina, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

86. La serva che portava l'acqua   1

Silvana Lunardi

In un paese lontano c'era un grande castello. Visto la sua grandezza, il re, per mantenerlo sempre pulito, assunse multi servitori, tutti avevano un lavoro, c'era chi spaccava la legna, chi accendeva tutti i lumi, chi raccoglieva i fiori e i frutti, chi cuciva, chi cucinava... e ovviamente chi andava al pozzo per prendere l'acqua.

Alla sera, finiti i lavori, tutti i servitori si riunivano, ognuno di loro raccontava la sua giornata, e tutti si vantavano di aver fatto qualcosa per il re, di averlo visto e di essere stato da lui ringraziato.

Marianna, era una ragazza dolce e solitaria, il suo compito era di portare acqua a chiunque la chiedesse, alla cuoca, al girdiniere, allo stalliere, ai vari camerieri personali del re; ma lei il re non lo vedeva mai.

Ogni sera ascoltava il racconto degli altri, e ogni sera si rattristava sempre di più, tutti la criticavano, lei non faceva nulla per il re, e probabilmente lui non sapeva neppure che esistesse. Marianna si sentiva inutile.

Sera dopo sera, tristezza dopo tristezza, decise che sarebbe andata via da quel castello, anche lei voleva essere qualcuno! E li non c'era posto per lei!

Così fece, una sera andò via, ma arrivata alle porte del castello il guardiano la fermò e la portò davanti al re...

Il re la guardò e Marianna si sentì così tanta piena di vergogna, che incollò gli occhi al pavimento per non vederlo in faccia.

Ma il re che era una persona dolcissima, si sedette accanto a lei, e volle sapere il perché della sua fuga; Marianna gli disse che si sentiva inutile, gli spiegò che era criticata da tutti, e tutti le dicevano che lei non faceva nulla di veramente utile per lui.

Il re le disse: "Marianna tu sei la serva più importante di tutto il castello! Senza di te credi forse che gli altri potrebbero farmi felice? Senza acqua non possono preparare il mio cibo, il mio bagno, non possono dissetarmi, non potrebbero pulire il mio castello. Tu qui sei essenziale, anche se non te ne rendi conto! Non badare a cosa dicono gli altri, tu per me sei importante!".

Marianna ripensò a quello che disse il re, e rimase al castello, e quella sera quando le chiesero com'era andata la sua giornata, sorridendo rispose: "Oh, io sono solo la serva che porta l'acqua!".

umiltàutilitàlavorocriticabullismovita di gruppo

3.0/5 (3 voti)

inviato da Silvana Lunardi, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

87. Scacco alla morte   1

Nardo Masetti

Un uomo molto ricco sta facendo il calcolo di tutti i suoi beni: può veramente felicitarsi con se stesso. Ha tribolato tutta la vita, ha lavorato come un dannato, ma ora potrà vivere sontuosamente per tutto il resto dei suoi giorni. Ode improvvisamente un tocco delicato alla porta: si tratterà, come al solito, del suo cameriere che viene per augurargli la buona notte. Dice un abituale "Avanti!". Non è il servitore ma un personaggio che davvero non si sarebbe aspettato né così presto né in quel momento: la morte. Terrorizzato la supplica di attendere un giorno... un'ora, affinché possa mettere a posto le sue cose. Da tanto tempo non ha più pensato a Dio; come si fa a comparirgli davanti all'improvviso in uno stato simile?! La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso di lui, gli tocca una spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dal campanile scoccano le ventuno.

In una soffitta di una vecchia casa un uomo sta armeggiando con alcuni attrezzi, che ripone in una borsa di logora stoffa. Quella sarà la sua notte. Ha stentato tutto una vita, ma questa volta, se il colpo riuscirà, potrà vivere da ricco e levarsi tutte le soddisfazioni. Con due colleghi ha studiato il piano alla perfezione; ancora poche ore e poi via, con passaporti falsi verso un altro mondo. Sente bussare leggermente alla porta: saranno i colleghi. No, è la morte. L'uomo, oltre che terrorizzato, si mostra anche stizzito e protesta: "Tante volte ti ho desiderata, stanco della mia vita grama e mai sei venuta; ora che sto per cominciare a godere, lasciami la possibilità di gustare un solo giorno della nuova vita... almeno un'ora... almeno qualche minuto per pensare a Dio". La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso l'uomo, lo tocca sulla spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dalla torre civica scoccano le ventidue.

Nel suo studio il vecchio vescovo sta riordinando le sue cose prima del riposo. Sente bussare alla porta: è la morte. Si alza e le va rispettosamente incontro, come è solito fare con ogni persona che vada da lui in udienza. Le dice: "A dire il vero non ti aspettavo questa sera; comunque sì la benvenuta". La morte si meraviglia: questo uomo non ha paura, non supplica, non ha nulla da chiedere; con titubanza avanza verso di lui. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventitré. La morte si ferma di scatto e, con un senso di smarrimento, controlla il suo orologio: sono veramente le ventitre. Confusa e incredula si scusa col vescovo: "Non mi è mai capitato di arrivare con un'ora di anticipo; tornerò fra un'ora, l'appuntamento è stabilito per la mezzanotte". Il vescovo la prega di fermarsi e, visto che ormai è lì, dichiara la sua disponibilità a partire in anticipo. La morte afferma che non può; ha ordini tassativi. Allora lui propone di trascorrere l'ora giocando una partita a scacchi, visto che non ha nulla da preparare per il viaggio eterno, avendo cercato di provvedervi, giorno dopo giorno, da moltissimo tempo. È una partita equilibrata, ma alla fine il vescovo, con una mossa pensata ed astuta, dà scacco matto la morte che, rassegnata sorride e allarga le braccia in segno di resa. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventiquattro. I due personaggi si alzano e sotto braccio, come due buoni amici, escono dalla porta dello studio.

mortesenso della vitavigilanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Nardo Masetti, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

88. Il problema degli altri   3

Paolo Coelho

C'era una volta un saggio molto conosciuto, che viveva su una montagna dell'Himalaya. Stanco della convivenza con gli uomini, aveva scelto una vita semplice, e passava la maggior parte del tempo meditando.

La sua fama, però, era così grande che la gente era pronta pronta ad affrontare strade anguste, ad arrampicarsi su colline ripide, a oltrepassare fiumi copiosi solo per conoscere quel sant'uomo, che tutti credevano fosse capace di risolvere qualsiasi angoscia del cuore umano.

Il saggio, essendo un uomo molto compassionevole, elargiva un consiglio qui, un altro lì, ma cercava di liberarsi subito dei visitatori indesiderati. Essi, comunque, si presentavano a gruppi sempre più numerosi, e un giorno una folla bussò alla sua porta, dicendo che sul giornale locale erano state pubblicate delle storie bellissime su di lui, e tutti erano sicuri che lui sapesse come superare le difficoltà della vita.

Il saggio non fece commenti e chiese loro di sedersi e aspettare. Trascorsero tre giorni, e arrivò altra gente. Quando non ci fu più posto per nessun altro, egli si rivolse alla popolazione che si trovava davanti alla sua porta.

"Oggi vi darò la risposta che tutti desiderate. Ma voi dovete promettere che, non appena i vostri problemi saranno risolti, direte ai nuovi pellegrini che mi sono trasferito altrove, così che io possa continuare a vivere nella solitudine cui tanto anelo. Gli uomini e le donne fecero un giuramento solenne: se il saggio avesse compiuto quanto promesso, essi non avrebbero permesso a nessun altro pellegrino di salire sulla montagna. Raccontatemi i vostri problemi", disse il saggio.

Qualcuno cominciò a parlare, ma fu subito interrotto da altre persone - poiché tutti sapevano che quella era l'ultima udienza pubblica che il sant'uomo avrebbe concesso, temevano che non avrebbe avuto il tempo di ascoltarli. Qualche minuto dopo, si era creata una grande confusione, con tante voci che urlavano nello stesso tempo, gente che piangeva, uomini e donne che si strappavano i capelli per la disperazione, perché era impossibile farsi sentire.

Il saggio lasciò che la situazione si prolungasse per un po', finché urlò: "Silenzio!". La folla si azzittì immediatamente. "Scrivete i vostri problemi e posate i fogli di carta davanti a me".

Quando tutti ebbero terminato, il saggio mescolò tutti i fogli in una cesta, chiedendo poi: "Fate passare tra voi questa cesta, e che ciascuno prenda il foglio che si trova sopra e legga ciò che vi è scritto. Potrete scegliere se cominciare ad avere il problema che vi troverete scritto oppure potrete richiedere indietro il vostro problema a chi gli è capitato nel sorteggio".

Ciascuno dei presenti prese uno dei fogli, lesse e rimase terrificato. Ne conclusero che ciò che avevano scritto, per peggiore che fosse, non era tanto serio come il problema che affliggeva il vicino. Due ore dopo, si scambiarono i fogli e ciascuno si rimise in tasca il proprio problema personale, sollevato nel sapere che il proprio problema non era poi tanto grave quanto immaginava.

Tutti furono grati per la lezione, scesero giù dalla montagna con la certezza di essere più felici degli altri e, rispettando il giuramento fatto, non permisero più a nessuno di turbare la pace del sant'uomo.

accettazionedoloregioiafaticacondivisioneproblemicrocesofferenza

5.0/5 (4 voti)

inviato da Lisa, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

89. Non c'è posto nella locanda... ma se vogliamo, possiamo cambiare la storia   6

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli.
L'avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria.

La sera della rappresentazione c'era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini. E venne il momento dell'entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido il locandiere era là, in attesa.

"Che cosa volete?" chiese Guido, aprendo bruscamente la porta.
"Cerchiamo un alloggio".
"Cercatelo altrove. La locanda è al completo". La recitazione di Guido era forse un po' statica, ma il suo tono era molto deciso.
"Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti".
"Non c'è posto per voi in questa locanda", replicò Guido con faccia burbera.
"La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino. Non ne può più".
A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d'imbarazzo tra il pubblico.
"No! Andate via!", sussurrò il suggeritore da dietro le quinte.
"No!", ripeté Guido automaticamente. "Andate via!".

Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutto ad un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre.
"Non andar via, Giuseppe", gridò Guido. "Riporta qui Maria". E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: "Potete prendere la mia stanza".
Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato a pallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.

nataleaccoglienza

5.0/5 (3 voti)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 08/07/2011

TESTO

90. Ghiaccio pericoloso

Don Luciano, web

Qualche anno fa ci fu un incidente aereo all'aeroporto "Catullo" di Verona. Lo ricordo ancora adesso, a distanza di tempo, per la causa che provocò il disastro. L'aereo apparteneva alla compagnia di bandiera rumena ed era diretto a Bucarest, ma precipitò subito dopo il decollo. La causa? Ghiaccio sulle ali. Era inverno e la ripulitura delle ali dal ghiaccio è parte della procedura ordinaria di manutenzione dell'aereo a terra prima del decollo. Ma, per tagliare le spese, la compagnia aerea si era rifiutata di pagare per questo servizio. Per quanto possa essere sorprendente, uno strato di ghiaccio sulle ali aggiunge quel tanto di peso che basta per impedire all'aereo di volare. Interrompe il flusso d'aria che mantiene l'aereo in volo, e comincia a perdere quota. Per risparmiare un po' di soldi non si è fatta un'operazione di sicurezza indispensabile, lasciando che si formasse del ghiaccio sulle ali - sapendo che si andava facilmente incontro a un disastro!

Non c'è bisogno che ci sia davvero molto ghiaccio sulle ali per provocare la perdita di quota di un aereo. Non c'è bisogno che ci sia molto ghiaccio sulla tua anima perché tu cominci a perdere quota - cominci a precipitare spiritualmente.

La Parola di Dio ci indica chiaramente alcuni comportamenti e reazioni che provocano uno strato di ghiaccio sul tuo cuore. In Efesini 4, 26 e seguenti, l'apostolo Paolo dice: «Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira». Basta che si accumuli un po' di ira, di risentimento sul tuo cuore - problemi con gli altri che non si vogliono affrontare e risolvere immediatamente - e scatta il pericolo. Quanto pericolo? Tanto quanto uno strato di ghiaccio sulle ali di un aeroplano. Fa precipitare il tuo rapporto con Dio e con gli altri. Senti come Dio continua: «E non date occasione al diavolo». Una rabbia che non si vuole risolvere, basta che duri anche solo un giorno, è sufficiente per aprire la porta al diavolo e farti precipitare!

Poi Dio ti parla della manutenzione, ossia ti dice che azioni radicali devi prendere per sconfiggere quei sentimenti distruttivi: «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano... Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità». In altre parole, Dio ti dice di farla finita con quel gelo spirituale che si è addensato sulla tua vita! Spazzali via - il risentimento che hai permesso che crescesse dentro di te... la gelosia... la mancanza di perdono... l'invidia... la rabbia.

Ma Dio sa bene che non puoi rimuovere il ghiaccio dalla tua anima senza rimpiazzarlo con qualcosa che dà calore. Così lui ti dice di trattare le persone che ti fanno arrabbiare o ti feriscono, esattamente nella maniera opposta con cui ti verrebbe spontaneo trattarle. Dio ti dice: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo».

Le ultime parole sono la chiave di tutto: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo». Devi prendere la convinta decisione di rimuovere tutti i muri fra te e gli altri, trattandoli non come loro hanno trattato te - ma con pazienza e misericordia. Fino a quando non chiedi intensamente a Dio la grazia di perdonare quella persona... di trattarla con compassione e gentilezza - continuerai a perdere quota. E alla fine il peso del ghiaccio sul tuo cuore ti farà precipitare.

Sii vigilante in modo che non si formi ghiaccio sul tuo cuore, come è successo sulle ali di quell'aereo a Verona. Non permettere nemmeno per un solo giorno che se ne formi uno strato! Se lo fai, alla fine quella pellicola di gelo farà precipitare il rapporto che hai con qualcuno, il tuo matrimonio, la famiglia, le attività, un servizio che stai facendo. Farà precipitare il tuo rapporto con Dio. Ed è un prezzo troppo alto da pagare per un sottile strato di ghiaccio!

pace

inviato da Lisa, inserito il 06/07/2011

PREGHIERA

91. Maria donna coraggiosa   1

Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni, ed. San Paolo

Santa Maria, donna coraggiosa, alcuni anni fa in una celebre omelia pronunciata a Zapopan nel Messico, Giovanni Paolo II ha scolpito il monumento più bello che il magistero della Chiesa abbia mai elevato alla tua umana fierezza, quando disse che tu ti presenti come modello «per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime dell'alienazione».

Dunque, tu non ti sei rassegnata a subire l'esistenza. Hai combattuto. Hai affrontato gli ostacoli a viso aperto. Hai reagito di fronte alle difficoltà personali e ti sei ribellata dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo. Non sei stata, cioè, quella donna tutta casa e chiesa che certe immagini devozionali vorrebbero farci passare. Sei scesa sulla strada e ne hai affrontato i pericoli, con la consapevolezza che i tuoi privilegi di Madre di Dio non ti avrebbero offerto isole pedonali capaci di preservarti dal traffico violento della vita.

Perciò, Santa Maria, donna coraggiosa, tu che nelle tre ore di agonia sotto la croce hai assorbito come una spugna le afflizioni di tutte le madri della terra, prestaci un po' della tua fortezza. Nel nome di Dio, vendicatore dei poveri, alimenta i moti di ribellione di chi si vede calpestato nella sua dignità. Alleggerisci le pene di tutte le vittime dei soprusi. E conforta il pianto nascosto di tante donne che, nell'intimità della casa, vengono sistematicamente oppresse dalla prepotenza del maschio.

Ma ispira anche la protesta delle madri lacerate negli affetti dai sistemi di forza e dalle ideologie di potere. Tu, simbolo delle donne irriducibili alla logica della violenza, guida i passi delle "madri-coraggio" perché scuotano l'omertà di tanti complici silenzi. Scendi in tutte le "piazze di maggio" del mondo per confortare coloro che piangono i figli desaparecidos. E quando suona la diana di guerra, convoca tutte le figlie di Eva perché si mettano sulla porta di casa e impediscano ai loro uomini di uscire, armati come Caino, ad ammazzare il fratello.

Santa Maria, donna coraggiosa, tu che sul Calvario, pur senza morire hai conquistato la palma del martirio, rincuoraci col tuo esempio a non lasciarci abbattere dalle avversità. Aiutaci a portare il fardello delle tribolazioni quotidiane, non con l'anima dei disperati, ma con la serenità di chi sa di essere custodito nel cavo della mano di Dio. E se ci sfiora la tentazione di farla finita perché non ce la facciamo più, mettiti accanto a noi. Siediti sui nostri sconsolati marciapiedi. Ripetici parole di speranza.

E allora, confortati dal tuo respiro, ti invocheremo con la preghiera più antica che sia stata scritta in tuo onore: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio; non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Così sia.

mariadolorecoraggiomaternitàvenerdì santocalvarioimpegno

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 19/04/2011

TESTO

92. Il linguaggio del cagnolino   1

Don Mauro Manzoni

Rincasavo frettolosamente nel tardo pomeriggio, desideroso solo di una buona doccia e il solito riposino sul divano. Ero stressato e un po' nervoso per dei problemi sorti al lavoro. Giornata di metà autunno, con una pioggerellina che entrava nelle ossa. Lungo la strada del ritorno, ho incontrato i soliti poveri, ai quali ho dato i soliti spiccioli, ricambiato dai soliti cenni di ringraziamento, ma con la solita insoddisfazione che mi rimaneva dentro dopo quel piccolo gesto di carità. Era facile, troppo facile, mettere le mani in tasca e sentirsi a posto in coscienza. Stavo attraversando la strada che porta a casa mia, quando mi sono accorto che dietro di me camminava un cagnolino tutto bagnato, col pelo arruffato. Mi fermavo e lui si fermava. Camminavo e lui camminava. Davanti al portone di casa ho tentato di accarezzarlo, ma lui si allontanava per poi ritornare vicino. L'acqua che scendeva la vinse sulla curiosità ed entrai in casa. Affacciandomi alla finestra vidi il cagnolino seduto con la testa che guardava in su verso la mia finestra. Allora decisi che aveva fame, scesi e offrii un po' di pane e un po' di latte in una scodella. Ma non dette neanche uno sguardo al cibo, fissava i miei occhi, facendo due passi indietro e ritornando vicino a me. Per tre o quattro volte si allontanava da me e poi ritornava. Non conoscendo affatto il linguaggio canino, intuii però che dovevo seguirlo. E così feci. Mi condusse ai margini di un prato, vicino ad un cespuglio robusto. Si sdraiò davanti ad una cagnolina che stava allattando quattro cuccioli. La bellezza di quella scena mi riempì il cuore di tenerezza e gli occhi di lacrime. Prima, non ha voluto né acqua né cibo, voleva solo che fossi presente. Non conosco il linguaggio degli animali, chissà quante volte non ho capito quello delle persone!

solidarietàamiciziapresenzacomunioneaccoglienzaempatiaaperturacomunicazione

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Mauro Manzoni, inserito il 17/03/2011

TESTO

93. La preghiera

S. Giovanni Maria Vianney, Omelia per la V Domenica dopo Pasqua

Per mostrarvi il potere della preghiera e le grazie che essa vi attira dal cielo, vi dirò che è soltanto con la preghiera che tutti i giusti hanno avuto la fortuna di perseverare. La preghiera è per la nostra anima ciò che la pioggia è per la terra. Concimate una terra quanto volete, se manca la pioggia, tutto ciò che farete non servirà a nulla. Così, fate opere buone quanto volete, se non pregate spesso e come si deve, non sarete mai salvati; perché la preghiera apre gli occhi della nostra anima, le fa sentire la grandezza della sua miseria, la necessità di fare ricorso a Dio; le fa temere la sua debolezza.

Il cristiano conta per tutto su Dio solo, e niente su se stesso. Sì, è per mezzo della preghiera che tutti i giusti hanno perseverato. Del resto, ci accorgiamo noi stessi che appena trascuriamo le nostre preghiere, perdiamo subito il gusto delle cose del cielo: pensiamo solo alla terra; e se riprendiamola preghiera, sentiamo rinascere in noi il pensiero e il desiderio delle cose del cielo. Sì, se abbiamo la fortuna di essere nella grazia di Dio, o faremo ricorso alla preghiera, o saremo certi di non perseverare per molto tempo nella via del cielo.

In secondo luogo, diciamo che tutti i peccatori debbono, senza un miracolo straordinario che accade rarissimamente, la loro conversione soltanto alla preghiera. Vedete santa Monica, ciò che fa per chiedere la conversione di suo figlio: ora essa è al piede del suo crocifisso a pregare e piangere; ora si trova presso persone che sono sagge, per chiedere il soccorso delle loro preghiere. Guardate lo stesso sant'Agostino, quando volle seriamente convertirsi... Si, per quanto fossimo peccatori, se avessimo fatto ricorso alla preghiera e se pregassimo come si deve, saremmo sicuri che il buon Dio ci perdonerebbe.

Ah!, fratelli miei, non meravigliamoci del fatto che il demonio fa tutto ciò che può per farci tralasciare le nostre preghiere, e farcele dire male; è che capisce molto meglio di noi quanto la preghiera è temibile nell'inferno, e che è impossibile che il buon Dio possa rifiutarci ciò che gli chiediamo per mezzo della preghiera...

Non sono né le lunghe né le belle preghiere che il buon Dio guarda, ma quelle che si fanno dal profondo del cuore, con un grande rispetto ed un vero desiderio di piacere a Dio. Eccovene un bell'esempio. Viene riferito nella vita di san Bonaventura, grande dottore della Chiesa, che un religioso assai semplice gli dice: «Padre, io che sono poco istruito, lei pensa che posso pregare il buon Dio e amarlo?».

San Bonaventura gli dice: «Ah, amico, sono questi principalmente che il buon Dio ama di più e che gli sono più graditi». Questo buon religioso, tutto meravigliato da una notizia così buona, va a mettersi alla porta del monastero, dicendo a tutti quelli che vedeva passare: «Venite, amici, ho una buona notizia da darvi; il dottore Bonaventura m'ha detto che noi altri, anche se ignoranti, possiamo amare il buon Dio quanto i dotti. Quale felicità per noi poter amare il buon Dio e piacergli, senza sapere niente!».

Da questo, vi dirò che non c'è niente di più facile che il pregare il buon Dio, e che non c'è nulla di più consolante.

Diciamo che la preghiera è una elevazione del nostro cuore verso Dio. Diciamo meglio, è il dolce colloquio di un bambino con il padre suo, di un suddito con il suo re, di un servo con il suo padrone, di un amico con il suo amico, nel cui cuore depone i suoi dispiaceri e le sue pene.

preghierarapporto con Dioconversionecrescita interiore

inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney, Roma, inserito il 10/03/2011

RACCONTO

94. Cosa ti rende felice?   5

Nel corso di un seminario per coppie, chiesero a una delle mogli: "Tuo marito ti rende felice? Ti fa davvero felice?". In quel momento, il marito sollevò la testa, mostrando totale sicurezza. Sapeva che la moglie avrebbe detto sì, perché non si era mai lamentata di qualcosa durante il matrimonio. Tuttavia, la moglie rispose con un sonoro "No!".

"No, mio marito non mi rende felice!". A questo punto il marito stava cercando la porta di uscita più vicina. "Mio marito non mi ha reso felice e non mi rende felice! Sono felice!". E continuò:

"Il fatto che io sia felice o no, non dipende da lui, ma da me. Io sono la sola dalla quale dipende la mia felicità. Io decido di essere felice.In ogni situazione, ogni momento della mia vita, perché se la mia felicità dipendesse da qualche cosa, persona o circostanza sulla faccia della terra, sarei in guai seri.

Tutto ciò che esiste in questa vita è in continua evoluzione: l'essere umano, la ricchezza, il mio corpo, il tempo, la mia testa, i piaceri, gli amici, la mia salute fisica e mentale. E così potrei citare un elenco senza fine... Decido di essere felice! Se la mia casa è vuota o piena: sono felice! Se usciamo insieme o esco da sola: sono felice! Se il mio lavoro è ben pagato o no: sono felice! Sono sposata, ma ero felice quando ero single. Sono contenta per me stessa.

Le altre cose, persone, momenti o situazioni io le chiamo "esperienze che possono o non possono darmi momenti di gioia e di tristezza".

Quando muore qualcuno che amo, io sono una persona felice in un inevitabile momento di tristezza. Imparo dalle esperienze passeggere e vivo quelle che sono eterne come l'amare, perdonare, aiutare, capire, accettare, confortare...

Ci sono persone che dicono: oggi non posso essere felice perché sto male, perché non ho soldi, perché fa molto caldo, perché qualcuno mi ha insultato, perché qualcuno ha smesso di amarmi, perché non riesce a valorizzarmi, perché mio marito non è quello che mi aspettavo, perché i miei figli non mi rendono felice, perché i miei amici non mi rendono felice, perché il mio lavoro è mediocre e così via.

Io amo la vita ma non perché la mia vita è più facile di quella degli altri. E' che ho deciso di essere felice e io come persona sono responsabilità per la mia felicità. Quando prendo questo obbligo, lascio liberi mio marito e chiunque altro dal pesare sulle loro spalle. La vita di tutti è molto più leggera. Ed in questo modo ho un matrimonio felice da molti anni".

Non permettere mai a nessuno una così grande responsabilità come quella di determinare la tua felicità! Essere felici, anche se fa caldo, anche se sei malato, anche non hai soldi, anche se qualcuno ti ha fatto male, anche se qualcuno non ti ama o non ti da il giusto valore.

Basta chiedere a Dio di darci la serenità di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di cambiare quelle che possono essere cambiate e la saggezza per riconoscere la differenza tra loro. Non riflettere solo... cambia e sii felice!

cambiamentofelicitàaccettazioneserenitàgioiamatrimoniosposiconvivere

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inviato da Anna Barbi, inserito il 08/03/2011

PREGHIERA

95. Camminando verso Pasqua   3

Don Angelo Saporiti

Il mio viaggio verso Pasqua è incominciato.
Ho fatto tanti propositi:
rinuncerò a qualcosa,
frenerò la lingua,
sarò più paziente,
cercherò di vedere il positivo...
Ed ecco che già iniziano i problemi,
le difficoltà, le stanchezze,
la tentazione di lasciar perdere,
di rimandare al giorno dopo,
di dimenticare la mia promessa...
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
e sono già stufo e sbuffo.
Mi sono appena messo in cammino, Signore,
ma non ci credo che ce la farò...
E provo vergogna... e anche un po' di rabbia...
Ma forse... ho sbagliato tutto.
Sì...
Ho sbagliato a pensare
che il cammino verso Pasqua,
significhi solo una serie di impegni e di rinunce,
una moltiplicazione di sacrifici e di preghiere...
Forse, in questa Quaresima,
dovrei solo abbandonarmi a te,
lasciarmi andare a te così come sono:
fragile, incapace, limitato, peccatore.
Abbandonarmi a te, perché
tu, Signore, sei il cammino che percorro.
Tu, Signore, sei la mano che mi guida.
Tu, Signore, sei lo sguardo che mi fa percepire gli altri.
Tu, Signore, sei la bocca quando ti do testimonianza.
Tu, Signore, sei l'orecchio, che ascolta le parole non dette.
Tu, Signore, sei la strada di questa Quaresima
che mi porta incontro a te,
che mi porta incontro agli altri.
Amen.

quaresimatentazionifiducia in Dio

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inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 08/03/2011

TESTO

96. Don Camillo non ti crucciare

Giovannino Guareschi, Tutto don Camillo, volume primo, pag. 248

..."Pioverà, pioverà, don Camillo" lo rassicurò il Cristo. "E' sempre piovuto da che mondo è mondo. La macchina è combinata in modo tale che, a un bel momento, deve piovere. O sei del parere che l'Eterno abbia sbagliato nell'organizzare le cose dell'universo?".

Don Camillo si inchinò. "Sta bene" disse sospirando. "Capisco perfettamente quanto sia giusto quello che voi dite. Però che un povero prete di campagna non possa neanche permettersi di chiedere al suo Dio di far venire giù due catinelle d'acqua, perdonate, ma è sconfortante."

Il Cristo si fece serio. "Hai mille ragioni don Camillo. Non ti resta che far anche uno sciopero di protesta." Don Camillo ci rimase male e si allontanò a capo chino, ma il Cristo lo richiamò.

"Non ti crucciare, don Camillo" sussurrò il Cristo. "Lo so che il vedere uomini che lasciano deperire la grazia di Dio (era in atto uno sciopero degli lavoratori agricoli e la roba del raccolto e degli allevamenti cominciò ad intristire) è per te peccato mortale perché sai che sono sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Ma bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perché non hanno più fede nella giustizia divina, e ricercano affannosamente i beni della terra perché non hanno fede nella ricompensa divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede, e le macchine volanti sono per essi gli angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di fare diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza perché, se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose e l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. Ma il tuo Dio non è fatto di numeri, don Camillo, e nel cielo del tuo Paradiso volano gli angeli del bene. Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull'infinito e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. E odierà le macchine che hanno ridotto il mondo a una manciata di numeri e le distruggerà con le sue stesse mani. Ma ci vorrà del tempo ancora, don Camillo. Quindi rassicurati: la tua bicicletta e il tuo motorino non corrono per ora nessun pericolo".

Il Cristo sorrise e don Camillo lo ringraziò di averlo messo al mondo.

progressofedeumanitàscienzasenso della vita

inviato da Osvaldo Pozzi, inserito il 11/01/2011

TESTO

97. Fare mensa   2

Enzo Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, pagg. 34 e 36

Gli animali mangiano cibo crudo, senza prepararlo, ognuno per sé, ma noi uomini abbiamo inventato il mangiare insieme, la tavola, polo verso cui convergiamo ogni giorno. Ma cosa fa di un tavolo una tavola? Innanzi tutto il fatto di incontrarsi guardandosi in faccia, comunicando con il volto la gioia, la fatica, la sofferenza, la speranza che ciascuno porta dentro di se e desidera condividere. Sì, pranzare o cenare insieme non è mai anonimo: qualcosa dell'istante dell'evento si inscrive profondamente in noi e certi momenti pur effimeri assumono un profumo di eternità. Anche per questo nella tradizione cristiana antica prima di mangiare si diceva una preghiera, si pronunciava una benedizione. Questa tradizione serve all'uomo per dire grazie al Signore, per prendere consapevolezza di quello che sta davanti a noi sulla tavola e quindi respingere la tentazione di divorare quanto sta nel piatto.

Davvero la cucina e la tavola sono l'epifania dei rapporti e della comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità. Il cibo cucinato e condiviso - il pasto - è allora luogo di comunione, di incontro e di amicizia: se infatti mangiare significa conservare e incrementare la vita, preparare da mangiare per un altro significa testimoniargli il nostro desiderio che egli viva e condividere la mensa, testimonia la volontà di unire la propria vita a quella del commensale. Si, perché nella preparazione, nella condivisione e nell'assunzione del cibo si celebra il mistero della vita e chi ne è cosciente sa scorgere nel cibo approntato sulla tavola il culmine di una serie di atti di amore compiuti da parte di chi il cibo lo ha cucinato e offerto come dono all'amico. Far da mangiare per una persona amata, prepararle un pranzo o una cena è il modo più concreto e semplice per dirgli ti amo, perciò voglio che tu viva e viva bene, nella gioia!

cibotavolamensamangiare

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inviato da La Perla Preziosa, inserito il 08/01/2011

ESPERIENZA

98. La gente chi dice che io sia?

Domenica. Giorno di festa, di riposo dallo stress. Mi allontano con fatica dal tepore del letto e mi incammino verso la chiesa, per la Messa. Fatica, certo, ma anche gioia trepidante nell'attesa di quel momento di sosta nel quale dire il mio grazie per la settimana passata e per quella che mi viene donata.

Sulle panche lucide, con una strana predilezione per il fondo della chiesa, siedono composte le signore impellicciate, le bambine con il vestitino nuovo, le mamme e i papà, le vecchiette ferventi. Comincia la Messa. Il Vangelo è quello in cui Gesù domanda: «La gente chi dice che io sia?».

Sono tanto assorta nell'omelia che non mi accorgo di un fermento crescente alle mie spalle, fino a che comincio a sentire chiaramente frasi del tipo: «E' una vergogna!», «Serena, non guardare, ascolta la Messa!», «Andrea, fai finta di niente!», «Qualcuno la faccia uscire!».

Mi volto, e mi accorgo che una delle tante sedie vuote è ora occupata da una vecchia vagabonda che ho già visto qualche volta. È una donna sola, alcoolizzata, che non ha una casa; vive in un mondo suo e si porta sempre dietro un borsone lurido come i suoi vestiti. Di solito in chiesa viene quando piove e non c'è nessuno: allora, chi entra viene accolto dal canto melanconico della sua voce stentata.

Le signore con la pelliccia sono scandalizzate e le mamme si tengono stretti i loro bambini, come se da un momento all'altro la donna potesse mangiarli in un boccone!

La Messa è interrotta, mentre il brusio aumenta. Alla fine due volontari della Croce Rossa intervengono e conducono fuori la donna. Tutti tirano un sospiro di sollievo: dopotutto i bambini sono salvi, no?!

Il prete riprende l'omelia scusandosi per lo spiacevole inconveniente.

«La gente chi dice che io sia?».

Assisto sgomenta al triste spettacolo dell'ipocrisia di sempre.

"La Messa è finita: andate in pace!". Ma quale pace?!

"Vedete, fratelli, duemila anni fa, gli apostoli risposero a Gesù dicendo: «La gente pensa che tu sia Geremia, altri che sei Elia, altri dicono che sei un profeta». Oggi credo che la risposta giusta sia: Gesù è una povera vecchia, che non ha nessuno e non ha una casa; senza qualcuno che si prenda cura di lei e con cui ridere; rifiutata dalla gente che incontra perché è diversa...e non ha la pelliccia".

Se il prete avesse detto queste parole, cosa sarebbe successo?

diversitàcaritàrapporto con Dioriconoscere Gesù

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cristina Carmagnola, inserito il 10/11/2010

TESTO

99. I momenti più belli   1

François Garagnon, Joy e la ricerca della felicità, ed. Paoline 2008

La nuova collezione che farò sarà una collezione di sorrisi.
In questo caso è sicuro, non ci sono ombre; solo luce.
Mi è capitato una volta per strada così:
mi sono resa conto che, dietro ai volti chiusi, ci sono cuori che chiedono soltanto di aprirsi.
E un sorriso è come una porta che si apre.
Improvvisamente ho trovato il mondo talmente magnifico che ho sorriso alla prima persona che ho incontrato.
Ebbene, sai cosa?
Anche lei mi ha sorriso.
E il mondo è diventato ancora più magnifico!
Allora ho continuato a sorridere ad un altro sconosciuto, poi ad un altro,... e ad un altro ancora.
Ed ogni volta era come se mettessi la spina
e accendessi una nuova piccola luce.
Avevo l'impressione, continuando così,
di poter illuminare il mondo intero, a tutti i livelli!
In quei momenti, sento un amore folle
che mi attraversa come una dolce violenza.

amiciziasorrisolucepace

4.7/5 (3 voti)

inviato da Claudio G., inserito il 03/09/2010

RACCONTO

100. Non giudicare!

Isacco il Tebano, Detti editi e inediti dei padri del deserto

Un giorno abba Isacco il Tebano si recò in un monastero e, vedendo un fratello peccare, lo condannò. Partito per il deserto, gli si fece innanzi un angelo del Signore che si fermò davanti alla porta della sua cella e gli disse: "Non ti lascio entrare". Quello lo pregava: "Ma perché mai?". L'angelo gli rispose: "Mi ha inviato Dio dicendo: 'Digli: Dove ordini che io getti il fratello che è caduto e che tu hai giudicato?"'. Subito l'anziano si pentì e disse: "Ho peccato, perdonami". E l'angelo disse: "Alzati, Dio ti ha perdonato. Guardati d'ora in poi dal giudicare qualcuno, prima che l'abbia giudicato Dio".

giudizioperdono

inviato da Busato Don Paolo, inserito il 03/09/2010

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