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TESTO

1. Una meravigliosa scoperta

Chiara Amirante, Alzati e rivestiti di luce

Una meravigliosa scoperta ha colorato la nostra vita. Un evento straordinario, l'evento degli eventi: l'ineffabile, l'inenarrabile, l'indescrivibile, il trascendente, l'Onnipotente, l'Eccelso, l'immensamente irraggiungibile, è venuto ad abitare in mezzo a noi, si è reso piccolo, fragile, palpabile. Per noi!

Ed è il mistero. Il mistero della nostra fede: l'incarnazione, Colui che è l'Assoluto, Colui che è Dio diventa l'Emmanuele, il Dio con noi, il Dio presente in mezzo a noi. È questa la scoperta che ci ha cambiato la vita, che ci fa danzare, ci fa saltare, ci fa gioire, ci fa sorridere.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 27/07/2023

PREGHIERA

2. Non lasciarci mai soli

don Valentino Porcile

Sei asceso al cielo Signore Gesù, hai compiuto ciò per cui eri stato mandato, e ora torni presso il Padre.

Ne hai svelato il volto, hai compiuto il mistero della salvezza, rendendo nuovamente possibile la comunione con Lui, e ora ascendi alla sua destra.

Tu porti accanto al Padre il tuo aver vissuto pienamente la nostra umanità, l'aver condiviso con l'uomo la fatica di vivere. Porti accanto al Padre la vittoria sul peccato e sulla morte.

Con la tua umanità, porti al Padre ognuno di noi, l'umanità di tutti noi. La nostra vita, le nostre giornate, la gioia di vivere, la fatica di ogni giorno.

Signore Gesù, tu sali al cielo, ed è giusto che sia così. Ma non lasciarci mai soli, non farci sentire mai soli.

Tu sai come renderti presente, come farti sentire accanto a ciascuno di noi. Ne abbiamo bisogno, Signore Gesù.

ascensionepresenzafiducia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 21/04/2023

TESTO

3. Hanno sloggiato Gesù

Chiara Lubich, Hanno sloggiato Gesù

S'avvicina Natale e le vie della città s'ammantano di luci.
Una fila interminabile di negozi, una ricchezza senza fine, ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco una serie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione ottica. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E ancora slitte e babbo-Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane burattine e nani rossi. Tutto si muove con garbo.
Ah! Ecco gli angioletti... Macché! Sono fatine, inventate di recente, quali addobbi al paesaggio bianco.
Un bambino coi genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.
Ma nel mio cuore l'incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è "accalappiato" il Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù!
Ama del Natale la poesia, l'ambiente, l'amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.
Punta sul Natale per il guadagno migliore dell'anno.
Ma a Gesù non pensa.
"Venne fra i suoi e non lo ricevettero..."
"Non c'era posto per lui nell'albergo"... nemmeno a Natale.

Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia.
Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l'Opera di Maria, ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll'arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo "mistero d'amore", stenderei canovacci per rappresentazioni e film.
Non so quel che farei...
Oggi ringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.
Quando sono stata, venticinque anni fa, in una terra in cui dominava l'ateismo, un sacerdote scolpiva statue d'angeli per ricordare il Cielo alla gente. Oggi lo capisco di più. Lo esige l'ateismo pratico che ora invade il mondo dappertutto.
Certo che questo tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualche cosa che addolora.
Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendoGli festa come non mai.

nataleconsumismoGesù

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

4. Il segreto del maestro

don Tonino Bello, Scrivo a voi... Lettere di un vescovo ai catechisti, EDB

Carissimi catechisti,

ogni volta che tornavo nel mio paese, andavo a trovarlo. Ultimamente si era incurvato e gli tremavano le mani. Ma per me è rimasto sempre il maestro di un tempo. Tornavo da lui per un dovere di gratitudine. Ma soprattutto condotto dalla speranza. Chi sa, mi dicevo, che non abbia, come nelle fiabe che ci raccontava in quarta elementare, una noce misteriosa da farmi schiacciare nei momenti difficili!

Di tutti gli insegnanti che ho avuto, lui era l'unico a provare soggezione di me. Me ne accorgevo dall'imbarazzo con cui, nel discorso con me, passava dal “lei” al “tu”. Mi hanno detto anche che era fiero di avermi avuto come discepolo. Forse però non ha mai saputo che se ancora tornavo da lui era perché avevo il presentimento che mi avrebbe aiutato a risolvere, come un tempo, qualche altro complicato problema, per il quale non mi bastavano più le quattro operazioni dell'aritmetica che lui mi aveva insegnato. Ogni volta che lo lasciavo, sentivo di avergli rubato spezzoni di mistero. Quegli spezzoni che a scuola ci sottraeva volutamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Sì, perché lui aveva l'incredibile qualità di non spiegarci mai tutto e per ogni cosa ci lasciava un ampio margine d'arcano, non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore.

Perché l'arcobaleno dura così poco in cielo? E cosa fa Dio tutto il giorno? Perché le farfalle lasciano l'argento sulle dita? Perché Gesù ha fatto nascere così il povero Nico, che veniva a scuola sulla carrozzella spinta dalla nonna? Perché si muore anche a dieci anni, come la sua bambina, e noi scolari quel giorno andammo tutti in chiesa a pregare per lei?

Non aveva l'ansia di rivelarci tutto. Non era malato di onnipotenza culturale. E neppure ci imponeva le sue spiegazioni. Qualche volta sembrava fosse lui a chiederle a noi. Ma quando dopo gli acquazzoni di primavera spuntava l'arcobaleno, ci conduceva fuori per contemplarne la tenerezza dei colori. E, mostrandoci le rondini che garrivano in cielo, ci diceva che non dovevamo abbatterle con le nostre frecce di gomma perché Dio, la sera, le conta una ad una. E ci raccontava che le farfalle, l'argento, andavano a prenderlo tra le erbe profumate dei crepacci. E a Nico gli restituiva la gioia di esserci, perché gli scompigliava tutti i capelli, a lui solo, e, durante le passeggiate scolastiche, gli faceva tenere la sua borsa, con la merenda del maestro. E quando morì la sua bambina, lo vedemmo piangere di nascosto.

Forse la grandezza del mio maestro era tutta qui. In questa sua capacità di comunicare messaggi profondi più con il silenzio che con le parole, di lavorare su domande legittime, di non tirare mai conclusioni per tutti, di costruire occasioni di crescita reciproca, di accettare le differenze come un dono, di ritenere i suoi ragazzi titolari di una forte capacità progettuale, di dare più peso alla sfera relazionale che a quella dell'istruzione da trasmetterci, di interpretare la scuola come un gioco, anzi come una festa in cui il primo a divertirsi era lui.

Vorrei augurare a tutti voi che i vostri ragazzi provino per voi gli stessi sentimenti che ho provato io per il mio vecchio maestro delle elementari... statene certi: se restate saldi in Gesù e vi animerà una forte passione di trasmettere la sua Verità, essi, i vostri ragazzi di oggi, un giorno verranno a farvi visita. Sì, perché anche se saranno diventati professori dell'università gregoriana, torneranno da voi per recuperare quei frammenti di mistero, di cui non hanno ancora trovato spiegazione neppure sui libri di teologia.

Vi saluto, don Tonino Vescovo
3 marzo 1991

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inviato da Anna Barbi, inserito il 29/12/2018

PREGHIERA

5. Mensa umano mistero   1

Adriana Zarri

Facci, Signore, il dono della cena.
Tu ti sei seduto a cena.
Oh, sì, ma non era una cena come tutte le altre,
sebbene tutte le altre le fossero ordinate:
era una cena unica,
in cui tu eri commensale e vivanda;
E gli apostoli mangiarono con te e di te.
Ma prima di considerare il mistero eucaristico,
lasciaci considerare questo semplice
e dolce “mistero” umano della mensa,
che tu tante volte
hai voluto condividere con i tuoi amici.

L'Eucaristia è il sacramento della tavola,
così come la tavola
è il sacramento della nostra amicizia.
Perciò, prima di farci il dono dell'Eucaristia,
facci, Signore, il dono della cena:
della semplice mensa degli uomini,
della condivisione dell'amore e dei beni,
della cordialità del pacato discorrere
e del calore del volersi bene.

Dacci di sapere cenare in amicizia,
come facevi a casa tua,
come facevi a Cafarnao nella casa di Pietro,
e a Betania, nella casa di Lazzaro;
come facesti a Gerusalemme, nel Cenacolo.

Donaci amore per invitare amici,
ospitalità per servirli,
cordialità per discorrere con loro,
gioia per mettere la tovaglia bella,
letizia per versare il vino dolce.

E fa' sì che in ogni pranzo e in ogni cena
avvertiamo la tua visibile presenza,
ospite sempre invitato, amico sempre amato,
nostro pane, nostro vino,
nostro banchetto eterno.

cenaultima cenaeucaristiaospitalitàamiciziaconvivialità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 06/07/2018

TESTO

6. Auguri di Natale non in serie

don Tonino Bello

Carissimi,
formulare gli auguri di Natale dovrebbe essere la cosa più semplice di questo mondo. Invece, quest'anno sto provando tanta difficoltà. Ho scritto e riscritto cento volte l'attacco di questa lettera, ma mi è parso di dire sempre delle cose estremamente banali. Come sono banali certi presepi bell'e confezionati che si acquistano ai grandi magazzini. Saranno anche attraenti con i loro svolazzi di angeli e con i loro muschi di plastica. Ma sono freddi. Perché fatti in serie.
Ecco: è proprio la «serialità» che mi mette in crisi. Ho l'impressione, cioè, di esporre anch'io la mia merce preconfezionata, e poi lasciare che ognuno si serva da solo, come nei self-service di certi ristoranti.
È qui lo sbaglio: nella pretesa di voler trovare delle formule standard, buone per tutti. Invece, a Natale, non si possono porgere auguri indistinti.

Dire buon Natale a te, Ignazio, che vivi immobilizzato da anni, dopo quel terribile incidente stradale che ti ha ridotto a un rudere, è molto diverso che dire Buon Natale a te, Franco, che hai fatto spese pazze per rinnovarti l'attrezzatura sciistica, e il 25 dicembre lo passerai in montagna, dove hai già prenotato l'albergo per la settimana bianca. Tu, Ignazio, la stella cometa del presepe non la vedi neanche, perché non puoi muovere la testa dal guanciale. E, allora, devo descrivertela io, e dirti che essa fa luce anche per te, e assicurarti che Gesù è venuto a dare senso alla tua tragedia e che, nella Notte Santa, anzi, ogni notte della tua vita, egli trasloca dalla mangiatoia per venirti accanto e farsi scaldare da te. Tu, Franco, la stella cometa non la vedi perché non hai tempo per pensare a queste cose, e in testa hai ben altre stelle. E, allora, devo provocartene io la nostalgia, e dirti che le lampade dei ritrovi mondani dove consumi le tue notti e i tuoi soldi, non fanno luce sufficiente a dar senso alla tua vita.

Dire buon Natale a te, Katia, che il 26 andrai all'altare con Cosimo, è molto diverso che dire buon Natale a Rosaria, che il mese scorso ha firmato la separazione consensuale, dopo che Gigi se n'è andato con un'altra. Perché a te, Katia, basterà l'invito a vedere nel presepe la celebrazione nuziale suprema di Dio che prende in sposa l'umanità, e già ti sentirai coinvolta nel mistero dell'incarnazione. A te, Rosaria, invece, che per la prima volta le feste le passerai sola in casa, e che non hai voglia neppure di andare a pranzo dai tuoi, occorrerà tutta la mia discrezione per farti capire che non è molto dissimile il ripudio subito da Gesù nella notte santa. Buon Natale, Rosaria. E buon Natale anche a Gigi, perché, scorgendo nel bambino del presepe il mistero della fedeltà di Dio, torni presto a casa.

Dire buon Natale a te, carissimo Nicola, che mi sei tanto vicino con la tua amicizia ma anche tanto lontano con l'ateismo che professi, è molto diverso che dire buon Natale a te, don Donato, che le parole di santità, tu sei bravo a dirmele più di quanto io non sappia fare con te. Perché tu, don Donato, hai un cuore che trabocca di tenerezza, e quando parli del Verbo che scende sulla terra e diventa l'Emmanuele, cioè il Dio con noi, si vede che ci credi a quello che dici, e daresti la vita perché anche gli altri ponessero lo sguardo su quel pozzo di luce che rischia di accecare i tuoi occhi. Mentre tu, Nicola, davanti al presepe resti impassibile, e il bue e l'asino ti fanno sorridere, e l'incanto di quella notte ti sembra una fuga dalla realtà, e rassomigli tanto a qualcuno di quei pastori (qualcuno ci deve essere pur stato!) che, all'apparizione degli angeli, non si è neppure scomposto ed è rimasto a scaldarsi davanti al fuoco del suo scetticismo. Non voglio forzare la tua coscienza: ma sei proprio sicuro che, quel bambino non abbia nulla da dirti, e che questo mistero (che tu vorresti confinare tra le favole) di Dio fatto uomo per amore, sia completamente estraneo al tuo bisogno di felicità? Auguri, comunque, perché la tua irreprensibile onestà umana trovi nella culla di Betlemme la sua sorgente e il suo estuario.

Dire buon Natale a te, Corrado, che vivi nella casa di riposo, e la sera ti lasci cullare dalle nenie pastorali, e te ne vai sulle ali della fantasia ai tempi di quando eri bambino, e la tua anima brulica di ricordi più di quanto i tratturi del presepe non brulichino di percorelle, e pensi che questo sarà forse il tuo ultimo Natale, e ti raffiguri già il momento in cui Gesù lo contemplerai faccia a faccia con i tuoi occhi... è molto diverso che fare gli auguri a te, Antonietta, che hai vent'anni e tutti dicono che non sei più quella di una volta, e l'altro giorno mi hai confidato che non fai più parte del coro e che forse quest'anno non ti confesserai neppure. Buon Natale, Antonietta. Pregherò perché tu possa trovare cinque minuti per piangere da sola davanti alla culla, e in quel pianto tu possa sperimentare le stesse emozioni di quando la semplice carta stagnola del presepe ti faceva trasalire di felicità.

Un conto è dire buon Natale a te, Gianni, che stai in ospedale e oggi anche i medici se ne sono andati e tu non vedi l'ora che arrivi il momento delle visite per poter parlare con qualcuno, e un conto è dire buon Natale a te, Piero, che in carcere nessuno verrà a trovare dopo che ne hai combinate di tutti i colori perfino a tuo padre e a tua madre. Auguri a tutti e due, comunque, e ai vostri compagni di corsia o di cella: Gesù Cristo vi restituisca la salute del corpo e quella dello spirito.

Buon Natale a te, Carmela, che sei rimasta vedova. A te, Marina, che sei felice perché le cose vanno bene. A te, Michele, che ti disperi perché le cose vanno male. A te, Mussif, e a tutti i profughi albanesi che vivono insieme nella casa di accoglienza. A te, Sahid, che guardi alla televisioni gli spettacoli dell'Unicef sui bambini irakeni e slavi decimati dalla fame, e, per un'associazione di immagini non certo molto strana, pensi ai tuoi figli che hai lasciato in Tunisia.

Dopo che l'ho poggiata sull'altare, profumata d'incenso e grondante ancora di benedizioni divine, voglio dare la mano a tutti, sicuro che nessuno tirerà indietro la sua.

Perché a Natale, felice o triste che sia, fedele o miscredente, miserabile o miliardario, ognuno avverte, chi sa per quale mistero, che di quel bambino «avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia», una volta che l'ha conosciuto, non può più fare a meno.

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5.0/5 (1 voto)

inserito il 19/02/2018

PREGHIERA

7. Seguimi   1

Card. Anastasio Ballestrero

Signore, tu chi sei? Questo desiderio di conoscerti è la vera risposta alla tua venuta.
Sei venuto per essere cercato ogni giorno, là dove ti doni nell'inesauribilità del tuo Mistero.
Ogni giorno tu mi rivelerai "chi sei".
Gesù dammi questa fede e questa speranza.
La mia vita terrena non è più banale, gretta, meschina, da quando tu l'hai percorsa camminando per le mie stesse strade, godendo e soffrendo le mie stesse vicende, insegnandomi che la provvidenza del Padre vigila su tutti e soprattutto su coloro che seguono te.
Fammi fedele al tuo: "Vieni e seguimi".
Dicendo "vieni", non hai detto: andremo qui, andremo a far questo, a far quello...
Hai detto in modo assoluto: "Vieni e seguimi"; perciò il nostro andare è seguirti.
Seguirti con fedeltà, ma anche con umiltà.
Non ti dirò come Pietro: "Signore dove vai? Darò la mia vita per te".
Tu mi risponderesti: "Ci sarà chi ti cingerà i fianchi e ti condurrà dove non vorresti".
Signore, mi sia dato di seguirti e non di precederti.
Signore, mi sia dato di seguirti senza domandarti dove mi porti.
Ho tanta fiducia in te e mi basta; dove tu mi porterai, verrò.
Se ti seguirò, potrò diventare testimone di tutti i tuoi miracoli; se invece vorrò precederti, non conoscerò che la follia e il peccato.
Dove ti piacerà camminare, là io camminerò.
Gesù, per dove ti piacerà passare, là io passerò.
Mi basti tu, perché non soltanto cammini sulla mia strada, ma sei addirittura la "mia strada".
Se sarai per me via serena e pianeggiante, sii benedetto!
Se sarai sentiero affocato e polveroso, sii ugualmente benedetto!
Mi basta sapere, per la mia pace, che non sono chiamato a camminare per tante strade ma per una sola: te.
Tu sei la strada che mi conduce alla mèta: in Patria, alla Casa del Padre.
Sarò pellegrino fino a quel momento.
Allora finalmente nessuno mi comanderà di andare, né tu mi dirai più: "Vieni", ma la tua voce, fatta di amore, mi inviterà: "Rimani!".

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1.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 15/01/2018

TESTO

8. Il vero significato dell'Avvento   1

Goffredo Boselli

Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".

Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.

L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.

Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.

Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:

"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?

Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.

Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.

Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.

Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.

Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.

Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.

avventoanno liturgicoattesasperanzaparusia

inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

TESTO

9. Lettera a coloro che si sentono falliti   2

Tonino Bello, Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 363-368

Questa lettera la scrivo un po' anche a me. Sono convinto, infatti, che tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno, che poi all'alba abbiamo visto svanire...

I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me, sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l'hanno fatta a raggiungere neppure gli standard sui quali "normalmente" scorre una esistenza che voglia dirsi realizzata.

Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e, immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto di brillante carriera per un distacco irreversibile della retina.

Ugo, ragazzo prodigio fino alla maturità classica che si è insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a districarsene. Oggi ha quarant'anni, e sua moglie, ad ogni lite, gli rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo studio di un avvocato.

Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte all'Accademia Chigiana di Siena ha avuto decine di occasioni per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell'altro. Alla fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.

Lucia che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi non è partita perché i suoi l'hanno ostacolata. Ora margherite non ne sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da regalo.

Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della vita voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia della salvezza.

A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire a uno a uno gli ideali accarezzati in gioventù. A voi che avete meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete rimasti al palo. A voi che non avete trovato mai spazio, e siete usciti da ogni graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti. A voi che una malattia, o una tragedia morale, o un incidente improvviso, o uno svincolo delicato dell'esistenza, hanno fatto dirottare imprevedibilmente sui binari morti dell'amarezza. A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.

A tutti voi voglio dire: "Volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!".

La riuscita di una esistenza non si calcola con i fixing di Borsa. E i successi che contano non si misurano con l'applausometro delle platee, o con gli indici di gradimento delle folle.

Da quando l'Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni. Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell'impotenza, che non con le mani stese sui malati, nell'atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi, che è proprio quella porzione di sogno, che se n'è volata via senza realizzarsi, a dare ai ruderi della nostra vita, come per certe statue monche dell'antichità, il pregio della riuscita.

Non voglio sommergervi di consolazioni. Voglio solo immergervi nel mistero. Nella cui ottica una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre carreggiate mai divenute carriere, non sono inutili, ma costituiscono il fondo di quella Cassa deposito e prestiti che alimenta ancora oggi l'economia della salvezza.

A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!

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inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

TESTO

10. Affrettiamoci ad amare   1

Roberto Benigni, I Dieci Comandamenti, Rai 1, 15 dicembre 2014

Il problema fondamentale dell'umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso... amarsi. Solo che ora è diventato più urgente, molto più urgente, e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l'un l'altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo. Ci dobbiamo affrettare, affrettiamoci ad amare, noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi, affrettiamoci ad amare, perché al tramonto della vita saremo giudicati sull'amore, perché non esiste amore sprecato e perché non esiste un'emozione più grande di sentire quando siamo innamorati che la nostra vita dipende totalmente da un'altra persona, che non bastiamo a noi stessi, e che tutte le cose, ma anche quelle inanimate come le montagne, i mari, le strade, il cielo, il vento, le stelle, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi... tutte queste cose, che di per sé sono vuote, indifferenti, improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono, perché? Perché contengono un presentimento d'amore, anche le cose inanimate, perché il fasciame di tutta la creazione è amore e perché l'amore combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Si, la felicità... e a proposito di felicità, cercatela, tutti i giorni, continuamente e anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità ora, in questo momento stesso perché è lì, ce l'avete, ce l'abbiamo perché l'hanno data a tutti noi, ce l'hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l'hanno data in regalo, in dote, ed era un regalo così bello che l'abbiamo nascosto, come fanno i cani con l'osso, quando lo nascondono; e molti di noi l'hanno nascosto così bene che non si ricordano più dove l'hanno messo, ma ce l'avete, ce l'abbiamo. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all'aria: i cassetti, i comodini che avete dentro... vedrete che esce fuori, c'è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa ma è lì, dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei, fino all'ultimo giorno della nostra vita.

E non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire eh! Non bisogna avere paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. Saltate dentro l'esistenza ora, qui, perché se non trovate niente ora, non troverete niente mai più, è qui l'eternità, e allora dobbiamo dire "SI” alla vita, dobbiamo dire un SI talmente pieno alla vita che sia capace di arginare tutti i no, perché alla fine di queste due serate insieme, abbiamo capito che non sappiamo niente e che non ci si capisce niente, e si capisce solo che c'è un gran mistero che bisogna prenderlo come è e lasciarlo stare, e che la cosa che fa più impressione al mondo è la vita che va avanti e non si capisce come faccia; "Ma come fa? Come fa a resistere? Ma come fa a durare così?"... è un altro mistero, e nessuno lo ha mai capito, perché la vita e molto più di quello che possiamo capire noi, per questo devi resistere. Se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita da tanto, tanto tempo, e noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all'altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito, e allora ad ognuno di noi non rimane che una cosa da fare: inchinarsi.



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inviato da Qumran, inserito il 02/12/2017

PREGHIERA

11. Signore ti ringrazio

Paolo VI, Testamento spirituale e meditazioni sulla morte

Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita.

Parimente sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita, da Te, o Signore, elargitimi: chi nella vita mi ha introdotto, chi mi ha educato, benvoluto, beneficato, aiutato, circondato di buoni esempi, di cure, di affetto, di fiducia, di bontà, di cortesia, di amicizia, di fedeltà. Guardo con riconoscenza ai rapporti naturali e spirituali che hanno dato origine, assistenza, conforto, significato alla mia umile esistenza: quanti doni, quante cose belle ed alte, quanta speranza ho io ricevuto in questo mondo!

Il mio vuole essere un semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria: la vita, la vita dell'uomo! Né meno degno d'esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell'uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. E' un panorama incantevole.

Perché non ho studiato abbastanza, esplorato, ammirato la stanza nella quale la vita si svolge? Tutto è dono; dietro la vita, dietro la natura, l'universo, sta la Sapienza; e poi, sta l'Amore! La scena del mondo è un disegno, oggi tuttora incomprensibile per la sua maggior parte, d'un Dio Creatore, che si chiama il Padre nostro che sta nei cieli! Grazie, o Dio, grazie e gloria a Te, o Padre!

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inviato da Maria Teresa Castagna, inserito il 26/09/2017

TESTO

12. Invito agli sposi

Carlo Maria Martini, La famiglia alla prova

Il Signore chiama solo per rendere felici. Le possibili scelte di vita, il matrimonio e la vita consacrata, la dedizione al ministero del prete e del diacono, l'assunzione della professione come una missione possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall'amore e non dall'egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo.

La prima è quella di essere marito e moglie, papà e mamma. L'inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l'altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita. L'amore che ha persuaso al matrimonio non si riduce all'emozione di una stagione un po' euforica, non è solo un'attrazione che il tempo consuma. L'amore sponsale è vocazione: nel volersi bene, marito e moglie possono riconoscere la chiamata del Signore.

Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Vorrei pertanto invitare a custodire la bellezza dell'amore sponsale e a perseverare in questa vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili.

Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l'umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui si vive, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza di questa vocazione. È necessario reagire all'inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.

Invito pertanto a pregare insieme: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per sé, i figli, gli amici, la comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra i coniugi.

Invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del matrimonio, quella del battesimo dei figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.

Invito a trovare il tempo per parlare l'uno all'altro con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedersi scusa, rallegrarsi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.

Invito infine gli sposi ad avere fiducia nell'incidenza della loro opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall'impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vocazione dei genitori a educare è benedetta da Dio: perciò occorre che essi trasformino le loro apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore fa: occorre accoglierla con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non bisogna perdersi d'animo, non c'è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. Ed esorto ad affidare spesso i figli alla protezione di Maria, a non tralasciare una decina del rosario per ciascuno di loro, con fiducia e senza perdere la stima né di se stessi né dei propri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione.

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inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

TESTO

13. Lettera a Carlotta per il giorno della sua Prima Comunione

Anna Marinelli

Cara Carlotta, domani riceverai per la prima volta nella vita una minuscola particola fatta di grano ma che racchiude, per coloro che hanno fede, il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Che mistero grande mia adorata Carlotta. Forse dopo il giorno della tua nascita e quello in cui ricevesti il Battesimo questo sarà il giorno, in assoluto, più importante della tua vita.

Non lasciarti distogliere dall'abito bianco, dalla ghirlanda che forse metterai tra i capelli, ai regali che ti aspetti di ricevere, dai parenti che verranno a vederti in chiesa...
La cosa più importante è Gesù, Gesù solo.

Lui, l'immenso incontenibile viene ad abitare nel piccolo muscolo di carne che è il tuo cuore, viene nella tua anima bianca e immacolata, viene nel tuo corpicino esile come un fiore.

Lui, il grande si umilia per amore e diventa piccolo piccolo, come un boccone di pane. Lo Spirito divino prende in prestito la materia del grano (di cui è fatta quella piccola ostia) per condividere con te la sua divinità, la sua grandezza.

Lo so, lo so, che sono parole troppo difficili da comprendere ora, ma ci avrà pensato la tua catechista a farti comprendere l'inspiegabile mistero. Le catechiste hanno dimestichezza a sminuzzare il pane del catechismo e nutrire le vostre angeliche intelligenze per facilitare l'approccio alla comprensione di tale misterioso avvenimento, a prepararvi a tale privilegiato incontro.

Quando riceverai Gesù, abbraccialo stretto stretto, chiudi gli occhi e digli parole d'amore. Digli che lo ami e lo ringrazi di tale visita, di tale dono.

Non guardarti intorno. Non voltarti a vedere se c'è la nonna, se c'è la zia... se la mamma ti sta fotografando... nessuno in quel Momento conta più di Gesù!
Quello è un momento imperdibile!

Non sprecarlo, non sciuparlo, non sminuirlo...In quel momento il tuo corpicino è diventato un tabernacolo vivente, gli angeli ti stanno svolazzando intorno perché dentro di te c'è il loro Signore!

E tu non distrarti, concedigli almeno dieci minuti per ringraziarlo e per pregarlo. Pregalo per la mamma, per il tuo papà, per la nonna, per il nonno che è in Paradiso... per tutti i bambini che non hanno pane, per quelli che non hanno casa, per quelli che attraversano il mare agitato sui gommoni, in cerca di una terra che li accolga. Prega per le tue amichette, prega per i tuoi insegnanti, prega per i tuoi parenti... prega anche per me. So che lo farai e di questo ti ringrazio e ti abbraccio con tutto il mio cuore.

Sai Carlotta, ricordo quel giorno che aspettavamo dietro una porta che ci comunicassero la tua nascita in questo mondo... quel giorno entrasti anche nella mia vita e lì resterai sempre, e non ne uscirai mai più. Ti voglio bene.
Tua zia Anna

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inviato da Anna Marinelli, inserito il 30/06/2017

PREGHIERA

14. O Cristo - Venerdì Santo 2017

Papa Francesco, Via Crucis al Colosseo, Venerdì Santo, 14 aprile 2017

O Cristo lasciato solo e tradito perfino dai tuoi e venduto a basso prezzo.
O Cristo giudicato dai peccatori, consegnato dai Capi.

O Cristo straziato nelle carni, incoronato di spine e vestito di porpora. O Cristo schiaffeggiato e atrocemente inchiodato.

O Cristo trafitto dalla lancia che ha squarciato il tuo cuore.

O Cristo morto e seppellito, tu che sei il Dio della vita e dell'esistenza.

O Cristo, nostro unico Salvatore, torniamo a Te anche quest'anno con gli occhi abbassati di vergogna e con il cuore pieno di speranza:

Di vergogna per tutte le immagini di devastazioni, di distruzioni e di naufragio che sono diventate ordinarie nella nostra vita;

Vergogna per il sangue innocente che quotidianamente viene versato di donne, di bambini, di immigrati e di persone perseguitate per il colore della loro pelle oppure per la loro appartenenza etnica e sociale e per la loro fede in Te;

Vergogna per le troppe volte che, come Giuda e Pietro, ti abbiamo venduto e tradito e lasciato solo a morire per i nostri peccati, scappando da codardi dalle nostre responsabilità;

Vergogna per il nostro silenzio dinanzi alle ingiustizie; per le nostre mani pigre nel dare e avide nello strappare e nel conquistare; per la nostra voce squillante nel difendere i nostri interessi e timida nel parlare di quelle dell'altrui; per i nostri piedi veloci sulla via del male e paralizzati su quella del bene;

Vergogna per tutte le volte che noi Vescovi, Sacerdoti, consacrati e consacrate abbiamo scandalizzato e ferito il tuo corpo, la Chiesa; e abbiamo dimenticato il nostro primo amore, il nostro primo entusiasmo e la nostra totale disponibilità, lasciando arrugginire il nostro cuore e la nostra consacrazione.

Tanta vergogna Signore ma il nostro cuore è nostalgioso anche della speranza fiduciosa che tu non ci tratti secondo i nostri meriti ma unicamente secondo l'abbondanza della tua Misericordia; che i nostri tradimenti non fanno venir meno l'immensità del tuo amore; che il tuo cuore, materno e paterno, non ci dimentica per la durezza delle nostre viscere;

La speranza sicura che i nostri nomi sono incisi nel tuo cuore e che siamo collocati nella pupilla dei tuoi occhi;

La speranza che la tua Croce trasforma i nostri cuori induriti in cuore di carne capaci di sognare, di perdonare e di amare; trasforma questa notte tenebrosa della tua croce in alba folgorante della tua Risurrezione;
La speranza che la tua fedeltà non si basa sulla nostra;

La speranza che la schiera di uomini e donne fedeli alla tua Croce continua e continuerà a vivere fedele come il lievito che da sapore e come la luce che apre nuove orizzonti nel corpo della nostra umanità ferita;

La speranza che la tua Chiesa cercherà di essere la voce che grida nel deserto dell'umanità per preparare la strada del tuo ritorno trionfale, quando verrai a giudicare i vivi e i morti;

La speranza che il bene vincerà nonostante la sua apparente sconfitta!

O Signore Gesù, Figlio di Dio, vittima innocente del nostro riscatto, dinanzi al tuo vessillo regale, al tuo mistero di morte e di gloria, dinanzi al tuo patibolo, ci inginocchiamo, invergognati e speranzosi, e ti chiediamo di lavarci nel lavacro del sangue e dell'acqua che uscirono dal tuo Cuore squarciato; di perdonare i nostri peccati e le nostre colpe;

Ti chiediamo di ricordarti dei nostri fratelli stroncati dalla violenza, dall'indifferenza e dalla guerra;

Ti chiediamo di spezzare le catene che ci tengono prigionieri nel nostro egoismo, nella nostra cecità volontaria e nella vanità dei nostri calcoli mondani.

O Cristo, ti chiediamo di insegnarci a non vergognarci mai della tua Croce, a non strumentalizzarla ma di onorarla e di adorarla, perché con essa Tu ci hai manifestato la mostruosità dei nostri peccati, la grandezza del tuo amore, l'ingiustizia dei nostri giudizi e la potenza della tua misericordia. Amen

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inviato da Qumran2, inserito il 15/04/2017

PREGHIERA

15. Troppo facile   2

Troppo facile, Signore, ringraziarti
perché mi offri l'acqua.
Io vorrei ringraziarti per la sete.
Non ti rendo grazie per il pane, ma per la fame.
Non ti lodo per la luce, ma per il bisogno di essa.
Non ti dico grazie per l'amore,
ma perché non posso fare a meno dell'amore "vero".
Non ti benedico per la strada,
ma per i passi che mi dai la voglia di fare.
Non ti sono riconoscente per le spiegazioni,
ma per le domande.
Ti ringrazio non per l'incontro,
ma per la veglia nel cuore della notte.
Non per il riposo, ma per l'inquietudine.
Non per l'appagamento, ma per l'insoddisfazione.
Non per il conforto, ma per la scomodità.
Non per le sicurezze e le evidenze, ma per il mistero.
Non per la scoperta, ma per l'avventura esaltante.
Non per le certezze, ma per la ricerca rischiosa.
Non per i risultati, ma per la pazienza ostinata.
Non per la terra promessa, ma per l'esodo.
Non per il dono, ma per l'attesa.
Non per la parola, ma per il silenzio
che la prepara e la esige.
Non per il traguardo raggiunto,
i risultati conseguiti,
ma per le infinite partenze.

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inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

PREGHIERA

16. E beata colei che ha creduto

Valentino Salvoldi

Vergine beata, che cosa provasti alla sconcertante richiesta di diventare la madre del Salvatore?

Forse udisti solo una voce interiore, una chiamata ad abbandonarti totalmente alla volontà del Padre. E a Lui, pure turbata, desti il tuo assenso, Tu, la Donna del "sì".

Maria, vedesti solo porte chiudersi al tuo passaggio, quando cercavi un luogo in cui dare alla luce la Luce del mondo e, fiduciosa, continuasti a credere, Tu, la Donna fedele all'eterna Parola.

Profuga, nella straziante fuga verso l'Egitto, quanti dubbi dovesti scacciare, contemplando il bambino Gesù tra le tue braccia: "Ma Tu, figlio mio, sei Dio o pericolosa pietra d'inciampo?". Tu, Donna beata perché hai creduto.

E quando al tempio, dopo tre giorni di penosa ricerca, trovasti Gesù - un po' trasgressivo e misterioso come tutti gli adolescenti -, di fronte al dolore di Giuseppe e tuo, pur non comprendendo, continuasti a credere che era Dio Colui che quasi ti sfidava: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".

...Ed eccolo al Giordano, in fila con i peccatori a farsi battezzare in remissione dei peccati: "Ma Gesù è Dio o uno dei tanti peccatori?", ti sarai chiesta. Tormento scacciato con un atto di fede nella misteriosa volontà divina.

La tua fede operò il miracolo dell'acqua cambiata in vino, a Cana di Galilea, dopo aver perdonato parole dure come pietre: "Ti emoi kai soi gunai?" ("Che cosa tra me e te, donna?"). Povera Vergine Maria, chiamata "donna" e non "Mamma"!

Tu accettasti che Gesù indirizzasse ad altri - agli ascoltatori della Parola - la lode rivolta a te per averlo generato. Così pure non ti lamentasti quando rifiutò di darti udienza: "Chi è mia madre?", o forse ti sentisti doppiamente madre per aver concepito la Parola nel tuo cuore, prima di concepirla nella carne?

Vergine addolorata ai piedi della croce, accettasti di "privarti" di una maternità divina, di "perdere" un così grande Figlio, per diventare madre di chi stava ammazzando il tuo Signore, il tuo Dio, l'unico tuo sostegno e conforto, l'unico tuo grande Amore.

E in Lui credesti quando te lo depositarono, morto, tra le braccia. Un Dio morto?...

Nel supremo dei dolori, solo il mistero di Dio poteva illuminare il mistero della sofferenza che, come trivella, perforava il tuo cuore alla ricerca dell'acqua viva, la grazia, fulgida luce che dissipa le tenebre della morte con il fulgore della resurrezione.

E nell'alba radiosa del primo giorno della settimana, il Risorto, forse, venne a ringraziare te, Donna del sabato santo, per aver tenuta viva la fede dei discepoli, per averli aiutati a credere e a sperare. Forse ti ringraziò con le sublimi parole di Elisabetta: "Beata te che hai creduto".

A te, Donna che ascolta, crede e si abbandona totalmente al Mistero; a te, Donna il cui latte è diventato il sangue di Dio, nel suo e tuo Figlio, Gesù; a te, Donna che danzi cantando il "Magnificat" e hai il privilegio di sentirti chiamare "Mamma" dal Salvatore del mondo; a te, che pure io invoco come "Madre mia e mia fiducia", chiedo il dono di credere come Tu hai creduto. La fede dilati gli orizzonti della speranza e si consumi nell'amore, affinché, quando busserò alla porta del paradiso, Tu mi corra incontro gioiosa, rivolgendo pure a me l'entusiastico encomio: "Beato te che hai creduto".

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inviato da Don Valentino Salvoldi, inserito il 23/08/2016

RACCONTO

17. La scatola magica

ACR, Cammino 2006-2007, Appendice 12-14 allegato A

Un anziano mago inviò al re un misterioso pacco. Pochi giorni dopo morì. Il re, prima di aprire la scatola consultò i suoi consiglieri. "Sicuramente ha un potere magico a noi sconosciuto", risposero. "Va posto in luogo sicuro ma accessibile al popolo". Ogni giorno centinaia di persone presero ad inchinarsi davanti ad essa per ricevere un aiuto anche se, in realtà, non ottenevano nessun beneficio.

Molti anni dopo, chiese udienza al sovrano un saggio di nome Artego, chiedendo di esaminare la scatola per scoprire il mistero che nascondeva. "Non sia mai", replicò il sovrano. "E' troppo fragile e potrebbe rompersi". Il saggio insistette offrendo la sua testa qualora si fosse rotta. Dopo averla esaminata bene, Artego disse: "Ora, sire, saprai la verità!". E così dicendo la gettò a terra. Si udì come un tuono e la sala fu invasa dal fumo. Quando si dileguò, si vide una bottiglietta su cui era scritto "Elisir di serenità, per l'amata maestà!".

"Maestà", concluse il saggio, "era solo un contenitore scherzoso, il vero regalo era sul fondo dove erano riportate le istruzioni! Per secoli avete onorato una scatola e non ciò che conteneva. È quello che succede a che nella vita si ferma all'apparenza e non va in profondità!".

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inviato da Qumran2, inserito il 03/02/2016

TESTO

18. Il grande mistero della Pasqua

Papa Francesco, Udienza generale 1° aprile 2015

A volte il buio della notte sembra penetrare nell'anima; a volte pensiamo: "ormai non c'è più nulla da fare", e il cuore non trova più la forza di amare... Ma proprio in quel buio Cristo accende il fuoco dell'amore di Dio: un bagliore rompe l'oscurità e annuncia un nuovo inizio, qualcosa incomincia nel buio più profondo. Noi sappiamo che la notte è "più notte", è più buia poco prima che incominci il giorno. Ma proprio in quel buio è Cristo che vince e che accende il fuoco dell'amore. La pietra del dolore è ribaltata lasciando spazio alla speranza. Ecco il grande mistero della Pasqua! In questa santa notte la Chiesa ci consegna la luce del Risorto, perché in noi non ci sia il rimpianto di chi dice "ormai...", ma la speranza di chi si apre a un presente pieno di futuro: Cristo ha vinto la morte, e noi con lui. La nostra vita non finisce davanti alla pietra di un sepolcro, la nostra vita va oltre con la speranza in Cristo che è risorto proprio da quel sepolcro. Come cristiani siamo chiamati ad essere sentinelle del mattino, che sanno scorgere i segni del Risorto, come hanno fatto le donne e i discepoli accorsi al sepolcro all'alba del primo giorno della settimana.

pasqualucerisortoresurrezionedisperazionesperanzaricominciarevita nuova

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 17/06/2015

PREGHIERA

19. A Maria, Madre del silenzio

Papa Francesco

Madre del silenzio,
che custodisci il mistero di Dio,
liberaci dall'idolatria del presente,
a cui si condanna chi dimentica.
Purifica gli occhi dei Pastori
con il collirio della memoria:
torneremo alla freschezza delle origini,
per una Chiesa orante e penitente.

Madre della bellezza,
che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano,
destaci dal torpore della pigrizia,
della meschinità e del disfattismo.
Rivesti i Pastori
di quella compassione che unifica e integra:
scopriremo la gioia
di una Chiesa serva, umile e fraterna.

Madre della tenerezza,
che avvolge di pazienza e di misericordia,
aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità
di chi non conosce appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani,
i nostri piedi e i nostri cuori:
edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
Madre, saremo il Popolo di Dio,
pellegrinante verso il Regno.
Amen.

mariapastoripretichiesacomunitàapostolatomisericordia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Alessandro Bianco, inserito il 16/06/2015

PREGHIERA

20. Coraggio, non temete! (dopo la meditazione della Parola)

Valentino Salvoldi

Hai seminato in me,
Spirito di consiglio e di fortezza,
parole di vita e verità eterne.
Hai aperto la mia mente al Mistero
che illumina il cammino verso di te.
Mi hai chiamato alla tua presenza
con tutto il carico della mia miseria,
ma anche con il desiderio
di rinnovare continuamente la mia vita,
con la mente, le labbra e il cuore
da te illuminati, purificati, vivificati.
Attento alla voce del Padre
e illuminato dal messaggio di Cristo,
invoco te, Spirito di Sapienza,
perché continui a parlarmi, a stupirmi
e a rinnovarmi con nuovi incontri d'amore.
E di fronte al dubbio e alla paura,
sorreggi i vacillanti miei passi
ripetendo, instancabile, le parole di Gesù:
"Coraggio, non temere. Sono io!".

Scarica la raccolta completa di preghiere e testi di don Valentino Salvoldi

meditazionepreghierafiduciaazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Valentino Salvoldi, inserito il 16/06/2015

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