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RACCONTO

41. L'eco della vita   2

Padre e figlio stanno passeggiando nella foresta. A un certo punto, il bambino inciampa e cade.

Il forte dolore lo fa gridare: "Ahhhhh!".
Con sua massima sorpresa, ode una voce tornare dalla montagna: "Ahhhhh!".
Pieno di curiosità, grida: "Chi sei?" - ma l'unica risposta che riceve è: "Chi sei?".
Questo lo fa arrabbiare, così grida: "Sei solo un codardo!" - e la voce risponde: "Sei solo un codardo!".

Perplesso, guarda suo padre e gli chiede cosa stesse succedendo.
E il padre gli risponde: "Stà a vedere!", e poi urla: "Ti voglio bene!" - e la voce gli risponde: "Ti voglio bene!". Poi urla "Sei fantastico!" - e la voce risponde: "Sei fantastico!".
Il bambino era sorpreso, ma ancora non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

Così suo padre gli spiegò: "La gente lo chiama eco, ma in verità si tratta della vita stessa. La vita ti ridà sempre ciò che tu le dai: è uno specchio delle tue proprie azioni. Vuoi amore? Dalle amore! Vuoi più gentilezza? Dalle più gentilezza. Vuoi comprensione e rispetto? Offrili tu stesso. Se desideri che la gente sia paziente e rispettosa nei tuoi confronti, sii tu per primo paziente e rispettoso. Ricorda, figlio mio: questa legge di natura si applica a ogni aspetto delle nostre vite".

Nel bene e nel male, si riceve sempre ciò che si dà: ciò che ci accade non sono buona o cattiva sorte, bensì lo specchio delle nostre azioni.

esempiovitaamorelegge della vitarisultatibontà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maria Teresa Zanfini, inserito il 29/07/2004

TESTO

42. Chi è Gesù

Autori vari

Credo che l'uomo più grande esistito finora sulla terra sia Gesù Cristo, e che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto di più nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di lui, sia stato detto in contrasto con lui.
Elio Vittorini, scrittore

Gesù è la non violenza allo stato puro; è quella parte di noi che fa dono di sé e che si scontra con il negativo della vita. (...) Gesù evoca istantaneamente un' idea di fratellanza disarmata, di protesta pacifica contro ogni autoritarismo e volontà di sopraffazione. Forse per questo molti giovani oggi nel mondo sono portati a vedere in Gesù il fratello...
Nelo Risi, regista

Onestamente, non vi so dire chi sia per me Cristo, oggi. Per me è quello che era ieri, il più sublime caso di estremismo che io conosca.
Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista

Invece di cercare libri e pitture sul Nuovo Testamento, ho aperto il Vangelo e vi ho trovato non già la storia di una persona con i capelli divisi sulla fronte e con le mani congiunte in atto di preghiera, bensì un essere straordinario, dalle labbra tonanti e dai gesti bruschi e decisi che rovesciava tavole, cacciava demoni e passava col selvaggio mistero del vento dal mistero della montagna ad una paurosa demagogia. (...) La letteratura su Cristo è stata, e forse saggiamente, dolce e remissiva. Ma la parola di Gesù è stranamente gigantesca: piena di cammelli che saltano attraverso le crune degli aghi e di montagne scaraventate in mare.
G.K. Chesterton, scrittore

«L'immediatezza con la quale Gesù insegna, non ha paralleli nel giudaismo contemporaneo. ed essa è tale che egli osa perfino opporre alla lettura della legge la diretta e presente volontà di Dio».
«Ognuna delle scene narrate nei Vangeli descrive la straordinaria padronanza di Gesù nell'affrontare le diverse situazioni, a seconda dei tipi di persone che incontra».
«Il suo modo di comportarsi e il suo metodo vengono a trovarsi ogni volta in contrasto con quello che gli uomini si aspettano da lui e con ciò che dal loro punto di vista sperano per sé».
«Bisognerebbe una buona volta mettere vicini tutti i passi dei vangeli nei quali si parla di questo discernimento di Gesù, senza lasciarsi prendere dal timore che si tratti di un impegno meramente sentimentale».
«I vangeli chiamano questa manifesta immediatezza del potere sovrano di Gesù la sua "autorità"».
«L'aiuto che Gesù dà ha il carattere di una partecipazione genuina, che prende in mano con passione la situazione...».
«Essenziale è l'indissolubile connessione fra quanto è stato qui detto e il messaggio di Gesù intorno alla realtà di Dio, del suo Regno e della sua volontà... Rendere presente la realtà di Dio: ecco il mistero essenziale di Gesù».
G. Bornkamm, Gesù di Nazareth

Gesù Cristo

inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004

TESTO

43. Fare spreco di generosità

Tonino Bello, Ti voglio bene, omelia pronunciata il 19 marzo 1993 durante il rito di Ammissione di due giovani seminaristi tra i candidati agli Ordini Sacri

... La cosa più importante che vi voglio dire è quello di fare veramente con il Signore spreco di generosità. Guardate, non impressionatevi per i problemi che ci sono nel mondo, per le difficoltà che dovete incontrare per arrivare alla meta del sacerdozio. È difficile che oggi dei giovani scelgano di seguire Gesù Cristo con totalità, con libertà, con amore, lusingati come sono da tante seduzioni: le seduzioni della strada, della piazza, del successo, non dico del denaro, perché forse, grazie a Dio, nonostante la promessa di povertà, di fame non morrete nella Chiesa. Però dovete rimanere poveri, nella condizione di dipendenza da Dio, sentirvi poveri davanti a lui.

Ci sono lusinghe, le lusinghe della ricchezza, che vi attraggono, che attraggono tanti giovani: voi resistete a queste lusinghe e andate avanti con gioia perché volete seguire il Signore. Ma è difficile, oggi.

Ci sono le lusinghe bellissime, dolcissime, nella cui trama di rugiada, carica di luce, che sa di cancelli che immettono nell'aldilà, nell'ulteriorità, è facile abbandonarsi: la lusinga dell'amore, dell'amore per una donna. Pure dentro di voi batte il cuore per queste cose sante, pure e nobili. Eppure voi con grazia, con garbo, accantonate e mettete da parte con la stessa delicatezza con cui accarezzate il volto di Gesù Cristo. Mettete da parte tutta questa potenziale esperienza che potete avere per dire: "Signore, io seguo Te più da vicino, in modo più stretto. Voglio vivere in un legame più forte per poter essere più pronto a darti una mano, più agile perché i miei piedi che annunciano la pace sui monti possano essere salutati con gioia da chi sta a valle".
"Beati i piedi di coloro che sui monti annunciano la pace".

Coraggio, non lasciatevi lusingare oppure tirar dietro: guardate avanti con grande fierezza, con grande gioia perché il Signore è vicino. Il Signore ha bisogno di voi.

Il tempo si è fatto breve. Tantissimi giovani hanno bisogno di Lui, hanno bisogno di sentir parlare di Lui. I figli chiedono il pane e non c'è chi lo spezza per loro - dice un salmo; voi fate questa prova di gettarvi a capofitto in questo abisso di luce che è Gesù Cristo. Egli poi vi dà la forza di andare avanti. Vi sostiene. Vi dà l'entusiasmo, il gusto di vivere in mezzo al popolo, non lontano, non astratti dal mondo.

Io vi auguro che non stiate mai in testa e neppure in coda, ma possiate stare in mezzo al popolo, come Gesù: "Gesù, allora si sedette in mezzo ai dottori, aprì la bocca e disse...". Si sedette in mezzo. Gesù che si siede in mezzo...

Anche voi, sedetevi in mezzo alla gente, sentite il sapore e il profumo del popolo, inebriatevi di questo grande ideale di annunciare Gesù Cristo.

È splendido: dà significato alla vostra vita. Parola di uomo. È così. Il Signore Gesù è in grado di renderci felici al punto tale che questa felicità sentite il bisogno di trasferirla agli altri, a tutti coloro che vi accostano.

...Chiedete ogni giorno a Dio che vi dia un cuore umano che batta secondo i suoi ritmi. Quanti saranno i battiti di Gesù Cristo?

Come vorrei che il mio cuore battesse come il suo, in sintonia col suo per poter trascinare tutti quanti in un vortice di amore, di tenerezza, di bontà!

Chiedete al Signore che vi dia un cuore umano perché possiate essere capaci di capire la povertà della gente, la tristezza della gente, il pianto della gente; nessuno legge più questi "audiovisivi". Sono degli audiovisivi il pianto, la sofferenza, il dolore.

Il Signore si prende gioco della morte. Cos'è la morte davanti a Lui? Cos'è la malattia davanti a Lui? Cos'è un tumore davanti a Lui? Cosa volete che sia! Come facciamo a non vivere nella gioia, nel gaudio, nella speranza del Signore? Della morte lui si prende gioco. Il Signore non ci abbandona mai.

Il Signore vi dà la mano stasera, e la tiene sempre inevitabilmente stretta. E a meno che non siate voi a dichiarare il divorzio, state tranquilli che Lui da voi non si allontanerà più. È l'augurio che vi faccio ed è anche l'offertorio che presentiamo al Signore.

generositàvocazionesacerdozioseminaristichiamata

inviato da Sandra Aral, inserito il 27/07/2004

TESTO

44. Scendi dalle stelle

Màrai Sàndor, Mennybõl az angyal, 1956, New York, tradotta da Agnes Preszler © 2003

Angelo, scendi dalle stelle, va' a Budapest,
va' veloce, tra rovine bruciate e fredde,
dove tra i carri armati russi tacciono le campane.
Dove non brilla Natale,
non ci sono addobbi sugli alberi,
non c'è altro che freddo, gelo e fame.
Di' a loro che lo sappiano,
parla ad alta voce nella notte,
angelo, porta loro il mistero di Natale.

Sbatti veloce le ali, vola veloce
perché ti aspettano tanto.
Non parlare a loro del mondo,
dove ora a lume di candela
in stanze calde si apparecchia.
Il prete in chiesa usa un linguaggio solenne,
fruscia la carta da regalo,
buoni intenzioni, parole sagge.
Sugli alberi candele romane.
Angelo, parlaci tu di Natale.

Racconta, perché è un miracolo,
che nella notte placida l'albero di natale
di un popolo povero si è acceso
e sono molti a fare il segno della croce.
Il popolo dei continenti lo guarda,
uno lo capisce, l'altro non l'afferra.
Scuotono il capo, è troppo per molti.
Pregano o si inorridiscono:
perché sull'albero non ci sono dolci,
ma l'Ungheria, il Cristo dei popoli.

E le passano tanti davanti;
il soldato che l'ha trafitta;
il fariseo che l'ha venduta;
chi l'ha negata tre volte;
chi, dopo che intinse con lei nel piatto,
l'ha offerta per trenta monete d'argento,
e mentre la insultava e la picchiava,
le beveva sangue e mangiava il corpo.
Ora stanno là tutti a guardare,
ma nessun di loro osa parlarle.

Perché lei non parla più, non accusa,
guarda solo giù dalla croce, come Cristo.
E' strano questo albero di Natale,
chi l'ha portato, l'angelo o il diavolo?
Quelli che tirano a sorte la sua veste,
non sanno quello che fanno,
solo fiutano, sospettano
il mistero di questa notte,
perché questo è un strano Natale,
sull'albero c'è il popolo ungherese.

E il mondo parla di miracolo,
preti predicano coraggio,
l'uomo di stato lo commenta,
lo benedice anche il santo papa.
E gente di ogni tipo e rango,
chiede: a che cosa è servito?
Perché non aspettava in silenzio la fine,
e si estinse come la Sorte volle?
Perché si squarciò il cielo?
Perché un popolo ha detto: Ora basta!

Sono in molti a non capire
che cosa è questa inondazione,
perché si è mosso l'ordine del mondo?
Un popolo ha urlato. Poi fu il silenzio.
Ma ora tanti stanno a chiedere:
di carne ed ossa chi ha fatto legge?
E lo chiedono molti, sempre di più,
perché non lo afferrano proprio
loro che l'hanno avuto in eredità,
ma allora vale tanto la Libertà?

Angelo, porta loro la notizia,
che dal sangue sorge sempre nuova vita.
Si sono già incontrati diverse volte:
il Bambino, l'asino, il pastore.
Nel presepe, nel sogno
quando la Vita ha partorito,
a salvaguardare il miracolo
sono loro con il respiro.
Perché è accesa la Stella, spunta l'aurora
angelo del cielo, porta la notizia.

natale

inviato da Agnes Preszler, inserito il 20/12/2003

PREGHIERA

45. Gratitudine   2

Chiara Lubich, La dottrina spirituale

Ti voglio bene
non perché ho imparato a dirti così,
non perché il cuore mi suggerisce questa parola,
non tanto perché la fede mi fa credere che sei amore,
nemmeno soltanto perché sei morto per me.

Ti voglio bene
perché sei entrato nella mia vita
più dell'aria nei miei polmoni
più del sangue nelle mie vene.
Sei entrato dove nessuno poteva entrare
quando nessuno poteva aiutarmi
ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi.

Ogni giorno ti ho parlato.
Ogni ora ti ho guardato
e nel tuo volto ho letto la risposta,
nelle tue parole la spiegazione,
nel tuo amore la soluzione.

Ti voglio bene
perché per tanti anni hai vissuto con me
ed io ho vissuto di Te.
Ho bevuto alla tua legge
e non me n'ero accorta.

Me ne sono nutrita, irrobustita,
mi sono ripresa,
ma ero ignara
come il bimbo che beve dalla mamma
e ancor non sa chiamarla
con quel dolce nome.

Dammi d'esserti grata
- almeno un po' -
nel tempo che mi rimane,
di questo amore che hai versato su di me,
e m'ha costretta a dirti:
Ti voglio bene.

rapporto con DioGesùamore

5.0/5 (2 voti)

inviato da Cecilia Leone, inserito il 27/10/2003

PREGHIERA

46. Ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno   1

Tonino Bello

Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato .Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei. E' perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te. Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: "Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla".

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Grazie, perché obbligandoci a prendere atto Dei nostri bilanci deficitari, ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori. E che, se tu non custodisci la città, invano veglia il custode. E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi tu. Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento. Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione. Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.

Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell'efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno, esigono il nostro rendimento di grazie. Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni. Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna. Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri. Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall'amore che ci porti, che non ti regge l'animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere reverendi. Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché, al tuo sguardo, non c'è bancarotta che tenga. Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell'anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti. Spogliaci, Signore, d'ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime.

preghierarapporto con Diomisericordia di Diomagnanimitàfine annonuovo annocapodannoapostolato

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giosuè Lombardo, inserito il 28/06/2003

TESTO

47. Beato il cuore   2

Beato il cuore che fa spazio a tutti dentro di sé
e trova sempre al suo interno
un angolino libero per l'ultimo che arriva.

Beato il cuore che non riesce a chiamare estraneo
anche il più diverso, ma vive l'accoglienza come legge
fondamentale, perché questo è il Vangelo.

Beato il cuore che vive un continuo "Eccomi" agli altri,
a Dio e a stesso: crescerà fino alla pienezza.

Beato il cuore che si fa solidale nella verità con tutti e ciascuno,
in ogni situazione, nella buona e nella cattiva salute:
sarà artefice della civiltà dell'amore.

Beato il cuore che non è gonfio di sé,
non si vanta, non manca di rispetto:
sarà beato perché perdendo se stesso si ritrova.

Beato il cuore che si compiace della verità, della giustizia
e della purezza: sarà specchio di Dio e città sul monte.

Beato il cuore che si lascia compromettere dalla sofferenza degli altri
ed offre solidarietà, asilo, speranza:
realizzerà l'unità dei fratelli.

Beato il cuore che non conosce il colore della pelle o la diversità delle lingue,
ma solo il linguaggio degli occhi, del sorriso,
del volto e della luce di Dio: sarà rigeneratore di speranza.

Beato il cuore che vive l'attenzione agli altri, la generosità,
l'autenticità della vita e una presenza operosa:
sarà costruttore del Regno di Dio.

Beato il cuore mite e umile, perché sarà una nuova incarnazione
del Cuore di Cristo.

beatitudinisolidarietàamoreaccoglienza

1.0/5 (1 voto)

inviato da Barbara, inserito il 16/12/2002

TESTO

48. Il Natale visto da Gandhi   2

Mahatma Gandhi

Non si dovrebbe celebrare la nascita di Cristo una volta all'anno, ma ogni giorno, perché Egli rivive in ognuno di noi. Gesù è nato e vissuto invano se non abbiamo imparato da lui a regolare la nostra vita sulla legge eterna dell'amore pieno. Là dove regna senza idea di vendetta e di violenza, il Cristo è vivo. Allora potremmo dire che il Cristo non nasce soltanto un giorno all'anno: è un avvenimento costante che può avverarsi in ognuna delle nostre vite. Quando la legge suprema dell'amore sarà capita e la sua pratica sarà universale, allora Dio regnerà sulla terra come regna in cielo. Il senso della vita consiste nello stabilire il Regno di Dio sulla terra, cioè nel proporre la sostituzione di una vita egoista, astiosa, violenta e irragionevole con una vita di amore, di fraternità, di libertà, di ragione. Quando sento cantare "gloria a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà" mi chiedo oggi come sia reso gloria a Dio e dove ci sia pace sulla terra. Finché la pace sarà una fame insaziata, finché noi non saremo riusciti a rinascere come uomini illuminati dallo Spirito, a instaurare con le persone rapporti autentici di comunione da cui siano estranei i sorrisi forzati, l'invidia, la gelosia, la falsa cortesia, la diplomazia, finché non avremo come senso della vita la ricerca della verità su noi stessi, del giusto, del bello, finché non saremo capaci di spogliarci dell'inautentico, di ciò che abbiamo di troppo a spese di coloro che non hanno niente, finché continueremo a calpestare i nostri sogni più belli e più profondi, il Cristo non sarà mai nato.

Quando la pace autentica si sarà affermata, quando avremo sradicato la violenza dalla nostra civiltà, solo allora noi diremo che "Cristo è nato in mezzo a noi". Allora non penseremo tanto ad un giorno che è un anniversario, ma ad un evento che può realizzarsi in tutta la nostra vita. Se dunque si augura un "buon Natale" senza dare un senso profondo a questa frase, tale augurio resta una semplice formula vuota.

Nataleregno di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

PREGHIERA

49. Padre nostro del povero e dell'emarginato

Pe. Cireneo Kuhn SVD (Brasile), canto, ed. Verbo Filmes

Padre nostro, del povero e dell'emarginato.
Padre nostro, dei martiri e dei torturati,
il tuo nome è santificato in colui che muore difendendo la vita,
il tuo nome è glorificato quando la giustizia è nostra misura.
Il tuo regno è di libertà, fraternità, pace e comunione.
Maledetta tutta la violenza che divora l'uomo con la repressione.
Sia fatta la tua volontà.
Sei il vero Dio liberatore.
Non seguiremo le dottrine tramate dal potere dell'oppressione.
Ti chiediamo il pane della vita, della speranza e dei poveri,
il pane che ci porta all'unità
e ricostruisce l'uomo invece che i cannoni.
Perdonaci
quando per paura
rimaniamo zitti davanti alla morte.
Distruggi
il regno della corruzione come legge dei più forti.
Proteggigi
dalla cattiveria dei potenti e degli assassini.
Dio,
Padre,
Rivoluzionario,
Fratello dei poveri,
Dio degli oppressi.

Padre nostroingiustiziapovertàgiustizia

inviato da Elena Mencarelli, inserito il 14/12/2002

TESTO

50. C'è vita solo dove c'è amore

Mahatma Gandhi

C'è vita solo dove c'è amore.
La vita senza amore è morte.
La legge dell'amore governa il mondo.
Se c'è nel cuore umano un amore puro, tutto il resto segue automaticamente e il campo del servizio è illimitato.
Se si aprono le porte del cuore tutto può entrarvi.

vitacuoreaccoglienzaamore

inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 12/12/2002

TESTO

51. Ogni società si trova a dover scegliere

Abbé Pierre

Ogni società si trova a dover scegliere fra una legge di vita e di pace, e una legge di morte e di odio. La legge di morte è quella che dice: i forti devono essere i primi. Ciò fa sì che tutti lottino per essere forti, in modo da essere serviti. Questa legge è disperata, perché anche il forte un giorno diverrà debole, e i deboli che lui non ha amato lo lasceranno morire abbandonato. C'è solo una via d'uscita a questa disperazione: obbedire alla legge della vita e dell'amore. Questa legge è il contrario della prima: dice che i poveri e deboli debbono essere serviti per primi. Questa legge porta pace, perché nessuno competerà mai con gli altri, lotterà contro gli altri, ucciderà gli altri per divenire debole e povero. Ed è una legge di vita, perché quando il forte diverrà debole, sarà sostenuto dai deboli che lui ha aiutato quand'era forte.

solidarietàamorecaritàgiustiziaingiustiziaforzavita

inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002

PREGHIERA

52. Preghiera dell'anziano   2

Signore, insegnami a invecchiare! Convincimi che la società non compie alcun torto verso di me se mi va esonerando da responsabilità, se non mi chiede più pareri, se ha indicato altri ad occupare il mio posto.

Che io colga, in questo graduale distacco dalle cose, unicamente la legge del tempo e avverta in questo avvicendamento di compiti la tua mirabile Provvidenza che, nel succedersi delle stagioni, rinnova continuamente la vita.

Fa', o Signore, che io riesca ancora utile alla comunità umana, contribuendo con l'ottimismo e la preghiera alla gioia e al coraggio di chi è in turno nelle responsabilità, guardando con fiducia al mondo in trasformazione, senza rimpianti sul passato, affinché la mia uscita dall'attività sia semplice e naturale, come un felice tramonto di sole.

Perdona se solo oggi, giunto quasi alla sera della mia lunga giornata, riesco a capire quanto tu mi hai amato e aiutato.

Che almeno ora abbia viva e penetrante la percezione del destino di gioia che mi hai preparato e verso il quale mi hai incamminato dal primo giorno di vita.

Signore, aiutami.

anzianitàmaturazionevecchiaiamorteserenità

inviato da Luana Minto, inserito il 19/09/2002

TESTO

53. Lentamente muore   1

Martha Medeiros, giornalista e scrittrice brasiliana nata nel 1961

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente
chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi non distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

vitaprogettomorte

inviato da Mariangela Molari, inserito il 29/08/2002

ESPERIENZA

54. La messa si fa missione

padre Giovanni Dutto, Eucarestia, cuore della missione

Ad un giovane medico indiano, induista e profondamente religioso, venne offerta una borsa di studio per l'università di Roma: avrebbe potuto specializzarsi in chirurgia. Nella sua città non c'era nessun chirurgo. Egli ne fu felicissimo, evidentemente per la specializzazione, ma anche per un motivo religioso: avrebbe incontrato persone di altre religioni e avrebbe potuto pregare con loro. E' una nota culturale ed eclettica comune agli Indù. Per loro tutte le religioni sono ugualmente valide e tutte, per vie diverse, portano allo stesso fine. Nessuna religione può pretendere di essere l'unica vera e di conseguenza non ha senso convertirsi da una all'altra. La pensava così anche Gandhi, che ammirava Cristo e fece proprio il discorso della montagna, ma non pensò mai di divenire cristiano e condannò l'opera dei missionari cattolici. Si legge in un libro indù: "Il cristiano non deve diventare un indù, né un buddista. Un indù, o un buddista, non deve diventare un cristiano. Ognuno deve assimilare lo spirito altrui e conservare nel tempo stesso la propria individualità" (Vivekananda).

Durante il viaggio il nostro medico entrò nelle moschee e pregò con i musulmani. Incontrò gli ebrei e volle pregare con loro nelle sinagoghe. A Roma, si riprometteva di pregare anche con i cristiani. Non conosceva nulla del cristianesimo. Aveva intuito solo che i cristiani a volte si radunano in edifici particolarmente belli, per pregare insieme.

Fu così che una domenica si unì alla folla che entrava in S. Andrea della Valle. Era per la Messa, ma lui non la conosceva: era unicamente animato da una grande attenzione per poter pregare con i cristiani. Ad un certo momento vide tutti frugare nelle tasche e offrire del denaro, mentre una processione si mosse dal fondo della chiesa: venivano portati dei pani e dei vasi, che il sacerdote accolse ed elevò sull'altare con somma dignità. Pensò: "Si vede che i cristiani, quando pregano, donano qualche cosa".

Non aveva portato nulla con sé. Si sentì indotto a supplire con una preghiera: "Signore, lavorerò per i poveri".

Ora diventato chirurgo, è nella sua città natale, Madras, ed è il primario dell'ospedale. E' famoso per questo: non si concede tempo libero, e dopo il normale turno quotidiano si attarda ancora nel suo studio per ricevere i poveri, e li riceve gratuitamente!

Lo Spirito Santo aveva trovato la via aperta per comunicarsi a lui e ispirargli il dono di sé.

Questo medico insegna la partecipazione: a Messa non si va "come estranei o muti spettatori" (Sacrosanctum Concilium 47). Ma soprattutto insegna che la Messa si proietta sulla vita. Il medico induista non fu più quello di prima: quella Messa lo fece missionario dell'amore.

La Messa ci fa "sacrificio a Dio gradito", cioè persone nuove, toccate da Lui. La Messa ci ha chiamati, ci ha trasformati e ci invia. Messa e vita; Messa e missione, dunque!

L'esperienza dell'Eucarestia non si chiude alle spalle con le porte della chiesa dopo la celebrazione, ma "va'" in tutto il mondo. Ci è stato detto: "La Messa è finita". Il suo genuino significato è: "La Messa non è finita". "Si scioglie l'assemblea perché ognuno torni alle sue occupazioni lodando e benedicendo Dio".

La carica eucaristica è tale che riscopre il suo vero nome: missione.

E' la missione della pace, come suggerisce l'augurio liturgico: "andate in pace!".

EucaristiamissionetestimonianzasacrificioMessaoffertorio

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inviato da Stefania Raspo, inserito il 11/06/2002

ESPERIENZA

55. Andate in missione per cercare luoghi e modi per dare la vita

Roberta Pignone

Questo titolo un po' strano è quello che meglio descrive il mio viaggio in Bangladesh fatto proprio lo scorso settembre. Fin dall'inizio del mio cammino di preparazione al PIME, iniziato lo scorso ottobre, ho sempre avuto come motivazione principale quella di scoprire cosa avrei potuto fare come medico in una Missione.

E così mi sono completamente affidata a questo cammino, io ho deciso di parteciparvi, tutto il resto mi è stato donato.

Nel mese di aprile ho saputo che la mia destinazione sarebbe stata il Bangladesh.

Non sapevo nulla di questo paese, solo che è il più povero del mondo...

Sono partita per questa esperienza caricata molto positivamente, la gioia e la curiosità erano davvero grandi, ma avevo anche un po' di paura. Le aspettative erano molte ma ho voluto un po' accantonarle dicendo: "Lascio al Signore di decidere quello che vorrà donarmi con questa esperienza".

Al momento della partenza sapevo solo che io, a differenza delle due ragazze che sono partite con me, sarei stata da sola in un'altra missione più a nord del paese, dove mi aspettava il lavoro in un dispensario.

Il primo impatto all'arrivo a Dahka è stato davvero traumatico, la prima sera i miei sentimenti e le emozioni erano incontrollabili continuavo a ripetermi: Perché sono qui? Non potevo seguire i consigli di chi mi ha sempre un po' scoraggiato in questo viaggio?!. Ma chi me lo ha fatto fare? Voglio tornare a casa!

Dahka è una città lasciata a metà, tutto è stato iniziato ma ben poco è stato portato a termine, grande caos, forti rumori, traffico peggio che a Milano, odori nauseabondi...

Ma in fondo la mia destinazione era un piccolo villaggio del nord, questo mi faceva avere la speranza che le cose sarebbero cambiate.

Dopo due giorni ho raggiunto Boldipukur, la mia piccola e accogliente missione. Le case diroccate hanno lasciato spazio al verde che è la nota caratteristica del B, qua la gente vive nelle capanne in mezzo alla natura, proprio intorno alla missione.
Uno spettacolo meraviglioso!

Così le angosce e le paure che mi avevano accompagnato fino a quel momento hanno lasciato spazio ad una sensazione di pace. Sono stata ospite di una piccola comunità di cinque suore, tre bengalesi e due italiane, suor Eleonora e suor Mariangela. Mi sono sentita subito ben accolta, mi sentivo come a casa mia.

A differenza di Dahka dove sono stata solo spettatrice di un mondo che sentivo estremamente estraneo a me e anche un po' ostile, in questo ambiente sono dovuta scendere allo scoperto, entrando nella quotidianità di questa gente, nelle loro case, nelle loro vite.

Sono entrata con timore, quasi in punta di piedi per non voler far notare troppo la differenza e mi sono scontrata subito con una povertà che disarma e fa cadere tutte le certezze.

Appena arrivata in missione mi hanno mostrato la mia camera e subito mi ha colto una sensazione di disagio: non funzionava il ventilatore, assolutamente necessario per affrontare alcuni momenti della giornata, e l'acqua che scendeva dal mio rubinetto era arancione. "Voglio tornare a casa" e il solito "Chi me lo ha fatto fare?!".

In risposta a queste mie domande mi hanno portato a fare un giro nel villaggio appena fuori le mura della missione e ho visto gente che vive nelle capanne, in una unica stanza c'è tutto e soprattutto nessuna comodità, niente ventilatore, niente acqua corrente, solo la luce per chi è fortunato.

La povertà che ho incontrato nel piccolo villaggio è diversa da quella di Dahka, è una povertà dignitosa, hanno davvero poco per il loro sostentamento, ma quel poco lo condividono.

Ho voluto conoscere la realtà della Sanità in B, suor Mariangela si è fatta carico di questa cosa e mi ha fatto vedere tutto quello che le era possibile, portandomi da una cittadina all'altra, consapevole che di fronte ad alcune realtà sarei rimasta senza parole.

Così ho visitato l'ospedale governativo di Rangpur, la città più grande vicino alla mia missione, una decina di chilometri, penso che le parole non riescano a rendere il significato di quello che ho visto: non credevo di essere in un ospedale. La struttura è fatiscente, mi verrebbe da paragonarla alla stazione centrale, ogni angolo di corridoio o di scala è utilizzato come bagno o spazzatura. Nel reparto di chirurgia generale, uno stanzone enorme nel quale sono ricoverati una cinquantina di persone, uomini e donne insieme, chi su di un letto dalle lenzuola putride, chi addirittura per terra adagiato su delle coperte di lana anch'esse molto sporche. Ogni paziente ha al suo fianco la famiglia per qualsiasi necessità, l'ospedale non dà cibo, ma nemmeno i farmaci necessari al ricovero. Tutto è a carico del paziente.

E' stato sufficiente vedere quel reparto per chiedere alla suora di portarmi via, non volevo veder più nulla e nel cuore la speranza che non succeda mai nulla per cui i missionari abbiano bisogno di un ricovero urgente.

La speranza si è accesa quando invece a Dinajpur ho visto l'ospedale gestito dai Missionari, una stretta al cuore, nella povertà e nella semplicità della struttura, riesco comunque a riconoscere un ospedale. Corridoi e stanze pulite, ognuno ha un proprio letto con lenzuola degne di essere chiamate tali.

L'esperienza comunque più significativa l'ho vissuta proprio al dispensario dove ho potuto agire direttamente.

Il dispensario raccoglie tutti i giorni dalle 100 alle 150 persone e più provenienti dai villaggi limitrofi, solo donne e bambini. Vi lavorano solo due suore infermiere, il numero di utenti sarebbe troppo alto con gli uomini.

Vengono fatte accomodare 5 o 6 persone tutte insieme e ognuno dice apertamente il proprio problema, non esiste certo la legge sulla privacy.

Così le suore gestiscono i loro pazienti, ascoltandoli, facendo diagnosi, consigliando terapie con farmaci che loro stessi devono pagare. E non si può certo eccedere con i farmaci, dipende da quanti soldi può offrire il paziente.

I primi giorni mi domandavo che senso avessero tali terapie che non duravano più di quattro giorni a dosi che da noi non utilizziamo nemmeno nei bambini. E ho fatto fatica a mettere da parte le mie conoscenze e le mie certezze per entrare in un'ottica che è completamente diversa dalla mia.

Ho subito pensato a come noi, facilmente, possiamo avere dei farmaci che ci aiutano e a quanti Km di strada devono fare loro per raggiungere il dispensario che copre un territorio vastissimo. Certo nei villaggi ci sono i loro dottori che nella maggior parte dei casi sono stregoni che impongono terapie che io non ho voluto nemmeno conoscere.

Certo che i ricordi sono davvero tanti e potrei stare raccontare per ore...

Prima di partire mi hanno consigliato di non andare a vivere un'esperienza di questo tipo con l'idea di andare a fare grandi cose, con l'idea di salvare il mondo, ma anzi, di lavorare poco e di guardare, ascoltare, imparare.

E così ho fatto, sono partita dicendo: "Non dirò di no a nulla e farò tutto quello che mi verrà proposto...".

Ora il sentimento che sento davvero forte nel mio cuore è quello della gratitudine, io non ho fatto assolutamente nulla in questa esperienza, ho solo ricevuto tanti doni.

E quello davvero più grosso è stato quello di una comunità accogliente che mi ha permesso di essere davvero libera di guardare, ascoltare, registrare tutto quello che veniva messo sul mio cammino.

Ho fatto migliaia di km per scoprire in terra straniera uomini e donne italiane, sì, i missionari!!

"Negli occhi una terra lontana, nel cuore una speranza, andare ai confini del mondo per far conoscere te" sono le parole di un canto che porto nel cuore da quando sono tornata e racchiudono davvero il senso del mio viaggio.

Porto nel cuore queste persone che mi hanno insegnato uno stile di vita davvero semplice e sobrio, il loro sguardo carico di amore, i loro sorrisi... riflesso di un amore più grande che li accompagna e li sostiene ogni giorno.

Non posso che chiedervi di pregare per queste persone perché possano davvero continuare questa grande opera che non è altro che la loro vita per Dio!

missionepovertàdonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

TESTO

56. La pace come perdono

Tonino Bello

Solo chi perdona può parlare di pace e teorizzare sulla non violenza.

Non vorrei essere frainteso.

E' vero: la pace è conquista, cammino, impegno. Ma sarebbe un brutto guaio se qualcuno pensasse che essa sia semplicemente il frutto dei nostri sforzi umani o il risultato del nostro volontarismo titanico o una merce elaborata nelle nostre cancellerie diplomatiche o un prodotto costruito nei nostri cantieri popolari.

La pace è soprattutto dono che viene dall'alto. E' la strenna pasquale che Gesù ha fatto alla terra. È il regalo di nozze che ha preparato per la sua sposa. Con tanto di marchio di fabbrica: "Made in Cielo".

Qual è allora il ruolo degli operatori di pace? Quello di non respingere il dono al mittente. E' in particolare, quello di rendere attuale e fruibile per tutti questo regalo di Dio. Mi spiego con immagini. Gesù è sceso sulla terra tormentata dalla sete. Con la sua croce, piantata sul Calvario come una trivella, ha scavato un pozzo d'acqua freschissima. Una volta risorto, ha consegnato questo pozzo agli uomini dicendo: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace". Ora tocca a noi

attingere l'acqua della pace per dissetare la terra. A noi, il compito di farla venire in superficie, di canalizzarla, di proteggerla dagli inquinamenti, di farla giungere a tutti.

La pace, dunque, è dono. Anzi, è " per-dono". Un dono "per". Un dono moltiplicato. Un dono di Dio che, quando giunge al destinatario, deve portare anche il "con-dono" del fratello.

E qui il discorso si fa concreto. Come possiamo dire parole di pace, se non sappiamo perdonare? Con quale coraggio pretendiamo che siano credibili le nostre scelte di pace a livello di massimi sistemi, quando nel nostro entroterra personale prevale la legge del taglione? Come possiamo rifiutare la "deterrenza" e respingere la logica del missile per missile, se nella nostra vita pratichiamo gli schemi dell'"occhio per occhio e dente per dente"? Quali liberazioni pasquali vogliamo annunciare, se siamo protagonisti di stupide smanie di rivincita, di deprimenti vendette familiari, di squallide faide di Comune? Chi volete che ci ascolti quando facciamo comizi sulla pace, se nel nostro piccolo guscio domestico siamo schiavi dell'ideologia del nemico?

Solo chi perdona può parlare di pace. E a nessuno è lecito teorizzare sulla non violenza o ragionare di dialogo tra popoli o maledire sinceramente la guerra, se non è disposto a quel disarmo unilaterale e incondizionato che si chiama "perdono".

perdonoamare i nemicipaceconflitti

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

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