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RACCONTO

1. Il bambino e il cucciolo zoppo   1

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Il padrone di un negozio stava esponendo sulla porta un cartello con la scritta “Si vengono cuccioli”.
Da lì a poco si presentò un ragazzino:
«Quanto costano i cagnolini?»
«Tra i 30 e i 50 euro.»

Il bambino estrasse alcune monete dalla tasca.
«Ho solo 2,37 euro... posso vederli?»

L'uomo sorrise e fece un fischio. Dal retrobottega entrò il suo cane seguito da cinque cuccioli. Uno di questi era rimasto indietro zoppicando. Il ragazzino lo indicò:
«Che cosa gli è successo?»
L'uomo gli spiegò che alla nascita il veterinario gli aveva detto che quel cucciolo aveva un'anca difettosa e che sarebbe rimasto zoppo per sempre.

Il bambino esclamò:
«Vorrei comprare quel cagnolino!»
«No, non dovrai comprarlo! Se lo vuoi davvero te lo regalerò!»

Il bambino guardò l'uomo negli occhi:
«Non voglio che me lo regali: vale tanto quanto gli altri cagnolini e le pagherò il prezzo intero. Se è d'accordo, le darò subito ciò che ho, e 50 centesimi ogni mese fino a quando lo avrò pagato completamente.»

L'uomo insistette:
«Questo cagnolino non sarà mai in grado di correre, saltare e giocare come gli altri cagnolini!»
Allora il bambino si piegò ed estrasse dai pantaloni la sua gamba sinistra malformata e imprigionata in un pesante apparecchio metallico. Guardò di nuovo l'uomo e disse:
«Non importa: anche io non posso correre e il cagnolino avrà bisogno di qualcuno che lo capisca!»

disabilitàsofferenzaempatiacompassione

inviato da Simona, inserito il 23/02/2023

PREGHIERA

2. Grazie   1

Michel Quoist, Preghiere, Editrice Marietti

Bisogna saper dire grazie. Le nostre giornate sono ricche di doni che il Signore ci fa. Se sapessimo esaminarli e farne l'inventario, alla sera saremmo sorpresi e raggianti per tanti beni ricevuti. Saremmo allora riconoscenti dinanzi a Dio, fiduciosi perché ci dona tutto, gioiosi perché sappiamo che ogni giorno rinnova i suoi doni.

Tutto è dono di Dio, anche le più piccole cose, ed è l'insieme di questi doni che forma una vita, bella o cupa, secondo il modo in cui uno se ne serve.

Grazie, Signore. Grazie.
Grazie per tutti i regali che Tu mi hai offerti oggi,
Grazie per tutto quello che ho veduto, sentito, ricevuto.

Grazie per l'acqua che mi ha svegliato, per il sapone profumato e il dentifricio fresco.
Grazie per i vestiti che mi proteggono, per il loro colore ed il loro taglio.
Grazie per il giornale fedele all'appuntamento, per le sue storielle, sorriso del mattino,
per le riunioni serie che si succedono, la giustizia resa e la partita vinta.

Grazie per i servizi della nettezza urbana e per chi li svolge,
per le loro grida mattutine e per i rumori della strada che si sveglia.
Grazie per il mio lavoro, i miei strumenti, i miei sforzi.
Grazie per il metallo fra le mie mani, per il suo lungo lamento sotto l'acciaio che lo morde, per lo sguardo soddisfatto del caporeparto e per il carrello dei pezzi finiti.
Grazie per Giacomo che m'ha prestato la sua lima, Daniele che m'ha dato una sigaretta, Carlo che m'ha tenuto la porta.
Grazie per la strada accogliente che mi ha portato, per le vetrine dei negozi, per le vetture, per i passanti, per tutta la vita che scorreva rapida fra i muri delle case.

Grazie per il cibo che mi ha sostenuto,
per il bicchiere di birra che nel pomeriggio mi ha dissetato.
Grazie per la moto che docilmente m'ha condotto ove desideravo,
per la benzina che l'ha fatta correre, per il vento che mi ha accarezzato il viso
e per gli alberi che mi hanno salutato al passaggio.

Grazie per le ragazze che ho incontrato,
per il rossetto di Graziella dalla tinta delicata,
per la permanente di Michelina, che dà risalto al suo viso,
per la smorfia d'Anna Maria e la sua risata che distende.

Grazie per il bimbo che ho guardato giocare sul marciapiede di fronte,
Grazie per i suoi pattini a rotelle e per l'aria strana che aveva quand'è caduto.

Grazie per i saluti che mi hanno rivolto, per le strette di mano che ho dato,
per i sorrisi che mi hanno offerto.
Grazie per la mamma che mi accoglie a casa,
per il suo affetto discreto, per la sua silenziosa presenza.
Grazie per il tetto che mi ripara, per la luce che mi rischiara,
per la radio che canta.
Grazie per il giornale-radio e per tutti i programmi.
Grazie per il mazzo di fiori, piccolo capolavoro sul mio tavolo.

Grazie per la notte quieta.
Grazie per le stelle.
Grazie per il silenzio.

Grazie per il tempo che Tu mi hai dato.
Grazie per la vita.
Grazie per la grazia.

Grazie d'essere qui, o Signore.
Grazie di ascoltarmi, di prendermi sul serio,
di ricevere nelle Tue mani il fascio dei miei doni per offrirli al Padre Tuo.
Grazie, o Signore, Grazie.

ringraziamentopreghieravita quotidianagraziegratitudine

inviato da Paolo Capuzzo, inserito il 11/02/2022

RACCONTO

3. Il volo di Gea

Viola Mariani, Chi ha paura del lupo?

L'uccellino cinguettava “ciu ciiiiuciu ciu” e i clienti del bar del Signor Antonio entravano volentieri a prendere un caffè nella terrazza per ascoltare il suo canto delicato e trillante come tanti campanellini. La sua voce argentina sembrava intonare un canto allegro e spensierato per la gioia dei clienti del bar che lo ascoltavano distratti e non vedevano la tristezza e la solitudine nei suoi piccoli occhi di uccellino.

Lui invece cantava ma non di allegria, il suo canto aveva parole tristi e malinconiche che gli ricordavano la sensazione del vento tra le piume delle ali e lo spettacolo magnifico delle chiome degli alberi viste da lassù, volando. Mentre cantava riusciva a non pensare alle sbarre della gabbietta e alla noia delle giornate che si ripetevano monotone.

Un giorno però successe qualcosa, una bambina entrando nel bar per comprare un gelato ascoltò il suo canto e si sentì improvvisamente triste senza sapere bene il perché. Allora guardò negli occhi il piccolo uccellino, si accorse che la tristezza veniva proprio da quel canto e si avvicinò alla gabbia.

- “Perché sei triste?” sussurrò la bimba.
- “Ciu ciiiu ciu” trillò l'uccellino.

Gea, cosí si chiamava la bambina, aveva un segreto per capire gli altri anche quando le parole non erano d'aiuto: si immaginava di essere al loro posto, si metteva nei panni degli altri per capire le loro emozioni. E così fece, si immaginò di vivere chiusa in una piccola gabbia senza poter correre e giocare con gli amici.

Chiuse gli occhi per concentrarsi e all'improvviso sentì un formicolio alle gambe, come quando stava molto tempo nella stessa posizione: “Forse è proprio quello che sente quest'uccellino: di certo gli formicolano le ali per non poterle aprire e forse è triste perché non è libero di volare come gli altri uccelli”, pensò. Per un momento le sembrò quasi che le fossero spuntate le ali e sentì un forte desiderio di volare in alto nel cielo.

Senza pensarci due volte Gea aprì la piccola gabbia sperando che nessuno la vedesse e l'uccellino la guardò cercando di capire perché quella bambina gli aveva dato la libertà. Avrebbe voluto dimostrarle la sua gratitudine ma non sapeva come fare, allora fece un ultimo cinguettio di addio e seguì il suo istinto che gli diceva di aprire le ali e volare via.

I clienti del bar senza capire cosa fosse successo si fermarono un istante, fu una frazione di secondo in cui sembrava che il tempo si fosse fermato. Nessun cucchiaino suonava contro il bordo della tazza, i ragazzi che scherzavano interruppero le loro risate e persino i cellulari per un attimo smisero di suonare.

In silenzio Gea usci dal bar mangiando il suo gelato e si ritrovò a camminare per strada con lo sguardo rivolto verso il cielo, cercando distrattamente quell'uccellino dallo sguardo triste.

All'improvviso cominciò a sentire il fruscio del vento tra le dita, l'aria fresca le accarezza il viso e il rumore del traffico si sentiva in lontananza, ovattato. Chiuse gli occhi per assaporare quella sensazione di libertà e, con gli occhi chiusi, vide la città dall'alto, il porto con le barche dei pescatori e le colline alle spalle.

Capi che era il regalo d'addio dell'uccellino, il suo modo di dirle grazie: stava volando con lui e osservando il mondo con i suoi occhi.

Quando ci mettiamo nei panni degli altri si aprono nuovi orizzonti.

empatiacomprensionesolidarietàlibertàschiavitù

inviato da Viola Mariani, inserito il 29/12/2018

RACCONTO

4. Il tavolino della nonna

Robin Sharma, Il monaco che vendette la sua Ferrari

C'era una volta una vecchierella che restò vedova del suo adorato marito. Allora andò a vivere con il figlio, la nuora e la loro figlioletta. Un giorno dopo l'altro la sua vista si indeboliva, e il suo udito peggiorava. Le sue mani tremavano al punto che a volte le cadevano i piselli dal piatto, o versava la zuppa. Non sopportando più il disordine che lei involontariamente creava, un giorno il figlio e la nuora sistemarono un tavolino vicino all'angolo delle scope, e da allora la fecero mangiare lì, tutta sola. All'ora di pranzo la nonnina li guardava con gli occhi pieni di lacrime, ma loro le rivolgevano la parola solo per redarguirla quando le cadeva il cucchiaio.

Una sera, appena prima di cena, la bambina era seduta sul pavimento a giocare con le costruzioni. «Che cosa stai costruendo?», le domandò sollecito suo padre. «Sto costruendo un tavolino per te e la mamma, così quando sarete vecchi potrete mangiare nell'angolino». Per un momento, che sembrò durare un'eternità, il padre e la madre rimasero muti, poi scoppiarono a piangere. Si erano resi conto della crudeltà del loro comportamento, e del dolore arrecato alla vecchierella. Da quel giorno la nonna mangiò insieme a loro al grande tavolo da pranzo e se le cadeva un boccone o la forchetta, nessuno ci faceva più caso.

I genitori di questa storia non sono cattive persone. Avevano bisogno soltanto della scintilla della consapevolezza per accendere la candela della compassione. La compassione e i gesti quotidiani di gentilezza rendono la nostra vita assai più ricca. Ogni mattina rifletti sul bene che potrai fare agli altri durante il giorno. Un elogio sincero a chi meno se lo aspetta, un gesto di affetto regalato a un amico nel momento del bisogno, qualche piccola attenzione dimostrata ai tuoi cari senza nessuna ragione particolare, sono benedizioni della vita.

vecchiaiacompassionegentilezzabontàaccettazionepazienza

inviato da Qumran2, inserito il 22/03/2018

RACCONTO

5. Peter e il filo magico   1

Robin Sharma, Il monaco che vendette la sua Ferrari

C'era una volta Peter, un ragazzino molto vivace a cui tutti volevano bene: la sua famiglia, i suoi maestri e i suoi amici... Ma Peter aveva un piccolo, grande problema. Peter non riusciva a vivere il presente. Non aveva imparato a godere della vita. Quando era a scuola, sognava di essere fuori a giocare. Quando giocava, sognava di essere già in vacanza. Peter sognava sempre ad occhi aperti, non godendosi mai il presente che la vita gli offriva.

Un mattino, Peter stava camminando nel bosco vicino a casa. Siccome si sentiva stanco, decise di fermarsi in una radura e di fare un pisolino. Si addormentò come un sasso, ma dopo qualche minuto, si sentì chiamare per nome: «Peter, Peter!», ripeteva una voce stridula. Quando aprì gli occhi... sorpresa! Si ritrovò dinnanzi una donna vecchia di almeno cent'anni, con i capelli candidi che le ricadevano sulle spalle come matasse di lana arruffata. Nella mano rugosa aveva una pallina magica, con un foro nel centro da cui pendeva un lungo filo dorato. «Peter - disse la vecchia - questo è il filo della vita. Se lo tiri piano piano, in pochi secondi passerà un'ora; se tiri più forte, in pochi minuti passeranno giorni interi. Se tiri con tutta la tua forza, in pochi giorni passeranno dei mesi o addirittura degli anni». Peter era eccitato dalla scoperta. «Oh, mi piacerebbe tanto averlo!» esclamò smanioso. Allora la vecchietta si chinò e gli diede la pallina con il filo magico.

Il giorno dopo, Peter era seduto nel suo banco a scuola, e si sentiva annoiato e irrequieto. Improvvisamente si ricordò del suo nuovo giocattolo. Tirò il filo pian piano e si trovò subito a casa, a giocare nel suo giardino. Rendendosi conto dei poteri del filo magico, Peter presto si stancò di andare a scuola e desiderò essere un ragazzo più grande, alla scoperta della vita. Allora tirò il filo un po' più forte e si ritrovò adolescente, con una ragazza di nome Elise. Ma Peter non era ancora soddisfatto. Egli non era in grado di cogliere la bellezza di ogni istante e di esplorare le semplici meraviglie offerte dalle diverse fasi della vita. Sognava invece di essere già adulto, e così tirò di nuovo il filo, sicché gli anni passarono in un lampo. Si ritrovò allora trasformato in un uomo maturo. Elise era diventata sua moglie e Peter era circondato da tanti bambini. Ma notò un'altra cosa: i suoi capelli neri avevano iniziato a diventare grigi, e la sua dolce e adorata mamma era diventata vecchia e debole. Eppure, Peter ancora non riusciva a vivere il presente. Perciò, tirò un'altra volta il filo d'oro e attese la nuova trasformazione.

Adesso aveva novant'anni. Ormai i suoi folti capelli scuri erano diventati bianchi come la neve e la moglie, un tempo bellissima, era morta già da qualche anno. I suoi deliziosi bambini erano cresciuti ed erano usciti di casa per vivere la loro vita. Così, a un tratto, Peter si rese conto di non essersi mai fermato a godere di nulla. Non era mai andato a pescare con suo figlio, non aveva mai fatto una passeggiata al chiaro di luna con sua moglie, non aveva mai piantato un albero... e non aveva mai nemmeno trovato il tempo di leggere quei bellissimi libri che tanto piacevano a sua madre. Era sempre andato di corsa, senza fermarsi a guardare le bellezze che adornavano il suo cammino. Questa scoperta rattristò molto Peter. Allora, per riordinare le idee e rasserenarsi un po', decise di andare a fare un giro nel bosco dove era solito giocare da bambino. Entrò nel bosco, si accorse che gli alberelli della sua infanzia erano diventati querce gigantesche; era stupendo, sembrava di trovarsi in un Paradiso Terrestre. Allora si distese sull'erba di una radura e si addormentò profondamente.

Dopo qualche minuto, qualcuno lo chiamò: «Peter, Peter!» Aprì gli occhi e con suo grande stupore rivide la vecchia che gli aveva regalato la pallina molti anni prima. «Ti è piaciuto il mio regalo?» «All'inizio è stato divertente, ma ora lo odio a morte», disse Peter. «Tutta la vita mi è passata davanti agli occhi senza che potessi goderne un solo istante. Certo, ci saranno anche stati dei momenti molto belli e altri molto tristi, ma non ho avuto la possibilità di coglierli. Ora mi sento vuoto, mi manca il dono della vita». «Sei davvero un ingrato - disse la vecchietta. - Ma ti concederò di esprimere un ultimo desiderio». Peter ci pensò un istante e poi rispose fulmineamente: «Vorrei ridiventare bambino e riprovare a vivere daccapo». Poi si riaddormentò.

A un tratto sentì di nuovo che qualcuno lo chiamava, e si risvegliò. «Chi sarà questa volta?», si chiese. Quando aprì gli occhi, scoprì con gioia che era sua madre che lo stava chiamando, e che era tornata giovane, sana e forte. Allora Peter si rese conto che la vecchietta aveva mantenuto la promessa e che l'aveva riportato all'infanzia. «Su, Peter, dormiglione! Se non ti sbrighi ad alzarti farai tardi a scuola», lo ammoniva sua madre. Naturalmente Peter scattò su dal letto e da quel momento incominciò a vivere come aveva sperato: una vita piena, ricca di gioie, soddisfazioni e successi... Ma tutto ebbe inizio quando smise di sacrificare il presente per il futuro e si rese conto di dovere vivere nell'oggi.

tempopresentefuturovitavalore del tempopazienzaconsapevolezza

inviato da Qumran2, inserito il 22/03/2018

TESTO

6. Per il mattino di Pasqua   1

David Maria Turoldo, O sensi miei…Poesie 1948-1988, Rizzoli, 1996 pagg 364-366

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!
E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.
E a chiunque venga
anche al ricco dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Tutto è suo dono
eccetto il nostro peccato.
Ecco, gli darò un'icona
dove lui bambino guarda
agli occhi di sua madre:
così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato
una goccia di rugiada
è già primavera
ancora primavera
una cosa insperata
non meritata
una cosa che non ha parole;
e poi gli dirò d'indovinare
se sia una lacrima
o una perla di sole
o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle mie lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell'usignolo,
quell'usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all'alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all'alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: pace!
e poi cospargerò la terra
d'acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell'universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell'altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.

pasquarisortoresurrezionepaceannunciogioia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Sara Baroni, inserito il 08/05/2017

RACCONTO

7. Un baratto   1

Marie Noel

A 18 anni ho venduto il mio spirito a Dio, come altri vendono la loro anima al diavolo.

Allora ero goffa, brutta, mingherlina, inetta, come il «brutto anitroccolo», ma avevo molto spirito... uno spirito chiaro, vivo, acuto, pungente, che mordeva senza misericordia. Non appena una persona un tantino ridicola arrischiava di mostrarsi a me, l'acchiappavo al volo e la fissavo con una parola pungente, come si fissa un insetto su un tappo, con uno spillo. Ciò mi divertiva molto e faceva ridere la compagnia. Ma i miei cugini mi giudicavano «cattiva», e mio fratello mi chiamava «vipera». Avrebbe fatto meglio a dire zanzara o vespa. Un giorno, però, ci pensai su e mi vidi tal quale ero col mio crudele pungiglione. Poteva forse una cristiana accettare di essere così?
Fui presa dal rimorso.

E una mattina ne parlai con Nostro Signore, dopo la Comunione.

Rinunciare al mio spirito? Cosa mi rimaneva senza di esso? Non avevo bellezza né fascino, niente che potesse piacere. Sacrificare il mio spirito? Non mi ci potevo decidere. Mi costava troppo. Mi costava tutto.

Dentro di me, Dio attendeva con aria di rimprovero. Fu allora che mi venne l'idea - forse fu lui ad ispirarmela - di cedergli il mio spirito dietro ricompensa. Un baratto.

Glielo vendetti. Caro. Senza far prezzi. Dio è ricco. Dio è giusto. E generoso, anche. Contavo che me l'avrebbe pagato bene. Una volta concluso il mercato - io negli affari sono onesta - non osai più servirmi dell'oggetto che avevo ceduto. Da principio mi sentii legata, impacciata, come colpita da improvvisa infermità. Le parole mi volavano alle labbra, le inghiottivo già dette a metà. Il che non era sempre comodo. Ma poi l'abitudine mi venne in aiuto. E diventai poco a poco la piccola, mite zitella cui nessuno fa caso, né in famiglia fuori... cui nessuno fa caso più che a un fiammifero spento. Sono passati vent'anni... Che cosa mi avrà dato il Buon Dio, in cambio della mia malizia?

Non la bellezza. Non il fascino. Non l'amore. Non la felicità. Forse il dono della poesia? Ma quello già lo avevo, sin dalla prima infanzia.

Ecco. Mi diede il dono di una vista nuova, per cogliere immediatamente, anziché il lato ridicolo, la bellezza e le qualità delle persone, anche di quelle che non ne hanno. Al punto che oggi io le amo tanto, anche quando sono ridicole, sciocche e mediocri, da poter giocare di nuovo con la mia malizia, solo per divertirmi, senza far male a nessuno.

conversionecattiveria

5.0/5 (1 voto)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 16/06/2015

RACCONTO

8. Le tre case   2

Bingo davvero, ed. Paoline

C'era una volta un uomo piccolo come la punta di un ago. Anzi, più piccolo ancora. Era piccolo, ma aveva una voglia matta di crescere! Pensa: dopo appena 15 giorni da quando aveva incominciato a vivere, era già 125 mila volte più grande. Incredibile!! Eppure proprio vero.

L'uomo abitava in una strana casa che girava per la città, correva, si piegava fino a terra; di notte, poi, si coricava e al mattino si alzava. La casa era interessante e tiepida, ma aveva un grande difetto: era tutta buia come un sacco chiuso. Là dentro non si poteva vedere niente: né formiche, né cavalli, né automobili.

"Basta, disse finalmente un giorno l'uomo, dopo nove mesi; basta: voglio uscire, voglio uscire...". Si mise a spingere...ed eccolo fuori! "Oh, finalmente posso correre, giocare, fare il bagno, nuotare...Altro che la casa di prima! Questa sì che è stupenda: qui c'è il sole, ci sono le piante, i fiori, la neve...".

Per ottant'anni l'uomo, tutte le mattine, alzava le braccia e diceva: "Che bella questa terra!". Era felice e contento. Però un giorno incominciò a diventare triste.

Vedeva che il sole tramontava e veniva la notte; le piante perdevano le foglie e diventavano brutte; i fiori diventavano fieno e la neve, fango. Allora si mise a sognare un'altra casa dove vi fossero tanti alberi verdi, i fiori rossi, la neve bianca e il sole splendente. Mentre pensava, morì. Tutti si misero a piangere..

Lui, invece, rideva! Vien da non credere, eppure lui rideva, rideva...

Sfido io! Appena morto, gli si spalancarono le porte di una casa dove c'erano cose che non ti puoi immaginare. Un Papà buono - un vero Amore! - lo abbracciò; una Mamma bella - una vera meraviglia! - lo baciò. Lo baciò e lo prese per mano: "Vieni a giocare con noi! Vedi, qui tutto è nuovo: la terra è nuova, le stelle sono nuove. Vieni!".

L'uomo non capiva più niente. "Ma non sono morto, io?". "No, no, gli gridarono milioni e milioni di voci: sei vivo, vivo per sempre!". Pazzo di gioia, l'uomo si mise a correre, a far capriole nei prati che non finivano mai, in mezzo ai fiori che non appassivano mai. "Qui son proprio a casa mia - gridava - a casa mia!".

Così finisce la storia delle tre case. Storia vera: storia mia e storia tua. Storia di tutti gli uomini che camminano su questa terra e, di tanto in tanto, guardano al cielo dove invece di piangere, tutti sono nella gioia accanto a Gesù, Maria e tutti i santi.

vitamortesantieternitàvita eternaparadisorinascerenascita

4.8/5 (6 voti)

inviato da Milena Pavan, inserito il 21/09/2012

PREGHIERA

9. Vivere alla tua presenza di Amore

Michel Quoist

Concedimi di vivere sempre nella tua presenza di Amore.
Aiutami a studiare alla tua presenza, a giocare alla tua presenza, a rallegrarmi nella tua presenza, a riposarmi nella tua presenza, poiché se pensassi che tu sei lì, Signore, se mi aprissi al tuo Amore che si offre, mai più sarei solo, mai più sarei debole.
Non potrei più, davanti a te, fare il male che mi capita di fare, perché sarei, non come il bambino che ha paura che la mamma lo veda e teme di essere punito, ma come il ragazzo che, scoperto l'immenso amore di sua madre, con la sua vita non desidera che una cosa sola: renderle grazie.

amorerapporto con Dioamore di Dio

inviato da Andrea Tondini, inserito il 20/09/2012

PREGHIERA

10. Preghiera prima delle attività estive

don Luca Peyron

Grazie Signore per avermi donato i bimbi
che incontrerò quest'estate,
grazie perché li vedrò crescere,
sorridere, giocare e pregare.
Grazie perché mi affidi un piccolo tratto del loro presente
con cui costruiremo il loro futuro.
Grazie perché ti fidi di me
anche se io stesso devo ancora imparare tante cose,
vincere le mie paure e le mie fragilità.
Grazie perché ti accontenti del mio desiderio di fare bene,
della mia voglia di amare e di lavorare con loro e per loro,
del mio desiderio di essere utile e di regalare tutto me stesso.
Aiutami o Signore a stare loro accanto.
Aiutami o Signore ad essere un buon animatore,
non perfetto, ma un buon animatore.
Donami o Padre
la pazienza nella bufera,
la forza nella fatica,
l'umiltà nelle contraddizioni,
la generosità nelle umiliazioni.
Donami di parlare di te con occhi che brillano,
di guardare a te con cuore accogliente,
di prendere per mano questi tuoi figli più piccoli
come Maria prese per mano il bambino Gesù.
Grazie Signore, aiutami Signore,
donami Signore di essere come mi hai sognato.
Amen.

animatoreanimatoriestare ragazzigresteducatoricampi estivicampeggio

inviato da Don Luca, inserito il 23/01/2012

ESPERIENZA

11. Legrottaglie: "Niente sesso da due anni, aspetto la donna giusta"   2

Elisa Bertoli, www.gingergeneration.it

Il difensore della Juve racconta il proprio percorso di rinascita: dalle critiche all'incontro con Dio

La dichiarazione, pubblicata dalla rivista Sport Week qualche settimana fa, è di quelle che fanno scalpore: Nicola Legrottaglie, trentunenne biondo difensore della Juventus, possibile convocazione per i prossimi Europei, afferma: "Non faccio sesso da due anni".

Difficile pensare che dica sul serio, considerato che Nicola è uno che di veline, meches, sfilate di moda, show girls e feste se ne intende, ma invece il perché di questa frase è presto spiegato: "Quando acquisisci dentro di te la verità della vita smetti di dipendere dalle cose superflue. Prima se non andavo con una donna ogni quattro o cinque giorni andavo nel panico, ora non posso più. Non perché non mi piacciono le donne, ma perché aspetto quella giusta per fare una famiglia, una che condivida i miei stessi valori. Il consiglio di Dio è di non avere rapporti prematrimoniali e io non mi vergogno a dire, sono due anni che non ne ho. Il bello è che non mi pesa per niente. Tanti mi prendono in giro, ma non mi interessa: il problema è di chi non riesce a stare senza sesso, finendo per diventarne schiavo".

Un difficile percorso

Nicola ammette di essere arrivato nel 2003 alla Juventus "con presunzione: credevo che il solo fatto di essere qui facesse di me un campione e non riuscivo a esprimermi. Ho perso in fretta tutta la mia credibilità, mi sono depresso scivolando prima al Bologna e poi al Siena". Anni pieni di critiche nei suoi confronti, reo di pensare più alla vita mondana che a impegnarsi in allenamento e in campo, culminati però nell'incontro con il calciatore paraguaiano del Piacenza Tomas Guzman, che lo ha aiutato a conoscere la Bibbia: "Solo dopo quella batosta ho capito che tutto quello che mi insegnavano da piccolo era vero". Nicola ha così capito che "i valori della vita sono altri" e ora "la serenità che mi ha dato questo percorso mi permette di avere più fiducia e sicurezza nei miei mezzi, di essere più spregiudicato anche in campo. Adesso la gente non mi ferma più per la strada per criticarmi: mi fa i complimenti per quello che faccio e soprattutto per quello che dico. E' qualcosa che va al di là del mio modo di giocare: dicono che ho coraggio. Ma per me non ci vuole coraggio a seguire Gesù e a fare certe rinunce". Insomma, dopo l'incontro con Dio, Nicola non solo è un altro uomo, ma anche un altro calciatore!

Legrottaglie e Kaka, due calciatori fuori dagli schemi

Ma tornando alla frase che più di tutte ha fatto scalpore, Nicola aggiunge: "Quando Kaka ha detto di essere arrivato vergine al matrimonio, molti hanno riso, ma io ho capito che era una cosa bellissima".

Nicola Legrottaglie e Kaka, due dei calciatori "fuori dagli schemi": giovani, carini, ricchi e immersi in un mondo, quello del calcio, che il più delle volte sembra quello dello spettacolo e che discorsi simili non sa nemmeno cosa significhino. Accanto a colleghi che giurano eterno amore a ragazze, meglio se del mondo della tv, che poi in realtà "mollano" dopo una settimana, loro proseguono dritti per la loro strada senza dubbi e ripensamenti: donarsi a una donna è talmente bello che è ancor più bello farlo per la prima volta con quella che hai deciso sarà per tutta la vita, un impegno da prendere con chi hai deciso di costruire il tuo futuro!

E voi, ragazze, che ne pensate? Sono così sconcertanti queste dichiarazioni di Legrottaglie o condividete i suoi nuovi valori?

matrimonioamoresessoaffettivitàrapporti prematrimoniali

5.0/5 (1 voto)

inviato da Elisa Bertoli, inserito il 06/07/2011

TESTO

12. I dieci comandamenti del bambino   5

p. Gianni Fanzolato

1° Non avrai altri bambini che noi oggi:
rispettaci, difendici, amaci: solo così saremo gli uomini del domani.

2° Non deturpare il nostro nome di bambini:
lasciaci giocare, sorridere e sognare; permettici di essere bambini.

3° Siamo noi bambini la festa della famiglia e del mondo,
perché siamo nati dal cuore stesso di Dio e siamo il futuro: santificaci col tuo amore.

4° Amando noi, onorerai Dio che è nostro Padre e Madre;
anche noi domani saremo Padre e Madre, se ci avrai trasmesso valori da vivere.

5° La vita è vita dal concepimento alla morte: dopo inizia la definitiva:
rispetta la nostra vita fin dal seno materno e continua a generarci, permettendo di nascere, vivere e cantare.

6° Non c'è niente al mondo di più bello, semplice e puro di un bambino;
difendi la nostra trasparenza col tuo affetto vero e non sporcarti della nostra innocenza.

7° Non rubarci la nostra spontaneità, il nostro sorriso, la nostra allegria con i tuoi idoli:
lasciaci essere bambini e non voler bruciare le tappe per noi: c'è tempo.

8° Non dire che ci vuoi bene finché ci saranno bambini soldati, minatori, schiavi del sesso e fonte di guadagni, piccoli lavoratori senza diritti e difesa: quante bugie su di noi.

9° Non desiderare di arricchirti, aver prestigio, potere e forza, magari calpestandoci, sfruttandoci, non trovando tempo da perdere con noi per giocare insieme: troppo in fretta diventeremo grandi.

10° Non desiderare l'ideale di noi, magari additandoci il figlio del vicino perché migliore: amaci come siamo, nel reale, perché così Dio ama anche te: solo così potremo cambiare insieme.

bambinicomandamentiinnocenzarispettoinfanziadieci comandamenti

inviato da Gianni Fanzolato, inserito il 08/01/2011

RACCONTO

13. Un piccolo gesto   4

Un giorno, ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola. Il suo nome era Kyle e sembrava stesse portando tutti i suoi libri. Dissi tra me e me: "Perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì? Deve essere un ragazzo strano".

Io avevo il mio week-end pianificato (feste e una partita di football con i miei amici), così ho scrollato le spalle e mi sono incamminato.

Mentre stavo camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro a Kyle. Gli corsero addosso facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango. I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell'erba un paio di metri più in là. Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi. Mi rapì il cuore! Così mi incamminai verso di lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi. Raccolsi gli occhiali e glieli diedi dicendogli: "Quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere". Kyle mi guardò e disse: "Grazie!". C'era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.

Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove viveva. Scoprii che viveva vicino a me così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima. Lui mi spiegò che prima andava in una scuola privata. Prima di allora non sarei mai andato in giro con un ragazzo che frequentava le scuole private. Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri.

Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andava di giocare a football con i miei amici e lui disse di sì. Stemmo in giro tutto il week end e più lo conoscevo più Kyle mi piaceva così come piaceva ai miei amici.

Arrivò il lunedì mattina ed ecco Kyle con tutta la pila dei libri ancora. Lo fermai e gli dissi: "Ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!". Egli rise e mi passo la metà dei libri.

Nei successivi quattro anni io e Kyle diventammo amici per la pelle.

Una volta adolescenti cominciammo a pensare al college, Kyle decise per Georgetown e io per Duke. Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi. Kyle sarebbe diventato un dottore mentre io mi sarei occupato di scuole di football.

Kyle era il primo della nostra classe e io l'ho sempre preso in giro per essere un secchione. Kyle doveva preparare un discorso per il diploma. Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare. Il giorno dei diplomi vidi Kyle, aveva un ottimo aspetto. Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori. Si era un po' riempito nell'aspetto e stava molto bene con gli occhiali. Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano. Ragazzi qualche volta ero un po' geloso!

Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po' nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi: "Ehi ragazzo, te la caverai alla grande!". Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) e sorrise mentre mi disse: "Grazie".

Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce: "Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri. I genitori, gli insegnanti, gli allenatori ma più di tutti i tuoi amici. Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare. Voglio raccontarvene una".

Guardai il mio amico Kyle incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro. Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week-end. Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stava portando a casa tutte le sue cose.

Kyle mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso. "Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto".

Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni. Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole.

Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine.

Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.

Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni.

Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio. Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo. Cercate il buono negli altri.

"Gli amici sono angeli che ci sollevano in piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola".

amiciziagentilezzaimportanza delle piccole cosesemplicitàbontà

5.0/5 (4 voti)

inviato da Lisa, inserito il 26/06/2010

TESTO

14. Le beatitudini del bambino   3

Beato il bambino che inizia la vita incontrando un sorriso.
Beato il bambino che ha più attenzioni dell'auto pulita.
Beato il bambino che è circondato da tanto amore più che da tante cose.
Beato il bambino che non è guastato da eccesso di facilità.
Beato il bambino che non è ubriacato dalla televisione e dalla pubblicità.
Beato il bambino che non è "asfissiato", ma può andare a giocare in cortile.
Beato il bambino che non è obbligato a leggere a tre anni, a ballare a quattro, a suonare a cinque, a essere campione a sei.
Beato il bambino che può essere un bambino.
Beato il bambino che può vivere e giocare da bambino.
Beato il bambino che si sente sussurrare la sera prima di addormentarsi e al mattino al risveglio:
Amore mio ti affido al buon Dio.

beatitudinifigliogenitorifamigliaeducareeducazionebambini

5.0/5 (1 voto)

inviato da Forner Fortunato, inserito il 10/12/2009

RACCONTO

15. Una nuvoletta in viaggio   2

In un giorno d'Autunno, il Vento soffiava dispettoso facendo volare le foglie. Una piccola Nuvoletta che stava passeggiando lì vicino, gli disse: "Ciao Vento, posso giocare con te?". Il Vento allora chiese: "Cosa potresti fare? Sai soffiare?". La nuvoletta ci provò: "...fff... fff... no non sono capace", disse sconsolata. Allora il Vento le rispose: "Tu non sei capace di soffiare come me, vattene via!". E la Nuvoletta se ne andò triste.

Più avanti incontrò l'Estate e il Sole splendeva luminoso nel cielo. Allora si avvicinò e disse: "Ciao Sole, posso giocare con te?". Ma il Sole seccato le rispose: "Non vedi che ti sei messa troppo vicina a me? Mi stai oscurando! Vattene via, tu non sei capace di splendere come me e nemmeno di creare calore!". E la Nuvoletta se ne andò sempre più triste.

Poco più in là c'era l'Inverno e la neve cadeva leggera, così la Nuvoletta si fermò e chiese: "Ciao Neve, posso giocare con te?". La Neve la squadrò dalla testa ai piedi e sussurrò: "Ma tu sei capace di far nevicare?". La nuvoletta ci provò e si sforzò talmente tanto che da grigia divenne nera, ma di Neve niente. "No, non credo di esserne capace", brontolò la nuvoletta emettendo un tuono. "Shhh!", la zittì la Neve, "allora non puoi aiutarmi. Io cado silenziosa, tu sei troppo rumorosa! Tu non sei capace di cadere leggera e coprire il paesaggio come me, vattene via!". E la Nuvoletta se ne andò ancora più triste.

Ormai era sconsolata, quando trovò la Primavera e sentì qualcuno piangere. Si chinò e vide un piccolo Fiorellino che singhiozzava disperato, allora si avvicinò e gli chiese il perché di tanta tristezza. E il Fiorellino rispose: "Ho sete, sto per morire, puoi aiutarmi?". "Non lo so, io non so fare quasi niente.., non so soffiare come il vento, non so splendere come il sole, non so cadere leggera come la neve, e nessuno mi vuole...". Così dicendo la Nuvoletta si mise a piangere e le sue lacrime diventarono tante gocce di pioggia, che dissetarono il Fiorellino. Da quel giorno la Nuvoletta e il Fiorellino diventarono molto amici e capirono di aver bisogno l'uno dell'altra per essere felici.

amiciziadiversitàreciprocità

3.7/5 (3 voti)

inviato da Caterina, inserito il 08/12/2009

TESTO

16. Maria, donna di parte   1

Tonino Bello

No, non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione, cioè dalla parte dei poveri, naturalmente.

Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia.

Non mi va di avallare certe interpretazioni che favoriscono una lettura puramente politica del Magnificat quasi fosse, nella lotta continua tra oppressi e oppressori, una specie di marsigliese ante litteram del fronte cristiano di liberazione.

Significherebbe ridurre di gran lunga gli orizzonti dei sentimenti di Maria, che ha cantato liberazioni più profonde e durature di quelle provocate dalle semplici rivolte sociali. I suoi accenti profetici, pur includendole, vanno oltre le rivendicazioni di una giustizia terrena, e scuotono l'assetto di ben più radicali iniquità.

Sta di fatto, però, che, sul piano storico, Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti, ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori.

Si è arruolata, per così dire, nell'esercito dei poveri. Ma senza roteare le armi contro i ricchi. Bensì, invitandoli alla diserzione. E intonando, di fronte ai bivacchi notturni del suo accampamento, perché le udissero dall'alto, canzoni cariche di nostalgia. Ha esaltato, così, la misericordia di Dio. E ci ha rivelato che è partigiano anche lui, visto che prende le difese degli umili e disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; stende il suo braccio a favore dei deboli e fa rotolare i violenti dai loro piedistalli con le ossa in frantumi; ricolma di beni gli affamati e si diverte a rimandare i possidenti con un pugno di mosche in mano e con un palmo di naso in fronte.

Qualcuno forse troverà discriminatorio questo discorso, e si chiederà come possa conciliarsi la collocazione di Maria dalla parte dei poveri con l'universalità del suo amore e con la sua riconosciuta tenerezza per i peccatori, di cui i superbi, i prepotenti e i senza cuore sono la razza più inquietante.

La risposta non è semplice. Ma diventa chiara se si riflette che Maria non è come certe madri che, per amor di quieto vivere, danno ragione a tutti e, pur di non creare problemi, finiscono con l'assecondare i soprusi dei figli più discoli. No. Lei prende posizione. Senza ambiguità e senza mezze misure. La parte, però, su cui sceglie di attestarsi non è il fortilizio delle rivendicazioni di classe, e neppure la trincea degli interessi di un gruppo. Ma è il terreno, l'unico, dove lei spera che un giorno, ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli, possano trovare finalmente la loro liberazione.

MariaMadonnamagnificatpovertàpoverisconfittadebolidebolezza

inviato da Federica Mancinelli, inserito il 06/08/2009

TESTO

17. Se vuoi la pace

Giovanni Elba

Se vuoi la pace dichiara la guerra
al tuo egoismo che vuole tutto per sè
e non ti fa vedere il bisogno di tuo fratello.
Combatti ogni tuo desiderio di dominio
che vuole farti comandare nel gioco,
a casa, a scuola, dappertutto.
Se vuoi la pace fai in modo che
tutti intorno a te abbiano il necessario,
abbiano la possibilità di parlare,
siano liberi!
Come vuoi essere libero tu
di parlare, giocare, lavorare, pregare,
amare e vivere.

amiciziapace

inviato da Lilly Giuliani, inserito il 02/06/2009

RACCONTO

18. Un pezzo di umanità

A una cena di raccolta fondi per una scuola che serve i disabili mentali, il padre di uno degli studenti fece un discorso che nessuno di coloro che partecipavano avrebbe mai dimenticato.

Dopo aver lodato la scuola e il personale dedito, fece una domanda: "Quando influenze esterne non interferiscono dall'esterno, la natura di tutti è perfetta. Mio figlio Shay, tuttavia, non può imparare le cose che imparano gli altri. Non può capire le cose come gli altri. Dov'è l'ordine naturale delle cose, in mio figlio?". Il pubblico fu zittito dalla domanda.

Il padre continuò. "Io ritengo che, quando un bambino come Shay, fisicamente e mentalmente handicappato viene al mondo, si presenta un'opportunità di realizzare la vera natura umana, ed essa si presenta nel modo in cui le altre persone trattano quel bambino".

Poi raccontò la storia che segue: Shay e suo padre stavano camminando vicino a un parco, dove c'erano alcuni ragazzi che Shay conosceva che giocavano a baseball. Shay chiese: "Credi che mi lascerebbero giocare?". Il padre di Shay sapeva che la maggior parte dei ragazzi non volevano un ragazzo come lui nella squadra, ma comprendeva anche che se al figlio fosse stato permesso giocare, la cosa gli avrebbe dato un senso di appartenenza di cui aveva molto bisogno, e un po' di fiducia nell'essere accettato dagli altri, nonostante i suoi handicap.

Il padre di Shay si avvicinò a uno dei ragazzi sul campo e chiese se Shay poteva giocare, non aspettandosi un granché in riposta. Il ragazzo si guardò attorno, in cerca di consiglio e disse: "Siamo sotto di sei e il gioco è all'ottavo inning. Immagino che possa stare con noi e noi cercheremo di farlo battere all'ultimo inning".

Shay si avvicinò faticosamente alla panchina della squadra, indossò una maglietta della squadra con un ampio sorriso e suo padre si sentì le lacrime negli occhi e una sensazione di tepore al cuore. Il ragazzo vide la gioia di suo padre per essere stato accettato. In fondo all'ottavo inning, la squadra di Shay ottenne un paio di basi, ma era ancora indietro di tre. Al culmine del nono e ultimo inning, Shay si mise il guantone e giocò nel campo giusto. Anche se dalla sua parte non arrivarono dei lanci, era ovviamente in estasi solo per essere nel gioco e in campo, con un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro, mentre suo padre lo salutava dalle gradinate.
Alla fine del nono inning, la squadra di Shay segnò ancora.

Ora, con due fuori e le basi occupate, avevano l'opportunità di segnare la battuta vincente e Shay era il prossimo, al turno di battuta.

A questo punto, avrebbero lasciato battere Shay e perso l'opportunità di far vincere la squadra? Sorprendentemente, a Shay fu assegnato il turno di battuta. Tutti sapevano che gli era impossibile colpire la palla, perché Shay non sapeva neppure tenere bene la mazza, per non dire cogliere la palla. Comunque, mentre Shay andava alla battuta, il lanciatore, capendo che l'altra squadra stava mettendo da parte la vincita per far sì che Shay avesse questo momento, nella sua vita, si spostò di alcuni passi per lanciare la palla morbidamente, così che Shay potesse almeno riuscire a toccarla con la mazza. Arrivò il primo lancio e Shay girò la mazza a vuoto. Il lanciatore fece ancora un paio di passi avanti e gettò di nuovo lentamente la palla verso Shay.

Mentre la palla era in arrivo, Shay girò goffamente la mazza, la colpì e la spedì lentamente sul terreno, dritta verso il lanciatore.

Il gioco avrebbe dovuto finire, a quel punto, ma il lanciatore raccolse la palla e avrebbe potuto facilmente lanciarla al primo che copriva la base e squalificare il battitore. Shay sarebbe stato fuori e questo avrebbe segnato la fine della partita. Invece, il lanciatore raccolse la palla e la lanciò proprio al di là della testa

del primo in base, fuori dalla portata dei compagni di squadra. Tutti quelli che si trovavano sugli spalti e i giocatori cominciarono a gridare: "Shay, corri in prima base! Corri in prima!" Shay non aveva mai corso in vita sua così lontano, ma riuscì ad arrivare in prima base. Corse lungo la linea, con gli occhi spalancati e pieno di meraviglia. Tutti gli gridarono: "Corri alla seconda, alla seconda, ora!" Trattenendo il fiato, Shay corse ancor più goffamente verso la seconda, ansimando e sforzandosi di raggiungerla. Quando Shay curvò verso la seconda base, la palla era fra le mani del giocatore giusto, un piccoletto, che ora aveva la possibilità per la prima volta di essere lui l'eroe della propria squadra. Avrebbe potuto lanciarla alla seconda base per squalificare il battitore, ma comprese le intenzioni del lanciatore e anche lui gettò intenzionalmente la palla in alto, ben oltre la portata della terza base. Shay corse verso la terza base in delirio, mentre gli altri si spostavano per andare alla casa base. Tutti gridavano: "Shay, Shay, Shay, vai Shay".

Shay raggiunse la terza base, quello opposto a lui corse per aiutarlo e voltarlo nella direzione giusta, e gridò: "Shay, corri in terza! Corri in terza!".

Mentre Shay girava per la terza base, i ragazzi di entrambe le squadre e quelli che guardavano erano tutti in piedi e strillavano: "Shay, corri alla base! Corri alla base, sali sul piatto!" Shay corse, salì sul piatto e fu acclamato come l'eroe che aveva segnato un 'grand slam' e fatto vincere la sua squadra.

Quel giorno, disse il padre a bassa voce e con le lacrime che ora gli rigavano la faccia, i ragazzi di entrambe le squadre aiutarono a portare in questo mondo un pezzo di vero amore e umanità.

Shay non superò l'estate e morì in inverno, senza mai scordare di essere stato l'eroe e di aver reso suo padre così felice, e di essere tornato a casa fra il tenero abbraccio di sua madre per il piccolo eroe del giorno!

accoglienzadiversitàhandicappregiudiziamoresolidarietàunità

4.0/5 (3 voti)

inviato da Stefania Calzavara, inserito il 29/10/2007

RACCONTO

19. Il bambino che tolse i chiodi a Gesù   1

Questa storia è vera per la prima parte, mentre la seconda ne è un possibile proseguimento, suggerito dalla fede e dal cuore di chi scrive, liberamente interpretabile da chi legge, purché resti emblematica nel suo contenuto che vuol essere comunque educativo.

C'era una volta un bambino (oggi non è più quel bambino perché è regolarmente cresciuto) di nome Lorenzo, piccolo mulatto, birichino, occhi pieni di curiosità, denti bianchissimi nella bocca sorridente, voglia continua di correre e giocare, fantasioso, spericolato, sempre protetto dal vigile Angelo Custode.

E non c'era solo quel bambino, c'era anche un castello, dove il bimbo andava a giocare e dove l'aspettavano tante zie che se lo contendevano per appagare tutti i suoi desideri e raccontarsi poi le sue prodezze.

Nel castello c'era una piccola chiesa, perché le zie che lo custodivano erano delle suore secolari che sapevano coniugare la consacrazione al Signore l'amore materno ad ogni piccola creatura.

Ed ecco che un giorno, nel mezzo del gioco, mentre il bimbo corre calciando il pallone, nel corridoio accanto alla piccola chiesa la voce della zia "Annamalia", la madrina di battesimo, chiama: "Lorenzo, vieni a conoscere Gesù".

Così Lorenzo scende per la prima volta i gradini della chiesetta ed entra nel vano sacro, dove gli viene mostrato Gesù nel grande crocifisso appeso alla parete sopra l'altare.

Il bimbo alza gli occhi e vede i piedi forati dal chiodo, sovrapposti e sanguinanti. Ecco quello è Gesù e lui gli manda bacetti con la mano, rammaricandosi di non poterlo raggiungere, impotente a togliergli quei chiodi che forano i piedi e le mani fino a farli sanguinare.

Cominciò così il suo amore per Gesù, un misto di ammirazione e compassione che si rinnovava ad ogni nuova visita.

Per Lorenzo era un grosso sacrificio lasciare il gioco per andare a rivedere Gesù, ma ne valeva la pena... specialmente dopo che aveva assaggiato il "Pane di Gesù", che zia Annamaria aveva preso da un armadietto della sacrestia, e dopo aver saputo che la casa di Gesù era nel tabernacolo di marmo, proprio sotto la grande croce da cui Gesù non poteva discendere. In braccio alla madrina lui però poteva baciare la porticina di quella "casa" e stabilire con Gesù una grande amicizia, più importante di quella che aveva con i suoi compagni della Scuola Materna.

Ma il cuoricino di Lorenzo soffriva per quei grossi chiodi che non sapeva come fare a togliere perché Gesù potesse guarire e scendere dalla croce. Una volta che zia Roberta si ferì un piede e mostrò al bambino la ferita, egli si slanciò a baciarlo per farlo guarire come avrebbe voluto fare con Gesù.

Passò il tempo e venne il grande momento: una scala era rimasta abbandonata in chiesa con qualche attrezzo, come quelli che usava papà Mario per i lavori di casa. Lorenzo non aspettava altro! Ormai era abbastanza alto e forte per sollevare la scala, avvicinarla al grande crocifisso, prendere gli attrezzi e salire fino in alto. Ora finalmente poteva "lavorare" per togliere quei chiodi ai piedi e alle mani di Gesù.

Lavora, smuovi, tira... e uno! Poi due, ma il terzo che fatica! Non si arrese: tirò finché anche quello fu divelto, ma intanto la scala oscillò e si piegò all'indietro. Un grido: "Gesù!". Una risposta: "Lorenzo!".

E mentre il bimbo stava perdendo l'equilibrio, stava cadendo indietro, le mani libere di Gesù lo afferrarono e lo portarono in posizione sicura. Lorenzo, ignaro del pericolo corso, esultava di gioia: Gesù finalmente aveva parlato!

Le zie intanto cercavano il bambino e lo trovarono sulla scala sorridente. "Lorenzo che hai fatto?".
"Non ha più i chiodi! E Gesù mi ha risposto!".

Zia Ilva sale subito sulla scala e va a prendere il bambino, lo riconduce a terra illeso, fra la grande gioia di tutte le zie dal cuore materno che per lui hanno trepidato e stentano a capire che cosa è successo.

In realtà nessuno mai capì bene la cosa, solo Lorenzo sapeva che Gesù non aveva più i chiodi perché lui glieli aveva tolti e poi era felice perché Gesù gli aveva parlato come ad un vero amico.

Quando Lorenzo crebbe e diventò un uomo, non si sa cosa fece nella vita: forse divenne papà ed ebbe dei figli; forse partì missionario ed andò a fare del bene ad altri bambini. Comunque siano andate le cose, Lorenzo ebbe sempre tanto amore per Gesù ed insegnò ai bambini ad amarlo tanto. Così il mondo divenne più buono.

Gesùcrocifissocrocerapporto con Diosemplicità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Una Catechista, inserito il 25/03/2007

ESPERIENZA

20. Io scelgo tutto!

S. Teresa di Lisieux, Storia di un'anima

Un giorno Leonia, pensando di essere troppo grande per giocare con la bambola, venne da noi due con un paniere pieno di vestiti e di pezzetti belli di stoffa per farne altri; su queste ricchezze stava distesa la bambola. «Prendete, sorelline, scegliete, vi do tutto». Celina allungò la mano e prese un pacchetto di gale che le piacevano. Io riflettei un attimo, poi anch'io allungai la mano e dissi: «Io scelgo tutto!», e presi il paniere senza tanti complimenti; quelli che assistevano alla scenetta trovarono la cosa molto giusta, e la stessa Celina non si sognò di protestare (bisogna dire che i giocattoli non le mancavano, il suo padrino la colmava di regali, e Luisa trovava il modo di procurarle tutto quello che desiderava). Questo minimo tratto della mia infanzia è il riassunto di tutta la vita mia; più tardi, quando la perfezione mi apparve, capii che, per diventare una santa, bisognava soffrir molto, cercar sempre il più perfetto e dimenticar se stessi; capii che ci sono molti gradi nella perfezione, e che ciascun'anima è libera di rispondere agli inviti di Nostro Signore, di far poco o molto per lui, insomma di scegliere tra i sacrifici che egli chiede. Allora, come ai giorni della mia prima infanzia, esclamai: «Dio mio, scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà, non ho paura di soffrire per Voi, temo una cosa sola, cioè di conservare la mia volontà: prendetela, perché scelgo tutto quello che Voi volete...».

santità

inviato da Debora Cavallone, inserito il 14/07/2006

RACCONTO

21. Il miracolo di Natale   1

Suor Angela Benedetta, clarissa

Nella valle incantata, in una fattoria felice, viveva un bue di nome Barny. Grande e grosso, con due occhi buoni e sinceri, lavorava tutto il giorno spingendo l'aratro. Questo bue era l'amico di tutta la fattoria: i contadini con i quali lavorava gli volevano un gran bene e i bambini non si stancavano mai di giocare con lui. Nonostante fosse così grande e grosso non faceva paura a nessuno, perché era l'animale più buono che potesse esserci. Alla sera quando tramontava il sole e si stendevano le prime ombre, tutti gli animali si radunavano intorno a lui per sentirlo narrare le sue tante storie. Appena finiva di raccontarne una, subito gli chiedevano: "Dai, dai, raccontane un'altra"; lui continuava fino al crepuscolo e allo spuntare delle prime stelle, poi diceva: "Ora andiamo a dormire, domani ci aspetta una lunga giornata di lavoro". Allora tutti gli animali andavano a dormire e nella fattoria scendeva un grande silenzio.

Il bue Barny era simpatico a tutti: alle pecore e alle oche, alle anatre e agli agnellini, alle mucche e ai maialini, alle galline e al vecchio cane da guardia, al padrone della fattoria e ai suoi bambini, ma il suo migliore amico era il piccolo asinello Tim con cui condivideva la stalla, la paglia e il duro lavoro. Quando arrivava la notte e si coricavano vicini, si guardavano a lungo senza dirsi nulla e poi si addormentavano, stanchi ma felici.

Il bue aveva un piccolo segreto nel cuore che conosceva solo l'asinello: gli piaceva danzare. Un giorno l'asinello gli disse: "Perché non ci provi, tanto non ci vede nessuno: ti prometto che questo segreto rimarrà in questa stalla". Tra veri amici anche i desideri più assurdi si possono realizzare e da quel giorno il bue incominciò ad improvvisare dei semplici balletti. L'asinello si divertiva tantissimo. Poi toccò a Tim realizzare il suo desiderio: a lui piaceva moltissimo cantare. E siccome tra amici anche i desideri più assurdi si possono realizzare, l'asinello, tutte le domeniche, inventava delle allegre canzoncine che mai nessuno aveva ascoltato all'infuori dell'amico bue.

Quei momenti, quegli scherzi, quelle risate erano tutta la vita e il divertimento dei due amici, che sapevano rendere grazie a Dio per ogni nuovo giorno loro donato. Appena sorgeva l'alba i due amici iniziavano il loro lavoro: il bue spingeva l'aratro e l'asinello trasportava la legna. Fino a sera non si vedevano più, ma non c'era istante della giornata in cui non sentivano l'uno la presenza e il sostegno dell'altro.

Tim era tutto per il bue Barny: fin dal giorno del suo arrivo nella fattoria gli era sempre stato accanto con il suo affetto e con la sua amicizia. Gli aveva insegnato le prime cose e si era preso cura di lui come un fratello, gli aveva fatto conoscere tutti gli animali della fattoria e l'aveva incoraggiato nei momenti di fatica. Anche Barny, sin dall'inizio, aveva ricambiato l'affetto per l'asino Tim e con il passare degli anni erano divenuti sempre più uniti, quasi una cosa sola. Quante difficoltà, quante sofferenze, ma il calore della loro amicizia aveva reso tutto più leggero, più bello.

Una sera, mentre tutti gli animali erano riuniti intorno al bue per ascoltare le sue storie, l'anatra chiese al bue: "Perché non ci racconti la tua storia, la storia della tua famiglia?". Il bue per un attimo esitò, ma poi iniziò il suo racconto.

"In verità non ho molto da dire", disse il bue, inizialmente un po' imbarazzato dall'argomento. "Nella fattoria dove sono nato eravamo tanti vitellini: gli altri sono stati scelti per diventare dei tori e io invece per essere un bue e fare lavori pesanti. Poiché nella mia fattoria non serviva un trasportatore di aratro sono stato venduto e sono finito qui. Io sono molto contento, sapete, non mi lamento, ma ringrazio ogni giorno il buon Dio di essere utile per il duro lavoro della terra e di alleviare il peso dei contadini. Ma i miei fratelli, ahimé, si vergognano di avere un fratello bue, loro, così famosi in tutto il mondo: partecipano alle più importanti corride, gareggiano con i toreri più famosi, figurano su tutti i quotidiani e per questo mi disprezzano. Ma io non li invidio affatto, io non vorrei essere come loro: non fanno altro che fomentare la violenza e l'odio delle persone che assistono alle loro gare, nelle quali, pensate un po', anche morire fa parte dello spettacolo".

Il bue concluse così il suo racconto. Gli animali erano ammutoliti e nessuno osava più domandare nulla. L'asinello prese la parola rompendo il grande silenzio che aveva seguito il racconto del bue e disse: "Anch'io ho dei cugini molto famosi: sono cavalli da corsa. Partecipano alle gare e la gente scommette fior di quattrini sulle loro vittorie. Si vergognano di avere un lontano parente asino e si vantano di avere avuto antenati che hanno portato sulla loro groppa i più coraggiosi cavalieri partecipando alle più cruenti guerre. Sì, io sono un asino da soma e perciò disprezzato, ma non ho mai fatto guerra a nessuno". "Bravo! Giusto!", incominciarono a commentare gli animali, infervorati dal racconto dell'asinello.

Ormai era notte inoltrata quando gli animali della fattoria sciolsero la seduta. Incominciava a far freddo poiché l'autunno stava per fini e l'inverno era alle porte.

Il giorno successivo iniziò con un gran trambusto nella fattoria. Alle prime luci dell'alba era infatti giunto nella valle incantata un gran numero di persone. C'erano il parroco del paese, le autorità e personalità molto importanti. "Chissà chi cercano", iniziarono a chiedersi curiosi gli animali.

Ben presto tutti iniziarono a fare castelli in aria. "Sicuramente cercano me - disse la mucca con presunzione - avranno bisogno del mio latte". "No! - ribatté l'anatra - è me che cercano: avranno bisogno della mia carne pregiata per un pranzo succulento". "No! - interruppe il maiale - il Natale si avvicina e certamente staranno cercando me per il cenone con il gustoso cotechino". "Siete tutti in errore - dissero le galline - certamente è delle nostre uova che avranno bisogno".

Barny e Tim ascoltarono un po' divertiti le dispute dei loro amici, poi si avviarono ad iniziare il loro lavoro, alquanto indifferenti alla questione: di sicuro non era loro due che cercavano. Mentre camminavano, all'improvviso si sentirono chiamare. "Barny, Tim venite qui - gridò il padrone della fattoria - vi stanno cercando". I due amici non credevano alle loro orecchie. Tim avanzò un po' timoroso e Barny lo seguì, restando leggermente indietro. Quando giunsero davanti a tutta quella folla di persone, l'enigma fu presto risolto. "Stiamo preparando per la prima volta un presepe vivente nel nostro paese", disse il parroco sorridendo ai due buffi amici. "E' un evento importante - continuò il sindaco - verrà la gente anche dai paesi vicini per poter rivivere dal vero la nascita del nostro Salvatore". Barny e Tim guardavano i due interlocutori un po' stupiti: cosa c'entravano loro in tutto questo discorso? "Voi saprete che il Bimbo divino fu scaldato nella gelida notte da un bue e un asinello - disse il parroco, concludendo il discorso - abbiamo bisogno di voi per preparare la grotta di Betlemme. Accettate il nostro invito?". "Noi?" disse Tim, talmente stupito da non riuscire quasi a reggersi in piedi, "Accettiamo con gioia immensa - disse Barny - è un dono senza misura poter scaldare Gesù Bambino".

Così nella fattoria iniziarono i preparativi per il grande evento. Tutti gli animali si sentivano onorati della parte assegnata a Tim e Barny e per questo venne loro l'idea di formare una piccola banda musicale per accompagnare il bue e l'asinello in paese la notte di Natale. Le oche suonavano la tromba, le galline i tamburi, i maiali la grancassa, le pecore i piatti, le mucche il trombone e il grosso cane da guardia era nientepopodimeno che il direttore d'orchestra. Intanto anche i bambini iniziarono ad ornare la fattoria con gli addobbi natalizi e tutto si colorò di attesa e di festa, Non c'era sera in cui, dopo il lavoro, gli animali non si riunissero per suonare i brani natalizi, preparati ed eseguiti dalla loro banda, mentre il bue e l'asinello provavano la loro parte nell'immaginaria grotta di Betlemme.

Passarono i giorni e presto giunse il momento tanto atteso: la vigilia di Natale. Gli animali non stavano più nella pelle dalla gioia. Poche ore prima della mezzanotte tutti gli amici si predisposero per scendere in paese suonando. Al cenno del cane da guardia la banda attaccò: prima le oche intonarono con le trombette le dolci melodie, accompagnate dai tromboni; si unirono ad essi i piatti e i tamburi che intervallavano la musica con dei bei ritmi. Ultimi seguivano la banda Tim e Barny, gli ospiti d'onore. E così, passo dopo passo, la processione arrivò in paese. Gli abitanti, usciti dalle case per attendere la nascita di Gesù, non credevano ai loro occhi: mai si era visto uno spettacolo così bello. Finito di suonare, gli animali fecero venire avanti Tim e Barny che presero posto nella grotta.

Eccoli dunque pronti per il fatidico momento. Allo scoccare della mezzanotte, iniziarono a suonare le campane: Gesù era nato. Mentre tutti cantavano "Gloria a Dio su nel cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà", il sacerdote pose il bimbo di gesso nella grotta e i due amici commossi si chinarono per scaldarlo con il loro fiato, come era stato loro detto. Ma all'improvviso, il piccolo bimbo di gesso si animò, aprì gli occhi e guardando il bue e l'asinello disse: "Non è il calore del vostro fiato a scaldarmi in questa gelida notte, ma l'amore che regna tra voi, l'amore della vostra amicizia. Tutte le volte che continuerete a volervi bene, così come avete sempre fatto, io sarò tra voi, come in questa notte".

Questione di pochi attimi e il bimbo ritornò immobile, di gesso. La funzione finì e Barny e Tim ritornarono nella loro fattoria.

Era stato un sogno, uno scherzo della loro fantasia, o davvero un miracolo di Gesù Bambino? E chi lo sa! I due amici non raccontarono mai a nessuno l'episodio, che tennero conservato nel loro cuore fino alla morte. Ma nei loro occhi, da quella notte, ci fu una luce nuova che non passò inosservata agli amici della fattoria: la certezza che quel loro piccolo amore e quella loro semplice amicizia, era qualcosa di grande agli occhi di Dio.

nataleamicizia

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inviato da Marcello, inserito il 23/05/2006

PREGHIERA

22. Il sogno di un bambino

Adolfo Rebecchini

Da bambino ho fatto un sogno.
Ho sognato che i soldati Ti stavano inchiodando alla croce
E io, passando di la, ti guardavo incuriosito.

Ricordo ancora i volti delle persone che accorrevano.
Ricordo la curiosità e la paura e che provavo in quel momento:
Volevo guardare ma non volevo essere visto.

Più il tempo passava...
Più i soldati avanzavano con il loro lavoro...
...e il vicolo del mio paese si riempiva sempre più di gente.

Da allora ne è passato di tempo!
Una cosa, però, è sempre rimasta impressa nella mia mente:
Disteso sulla croce, c'eri tu che mi chiedevi aiuto.

Perché chiamassi me, io non lo so!
Del resto, lì vicino, c'erano tante altre persone:
grandi e piccoli che, come me, ti stavano a guardare...

Ricordo che per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati.
I tuoi occhi, anche se sofferenti, mi incoraggiavano...
...sollecitavano un mio intervento in tua difesa...

Però, anch'io come Pietro, mi sono tirato indietro.
Anch'io ho preferito farmi gli affari miei; a non immischiarmi con Te...
...e andare a giocare un po' più in là, lontano dal tuo sguardo.

Insegnami, Signore, a non nascondermi mai da te,
ad accettare, sempre, anche le situazioni più difficili
e a non scappare mai davanti ai problemi.

Nella vita non farmi mai accontentare delle scorciatoie
e non farmi cercare quelle strade troppo facili
che portano alla gioia di un solo momento.

Insegnami a scegliere sempre
non tanto ciò che voglio io
ma solo ciò che è giusto ai tuoi occhi.

In famiglia fammi essere un bravo sposo,
un padre giusto e generoso con i miei figli,
un buon cristiano con chiunque mi incontra.

Fammi rimanere sempre vicino a te,
unica fonte di vera pace
e di vera gioia.

crocesofferenzadolorecrocifissorapporto con Gesùsacrificioredenzione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Adolfo Rebecchini, inserito il 31/12/2005

TESTO

23. Se per te il Natale

Se per te il Natale
è solo un giorno di felicità
fatta di cose,
non dire: «Oggi è Natale».

Se non fai silenzio dentro di te
per accogliere Cristo che viene,
non dire: «E' Natale per me».

Se continui a dividere
buoni e cattivi, ricchi e poveri,
non dire: «Gesù è nato per tutti noi».

Se, ascoltando
l'annuncio di Betlemme,
non pensi che la guerra e la fame
uccidono ancora,
non dire: «Pace a ogni uomo».

Ma se hai capito
che la pace di Cristo viene
quando tu porti giustizia
nel tuo piccolo mondo;

se hai capito
che i primi nel tuo cuore
devono essere i "poveri",
e che devi giocare la tua vita
ogni giorno per gli altri,

allora puoi davvero gridare:
«Vi annuncio una gioia
grande come il mondo:
oggi a Betlemme
è nato il Salvatore».

Nataleinterioritàesteriorità

inviato da Brigida, inserito il 13/04/2005

PREGHIERA

24. Signore, insegnami a scommettere la mia vita   1

Signore
io vorrei essere di quelli
che rischiano la loro vita
che donano la loro vita.
A che serve la vita, se non per donarla?
Signore
tu che sei nato fra i disagi di un viaggio
tu che sei morto come un malfattore
liberami dal mio egoismo
e dal mio quieto vivere.
Affinché segnato dal segno della Crose
io non abbia paura della vita di sacrificio.
Rendimi disponibile per la bella avventura
alla quale tu mi chiami.
Devo impegnare la mia vita, Gesù,
sulla tua parola.
Devo mettere in gioco la mia vita, Gesù
sul tuo Amore.
Gli altri possono essere ben saggi,
tu mi hai detto di essere folle.
Gli altri credono all'ordine,
tu mi hai detto di credere all'Amore.
Gli altri pensano a risparmiarsi,
tu mi hai detto di dare.
Gli altri si sistemano,
tu mi hai detto di camminare
e di essere pronto.
Alla gioia e alla sofferenza,
alle vittorie e alle sconfitte,
di non mettere la fiducia in me, ma in te,
di giocare il gioco cristiano
senza preoccuparmi delle conseguenze.
Ed infine di rischiare la mia vita,
contando sul tuo Amore.

vocazioneimpegnoresponsabilitàsequelatestimonianzaessere cristiani

inviato da Lavinia Olliveri, inserito il 03/12/2004

TESTO

25. Mi piacerebbe essere un prete...

Mi piacerebbe essere un prete...

... Un prete così: un prete che ama il Signore, e che insieme a Lui ama la gente che gli sta attorno, le persone che, prima di ogni altra cosa, hanno bisogno di essere amate.

...Un prete che, abbia la caratteristica del pastore, di chi cerca chi si smarrisce; uno che si sforza di conoscere e di ascoltare.

...Un prete che è capace di farsi vicino alle gioie e alle sofferenze degli altri, vicini e lontani, credenti e non credenti; un prete che dice la Verità, che è sempre pronto a confessare per distribuire il perdono.

...Un prete che ha viva la consapevolezza che Dio ha fatto di lui un grande miracolo: lo ha ritenuto degno di fiducia chiamandolo nel ministero, nonostante egli sia un povero peccatore.

... Un prete "affettivamente libero", uno che non cerca a tutti i costi di essere amato; ma uno che, pur amando intensamente le altre persone, è capace di tirarsi in disparte quando gli viene richiesto.

... Un prete che sappia indicare una "direzione spirituale", senza però voler fare da padrone sulla fede degli altri. Vorrei che la gente credesse in Gesù Cristo e non tanto nel prete che lo annuncia.

... Un prete che sappia "radunare" in autentica comunità cristiana. Uno di quelli che sanno giocare con i ragazzi, così come parlare e stare con gli adulti.

...Un prete che costruisce la comunità a partire dall'Eucarestia; che è capace di viverla bene; che non la vive come un'abitudine.

...Un prete che prega. Che ama Maria, il Papa, la Chiesa, figlio di una tradizione e con i piedi ben piantati nel presente

... Un prete che sappia vivere la povertà. Uno che non è attaccato al denaro; uno che sa donare ciò che è suo.

...Un prete con la predilezione versi gli ultimi, quelli che contano di meno agli occhi del mondo.

...Un prete capace di far uso "dell'intelligenza della fede", che sa operare "discernimento", che sa "leggere" le situazioni, che non usa solo il cuore e la volontà, ma anche la luce dell'intelligenza.

... Si, mi piacerebbe essere un prete così!

Signore, aiutami...

vocazionecomunitàparrocopretesacerdotesacerdozio

inviato da Marco Ferrari, inserito il 27/07/2004

RACCONTO

26. Il gigante egoista   1

Oscar Wilde

Tutti, i giorni, finita la scuola, i bambini andavano a giocare nel giardino del gigante. Era un giardino grande e bello coperto di tenera erbetta verde. Qua e là sulla erbetta, spiccavano fiori simile a stelle; in primavera i dodici peschi si ricoprivano di fiori rosa perlacei e, in autunno, davano i frutti. Gli uccelli si posavano sugli alberi e cantavano con tanta dolcezza che i bambini sospendevano i loro giochi per ascoltarli.
- Quanto siamo felici qui! - si dicevano.

Un giorno il gigante ritornò. Era stato a far visita al suo amico, il mago di Cornovaglia, e la sua visita era durata sette anni. Alla fine del settimo anno, aveva esaurito quanto doveva dire perché la sua conversazione era assai limitata, e decise di far ritorno al castello. Al suo arrivo vide i bambini che giocavano nel giardino.
- Che fate voi qui? - esclamò con voce berbera, e i bambini scapparono.
- Il mio giardino è solo mio! - disse il gigante - lo sappiano tutti: nessuno, all'infuori di me, può giocare qui dentro.
Costruì un alto muro tutto intorno e vi affisse un avviso: GLI INTRUSI SARANNO PUNITI.
Era un gigante molto egoista.

I poveri bambini non sapevano più dove giocare. Cercarono di giocare sulla strada, ma la strada era polverosa e piena di sassi, e non piaceva a nessuno. Finita la scuola giravano attorno all'alto muro e parlavano del bel giardino.
- Com'eravamo felici! - dicevano tra di loro.
Poi venne la primavera, e dovunque, nella campagna, v'erano fiori e uccellini. Soltanto nel giardino del gigante regnava ancora l'inverno. Gli uccellini non si curavano di cantare perché non c'erano bambini e gli alberi dimenticarono di fiorire. Una volta un fiore mise la testina fuori dall'erba, ma alla vista dell'avviso provò tanta pietà per i bambini che si ritrasse e si riaddormentò. Solo la neve e il ghiaccio erano soddisfatti.
- La primavera ha dimenticato questo giardino - esclamarono - perciò noi abiteremo qui tutto l'anno.
La neve copriva l'erba con il suo grande manto bianco e il ghiaccio dipingeva d'argento tutti gli alberi. Poi invitarono il vento del nord. Esso venne avvolto in una pesante pelliccia e tutto il giorno fischiava per il giardino e abbatteva i camini.
- E' un posto delizioso - disse - dobbiamo invitare anche la grandine.
E la grandine venne. Tre ore al giorno essa picchiava sul tetto del castello finché ruppe le tegole; poi, quanto più veloce poteva, scorrazzava per il giardino. Era vestita di grigio, e il suo fiato era freddo come il ghiaccio.
- Non riesco a capire perché la primavera tardi tanto a venire - disse il gigante egoista mentre, seduto presso la finestra, guardava il suo giardino gelato e bianco: - Mi auguro che il tempo cambi.
Ma la primavera non venne mai e nemmeno l'estate. L'autunno diede frutti d'oro a tutti i giardini, ma nemmeno uno a quello del gigante. Era sempre inverno laggiù e il vento del Nord, la Grandine, il gelo e la Neve danzavano tra gli alberi.

Una mattina il gigante udì dal suo letto: una dolce musica, risuonava tanto dolce alle sue orecchie che pensò fossero di musicanti del re che passavano nelle vicinanze. Era solo un merlo che cantava fuori dalla sua finestra, ma da tanto tempo non udiva un uccellino cantare nel suo giardino, che gli parve la musica più bella del mondo. La Grandine cessò di danzare sulla sua testa, il Vento del Nord smise di fischiare e un profumo delizioso giunse attraverso la finestra aperta.
- Credo che finalmente la primavera sia venuta - disse il gigante; balzò dal letto e guardò fuori della finestra.
Che vide? Una visione meravigliosa. I fanciulli entrati attraverso un'apertura del muro e sedevano sui rami degli alberi. Su ogni albero che il gigante poteva vedere c'era un bambino. Gli alberi, felici di riavere i fanciulli, s'erano ricoperti di fiori e gentilmente dondolavano i rami sulle loro testoline. Gli uccellini svolazzavano intorno cinguettando felici e i fiori sollevavano il capo per guardare di sopra l'erba verde e ridevano. Era una bella scena.

Solo in un angolo regnava ancora l'inverno. Era l'angolo più remoto del giardino, e vi stava un bambinetto. Era tanto piccolo che non riuscire a raggiungere il ramo dell'albero e vi girava intorno piangendo disperato. Il povero albero era ancora coperto dal gelo e dalla neve e sopra di esso il vento del nord fischiava.
- Arrampicati piccolo - disse l'albero e piegò i suoi rami quanto più poté: ma il bimbetto era troppo piccino. A quella vista il cuore del gigante si intenerì.
- Come sono stato egoista! - disse. - Ora so perché la primavera non voleva venire. Metterò quel bambino in cima all'albero poi abbatterò il muro e il mio giardino sarà, per sempre, il campo di giochi dei bambini.
Era veramente addolorato per quanto aveva fatto. Scese adagio le scale e aprì la porta d'ingresso. Ma quando i bambini lo videro, si spaventarono tanto che scapparono, e nel giardino regnò di nuovo l'inverno. Soltanto il bambinetto non scappò; i suoi occhi erano così colmi di lacrime che non vide venire il gigante. E il Gigante giunse di soppiatto dietro a lui, lo prese delicatamente nella sua mano e lo mise sull'albero. E l'albero fiorì, gli uccellini vennero a cantare e il bambino allungò le braccine, si avvicinò al collo del gigante e lo baciò.
Non appena gli altri bambini videro che il gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa e con essi venne la primavera. - Ora questo è il vostro giardino, bambini - disse il gigante e, presa una grande ascia, abbatté il muro.

A mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il gigante giocare con i bambini nel giardino più bello che avessero mai veduto. Giocarono tutto il giorno e la sera i bambini salutarono il gigante.
- Dov'è il vostro piccolo amico? - disse: - Il bambino che io ho messo sull'albero?.
Il gigante l'amava più di tutti perché l'aveva baciato.
- Non lo sappiamo - risposero i bambini - se n'è andato.
- Dovete dirgli che domani deve assolutamente venire - disse il gigante.
Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitasse e che prima non l'avevano mai veduto, e il gigante si sentì molto triste. Ogni pomeriggio, finita la scuola, i bambini venivano a giocare con il gigante. Ma il bambinetto che il gigante prediligeva non si vide più. Il gigante era molto buono con tutti, ma desiderava il suo piccolo amico e spesso parlava di lui.
- Quanto mi piacerebbe vederlo - diceva sovente.

Gli anni passarono, e il gigante divenne vecchio e debole. Non poteva più giocare; sedeva in una grande poltrona e osservava i bambini mentre giocavano e ammirava il suo giardino.
- Ho molti bei fiori - diceva - ma i bambini sono i fiori più belli.

Una mattina d'inverno, mentre si vestiva, guardò fuori dalla finestra. Ora non odiava più l'inverno perché sapeva che era soltanto la primavera addormentata e che i fiori si riposavano.

Ad un tratto si fregò gli occhi sorpreso e si mise a guardare intensamente. Era una cosa veramente meravigliosa. Nell'angolo più remoto del giardino v'era un albero interamente ricoperto di fiori bianchi. Dai rami d'oro pendevano frutti d'argento, e sotto di essi stava il bambinetto ch'egli aveva amato.
Il gigante scese di corsa e, tutto acceso di gioia, uscì nel giardino. Si affrettò sull'erba e s'avvicinò al bambino. Quando gli fu vicino si fece rosso di collera e disse:
- Chi ha osato ferirti? - perché il bambino aveva il segno di due chiodi sul palmo delle mani e sui piedi.
- Chi ha osato ferirti? - esclamò il gigante - dimmelo e io prenderò la mia grossa spada e l'ammazzerò.
- No - rispose il bambino - queste sono soltanto le ferite dell'amore.
- Chi sei? - chiese il gigante, e uno strano stupore s'impadronì di lui e s'inginocchiò dinanzi al bambino. Il bambino gli sorrise e disse:
- Un giorno mi lasciasti giocare nel tuo giardino, oggi verrai a giocare nel mio giardino, che è il Paradiso.
Quando nel pomeriggio i fanciulli entrarono di corsa nel giardino trovarono il gigante morto, ai piedi dell'albero tutto coperto di fiori candidi.

bambiniamoretenerezzapazienzaegoismochiusuraaperturagentilezzadonocondivisionebambinisperanzadisperazione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Lianza, inserito il 29/01/2003

RACCONTO

27. Il bambino e il santo

Gopal Mukerji

Un giorno, un santo si fermò da noi. Mia madre lo scorse nel cortile, mentre faceva divertire i bambini. "Oh", - mi disse - "è proprio un santo; puoi andargli incontro, bambino mio".

Il santo posò la mano sulla mia spalla e mi chiese: "Bimbo mio, che cosa vuoi fare?".
"Non lo so. Che cosa vuoi che faccia?".
"No, dimmi tu cosa vuoi fare".
"A me piace giocare".
"Allora vuoi giocare con il Signore?".

lo non seppi cosa rispondere. Egli continuò: "Vedi, se tu potessi giocare con il Signore, sarebbe la cosa più grande del mondo. Tutti lo prendono talmente sul serio che lo rendono mortalmente noioso... Gioca con Dio, bambino mio: è il più meraviglioso compagno di gioco".

rapporto con Diogioiagioco

inviato da Barbara, inserito il 02/12/2002

TESTO

28. Se volete conoscere Dio   2

Kahlil Gibran

Se volete conoscere Dio, non siate solutori di enigmi. Piuttosto guardatevi intorno, e lo vedrete giocare con i vostri bambini.

fedeconoscere DioDio

inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 27/11/2002

RACCONTO

29. La volpe e l'amicizia

Antoine de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe

In quel momento apparve la volpe. "Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui! " disse la voce, "sotto al melo...".

"Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino...".
"Sono la volpe" disse la volpe.

"Vieni a giocare con me!", le propose il piccolo principe, "sono così triste...".

"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata".
"Ah! Scusa" fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire 'addomesticare'?".

"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?".
"Cerco gli uomini" disse il piccolo principe.

"Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso! Allevano anche le galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi le galline?".

"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "addomesticare"'".

"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"...".
"Creare dei legami?".

"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te e neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro.

Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo".
"Comincio a capire", disse il piccolo principe (...).

"La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana come una musica. E poi, guarda! Vedi laggiù, in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano...".

La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: "Per favore... addomesticami", disse.

"Volentieri", rispose il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".

"Non si conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!".
"Che bisogna fare?" domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe.

"In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino...".
Il piccolo principe ritornò l'indomani.

"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'è un rito?" disse il piccolo principe.

"Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe.

"E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza...".

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!", disse la volpe, "piangerò".

"La colpa è tua", disse il piccolo principe. "Io non ti volevo fare del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi...".
"E' vero" disse la volpe.
"Ma piangerai", disse il piccolo principe.
"È certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"

"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano". Poi soggiunse: "Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto".

Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. "Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo". E le rose erano a disagio. "Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei sola è più importante di tutte voi, perché è lei che io ho annaffiato, perché è lei che ho riparato col paravento, perché su di lei ho ucciso i bruchi, perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere, perché è la mia rosa".
E ritornò dalla volpe.
"Addio", disse.

"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: si vede bene solo col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".

amiciziaamorelegami

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marianna, inserito il 25/11/2002

TESTO

30. Beato il papà   1

Beato il papà che chiama alla vita e sa donare la vita per i figli.
Beato il papà che non teme di essere tenero e affettuoso.
Beato il papà che sa giocare con i figli e perdere tempo con loro.
Beato il papà per il quale i figli contano più degli hobby e della partita.
Beato il papà che sa ascoltare e dialogare anche quando è stanco.
Beato il papà che dà sicurezza con la sua presenza e il suo amore.
Beato il papà che sa pregare con i figli e confrontare la vita con il Vangelo.
Beato il papà convinto che un sorriso vale più di un rimprovero, uno scherzo più di una critica, un abbraccio più di una predica.
Beato il papà che cresce insieme ai figli e li aiuta a diventare se stessi.
Beato il papà che sa capire e perdonare gli sbagli dei figli e riconoscere i propri.
Beato il papà che non sommerge i figli di cose, ma li educa alla sobrietà e alla condivisione.
Beato il papà che non si ritiene perfetto e sa ironizzare sui propri limiti.
Beato il papà che cammina con i figli verso orizzonti sconfinati aperti all'uomo, al mondo, all'eternità.

papàpaternitàfiglifamigliaeducazioneeducare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna, inserito il 21/11/2002

RACCONTO

31. Il ricamo di Dio   2

Quando io ero piccolo mia madre era solita cucire tanto. Io mi sedevo vicino a lei e le chiedevo cosa stesse facendo. Lei mi rispondeva che stava ricamando. Osservavo il lavoro di mia madre da un punto di vista più basso rispetto a dove stava seduta lei, cosicché ogni volta mi lamentavo dicendole che dal mio punto di vista ciò che stava facendo mi sembrava molto confuso.

Lei mi sorrideva, guardava verso il basso e gentilmente mi diceva: "Figlio mio, vai fuori a giocare un po' e quando avrò terminato il mio ricamo ti metterò sul mio grembo e ti lascerò guardare dalla mia posizione".

Mi domandavo perché utilizzava dei fili di colore scuro e perché mi sembravano così disordinati visti da dove stavo io. Alcuni minuti dopo sentivo la voce di mia madre che mi diceva: "Figlio mio, vieni qua e siediti sul mio grembo".

Io lo facevo immediatamente e mi sorprendevo e mi emozionavo al vedere i bei fiori o il bel tramonto nel ricamo. Non riuscivo a crederci; da sotto si vedeva così confuso.

Allora mia madre mi diceva: "Figlio mio, di sotto si vedeva confuso e disordinato ma non ti rendevi conto che di sopra c'era un progetto. C'era un disegno, io lo stavo solo seguendo. Adesso guardalo dalla mia posizione e saprai ciò che stavo facendo".

Molte volte lungo gli anni ho guardato il cielo e ho detto: "Padre, che stai facendo?".
E Lui risponde: "Sto ricamando la tua vita".

Allora io replico: "Ma si vede così confuso, è tutto un disordine. I fili sembrano così scuri, perché non sono più brillanti?".

E Dio sembra dirmi: "Figliolo mio, occupati del tuo lavoro... e io faccio il mio. Un giorno ti porterò in cielo e ti metterò sul mio grembo e vedrai il disegno dalla mia posizione... E allora capirai...!!!".

Nei giorni in cui sembra che nemmeno Dio si ricordi di te, invece di angustiarti ripeti con certezza: "Signore, io confido in te".

fedefiduciaprogettovocazionevitaprogetto di Dio

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inviato da Stefania Raspo, inserito il 29/08/2002

RACCONTO

32. Father forgets   1

W. Livingstone Larned

Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormen­do con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Mi sono introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono se­duto a leggere in biblioteca, un'ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.

E stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe. Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.

A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo. Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai comin­ciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato: «Ciao, papino!» e io ho aggrottato le sopracciglia e ho risposto: «Su diritto con la schiena!». E tutto è ricominciato da capo nel tardo pome­riggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze buca­te. Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoti a casa davanti a me. Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura. Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell'offesa subita? Quando ho alzato gli occhi dal giornale impaziente per l'interruzione sei rimasto esitante sulla porta. "Che vuoi?", ti ho aggredito brusco. Tu non mi hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l'affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai. Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale. Be', figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un'angoscia terri­bile. Cosa mi sta succedendo? Mi sto abituando a tro­vare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto? Nient'altro per stanotte, figliolo. Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergo­gna.

E' una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio. Ma domani sarò per te un vero papà. Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti. Continuerò a ripeter­mi, come una formula di rito: «E' ancora un bambi­no, un ragazzino!». Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo. E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei an­cora un bambino. Ieri eri dalla tua mamma, con la testa della spalla. Ti ho sempre chiesto troppo, troppo.

paternitàmaternitàaffettotenerezzabambinipretesefamigliagenitorieducatorieducare

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

33. L'albero generoso   1

Shel Silverstein

C'era una volta un albero che amava un bambi­no. Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni. Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arram­picava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami. Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocava­no a nascondino.

Quando era stanco, il bambino si addormentava all'ombra dell'albero, mentre le fronde gli cantava­no la ninna-nanna. Il bambino amava l'albero con tutto il suo picco­lo cuore. E l'albero era felice. Ma il tempo passò e il bambino crebbe.

Ora che il bambino era grande, l'albero rimane­va spesso solo. Un giorno il bambino venne a vedere l'albero e l'albero gli disse: «Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice».

«Sono troppo grande ormai per arrampicarmi su­gli alberi e per giocare», disse il bambino. «Io vo­glio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi. Puoi darmi dei soldi?».

«Mi dispiace», rispose l'albero «ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti. Prendi i miei frutti, bambino mio, e va' a venderli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice». Allora il bambino si arrampicò sull'albero, rac­colse tutti i frutti e li portò via. E l'albero fu felice.

Ma il bambino rimase molto tempo senza ritor­nare... E l'albero divenne triste.

Poi un giorno il bambino tornò; l'albero tremò di gioia e disse: «Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami e sii felice».

«Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampi­carmi sugli alberi», rispose il bambino. «Voglio una casa che mi ripari», continuò. «Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?».

«Io non ho una casa», disse l'albero. «La mia ca­sa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e cotruirti una casa. Allora sarai felice». Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per co­struirsi una casa. E l'albero fu felice.

Per molto tempo il bambino non venne. Quando tornò, l'albero era così felice che riusciva a mala­pena a parlare. «Avvicinati, bambino mio», mormorò, «vieni a giocare».

­Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare» disse il bambino. «Voglio una barca per fuggire lontano di qui. Tu puoi darmi una barca?».

«Taglia il mio tronco e fatti una barca», disse l'albero. ­«Così potrai andartene ed essere felice».

Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una bar­ca per fuggire. E l'albero fu felice..., ma non del tutto.
Molto molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.

«Mi dispiace, bambino mio», disse l'albero «ma non resta più niente da donarti... Non ho più frutti».
«I miei denti sono troppo deboli per dei frutti», disse il bambino.
«Non ho più rami». continuò l'albero «non puoi più dondolarti».
«Sono troppo vecchio per dondolarmi ai rami», disse il bambino.
«Non ho più il tronco», disse l'albero. «Non puoi più arrampicarti».
«Sono troppo stanco per arrampicarmi», disse il bambino.
«Sono desolato», sospirò l'albero. «Vorrei tanto donarti qualcosa... ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto...».
«Non ho più bisogno di molto, ormai», disse il bambino. «Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco».
«Ebbene», disse l'albero, raddrizzandosi quanto poteva «ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuo­le per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati».
Così fece il bambino.
E l'albero fu felice.

gratuitàgratitudinesacrificio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 08/06/2002

TESTO

34. Trova il tempo   2

Madre Teresa di Calcutta

Trova il tempo di pensare
trova il tempo di pregare
trova il tempo di ridere.
E' la fonte del potere
è il più grande potere sulla terra
è la musica dell'anima.

Trova il tempo per giocare
trova il tempo per amare ed essere amato
trova il tempo di dare.
E' il segreto dell'eterna giovinezza
è il privilegio dato da Dio;
il giorno è troppo corto
per essere egoisti.

Trova il tempo di leggere
trova il tempo di essere amico
trova il tempo di lavorare.
E' la fonte della saggezza
è la strada della felicità
è il prezzo del successo.

Trova il tempo
di fare la carità.
E' la chiave del paradiso.

felicitàgioiaparadisodonaretempovalore del tempo

4.0/5 (2 voti)

inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002

RACCONTO

35. La partita a scacchi   1

Paulo Coelho

Disse il giovane all'abate del monastero: "Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita. Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l'illuminazione".

"Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago", fu la risposta.

L'abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo. Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse: "Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi. Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori. Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te".

L'abate parlava seriamente. Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo. La scacchiera divenne il centro del mondo. Il monaco iniziò a perdere. Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell'altro: da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate. In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.

All'improvviso, l'abate rovesciò per terra la scacchiera. "Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato - disse -. Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi. Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile. Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia".

maturitàmisericordiadonareagonismocompetitività

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/05/2002

TESTO

36. Il gioco della vita   1

Anthony de Mello

La vita è come una partita in cui ciascun giocatore sfrutta come meglio può le carte che gli sono toccate.

Chi insiste a giocare non con le carte che ha ricevuto ma con quelle a cui sostiene di aver diritto, è destinato a fallire nella vita.

Non ci vien chiesto se vogliamo giocare. Su questo non c'è scelta, tutti devono partecipare. Sta a noi decidere come.

vitatalentiabbandonorassegnazione

4.5/5 (2 voti)

inviato da Don Angelo, inserito il 09/05/2002

RACCONTO

37. Un uomo libero   1

Rabindranath Tagore

Ero giovane e mi sentivo forte. Quella mattina di primavera uscii di casa e gridai: "Io sono a disposizione di chi mi vuole. Chi mi prende?".

Mi lanciai sulla strada selciata. Sul suo cocchio, con la spada in mano e seguito da mille guerrieri, passava il Re. "Ti prendo io al mio servizio", disse fermando il corteo. "E in compenso ti metterò a parte della mia potenza". Ma io della sua potenza non sapevo che farmene. E lo lasciai andare.
"Io sono a disposizione di tutti. Chi mi vuole?".

Nel pomeriggio assolato, un vecchio pensieroso mi fermò, e disse: "Ti assumo io, per i miei affari. E ti compenserò a suon di rupie sonanti". E cominciò a snocciolarmi le sue monete d'oro. Ma io dei suoi quattrini non sapevo che farmene. E mi voltai dall'altra parte.

La sera arrivai nei pressi di un casolare. Si affacciò una graziosa fanciulla e mi disse: "Ti prendo io e ti compenserò col mio sorriso". Io rimasi perplesso. Quanto dura un sorriso? Frattanto quello si spense e la fanciulla dileguò nell'ombra. Passai la notte disteso sull'erba, e la mattina ero madido di rugiada.
"Io sono a disposizione... Chi mi vuole?".

Il sole scintillava già sulla sabbia, quando scorsi un bambino che, seduto sulla spiaggia, giocava con tre conchiglie. Al vedermi alzò la testa e sorrise, come se mi riconoscesse. "Ti prendo io", disse, "e in cambio non ti darò niente". Accettai il contratto e cominciai a giocare con lui. Alla gente che passava e chiedeva di me, rispondevo: "Non posso, sono impegnato".
E da quel giorno mi sentii un uomo libero.

libertàgratuitàricchezzapovertà

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

38. Preghiera dello sportivo   1

Luigi Guglielmoni

Grazie, Signore, per il corpo
col quale possiamo muoverci,
giocare e fare festa.
Grazie per la salute e la pace
che ci fanno gustare la vita
con gioia ed entusiasmo.
Grazie per il tempo libero
che trascorriamo divertendoci
in compagnia degli amici.
Grazie per le persone e gli spazi
che ci consentono di fare sport,
di allenarci e di gareggiare.
Grazie per le vittorie e le sconfitte
che rivelano il cammino della vita
e fanno maturare "dentro".
Grazie perché dopo il gioco
possiamo affrontare più sereni
gli impegni quotidiani.
Grazie per quanto impariamo
dalla disciplina sportiva
e dai campioni sul campo e nella vita.
Grazie per la domenica,
giorno di riposo e di preghiera,
dl fraternità con tutti.
Grazie perché tu, Signore,
sei il nostro allenatore e maestro
e rimani con noi ogni giorno.

sporttempo libero

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

39. Il lupo che divenne uomo

Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa

C'era una volta, in un bosco, un lupo molto feroce. Si nutriva di polli e di conigli e attaccava le greggi e gli armenti del villaggio. Anche i bambini non uscivano più a giocare. Il lupo era diventato il terrore di tutti. Si presero provvedimenti: gli animali dovevano vivere dentro recinti e trappole di ogni tipo vennero appostate nei dintorni. Il lupo cominciò a sentirsi braccato e vagava per il bosco, sempre più affamato.

Una sera, inaspettatamente, una stupenda luce illuminò il cielo e durò per tutta la notte. Ad un certo momento diversi gruppi di pastori cominciarono ad arrivare da ogni dove. Andavano tutti verso la medesima direzione. Che cosa stava succedendo?

Il lupo decise di seguirli, tenendosi a debita distanza. Li vide entrare in una grotta. Non si capiva che cosa vi trovassero. Quando uscirono, sembravano trasfigurati e anche una giovane donna comparve in mezzo a loro. Era un'occasione propizia. Il lupo furtivamente si intrufolò nella grotta.

Su una minuscola stuoia, un bambino molto piccolo stava disteso e giocava con un filo d'erba tra le dita. Il lupo si illuminò. Ecco il cibo sognato da tanto tempo. La mamma era ancora fuori con gli ospiti e non si sarebbe accorta. Avvicinò il muso al bambino. Sarebbe stata questione di un attimo. Ma successe qualcosa d'inaspettato. Il bambino non si spaventò, non pianse. Lo guardò, anzi, negli occhi, gli sorrise e allungando la manina accarezzò quel muso sporco di polvere. E gli disse: "Ti voglio bene".

Nessuno glielo aveva mai detto. La sua pelliccia di lupo si sfilacciò come una vecchia camicia. Dentro comparve un giovane uomo.

Chinato verso il bambino, trasformato, continuava a gridargli "Grazie! Grazie! Grazie!". Poi corse via. Che cos'altro poteva fare questo ex-lupo se non correre in ogni angolo della terra e raccontare a tutti ciò che quel bambino aveva fatto di lui?

nataleconversionebisogno di amorebontàaccoglienza

inviato da Stefania Raspo, inserito il 06/05/2002

TESTO

40. Prendete il tempo

Prendete il tempo di giocare,
è il segreto dell'eterna giovinezza.

Prendete il tempo di leggere,
è la sorgente del sapere.

Prendete il tempo di amare e di essere amati,
è una grazia di Dio

Prendete il tempo di farvi degli amici,
è la via dei fortunati,

Prendete il tempo di ridere,
è la musica dell'amore.

Prendete il tempo di pensare ,
è la sorgente dell'azione.

Prendete il tempo di donare,
la vita è troppo corta per essere egoisti.

Prendete il tempo di lavorare,
è il prezzo del successo.

Prendete il tempo di pregare,
è la vostra forza sulla terra.

tempovalore del tempovita progetto

inviato da Miriam Piras, inserito il 04/05/2002

PREGHIERA

41. La partita notturna

Michel Quoist

Questa sera, allo stadio, la notte si agitava, popolata di diecimila ombre,
e quando i proiettori ebbero dipinto in verde il velluto dell'immenso campo,
la notte intonò un coro, nutrito di diecimila voci.
Infatti il maestro di cerimonie aveva fatto segno di iniziare la funzione.
L'imponente liturgia si svolgeva dolcemente.
Il pallone bianco volava da ministro a ministro come se tutto fosse stato minuziosamente preparato in precedenza.
Passava dall'uno all'altro, correva raso terra o volava sopra le teste.
Ognuno era al suo posto, ricevendolo alla sua volta, con colpo misurato lo passava all'altro, e l'altro era là per accoglierlo e trasmetterlo.
E siccome ognuno faceva il suo lavoro dove occorreva,
siccome forniva lo sforzo richiesto,
siccome sapeva di aver bisogno di tutti gli altri,
lentamente, ma sicuramente, il pallone avanzava;
e quand'ebbe raccolto il lavoro d'ognuno,
quand'ebbe riunito il cuore degli undici giocatori,
la squadra gl'impresse un soffio e segnò il goal della vittoria.
Dopo la partita, a stento l'immensa folla si disperdeva nelle strade troppo strette,
ed io pensavo, o Signore, che la storia umana, per noi lunga partita, per Te era questa grande Liturgia,
meravigliosa cerimonia iniziata all'aurora dei tempi, che terminerà quando l'ultimo ministro avrà compiuto l'ultimo gesto.
In questo mondo, o Signore, abbiamo ognuno il nostro posto;
allenatore previdente, da sempre Tu ce lo destinavi.
Tu hai bisogno di noi qui, i nostri fratelli han bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di tutti.
Non ha importanza il posto che io occupo, o Signore, ma la perfezione e l'intensità della mia presenza.
Che importa che io sia avanti o indietro, se sono al massimo quello che debbo essere?

Ecco, o Signore, la mia giornata davanti a me...
Non ho riparato troppo sul fallo, criticando gli sforzi degli altri, le mani in tasca?
Ho tenuto bene il mio posto, e mi hai Tu incontrato sul campo quando lo guardavi?
Ho ricevuto bene il "passaggio" del vicino e quello dell'altro dall'altra estremità del campo?
Ho "servito" bene i miei compagni di squadra, senza giocare troppo personalmente per mettermi in mostra?
Ho "costruito" il gioco in modo da ottenere la vittoria con il contributo di tutti?
Ho lottato fino in fondo nonostante gli scacchi, i colpi e le ferite?
Non sono stato turbato dalle dimostrazioni dei compagni e degli spettatori, scoraggiato dalla loro incomprensione e dai loro rimproveri, insuperbito dai loro applausi?
Ho pensato di pregare la mia partita, non dimenticando che agli occhi di Dio questo gioco degli uomini è la funzione più religiosa?
Ora vado a riposarmi negli spogliatoi, Signore;
domani, se Tu darai il calcio d'avvio, giocherò un altro tempo,
E così ogni giorno...
Fa' che questa partita celebrata con tutti i miei fratelli sia l'imponente liturgia che Tu aspetti da noi,
affinché quando il tuo ultimo fischio interromperà le nostre esistenze
noi siamo selezionati per la Coppa del Cielo.

comunitàgruppochiesacamminare insieme

inviato da Maria Vitali, inserito il 29/04/2002