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PREGHIERA

81. Preghiera di ogni giorno

Maria Chiara Carulli

Donaci, Signore,
grandi ali per volare e piedi forti per camminare.
Donaci un cuore grande che assomigli al tuo
e sia capace di contenere l'universo.
Donaci anche mani belle, tenere, delicate,
pronte a toccare e a curare le ferite del mondo
e ad accarezzare i volti e i cuori.
La nostra vita non sia mai fine se stessa,
ma abbia in sé il segno dell'eterno,
di ciò che non finisce perché è prezioso ai tuoi occhi.
E mentre ci chiami a camminare e a volare,
insegnaci ad amare davvero,
ad impegnarci a fondo per rendere più bella la terra
e più felice chi ci sta accanto.
Donaci il gusto di vivere per dar più colore al mondo,
alle sue speranze e ai suoi sogni,
se sono anche i tuoi, Signore.
E grazie perché, avendoci fatti simili a te,
ci dai la certezza che anche noi, con te,
possiamo fare grandi cose!

buongiornonuovo giornoimpegnoresponsabilitàamoresenso della vita

inviato da Maria Chiara Carulli, inserito il 01/04/2003

RACCONTO

82. Il gigante egoista   1

Oscar Wilde

Tutti, i giorni, finita la scuola, i bambini andavano a giocare nel giardino del gigante. Era un giardino grande e bello coperto di tenera erbetta verde. Qua e là sulla erbetta, spiccavano fiori simile a stelle; in primavera i dodici peschi si ricoprivano di fiori rosa perlacei e, in autunno, davano i frutti. Gli uccelli si posavano sugli alberi e cantavano con tanta dolcezza che i bambini sospendevano i loro giochi per ascoltarli.
- Quanto siamo felici qui! - si dicevano.

Un giorno il gigante ritornò. Era stato a far visita al suo amico, il mago di Cornovaglia, e la sua visita era durata sette anni. Alla fine del settimo anno, aveva esaurito quanto doveva dire perché la sua conversazione era assai limitata, e decise di far ritorno al castello. Al suo arrivo vide i bambini che giocavano nel giardino.
- Che fate voi qui? - esclamò con voce berbera, e i bambini scapparono.
- Il mio giardino è solo mio! - disse il gigante - lo sappiano tutti: nessuno, all'infuori di me, può giocare qui dentro.
Costruì un alto muro tutto intorno e vi affisse un avviso: GLI INTRUSI SARANNO PUNITI.
Era un gigante molto egoista.

I poveri bambini non sapevano più dove giocare. Cercarono di giocare sulla strada, ma la strada era polverosa e piena di sassi, e non piaceva a nessuno. Finita la scuola giravano attorno all'alto muro e parlavano del bel giardino.
- Com'eravamo felici! - dicevano tra di loro.
Poi venne la primavera, e dovunque, nella campagna, v'erano fiori e uccellini. Soltanto nel giardino del gigante regnava ancora l'inverno. Gli uccellini non si curavano di cantare perché non c'erano bambini e gli alberi dimenticarono di fiorire. Una volta un fiore mise la testina fuori dall'erba, ma alla vista dell'avviso provò tanta pietà per i bambini che si ritrasse e si riaddormentò. Solo la neve e il ghiaccio erano soddisfatti.
- La primavera ha dimenticato questo giardino - esclamarono - perciò noi abiteremo qui tutto l'anno.
La neve copriva l'erba con il suo grande manto bianco e il ghiaccio dipingeva d'argento tutti gli alberi. Poi invitarono il vento del nord. Esso venne avvolto in una pesante pelliccia e tutto il giorno fischiava per il giardino e abbatteva i camini.
- E' un posto delizioso - disse - dobbiamo invitare anche la grandine.
E la grandine venne. Tre ore al giorno essa picchiava sul tetto del castello finché ruppe le tegole; poi, quanto più veloce poteva, scorrazzava per il giardino. Era vestita di grigio, e il suo fiato era freddo come il ghiaccio.
- Non riesco a capire perché la primavera tardi tanto a venire - disse il gigante egoista mentre, seduto presso la finestra, guardava il suo giardino gelato e bianco: - Mi auguro che il tempo cambi.
Ma la primavera non venne mai e nemmeno l'estate. L'autunno diede frutti d'oro a tutti i giardini, ma nemmeno uno a quello del gigante. Era sempre inverno laggiù e il vento del Nord, la Grandine, il gelo e la Neve danzavano tra gli alberi.

Una mattina il gigante udì dal suo letto: una dolce musica, risuonava tanto dolce alle sue orecchie che pensò fossero di musicanti del re che passavano nelle vicinanze. Era solo un merlo che cantava fuori dalla sua finestra, ma da tanto tempo non udiva un uccellino cantare nel suo giardino, che gli parve la musica più bella del mondo. La Grandine cessò di danzare sulla sua testa, il Vento del Nord smise di fischiare e un profumo delizioso giunse attraverso la finestra aperta.
- Credo che finalmente la primavera sia venuta - disse il gigante; balzò dal letto e guardò fuori della finestra.
Che vide? Una visione meravigliosa. I fanciulli entrati attraverso un'apertura del muro e sedevano sui rami degli alberi. Su ogni albero che il gigante poteva vedere c'era un bambino. Gli alberi, felici di riavere i fanciulli, s'erano ricoperti di fiori e gentilmente dondolavano i rami sulle loro testoline. Gli uccellini svolazzavano intorno cinguettando felici e i fiori sollevavano il capo per guardare di sopra l'erba verde e ridevano. Era una bella scena.

Solo in un angolo regnava ancora l'inverno. Era l'angolo più remoto del giardino, e vi stava un bambinetto. Era tanto piccolo che non riuscire a raggiungere il ramo dell'albero e vi girava intorno piangendo disperato. Il povero albero era ancora coperto dal gelo e dalla neve e sopra di esso il vento del nord fischiava.
- Arrampicati piccolo - disse l'albero e piegò i suoi rami quanto più poté: ma il bimbetto era troppo piccino. A quella vista il cuore del gigante si intenerì.
- Come sono stato egoista! - disse. - Ora so perché la primavera non voleva venire. Metterò quel bambino in cima all'albero poi abbatterò il muro e il mio giardino sarà, per sempre, il campo di giochi dei bambini.
Era veramente addolorato per quanto aveva fatto. Scese adagio le scale e aprì la porta d'ingresso. Ma quando i bambini lo videro, si spaventarono tanto che scapparono, e nel giardino regnò di nuovo l'inverno. Soltanto il bambinetto non scappò; i suoi occhi erano così colmi di lacrime che non vide venire il gigante. E il Gigante giunse di soppiatto dietro a lui, lo prese delicatamente nella sua mano e lo mise sull'albero. E l'albero fiorì, gli uccellini vennero a cantare e il bambino allungò le braccine, si avvicinò al collo del gigante e lo baciò.
Non appena gli altri bambini videro che il gigante non era più cattivo, ritornarono di corsa e con essi venne la primavera. - Ora questo è il vostro giardino, bambini - disse il gigante e, presa una grande ascia, abbatté il muro.

A mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il gigante giocare con i bambini nel giardino più bello che avessero mai veduto. Giocarono tutto il giorno e la sera i bambini salutarono il gigante.
- Dov'è il vostro piccolo amico? - disse: - Il bambino che io ho messo sull'albero?.
Il gigante l'amava più di tutti perché l'aveva baciato.
- Non lo sappiamo - risposero i bambini - se n'è andato.
- Dovete dirgli che domani deve assolutamente venire - disse il gigante.
Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitasse e che prima non l'avevano mai veduto, e il gigante si sentì molto triste. Ogni pomeriggio, finita la scuola, i bambini venivano a giocare con il gigante. Ma il bambinetto che il gigante prediligeva non si vide più. Il gigante era molto buono con tutti, ma desiderava il suo piccolo amico e spesso parlava di lui.
- Quanto mi piacerebbe vederlo - diceva sovente.

Gli anni passarono, e il gigante divenne vecchio e debole. Non poteva più giocare; sedeva in una grande poltrona e osservava i bambini mentre giocavano e ammirava il suo giardino.
- Ho molti bei fiori - diceva - ma i bambini sono i fiori più belli.

Una mattina d'inverno, mentre si vestiva, guardò fuori dalla finestra. Ora non odiava più l'inverno perché sapeva che era soltanto la primavera addormentata e che i fiori si riposavano.

Ad un tratto si fregò gli occhi sorpreso e si mise a guardare intensamente. Era una cosa veramente meravigliosa. Nell'angolo più remoto del giardino v'era un albero interamente ricoperto di fiori bianchi. Dai rami d'oro pendevano frutti d'argento, e sotto di essi stava il bambinetto ch'egli aveva amato.
Il gigante scese di corsa e, tutto acceso di gioia, uscì nel giardino. Si affrettò sull'erba e s'avvicinò al bambino. Quando gli fu vicino si fece rosso di collera e disse:
- Chi ha osato ferirti? - perché il bambino aveva il segno di due chiodi sul palmo delle mani e sui piedi.
- Chi ha osato ferirti? - esclamò il gigante - dimmelo e io prenderò la mia grossa spada e l'ammazzerò.
- No - rispose il bambino - queste sono soltanto le ferite dell'amore.
- Chi sei? - chiese il gigante, e uno strano stupore s'impadronì di lui e s'inginocchiò dinanzi al bambino. Il bambino gli sorrise e disse:
- Un giorno mi lasciasti giocare nel tuo giardino, oggi verrai a giocare nel mio giardino, che è il Paradiso.
Quando nel pomeriggio i fanciulli entrarono di corsa nel giardino trovarono il gigante morto, ai piedi dell'albero tutto coperto di fiori candidi.

bambiniamoretenerezzapazienzaegoismochiusuraaperturagentilezzadonocondivisionebambinisperanzadisperazione

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inviato da Anna Lianza, inserito il 29/01/2003

TESTO

83. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

RACCONTO

84. Eliogabalo e matusalemme   1

Bruno Ferrero, Novena di Natale

Il piccolo e zoppo Matusalemme ed Eliogabalo (detto Gabalo) erano due ragazzi poveri della città. Avevano sempre vissuto, dalla nascita, nel collegio dei ragazzi poveri. "Sai che domani è Natale?" chiese Gabalo, un giorno che tutti e due stavano spalando la neve dall'ingresso dell'istituto. "Ah, davvero?" rispose Matusalemme. "Spero proprio che la signora Pynchurn non se ne accorga. Diventa particolarmente antipatica nei giorni di festa!". L'antipatica signora Pynchum era la direttrice dell'istituto dei poveri, ed era temuta da tutti.

Matusalemme proseguì: "Gabalo, tu credi che Babbo Natale ci sia davvero?". "Certo che c'è". "E allora perché non viene mai qui alla casa dei poveri?". "Beh", rispose Gabalo, "noi stiamo in una strada tutte curve, lo sai no? Forse Babbo Natale non riesce a trovarla". Gabalo cercava sempre di mostrare a Matusalemme il lato bello delle cose, anche quando non c'era!

Proprio in quel momento un'automobile investì un povero cane che cadde riverso sulla neve. Gabalo corse subito in suo aiuto e vide che aveva una zampa rotta. Fece una stecca e fasciò strettamente la zampa del cane. Gabalo lesse sul collare che il cane apparteneva al dottor Carruthers, un medico famoso nella città. Lo prese in braccio e si avviò verso la casa dei dottore.

Il dottore aveva una gran barba bianca lo accolse con un sorriso e gli chiese chi aveva immobilizzato e steccato così bene la zampa dei cane.

"Perbacco, io, signore", rispose Gabalo e gli raccontò di tutti gli altri animali ammalati che aveva guarito. "Sei un ragazzo davvero in gamba!" gli disse alla fine il dottor Carruthers guardandolo negli occhi. "Ti piacerebbe venire a vivere da me e studiare per diventare dottore?".

Gabalo rimase senza parole. Andare lontano dalla signora Pynchum e non essere più uno "della Casa dei Poveri", diventare un dottore! "Oh, oh s-s-sì, signore! Oh...". Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Gabalo se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Matusalemme? "Io... io vi ringrazio, signore" disse. "Ma non posso venire, signore! E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime corse fuori dalla casa".

Quella sera, il dottor Carruthers si presentò all'istituto con le braccia cariche di pacchetti. Quando Matusalemme lo vide cominciò a gridare: "E' arrivato Babbo Natale!". Il dottore scoppiò a ridere e, mentre consegnava al ragazzo un pacchetto dai vivaci colori, notò che zoppicava e gli fece alcune domande. Dopo un attimo, il dottor Carruthers disse: "Conosco un ospedale in città dove potrebbero guarirti. Hai parenti o amici?". "Oh, sì", rispose subito Matusalemme, "ho Gabalo!". Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Gabalo. "E' per lui che non hai voluto venire a stare da me, figliuolo". "Beh, io... io sono tutto quello che lui possiede", rispose Gabalo. Il dottore, profondamente commosso, disse: "E se prendessi anche Matusalemme con noi?".

Questa volta a Gabalo non importò che tutti vedessero le sue lacrime, e Matusalemme si mise a battere le mani dalla gioia. Naturalmente non sapeva che sarebbe guarito e che un giorno Gabalo sarebbe diventato un chirurgo famoso. Tutto quello che sapeva era che Babbo Natale aveva trovato la strada per la casa dei poveri e che lo portava via con Gabalo.

Natalepovertàamiciziasolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

TESTO

85. Lettera al "fratello marocchino"   1

Tonino Bello

Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!

La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.

Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?

Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.

Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.

Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.

extracomunitaristranieriaccoglienzacaritàsolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002

ESPERIENZA

86. La rosa del giardino di Dio   1

Andrea e Annalisa. Una giovane coppia felicemente sposata, e pensata da Dio come immagine del Suo amore per ciascuno di noi, incontra sul loro cammino la Sua mano che gli porge la croce.

L'accolgono con il coraggio di chi sa di potersi fidare. Due anni fa ad Andrea viene diagnosticato un tumore al cervello e inizia un calvario di fatiche, un'altalena di speranze e di conferme che li porta a guardare Dio diritto negli occhi, cercando quello sguardo evangelico di Cristo che su quella stessa croce ci era già stato.

Attorniati dai loro amici e circondati da mille premure vivono questi due anni con la forza della fede. Fino a luglio, quando l'ultima tac rivela l'inesorabile cammino del tumore ormai giunto al termine. Iniziano gli ultimi tre mesi della vita di Andrea, nutriti dall'eucarestia celebrata nella stanza, in casa, dalla preghiera per lui e con lui, da tante parole di affetto e di amore pronunciate con il cuore più che con le labbra.

Tre mesi in cui Andrea lotta disperatamente per rendere meno duro il distacco alla sua amata e ai suoi amici. Tre mesi nei quali quell'amore e quella fede che li ha uniti nella vita, vuole gettare le radici oltre la vita stessa.

Un mattino di ottobre Andrea incontra la Vita e lo sguardo del Risorto.

Il dolore dei suoi è vinto dalla serena fiducia in quella promessa che riecheggia in ogni passo di Annalisa e dei suoi amici, la speranza diventa certezza: Andrea sarà sempre con noi.

Un mese dopo Annalisa festeggia il suo compleanno, e in quel giorno riceve una telefonata dalla sorella che gli chiede di parlarle urgentemente. Si incontrano, e la sorella con il cuore gonfio di trepidazione e commozione, stringe una rosa bianca tra le mani.

«Questa rosa - le spiega - te la manda Andrea. A novembre dell'anno scorso mi aveva chiamato per affidarmi questo compito: Il primo compleanno che Annalisa farà senza di me, dovrai portargli una rosa bianca da parte mia».

Il giorno dopo raccontandoci questo fatto, Annalisa si preoccupava di come potesse fare per conservare il più a lungo possibile quel fiore. Non avrà molta importanza, perché sicuramente il suo profumo rimarrà inalterato nel suo cuore e in quello dei suoi amici fino alla fine dei giorni.

amorecrocedoloresofferenzamortemalattia

inviato da F. Oscar Comba, inserito il 04/12/2002

TESTO

87. Pensando un po' alla morte   1

Paulo Coelho

Credo che questo testo si potrà leggere in circa tre minuti. Ebbene, in questo lasso di tempo, moriranno 300 persone e ne nasceranno altre 620.

Forse io impiegherò mezz'ora per scriverlo: sono concentrato sul mio computer, sui libri accanto a me, sulle idee che mi vengono, sulle macchine che passano là fuori.

Tutto sembra assolutamente normale intorno a me. Invece, durante questi trenta minuti, sono morte 3.000 persone, e 6.200 hanno appena visto, per la prima volta, la luce del mondo.

Dove saranno queste migliaia di famiglie che hanno cominciato a piangere per la perdita di qualcuno, o a ridere per l'arrivo di un figlio, di un nipote, di un fratello?

Mi fermo e rifletto: forse molte di queste morti arrivano al termine di una lunga e dolorosa malattia, e certe persone saranno sollevate dall'Angelo che è venuto a prenderle. Inoltre, centinaia di questi bambini che sono appena nati quasi sicuramente saranno abbandonati nel prossimo minuto ed entreranno nelle statistiche di morte prima che io abbia finito questo testo.

Pensate. Ho appena dato uno sguardo a una semplice statistica e tutt'a un tratto inizio ad avvertire il senso di queste perdite e questi incontri, questi sorrisi e queste lacrime. Quanti staranno lasciando questa vita da soli, nelle loro stanze, senza che nessuno si renda conto di ciò che sta accadendo? Quanti nasceranno nascostamente e saranno abbandonati davanti alla porta di qualche ricovero o di qualche convento?

Rifletto: ho già fatto parte della statistica delle nascite e, un giorno, sarò incluso nel numero dei morti. Che bello: io sono pienamente consapevole che morirò. Da quando ho fatto il cammino di Santiago, ho capito che - anche se la vita continua e siamo tutti eterni - un giorno questa esistenza si concluderà.

Le persone pensano molto poco alla morte. Passano la vita preoccupandosi di vere e proprie assurdità, rimandano cose, tralasciano momenti importanti. Non rischiano, perché pensano sia pericoloso. Si lamentano molto, ma diventano codarde quando è il momento di prendere provvedimenti. Vogliono che tutto cambi, ma loro si rifiutano di cambiare.

Se pensassero un po' di più alla morte, non tralascerebbero mai di fare quella telefonata che manca. Sarebbero un po' più folli. Non avrebbero paura della fine di questa incarnazione - perché non si può temere qualcosa che accadrà comunque.

Gli Indios dicono: "Oggi è un giorno buono come qualsiasi altro per lasciare questo mondo". E uno stregone commentò una volta: "Che la morte sia sempre seduta al tuo fianco. Così, quando avrai bisogno di fare qualcosa di importante, essa ti darà la forza e il coraggio necessari".

Spero che tu, lettore, abbia letto fin qui. Sarebbe una stupidaggine spaventarsi per il titolo, perché tutti noi, prima o poi, moriremo. E solo chi accetta questo è pronto per la vita.

vitamortevita eternacoraggiocambiamentopaurasenso della vita

inviato da Federico Bernardi, inserito il 25/11/2002

RACCONTO

88. Il tesoro del giardiniere   1

Leone Tolstoi, Racconti

C'era una volta un uomo che faceva il giardiniere. Non era ricco, ma lavorando sodo era riuscito a comperare una bella vigna. Aveva anche allevato tre figli robusti e sani. Ma proprio qui stava il suo cruccio: i tre ragazzi non mostravano in alcun modo di condividere la passione del padre per il lavoro campestre.

Un giorno il giardiniere sentì che stava per giungere la sua ultima ora. Chiamò perciò i suoi ragazzi e disse loro: «Figli miei, debbo rivelarvi un segreto: nella vigna è nascosto tanto oro da bastare per vivere felici e tranquilli. Cercate questo tesoro, e dividetevelo fraternamente tra voi.» Detto questo, spirò.

Il giorno dopo i tre figli scesero nella vigna con zappe, vanghe e rastrelli, e cominciarono a rimuovere profondamente il terreno. Cercarono per giorni e giorni, poiché la vigna era grande e non si sapeva dove il padre avesse nascosto l'oro di cui aveva parlato. Alla fine si accorsero di aver zappato tutta la terra senza aver trovato alcun tesoro. Rimasero molto delusi.

Ma dopo qualche tempo, compresero il significato delle parole del padre: infatti quell'anno la vigna diede una quantità enorme di splendida uva, perché era stata ben curata e zappata.

Vendettero l'uva e ne ricavarono molti rubli d'oro, che poi divisero fraternamente secondo la raccomandazione del padre. E da quel giorno compresero che il più grande tesoro per l'uomo è il frutto del suo lavoro.

impegnolavororesponsabilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

89. La vecchietta che aspettava Dio   9

Bruno Ferrero

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese. Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo. Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo 'stato' fondamentale nella vita del cristiano: il tempo dell'Avvento. La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente... è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.

C'era una volta un'anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.

Dopo un po', qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!". E sbattè la porta in faccia alla mortificata vicina.

Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!". E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.

Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.

"Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.

La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto. Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto".

avventoincarnazionerapporto con Diopovertàcaritàsolidarietàamore

4.5/5 (4 voti)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

TESTO

90. Le regole per essere umani   1

1. Riceverai un corpo.
Potrai amarlo o detestarlo, ma sarà tuo per l'intero periodo di questa vita.

2. Prenderai lezioni.
Sei iscritto a una scuola informale a tempo pieno chiamata Vita. Ogni giorno in questa scuola avrai occasione di prendere lezioni. Le lezioni potranno piacerti oppure potrai considerarle irrilevanti e stupide.

3. Non vi sono errori, soltanto lezioni.
La crescita è un procedimento per tentativi: è sperimentazione. Gli esperimenti "falliti" fanno parte del procedimento tanto quanto l'esperimento che alla fine "funziona".

4. Una lezione viene ripetuta fino all'apprendimento.
Una lezione ti sarà presentata sotto varie forme finché la imparerai. Una volta appresa questa, potrai passare alla lezione successiva.

5. Non si finisce mai di imparare.
Non vi è parte della vita che non contenga le sue lezioni. Finché vivrai ci saranno lezioni da apprendere.

6. "Lì" non è meglio di "qui".
Quando il tuo "lì" sarà diventato un "qui", semplicemente otterrai un altro "lì" che di nuovo sembrerà migliore di "qui".

7. Gli altri sono semplicemente specchi di te.
Non puoi amare od odiare qualcosa di un'altra persona finché ciò non riflette qualcosa che ami od odi di te stesso.

8. Spetta a te decidere cosa fare.
Hai tutti gli strumenti e le risorse di cui hai bisogno. Spetta a te decidere cosa farne. La scelta è tua.

9. Le tue risorse risiedono dentro di te.
Le risposte alle domande della Vita risiedono dentro di te. Tutto ciò che ti serve è guardare, ascoltare e avere fiducia.

10. Dimenticherai tutto questo.

11. Puoi ricordartelo ogni volta che vuoi.

vitacrescereimparareeducarsisbagliare

2.0/5 (1 voto)

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

91. La meravigliosa storia dell'elefante   1

Un tempo antico in un paese dell'Arabia regnava il califfo Omar, ricco e benvoluto perché era saggio. Era di larghe vedute e non si arrestava all'apparenza delle cose. Prima di esprimere dei giudizi si sforzava sempre di comprendere le relazioni e i legami che ci sono tra i fatti anche se a prima vista potevano apparire isolati e diversi. Egli era perciò rattristato per la grettezza di spirito dei suoi ministri che non vedevano più in là del loro naso.

"Va in giro per il mio regno" disse un giorno il califfo ad un servo fidato "e trova, se ti riesce, tutti gli uomini sfortunati dalla nascita che non hanno mai potuto vedere e che non hanno mai sentito parlare degli elefanti".

Il servo fedele eseguì l'ordine e dopo qualche tempo ritornò con alcuni ciechi fin dalla nascita. Essi erano cresciuti sperduti in piccoli villaggi tra le montagne perciò degli elefanti non avevano mai sentito parlare e non ne supponevano nemmeno l'esistenza. Il califfo fece un gran ricevimento con tutti i suoi ministri e alla fine del banchetto fece entrare un grosso elefante da una porta di bronzo e i ciechi da un'altra porta più piccola.

"Mi sapreste dire che cosa è un elefante?" chiese il califfo ai ciechi.
"No, mai sentita questa parola", risposero i ciechi.

"Ebbene, davanti a voi c'è un elefante: toccatelo, cercate di comprendere di che cosa si tratta. Colui che darà la risposta esatta riceverà in premio 100 monete d'oro".

I ciechi si affollarono intorno all'animale e cominciarono a toccarlo con attenzione soffermandosi sulle sensazioni che ricevevano. Un cieco stava lisciando da cima a fondo una zampa, la pelle dura e rugosa gli sembrava pietra e la forma era di un lungo e grosso cilindro. "L'elefante è una colonna!" esclamò soddisfatto.

"No, è una tromba!" disse il cieco che aveva toccato solo la proboscide.

"Niente affatto, è una corda!" esclamò il cieco che aveva toccato la coda.

"Ma no, è un grosso ventaglio" ribattè chi aveva toccato l'orecchio.

"Vi sbagliate tutti: è un grosso pallone gonfiato!" urlò il cieco che aveva toccato la pancia.

Tra loro c'era il più grande scompiglio e disaccordo perché ciascuno, pur toccando soltanto una parte credeva di conoscere l'intero elefante.

Il califfo, soddisfatto, si rivolse ai suoi ministri: "Chi non si sforza di avere della realtà una visione più ampia possibile, ma si accontenta degli aspetti separati e parziali senza metterli in relazione tra loro, si comporta come questi ciechi. Egli potrà conoscere a fondo tutte le righe della zampa dell'elefante, ma non vedrà mai l'animale intero, anzi, non saprà mai che esiste un siffatto animale".

apparenzalarghezza di vedutenon giudicaregiudizio

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inviato da Furetto, inserito il 23/11/2002

RACCONTO

92. Festa grande per un pacco consegnato   1

Marina Parodi

C'era un uomo che di mestiere faceva il corriere espresso (sapete? quello che consegna nelle case i pacchi...). Come tutte le mattine, caricò il suo camion e si preparò al lungo giro di consegne. Quel giorno aveva 100 pezzi da consegnare.

Iniziò con una cassa di bottiglie di vino, che andava consegnata proprio all'ultimo piano di un lussuoso palazzo del centro. Con il fiatone suonò alla porta. Aprì un distinto signore: "Buongiorno, sì è per me, prego la metta qui, no un po' più in là, ecco perfetto, arrivederci!".

Poi fu la volta di una anziana signora, a cui trepidante consegnò un pacchetto con un preziosissimo anello. La donna annoiata e indifferente commentò solo: "Ah, lo metta lì con tutti gli altri, poi lo aprirò...".

A una giovane coppia doveva consegnare la lavatrice nuova. Mentre era in cucina e li aiutava a dismballare, i due iniziarono a litigare "Vedi, avevo ragione io: dovevamo prendere l'altro modello". "Invece no, abbiamo fatto bene a seguire il consiglio di mia madre". "Ma cosa dici, non vedi che sta malissimo vicino al frigo". "Piantala, si sa che tu hai un pessimo gusto!". "Perché secondo te era di buon gusto il regalo che tu mi hai fatto a Natale"... Il trasportatore se ne andò un po' imbarazzato.

Un pacco era destinato a un parroco. Era una statua molto bella, ma molto pesante. Il trasportatore era molto in difficoltà, e nell'entrare in sacrestia si ferì una mano contro un'acquasantiera. Ma il parroco lo accolse solo con un "Oh, finalmente me l'ha portata! Per favore faccia presto, si sbrighi. Sono impegnatissimo, tra 2 min e 40 sec. devo dire messa, tra 45 min c'è la lezione di catechismo, poi c'è la riunione con il gruppo della 3 età, poi il comitato di programmazione economica, poi i giovanissimi e la catechesi per famiglie. Capisce, no?, c'è tanto da fare: faccia presto!". Con la mano ancora dolorante il trasportatore uscì e andò a bagnarla alla fontana del sagrato.

Con il passare delle ore e il crescere della fatica, i pacchi pian piano diminuivano. Alla fine ne rimase solo uno. Quando arrivò all'indirizzo segnato sul pacco, aprì la porta un ragazzo: "No mi dispiace, il suo indirizzo è sbagliato, la signora Beatrice Bianchi (quello era il nome della destinataria) non abita più qui, si è trasferita almeno da un mese...". "E sa dove è andata ad abitare?". "No, io no, ma provi a chiedere al fruttivendolo all'angolo. Lui conosce tutti".

Il camionista si presentò al fruttivendolo e spiegò il suo problema: "Devo consegnare un pacco alla signora Beatrice Bianchi, ma ho l'indirizzo sbagliato. Lei sa dirmi dove posso trovarla?". "Ah, sì, si è trasferita, in un altro quartiere, me lo aveva detto, però l'indirizzo proprio non me lo ricordo... Provi a chiedere a Piero, lo trova là all'osteria, lui sicuramente lo sa".

Il camionista entrò nel fumoso bar e dietro un bicchiere di vino e un mazzo di carte, trovò Piero, un vecchietto con la barba bianca e due occhi azzurri come il cielo. "Ma sì la Beatrice! La conosciamo tutti qui, faceva la cameriera, è un peccato che si sia trasferita... Ecco, le scrivo il nuovo indirizzo".

Finalmente, dopo la lunga ricerca, il nostro amico si trovò di fronte alla porta dell'appartamento della signora Beatrice Bianchi. Il palazzo era in una delle zone più povere e degradate della città, lo squallore del luogo metteva proprio tristezza. Come aveva fatto con gli altri 99 pacchi, suonò e annunciò: "Signora, devo consegnarle un pacco". Aprì una giovane ragazza, mentre da una stanza interna si sentiva il pianto di un ragazzino. "Un pacco per me?". "Sì, signora; non è stato facile, ma sono contento di averla trovata...". "E cosa sarà mai? Non aspettavo pacchi... Oh... mi scusi, la sto lasciando sulla porta; prego, si accomodi, si sieda, posso offrirle un caffè? intanto guardiamo cosa c'è nel pacco...". Piacevolmente sorpreso, il corriere accettò volentieri l'invito. Il bambino intanto aveva smesso di piangere e si era avvicinato a osservare curioso quell'ospite sconosciuto.

Dopo aver versato il caffè all'ospite, Beatrice aprì il grosso pacco. Non poté trattenere un grido di gioia, quando ne vide il contenuto. Il pacco era pieno di cibi buonissimi, tra cui una grossa torta di compleanno. Insieme ai cibi una lettera. Quando la lesse, a Beatrice vennero gli occhi lucidi. Poi spiegò: "5 anni fa litigai violentemente con mia madre, e da allora non ci siamo più frequentate. Ora mi scrive che non vuole più discutere del passato, ma si è ricordata che oggi è il compleanno di Roberto, mio figlio e ci manda un po' di dolci per festeggiare. E pensare che proprio 10 minuti fa io stavo spiegando a Roberto che non avremmo potuto fare la festa con i suoi amici perché dopo aver pagato le bollette mi sono avanzati pochissimi soldi... È lei che ha permesso tutto questo! Io... io voglio ringraziarla. Si fermi e festeggi con noi!".

E così il trasportatore si trovò coinvolto in una festa piena di musica, allegria e risate, insieme con Beatrice, Roberto, i suoi amici e altre persone del vicinato. E alla fine della giornata, potete star certi, fu proprio lui il più contento per quel pacco con l'indirizzo sbagliato!

La storia può essere un punto di partenza per parlare di Dio che cerca tutti gli uomini, anche la pecorella smarrita... per suggerimenti sull'attività e per scaricare altre storielle simili, clicca qui.

rapporto con Diomisericordiapecorella smarrita

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 20/11/2002

RACCONTO

93. Imparare ad amare   1

Rivista Pregare

Un uomo, che si sentiva orgoglioso del verde tappeto del suo giardino, un brutto giorno scoprì che il suo bel prato era infestato da una grande quantità di "denti di leone". Cercò con tutti i mezzi di liberarsene, ma non poté impedire che divenissero una vera piaga.

Alla fine si decise di scrivere al ministero dell'Agricoltura, riferendo tutti gli sforzi che aveva fatto, e concluse la lettera chiedendo: "Che cosa posso fare?".

Giunse la risposta: "Le suggeriamo d'imparare ad amarli".

Autentica piaga è per una persona non accettare gli avvenimenti, non amare tutto ciò che c'è nel suo giardino. Se non si può averla vinta con tanti "denti di leone" che esistono, è necessario apprendere una nuova tecnica: quella dell'amore. Imparare ad amare non è per nulla facile, poiché bisogna perdere, impiegare molto tempo per ascoltare gli altri: piante, animali, persone.

Il vivere in comunità, è come essere piantato in un giardino. In essa ci ogni specie di fiori, piante... Alcuni fioriscono più degli altri; alcuni in un tempo, altri più tardi. Ci sono addirittura piante che non fioriscono mai. Però tutte hanno una funzione, una missione.

I primi cristiani erano "un cuor solo ed un'anima sola, e nessuno riteneva niente come proprio, anzi tutto era di tutti" (Atti, 4,32). Si distinguevano da coloro che non erano cristiani per il solo fatto d'aver appreso ad amare e di crescere nell'amore. Dei primi cristiani affermava Diogneto:

"Amano tutti e da tutti sono perseguitati... Sono poveri, ma arricchiscono tutti. Sono privi d'ogni cosa, ma abbondano in tutto... Li caricano di vituperi, e loro li benedicono... Li si ingiuria e loro onorano. Si comportano bene e sono castigati come malfattori. Condannati a morte, si rallegrano come se fosse loro donata la vita".

comunitàamoreaccettazionetolleranza

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 24/10/2002

PREGHIERA

94. Il tempo   1

Rabindranath Tagore

Il tempo è senza fine nelle tue mani,
mio signore.
Non c'è nessuno che conti le tue ore.
Passano i giorni e le notti,
le stagioni sbocciano e appassiscono
come fiori. Tu sai attendere.
I tuoi secoli si susseguono
per perfezionare un piccolo fiore di campo.
Noi non abbiamo tempo da perdere,
e non avendo tempo dobbiamo affannarci
per non perdere le nostre occasioni.
Siamo troppo poveri per arrivare in ritardo.
E così il tempo passa, mentre io lo dono
a ogni uomo querulo che lo richiede,
e il tuo altare è del tutto vuoto.
Alla fine del giorno m'affretto
per paura che la tua porta sia chiusa;
e invece c'è ancora tempo.

caritàsolidarietàtempovalore del tempo

inviato da Barbara, inserito il 25/09/2002

RACCONTO

95. L'aragosta

Tanto tempo fa, quando il mondo era nuovo, una certa aragosta decise che il Creatore aveva fatto un errore.

Così fissò un appuntamento per discutere con Lui la questione.

"Con tutto il dovuto rispetto" disse l'aragosta, "Vorrei protestare per il modo in cui ha disegnato il mio guscio. Vedi, appena mi abituo al mio rivestimento esterno, ecco che devo abbandonarlo per un altro molto scomodo. Oltretutto è una perdita di tempo!".

Il Creatore replicò: "Capisco, ma ti rendi conto che è proprio il lasciare un guscio che ti permette di andare a crescere dentro un altro?".
"Ma io mi piaccio così come sono", disse l'aragosta.

"Hai proprio deciso così?" chiese il Creatore. "Certo!" rispose l'aragosta.

"Molto bene" sorrise il Creatore "D'ora in poi il tuo guscio non cambierà e tu continuerai ad essere così come sei ora"... "Molto gentile da parte tua" disse l'aragosta, e se ne andò.

L'aragosta era molto contenta di poter indossare lo stesso vecchio guscio, ma giorno dopo giorno quel che era prima una leggera e confortevole protezione cominciò a diventare ingombrante e scomodo. Alla fine l'animale non riusciva più a respirare. Con grosso sforzo tornò a parlare con il Creatore.

"Con tutto il rispetto" sospirò l'aragosta, "contrariamente a quello che mi avevi promesso, il mio guscio non è rimasto lo stesso. Continua a restringersi sempre di più!".

"No di certo" sorrise il Creatore. "Il tuo guscio è rimasto della stessa misura. Quello che è successo è che TU sei cambiata all'interno del guscio!".

Il Creatore continuò: "Vedi, tutto cambia, continuamente. Nessuno resta lo stesso. E' così che ho creato le cose. La possibilità più interessante che tu hai è quella di poter lasciare il tuo vecchio guscio, quando cresci."

"Aaah, capisco!" disse l'aragosta. "Ma devi ammettere che ciò è abbastanza scomodo!".

"Sì" rispose il Creatore. "Ma ricorda: ogni crescita porta con sé la possibilità di un disagio, insieme alla grande gioia di scoprire nuovi aspetti di se stesso. Dopo tutto, non si può avere l'uno senza l'altro!".
"Tutto ciò è molto saggio!" rispose l'aragosta.

"Ogni volta che lascerai il tuo vecchio guscio" continuò il Creatore "e sceglierai di crescere, costruirai una forza nuova in te. E in questa forza troverai nuove capacità di amare te stessa e di amare coloro che ti sono accanto... di amare la vita stessa! E' questo il mio progetto per ognuno di voi".

crescitacambiamentoconversionematuritàsacrificiorinuncia

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 24/09/2002

RACCONTO

96. I due lumini   2

G. Francesco

C'era in un piccolo paese di montagna un chiesa molto famosa per i suoi meravigliosi quadri, dipinti da artisti di ogni secolo. Questa chiesa era così famosa che andava a visitarla anche gente proveniente da paesi lontani.
Oltre a questi meravigliosi capolavori, in un angolo quasi dimenticato, vi era anche un crocifisso di legno; a differenza dei quadri, ben visibili a tutti i visitatori perché illuminati da potentissimi fari che evidenziavano contorni e colori delle immagini, il piccolo crocifisso, posto nel buio, passava quasi sempre inosservato. Così era molto triste e sconfortato, perché si rendeva conto che nessuno poteva vederlo e quindi non poteva fare quello che doveva fare.
Un giorno, uno spiraglio di luce riuscì ad illuminare una zona di quell'angolino. Il crocifisso, incuriosito da questo fascio di luce, cercò di vedere cosa c'era lì attorno e con grande sorpresa, notò proprio accanto a lui, due lumini.

Con un po' di coraggio tentò di attirare la loro attenzione:
"Salve, io sono il Crocifisso di legno ed avrei un gran bisogno del vostro aiuto".
Uno dei due lumini, con aria da superiore e un po' infastidito, rispose:
"Il mio aiuto? E perché dovrei aiutarti? Non ho proprio voglia di fare niente! E poi non saprei proprio cosa poter fare per te".
Il crocifisso, turbato dalla risposta, ribatté al primo lumino: "Come non sai come potermi aiutare?! Non sai che tu hai la capacità di generare luce?!".
Riprese il primo lumino: "Luce? E come potrei produrla? A me nessuno ha mai detto per che cosa sono stato creato; mi hanno lasciato qui e qui sono rimasto, senza farmi tante domande".
Replicò il crocifisso: "Allora te lo dico io. Tu, con la tua cera e con il tuo stoppino, hai la possibilità di dar vita ad una luce piccola, ma sufficiente ad illuminarmi. Purtroppo però, questa luce non è eterna: la fiamma da cui proviene scioglie, con il suo calore, la cera e la consuma".
E il primo lumino, spaventato: "Cosa vuoi dire? Che perderò la mia forma rotonda e alta? Che mi vedrò morire a poco a poco?".
Rispose il crocifisso: "Sì. E voglio dirti che ad un certo punto non ci sarai più".
"Neanche a pensarci!" disse il lumino, "io non farò niente di quello che tu mi hai detto. Preferisco stare qui, in questo angolo buio, piuttosto che rovinarmi e perdere ciò che ho".
Il crocifisso, ascoltate le parole del lumino, perse la speranza.

Ad un tratto però, si sentì chiamare: "Scusa. Ehi crocifisso, mi senti? Posso parlarti un secondo?".
Il crocifisso volse lo sguardo; capì che quella vocina proveniva dal secondo lumino e rispose: "Sì che puoi parlarmi!".
Allora il secondo lumino domandò: "Ma è vero che io ho il dono di creare luce? E che così facendo potrei aiutarti?".
Rispose il crocifisso: "Sì, è proprio vero. Ma è anche vero che per aiutarmi dovrai sacrificare te stesso".
Il secondo lumino stette un po' in silenzio; poi, con sicurezza, sentenziò: "Ok, ti aiuterò. Lo faccio perché è ciò che voglio fare. Ora che sono a conoscenza del mio dono, voglio farlo fruttificare, anche se dovrò andare incontro alla mia fine. Tu non preoccuparti perché aiutando te, farò qualcosa anche per me stesso: mi potrò realizzare".
Il crocifisso, commosso, ringraziò di tutto cuore il lumino. Si sentiva molto felice perché adesso, illuminato dal suo piccolo amico, poteva fare ciò per cui era stato creato.

Da quel giorno, nella chiesetta, non sono più solo i quadri ad attirare l'attenzione dei fedeli visitatori: c'è un oggettino che esprime umiltà e semplicità; è illuminato da una luce tiepida e tenue che misteriosamente richiama chiunque lo noti, a fermarsi un attimo. Non è un quadro artisticamente meraviglioso, ma ha qualcosa di particolare: mostra l'immagine del Figlio di Dio, Gesù, colui che ha posto i doni del Padre al nostro servizio, dando loro così, un valore ancora più grande. E come se non bastasse, ha infine sacrificato se stesso, facendosi crocifiggere, per noi, perché quello era il destino che Qualcuno aveva disegnato.
Nella chiesetta risuona ancora oggi la storia di un lumino, che oramai vecchio e coperto di polvere, è rimasto abbandonato e solo nel suo buio angolino; e di un lumino che ormai non c'è più, ma che ha fatto la sua storia, lasciando traccia di sé nel cuore di un crocifisso che, grazie al suo amico lumino, narra, ancora oggi, l'umiltà e la bontà di chi ha scelto di vivere e morire per noi.

vitatalentisacrificioGesù Cristocrocesofferenza

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inviato da Giaccaglia Francesco, inserito il 29/08/2002

PREGHIERA

97. La vita è bella, Signore

Michel Quoist

La vita è bella Signore,
e voglio coglierla
come si colgono i fiori in un mattino di primavera.
Ma so, mio Signore,
che il fiore nasce
solo alla fine di un lungo inverno,
in cui la morte ha infierito.

Perdonami Signore, se a volte,
non credo abbastanza nella primavera della vita,
perché, troppo spesso,
mi sembra un lungo inverno
che non finisce mai di rimpiangere
le sue foglie morte
o i suoi fiori scomparsi.

Eppure con tutte le mie forze
credo in Te, Signore,
ma urto contro il tuo sepolcro e lo scorgo vuoto.

E quando gli apostoli d'oggi mi dicono
che ti hanno visto vivente
sono come San Tommaso,
ho bisogno di vedere e di toccare.
Dammi abbastanza fede,
ti supplico, Signore,
per aspettare la Primavera,
e nel momento più duro dell'inverno,
per credere alla Pasqua trionfante
oltre il Venerdì di passione. (...)

Signore tu sei risorto!
Dal sepolcro, grazie a Te,
la Vita è uscita trionfante.

La sorgente d'ora in poi non si prosciugherà mai,
Vita nuova, offerta a tutti,
per ricrearci per sempre
figli di un Dio che ci attende,
per le Pasque di ogni giorno
e di una gioia eterna.

Era Pasqua ieri, Signore,
ma è Pasqua anche oggi
ogni volta che accettando di morire in noi stessi,
con Te apriamo una breccia
nella tomba dei nostri cuori,
perché zampilli la Fonte
e scorra la Tua Vita.

E se tanti uomini,
nel loro sforzo umano
purtroppo, non sanno che sei già lì,
lo scopriranno più tardi
alla tua luce.

Era Pasqua ieri,
ma è Pasqua anche oggi,
quando un bambino divide le sue caramelle,
dopo avere in segreto lottato
per non tenersele tutte lui.

Quando marito e moglie si abbracciano di nuovo
dopo una discussione o una penosa rottura.
Quando i ricercatori scoprono
il rimedio che guarisce
e il medico riaccende la vita
che senza di lui si spegneva.

Quando la porte della prigione si aprono,
perché la pena è terminata,
e quando già nella sua cella
il carcerato divide le sigarette con i compagni.
Quando l'uomo dopo un lungo sforzo
trova lavoro
e porta a casa un po' di denaro guadagnato. (...)

Sì, Signore, la vita è bella,
poiché è tuo Padre che l'ha donata.
La vita è bella,
poiché sei Tu che ce l'hai ridata
quando l'avevamo perduta.
La vita è bella,
perché è la tua stessa Vita offerta per noi...
ma dobbiamo farla fiorire.
E per offrirtela ogni sera
devo raccoglierla
sulle strade degli uomini
come quel bimbo che passeggiando,
raccoglie i fiori dei campi
per farne un mazzo
da offrire ai suoi genitori.
Oh sì Signore,
fammi scoprire ogni giorno, sempre di più,
che la vita è bella!

vitapasquarisurrezionesperanzaaltruismodonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 11/06/2002

ESPERIENZA

98. In due gocce d'acqua   1

Giovanni Dutto, Eucarestia, cuore della missione

Venceslaa è ora un'anziana missionaria in Colombia. L'ho conosciuta quand'era una giovane suora e dirigeva alcune opere di una grande comunità. E' stato allora che mi ha insegnato una cosa bellissima sulla messa.

Io la osservavo con ammirazione: aveva molto da fare, ma si muoveva tutto il giorno con uno splendido sorriso e una fine disponibilità. Le cose non andavano sempre bene; anzi, si verificò nella comunità un tristissimo episodio, fortunatamente rimasto a conoscenza di pochi. Essa ne era al corrente, eppure continuava a sorridere e a servire come se nulla fosse. Gliene volli parlare: "Come fa a mantenersi sempre serena, anche nei momenti difficili?". Mi rispose: "E' la Messa, Padre!".

E mi raccontò: "Quando avevo dodici anni, in parrocchia si tenne un ritiro. Il predicatore parlò della messa, spiegò il rito delle gocce d'acqua nel calice, all'offertorio. Le gocce d'acqua sono così insignificanti che si perdono nel vino. Possiamo dire che diventano vino. Quando il sacerdote offre il calice non le menziona più: 'Benedetto sei tu, Signore, per questo vino'... Ora, l'evangelista Giovanni fa capire che il vino ricorda la natura divina e l'acqua la natura umana. Sulla scia di Giovanni, i Padri della Chiesa hanno ricalcato questo simbolismo: il vino ricorda il Verbo Eterno, l'acqua l'umanità assunta - il vino il Redentore, l'acqua l'umanità redenta; il vino Gesù capo, l'acqua gli uomini membra del suo corpo; il vino Gesù, l'acqua l'assemblea e ognuno dei partecipanti. Questa dottrina mi folgorò. Da quel giorno non ho più potuto perdere una sola messa. Abitavo a tre chilometri dalla chiesa, nella campagna. La strada non era asfaltata e a volte poteva essere fangosa. La celebrazione avveniva all'alba, perché contadini e operai potessero parteciparvi prima di andare al lavoro. Ma ogni mattino, col buio, sulla mia bicicletta, dovevo recarmi là: ero troppo interessata ad essere una delle piccole gocce d'acqua. Mi capitava a volte di essere distratta prima o dopo, ma mai durante quel momento. E tutto questo mi sostiene. Le gioie e le difficoltà non mi appartengono e vengono prese da Gesù".

EucaristiaMessa

3.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

99. La principessa Anima

T.Spidlìk, Il professore Ulipispirus e altre storie

In mezzo alle montagne coperte di neve c'era una verde vallata con giardini, campi fertili, casette di artigiani. Sulla collina più alta c'era un castello dove abitava il vecchio principe con l'unica figlia, di nome Anima. Il principe e la principessa erano tutti e due buoni e la gente della valle li amava. Perciò tutti diventarono tristi quando si sparse la notizia che la principessa Anima era gravemente malata e non poteva uscire dal castello. Molti diedero consigli e portarono erbe medicinali. I medici arrivarono da paesi lontani. Ma nessun rimedio servì a niente. La principessa Anima peggiorava di giorno in giorno e la gente era sempre più triste.

Un giorno arrivò alla porta del castello una vecchietta sconosciuta. La presero per una mendicante e le diedero del pane in elemosina. Ma la vecchietta disse che voleva vedere la principessa malata. I servi non volevano lasciarla entrare e stavano a discutere con lei sul portone del castello finché il vecchio principe fu attirato dalle voci e uscì a vedere la strana vecchietta. Gli sembrò una buona donna e non trovò nessun motivo per non farla salire nella camera dove la figlia giaceva malata. "Dio mio, com'è dimagrita e com'è triste!", sospirò la vecchietta. "Purtroppo - gemette il principe - sembra che non vi sia più speranza". "Vi lamentate inutilmente - gli sussurrò all'orecchio la vecchietta - la principessa guarirà. Ha una malattia particolare. Non è nel corpo, è nell'anima. Per guarire ha bisogno di vedere il volto più bello che esiste sulla terra". Detto questo, la vecchietta improvvisamente sparì.

Al principe sembrava assai strano questo consiglio. Ma quando l'uomo è nella miseria si attacca a tutto. Così invitò pubblicamente tutte le più belle ragazze e i più bei giovani della sua terra a venire al castello. Il bel viso che guarirà la principessa, diceva il bando dei principe, riceverà una lauta ricompensa. Se si tratterà di un giovane, Anima diventerà sua moglie, nel caso di una ragazza, riceverà in dote la metà dell'eredità. Appena il bando fu pubblicato, tutta la più bella gioventù accorse al castello. I giovani sono tutti belli, e ognuno cercava di persuadersi di essere più bello degli altri. Ma tutto fu inutile. Anima peggiorava di giorno in giorno e diventava l'ombra di se stessa. Il principe piangeva, e nessuno riusciva a consolarlo.

Un pomeriggio la vecchietta sconosciuta comparve di nuovo al portone del castello. Di nuovo i servi non volevano lasciarla entrare e la prendevano in giro chiedendole se per caso credesse d'essere lei la più bella del mondo. Ma il principe anche stavolta fu attirato dal trambusto, accorse all'ingresso e condusse subito la vecchietta al capezzale della principessa. «Dio mio, com'è dimagrita e com'è debole!», esclamò la vecchietta. Il principe scoppiò a piangere. Ma la vecchietta aggiunse: " E' un bene che sia qui, sta morendo". Tutto il castello si riempì del pianto disperato del principe, a cui s'unì quello di tutti i servi e di tutte le guardie. Ma la vecchietta non badò affatto alla gran confusione che le sue parole avevano provocato. Corse al muro della stanza, tolse lo specchio che vi era appeso, s'avvicinò al letto e mise lo specchio davanti al volto agonizzante della principessa Anima. Successe il miracolo. La principessa vide il più bel volto dei mondo: era lei la più bella giovane della terra. Lo sguardo su se stessa la guarì all'istante e il pianto del castello si trasformò in grida di esultanza e di gioia.

Ora domanderete come finisce questa favola. Le favole non sono tutte uguali, e questa è una favola vera. La principessa Anima è l'anima umana, la più bella fra tutte le cose che esistono sulla terra. Purtroppo però non lo sa. Cerca la bellezza fuori di sé e non riesce a trovarla, perciò s'ammala e s'indebolisce. Solo quando riesce a conoscere se stessa e la sua bellezza interiore, allora guarisce e la sua gioia è senza fine. Per questo anche questa favola è senza il solito finale.

interiorità

inviato da Giuliana Babini, inserito il 01/06/2002

RACCONTO

100. Il cuore di Dio   2

Bruno Ferrero, Solo il vento lo sa

Una catechista aveva raccontato ai suoi ragazzi del catechismo la parabola del figliol prodigo, ma si era accorta che dopo un po' molti si erano distratti. Allora aveva chiesto che gliene scrivessero il riassunto.

Uno di loro scrisse così: «Un uomo aveva due figli, quello più giovane però non ci stava volentieri a casa, e un giorno se ne andò via lontano, portando con sé tutti i soldi. Ma ad un certo punto questi soldi finirono e allora il ragazzo decise di tornare a casa perché non aveva neanche da mangiare. Quando stava per arrivare, suo padre lo vide e tutto contento prese un bel bastone e gli corse incontro. Per strada incontrò l'altro figlio, quello buono, che gli chiese dove stava andando così di corsa e con quell'arnese: "E' tornato quel disgraziato di tuo fratello; dopo quel che ha fatto si merita un bel po' di botte!". "Vuoi che ti aiuti anch'io, papà?". "Certo", rispose il padre.

E così, in due, lo riempirono di bastonate. Alla fine il padre chiamò un servo e gli disse di uccidere il vitello più grasso e di fare una grande festa, perché s'era finalmente tolto la voglia di suonargliele a quel figlio che gliel'aveva combinata proprio grossa!».

Capire la logica del cuore di Dio è difficile per tutti.

perdonomisericordia di Dioamore di Dio

inviato da Immacolata Chetta, inserito il 29/05/2002

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