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RACCONTO

1. Un granello alla volta   1

Gremist, 1 settimana

In uno sperduto angolo del regno d'Etiopia, viveva un re che amava le favole più di ogni altra cosa al mondo. Diventato vecchio, però, si annoiava perché ormai le conosceva tutte. Così un giorno fece annunciare in tutto il Paese che avrebbe dato il titolo di principe a chiunque gli avesse saputo raccontare una favola nuova, in grado di suscitare la sua attenzione e la curiosità di conoscere il finale. Numerosi cantastorie vennero da tutti gli angoli del reame e dai Paesi vicini, ma nessuno riuscì ad interessare le orecchie reali, sempre tristi e distratte.

Un giorno un povero contadino bussò alle porte del palazzo per raccontare al vecchio re la storia di un agricoltore che aveva ammassato nel suo granaio il raccolto più ricco della sua vita. Ma c'era un piccolo buco nel granaio e, quando tutto il grano fu portato dentro, una formica vi entrò e portò via un chicco. «Molto interessante, continua" disse il re. Il contadino proseguì: «Il secondo giorno un'altra formica passò nel buchino e portò via un altro chicco di grano, il terzo giorno accadde la stessa cosa...».

Il re era ormai molto preso dalla storia del contadino e chiese di tagliare corto sui dettagli per sapere come andava a finire tutto quel via vai di formiche nel granaio. «Vai avanti, non mi annoiare!», urlò il re rosso in viso. Ma il contadino continuava. «Basta! Vai avanti!», ordinò il re. Il contadino sembrava sordo e proseguiva con la sua cantilena di formiche e chicchi di grano. Si interruppe per dire: «Mio re, questa è la parte più importante della storia: il granaio è ancora pieno di chicchi di grano». Allora il sovrano esclamò: «Hai vinto tu! Ho capito che bisogna saper ascoltare gli altri con pazienza e umiltà. I racconti più belli non sono quelli che ci stupiscono con grandi eventi, ricchezze, rivoluzioni e storie d'amore impossibili. Sono quelli che, come succede nella vita di ogni giorno, ci fanno sperare di riuscire a vedere i risultati dei nostri sforzi».

Così il contadino divenne un principe e nacque il proverbio: «Un granello alla volta si costruisce una fortuna».

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inviato da Qumran2, inserito il 30/06/2017

ESPERIENZA

2. Tutti i giorni patate

don Giuseppe Ghirelli, sacerdote fidei donum

Così dicevo quando sono stato in Irlanda per l'Inglese, dove la patata è il piatto nazionale che trovi tutti i giorni a tavola anche se preparata in tanti modi. Arrivo in Etiopia e vedo che anche qui tutti i giorni a tavola ci sono le patate. Ma, attenzione! Mentre in Irlanda tutti possono comprare o coltivare le patate, qui a Kofale mica tutti possono mangiarle. Sì perché, per comprarle ci vogliono i soldi, per coltivarle ci vuole un pezzo di terra, ma non basta, perché anche se hai un pezzo di terra dove hai piantato le patate, se non piove non crescono.

E allora, chi può mangiare le patate? Non i poveri che non hanno soldi, né un pezzo di terra e non sempre hanno la pioggia dalla loro parte.

Ieri finalmente ha cominciato a piovere e oggi piove ancora, meno male, così, anche le famiglie più povere, potranno sfamarsi mangiando patate, certo non tutti i giorni, ma almeno per tanti giorni, io da parte mia cercherò di non lamentarmi, ma di ringraziare Dio, se invece tutti i giorni posso mangiare patate.

cibopoverimissionenon lamentarsiaccettazione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 16/06/2015

TESTO

3. Nuovi schiavi del mondo

Desmond Tutu, traduzione Guiomar Parada

Oggi la maggior parte del Terzo Mondo è tenuta in ostaggio da una schiavitù altrettanto orribile, nelle sue conseguenze devastanti, di quella del passato. La maggior parte del Terzo Mondo è stremato sotto il peso del più invalidante e stremante debito internazionale. Le statistiche sono impressionanti: in Etiopia 100.000 bambini muoiono ogni anno di malattie facili da prevenire, mentre il governo spende per ripagare il debito quattro volte quello che spende per la spesa sanitaria.

Spesso ci è difficile capire le statistiche e gli giriamo le spalle. E' tutto così impersonale. Proviamo a personalizzarlo un poco. Immaginate il vostro piccolo, non vaccinato contro il morbillo o la difterite, che lentamente si spegne davanti ai vostri occhi senza che voi possiate fare alcunché, perché non ci sono medicinali a disposizione.

I paesi poveri sono costretti alla povertà, all'ignoranza, alla malattia, alla fame e alla morte. Le risorse che dovrebbero essere impegnate per costruire strade e dighe, per le scuole e per pagare i maestri, per comperare libri e per l'assistenza sanitaria, sono deviate, con conseguenze disastrose, per ripagare debiti che non diminuiscono, ma anzi aumentano per via dei crescenti tassi d'interesse e della svalutazione delle valute di questi paesi poveri. Anche se economicamente fosse una cosa logica, e non lo è, certamente non è logico dal punto di vista morale.

I paesi poveri non sono in grado di spezzare le catene che li hanno schiavizzati in maniera così rovinosa. Noi che seguiamo il Falegname di Nazareth sappiamo che quando si dà da mangiare agli affamati e da vestire ai poveri, lo si fa per Lui ed Egli ci ha esortato a perdonare i nostri debitori per essere perdonati dal nostro Padre in cielo. Ma più chiaramente siamo vincolati dalla lezione del Capitolo 25 del Levitico, che decreta che ogni 50 anni gli schiavi siano messi in libertà, che i debiti siano cancellati e che la proprietà ipotecata ritorni ai proprietari legittimi senza vincoli, per dare una opportunità alle persone di ricominciare da capo, di iniziare nuovamente, nello spirito della nostra fede che è la fede di sempre nuovi inizi quando si è perdonati. Le cancellazioni del debito si sono già verificate nel passato; nei confronti della Germania dopo la guerra, e gli Usa hanno cancellato 7 miliardi di dollari all'Egitto a seguito dell'operazione Desert Storm.

I paesi poveri, sollevati dal vincolo del debito, potrebbero sviluppare economie robuste che potrebbero diventare anche vigorosi mercati di consumo. Siamo fatti per essere uniti. In Africa diciamo che "una persona è una persona attraverso altre persone". Siamo legati da una delicata rete di interdipendenza. Crediamo nell'ubuntu, la mia umanità è dentro alla tua umanità. Ubuntu parla di generosità, di compassione, di ospitalità, di condivisione. Io sono perché voi siete. Se io vi disumanizzo, allora, che lo voglia o no, mi disumanizzo anch'io. Liberare il Terzo Mondo da questa nuova forma di schiavitù vi permetterà di rendere migliore la vostra propria umanità e camminerete a testa alta, anche voi liberati.

(l'autore è premio Nobel per la pace)

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

4. Lettera al "fratello marocchino"   1

Tonino Bello

Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!

La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.

Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?

Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.

Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.

Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.

extracomunitaristranieriaccoglienzacaritàsolidarietàamore

inviato da Anna Barbi, inserito il 11/12/2002