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PREGHIERA

1. Preghiera del chitarrista   3

Antonio Piacentini

Signore Dio,
aiutami a mettere la chitarra al servizio dei fratelli.

Fa' in modo che lo strumento che tengo tra le mani ti renda lode.
Fa' che io non suoni tanto per me e per far vedere la mia bravura
quanto per far pregare gli altri.

Fa' che, come Davide quando suonava per Saul,
il suono del mio strumento aiuti le persone che mi sono vicino a stare meglio.

Aiutami ad accettare i consigli di chi ha più esperienza.
Manda il tuo Spirito per farmi capire
qual' è il canto più adatto da fare in ogni circostanza.

Aiutami a rendere belle le celebrazioni e a ricordare sempre
che queste sono fatte per dare gloria a te e non a me.

Aiutami a ricordare che suonare è un talento che mi hai dato tu
e come ci insegna la parabola del servo fedele
i talenti devono essere messi a frutto e non nascosti.
Te lo chiedo per Cristo nostro Signore. Amen

servizio ecclesaleliturgiamusicacantotalenti

5.0/5 (5 voti)

inviato da Antonio Piacentini, inserito il 18/09/2014

PREGHIERA

2. La preghiera dell'avvocato   2

Mario Salciarini

Signore Dio, che conoscesti nel Cristo le miserie dell'uomo, le sue debolezze, i suoi dolori, vigila sulla mia opera.
Fa' che la tua luce mi tenga lontano dall'errore, rendendomi utile strumento per chi soffre, per chi ha sete di giustizia.
Fa' che la tua sapienza si rifletta nel mio lavoro, indicandomi la rotta da seguire ed evitandomi scelte fallaci e dannose.
Fa' che la tua bontà, che ti fece morire sul legno della croce, mi renda paziente nella sconfitta e comprensivo davanti agli errori dei giudici, anche essi, come me, strumenti imperfetti della giustizia terrena.
Fa' che la vittoria non mi porti mai ad essere orgoglioso e superbo. Donami la forza di affrontare tutte le battaglie piccole e grandi, per poter dare il meglio di me stesso agli altri.
Fammi amare il prossimo, anche quando, non comprende il mio lavoro ed i miei sacrifici.
Abbi pietà di me quando ti avrò come Giudice nel processo che attua l'unica e vera Giustizia.
Amen.

giustizia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 08/05/2012

ESPERIENZA

3. Una poesia prima di andare via

Roxsana Chavez

La costanza è una di quelle virtù che ci permette di raggiungere i sogni più lontani e il cuore delle persone; è un lavoro continuo e delicato: il mio Padre Fondatore ci diceva sempre che per arrivare ad un'anima si deve fare come fanno gli uccelli nel posarsi sul ramo, cioè delicatamente.

Conobbi Mario in un reparto isolato dell'ospedale di Terni, uno di quei reparti in cui nessuno entra, per paura di contagio; era sempre in compagnia di un anziano, sembrava essere suo padre.

Lui scriveva al computer ed era talmente concentrato, che a malapena mi salutò quando entrai nella stanza, avevo l'impressione che io non gli fossi molto simpatica, invece l'anziano mi salutò cortesemente.

Il giorno seguente io ed un'altra sorella entrammo nella stessa stanza: Mario ci salutò e cordialmente c'invitò ad uscire; conclusi che quell'uomo aveva bisogno d'aiuto!

Da quel momento passai da lui ogni giorno, anche senza entrare nella stanza, almeno lo salutavo dalla porta, finché un giorno, finalmente, m'invitò ad entrare, cominciammo a parlare e mi spiegò che stava trascrivendo nel portatile delle poesie, scritte dall'anziano, che io pensavo fosse suo padre, ma che in realtà era un amico, famoso poeta di Terni.

Pian piano Mario mi raccontò tutta la sua vita, molto sofferta già dall'infanzia, con conseguenze, alla fine, nefaste. Il rapporto tra noi iniziò a migliorare, sapevo però, che non sarebbe durato a lungo, mentre il suo animo andava via via migliorando, purtroppo quella bestiale malattia svolgeva lentamente il suo scopo, portarlo via.

Durante una di queste visite iniziammo a parlare di poesia e gli suggerii di scriverne una di suo pugno: lui si rifiutò categoricamente, perché non ne aveva mai scritta una; al termine della visita, ci accordammo affinché ciascuno di noi ne avrebbe scritta una.

La sua salute peggiorò, tanto che lui non riusciva né a scrivere né a parlare: capii che da un momento all'altro, saremmo arrivati a ciò che lo aspettava.
Un giorno non lo vidi più, se n'era andato.
Il suo amico mi disse che Mario era riuscito a scrivere la poesia e me la consegnò; era bellissima e diceva così:

"Sei venuta a trovarmi
Portando Cristo con te
Mi hai sorriso
Piena di luce e di serenità
Io non trovo parole
Ma il silenzio che hai scoperto
Lo hai compreso
Scusa le mie difficoltà
E considerami
Un amico vero sincero
Che apprezza
Il tuo sorriso fraterno".

Quanta ragione ha Cristo, quando afferma che "chi cerca, trova", sono sicura che Mario è morto in pace.

Quante volte le parole dette sono troppe, con Mario ho capito che il silenzio, tante volte sinonimo di chiusura, è piuttosto un richiamo a stare con le persone, soprattutto un richiamo ad ascoltare ed accogliere quel silenzio che può trasmettere tante cose.

Credo che per fare questo sia sufficiente essere veri strumenti di Dio per lasciar trasparire quello che Lui, in quel momento, vuol dire loro.

costanzaperseveranzasilenziopoesiaessere strumento di Diosolitudineincontro

5.0/5 (2 voti)

inviato da Roxsana Chavez, inserito il 07/02/2012

PREGHIERA

4. Preghiera dell'infermiere   1

O Signore Dio, Padre e Madre di chi spera in te, in punta di piedi sono entrato in questa cappella ed ho rotto il tuo silenzio per affidare a te la mia missione di infermiere.

Il mio è un compito di grande responsabilità e per questo ti ringrazio! Ogni giorno il dono prezioso della vita passa per le mie mani, perché io lo custodisca e me ne prenda cura in ragione delle mie capacità, confidando nella tua carezza e nel tuo conforto, quando la sfida diventa cosa troppo ardua.

Fra le tue mani voglio deporre ognuna di quelle vite che mi sono affidate, ogni mio paziente, perché il tuo conforto tenga uniti me e loro in un solo unico abbraccio.

Lascia che sia il tuo sorriso a riempire le mie giornate, a fare così di me immagine lieta della tua grazia e della tua bontà!

Fa' che sia la forza della tua compassione a guidare le mie mani tutte quelle volte in cui l'impotenza davanti alla malattia rischia di bloccare le mie azioni; ogni volta che ho bisogno di sentire tutta la tenerezza di un Padre per prendermi cura delle piaghe di un figlio, del dolore di un fratello; per ciascuna di quelle circostanze in cui sarebbe cosa più facile abbandonarsi alle lacrime o voltare le spalle! Lascia che il mio cuore senta ogni giorno più forte la ricchezza dell'unico e vero amore...il tuo!

Concedimi quel vigore speciale che viene dalla mitezza e dalla serenità, perché con umiltà e pazienza, sia sempre pronto a rispondere ad ogni campanello che squilla... con solerzia, disponibilità e volto lieto! Rendi celere ogni mia azione, anche nelle più piccole mansioni, anche di fronte ad un paziente ansioso e petulante. Lascia che io possa comprendere la difficoltà e la paura di chi si affida alle mie mani, perché non dell'ansia o della petulanza io mi sappia preoccupare ma del disagio e della fragilità di una persona da cui spesso queste provengono!

Fa' di me il più docile strumento della tua tenerezza per chi, anziano, debole, povero e solo, incrocia i miei passi lungo la corsia.

Fa' che io sia un valido collaboratore per ognuno dei miei colleghi!

Lascia che i miei occhi sappiano scorgere, con gioia, i lineamenti del volto di Cristo sofferente in ogni ammalato che viene affidato alle mie cure!

Lascia che le mie braccia si confondano con le tue ogni volta che il dolore di chi soffre ha bisogno di trovare sul tuo petto un porto sicuro, un luogo di dolcezza nel quale rifugiarsi anche soltanto per piangere o per affidare al silenzio la tenerezza di una preghiera.

Anche nelle giornate più confuse, lascia che ognuno dei miei pazienti possa scorgere in me l'immagine di una mano tesa: sarà la tua mano che guiderà la mia a farsi consolazione per tutti coloro che si sentono abbandonati.

Allo stesso modo ti prego di rendermi capace di trovare sempre in te la forza per essere dolce e comprensivo verso tutti i parenti ansiosi e preoccupati per i loro cari! Le mie parole siano cariche, per ognuno, della tua bontà e della tua grazia! Fa' di me valido strumento della tua empatia, perché io non sia capace solo di "sentire", ma soprattutto di "ascoltare" tutti con attenzione e premura.

Voglio essere un infermiere che sappia farsi samaritano per tutti quelli che incontra nel suo reparto! Per questo vorrei possedere soltanto due armi: la luce del tuo sorriso e la forza della tua costante, silenziosa e discreta presenza al mio fianco.

E mi affido a Maria, donna di compassione e di amore! Che lei mi prenda per mano nel mio servizio e mi conduca nel sentiero della sofferenza con la gioia infinita nel cuore. Amen

saluteservizioinfermiere

4.0/5 (1 voto)

inviato da Don Gianni Mattia, inserito il 19/02/2011

ESPERIENZA

5. Consigli per avvicinarsi all'ammalato

Questo non vuole essere un prontuario o delle istruzioni all'uso, ma dei semplici consigli che ognuno deve interiorizzare e portare nel cuore. Per capire gli ammalati bisogna mettersi al loro posto: cosa molto difficile. Se però non ti sforzerai di farlo, sarà inutile tentare di comunicare con loro. Dire che Dio ama gli ammalati è una cosa molto graziosa e anche vera. Non è l'amore di Dio che devi portare al malato ma il tuo e per questo non bastano solo le parole. Dio non è una persona che va o che viene, lui è fedele e resta. Sarà percepito più o meno dalle condizioni in cui si trova l'ammalato e non solo quelle fisiche. Sforzarti di aiutare l'ammalato su un piano umano e in modo umano: Dio si manifesterà a suo tempo, i tempi di Dio non sono i tempi dell'uomo. Riempiti di Dio e poi va' dagli ammalati come se esistessero solo loro, così senza che per te sia uno scopo primario, sarai strumento dell'amore di Dio.

Ama gli ammalati, ma non farlo solo in riferimento a Dio: amali per se stessi, in se stessi. Coloro che si occupano degli ammalati soltanto per amor di Dio e con una certa freddezza professionale nei loro comportamenti, fanno pensare che gli ammalati siano per loro solo dei modi per proseguire la propria santificazione. Il miglior aiuto che puoi dare ad un ammalato è di aiutarli a ritrovare se stessi. Il tuo deve essere un rapporto d'amore su una base reale, non menzognera o fittizia: sarebbe come costruire sulla sabbia. Anche se il malato ha perso molto, gli rimane sempre qualche cosa, su questo qualche cosa si tratta di costruire con la fede e l'esperienza sorretta dall'amore. Il dolore affina la sensibilità e, se loro vedranno in te, la semplicità, la delicatezza dell'amore di Dio, ti racconteranno la loro storia. Non fare domande, non limitarti a sentire, ascolta con il cuore: sarai sempre tu a ricevere qualcosa. Forse ti sentirai impotente a rimuovere il peso che portano, ma nel loro cuore l'avrai alleggerito sicuramente. Il malato. l'handicappato, non vogliono pietismo. Non chiederti: cosa posso dire, ma sorridi, sii sempre ottimista, allegro, non esiste un ponte più sicuro di una bocca sorridente e anche nei momenti di dolore più acuto e di disperazione più profonda ci sarà uno spiraglio per lasciar passare la speranza e un solco per seminare la gioia. Può essere che il dolore unisca a Dio più che la gioia: limitati a suggerirlo, non con le parole, immagini o sentimenti, ma con il tuo esempio. Qualche volta sarà necessario venire incontro alle loro necessità materiali, far loro qualche dono. E Cristo che ha bisogno di te, vuole che tu doni te stesso come lui si è donato a noi e si dona a noi tutti i giorni senza chiedere nulla in cambio: solo Amore.

amoremalattiamalatoassistenzagratuitàamore di Diosolidarietà

inviato da Forner Fortunato Babbo Lupo, inserito il 06/12/2009

TESTO

6. L'alfabeto di Dio   3

Gianni Fanzolato

A - Anche se non sei corrisposto, ama lo stesso, mi assomiglierai.
B - Benedici sempre, perché tu sei una benedizione di Dio.
C - Chiamami Padre, solo così potrai chiamare tutti gli altri fratelli.
D - Dona con gioia. I musi lunghi sono figli delle tenebre.
E - Esci dal guscio del tuo egoismo: troverai un mondo che ti aspetta.
F - Fa della tua vita una sinfonia di gioia; darai frutti saporiti.
G - Gira l'ago della tua calamita sempre dove ti porta il cuore: sempre e solo a Dio.
H - Hai un dono straordinario, per cui mi assomigli: l'amore; sfruttalo con gioia.
I - Intorno a te c'è tanta morte, odio e tenebre; ma tu sii sole che illumina e riscalda.
L - La terra non è la tua patria. Sei di terra, ma hai la mia vita: guarda allora in alto.
M - Metti la tua vita nel cuore di mio Figlio e di Maria: sarai dono d'amore.
N - Non permettere che il maligno deturpi la tua libertà. Aggrappati a me e sarai libero.
O - Odia il peccato, ma ama il peccatore: impara a perdonare e ama chi sbaglia, lo conquisterai.
P - Porta la pace di Dio col tuo sorriso: c'è bisogno di un raggio di sole e luce negli occhi.
Q - Quadro stupendo ti ho dipinto col sangue dell'Agnello; sei il mio capolavoro.
R - Resta un po' con me, figlio, quando si fa sera: io ti guardo e tu mi guardi ed è pace.
S - Senza il tuo mattone, la costruzione è vuota. Sii strumento docile nelle mie mani.
T - Tutto ho messo nelle tue mani, sei il signore della natura: conservala senza macchia.
U - Unisci cuore e mente: con la mente progetti, ma è col cuore che salvi e realizzi.
V - Vuoi essere felice? Sgombra tutto ciò che ti impedisce di volare e sciogli le vele.
Z - Zaino di eucaristia, preghiera e servizio sarà il tuo compagno di viaggio: farai miracoli.

vitarapporto con Dioservizioimpegnoresponsabilitàvocazione

3.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Gianni Fanzolato, inserito il 24/10/2007

TESTO

7. Il Dare   2

Kahlil Gibran

Allora un uomo ricco disse: Parlaci del Dare.
E lui rispose:
Date poca cosa se date le vostre ricchezze.
E' quando date voi stessi che date veramente.
Che cosa sono le vostre ricchezze se non ciò che custodite e nascondete nel timore del domani?
E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo previdente che sotterra l'osso nella sabbia senza traccia, mentre segue i pellegrini alla città santa?
E che cos'è la paura del bisogno se non bisogno esso stesso?
Non è forse sete insaziabile il terrore della sete quando il pozzo è colmo?
Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento, e questo segreto desiderio contamina il loro dono.
E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno.
Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota.
Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa.
Vi sono quelli che danno con rimpianto e questo rimpianto è il loro sacramento.
E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito.
Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell'aria la sua fragranza.
Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra.
E' bene dare quando ci chiedono, ma meglio è comprendere e dare quando niente ci viene chiesto.
Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare.
E quale ricchezza vorreste serbare?
Tutto quanto possedete un giorno sarà dato.
Perciò date adesso, affinché la stagione dei doni possa essere vostra e non dei vostri eredi.
Spesso dite: "Vorrei dare ma solo ai meritevoli".
Le piante del vostro frutteto non si esprimono così né le greggi del vostro pascolo.
Esse danno per vivere, perché serbare è perire.
Chi è degno di ricevere i giorni e le notti, è certo degno di ricevere ogni cosa da voi.
Chi merita di bere all'oceano della vita, può riempire la sua coppa al vostro piccolo ruscello.
E quale merito sarà grande quanto la fiducia, il coraggio, anzi la carità che sta nel ricevere?
E chi siete voi perché gli uomini vi mostrino il cuore, e tolgano il velo al proprio orgoglio così che possiate vedere il loro nudo valore e la loro imperturbata fierezza?
Siate prima voi stessi degni di essere colui che dà e allo stesso tempo uno strumento del dare.
Poiché in verità è la vita che dà alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni.
E voi che ricevete - e tutti ricevete - non permettete che il peso della gratitudine imponga un giogo a voi e a chi vi ha dato.
Piuttosto i suoi doni siano le ali su cui volerete insieme.
Poiché preoccuparsi troppo del debito è dubitare della sua generosità che ha come madre la terra feconda, e Dio come padre.

daregenerositàgratuitàriconoscenza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Daniela Antonini, inserito il 25/02/2006

TESTO

8. La prova necessaria per volare!   1

"Dio non ci manda mai prove senza darci insieme la forza necessaria per sopportarle"
(Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce)

Non vi sembri questa frase il pagliativo di una disperata che non riesce a dare un senso alla propria sofferenza; certo Edith nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, non poteva che chiedersi il perché di quella prova.

Ebbene, a me questa sua frase ha cambiato la vita; non fraintendetemi, non c'è nessuno a cui la vita sorrida sempre, ma, può accadere che, ad un certo punto, si decida di sorridere alla vita, comunque, dovunque e con chiunque essa scorra. Penso sia stata la scelta di Santa Teresa Benedetta della Croce.

Perché dunque la prova? Perché la sofferenza? Incredibile ma vero: per scoprire le forze che Dio stesso ci ha dato. Essa invero è strumento tramite cui conoscere se stessi, prendere soprattutto coscienza dei propri limiti, in modo da imparare a confidare in Colui che solo può intervenire in nostro aiuto. Gesù per primo "pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì"(Eb.5,8).

D'altronde, un padre che vuole insegnare al figlio a camminare, prima o poi, dovrà lasciargli le manine, per fargli sperimentare l'equilibrio. Questo non significa che lo abbandoni: quello stesso padre non starà lì, proprio dietro il figlioletto, con le braccia aperte, pronto a prevenire le cadute, o, se del caso, a rialzarlo? Dal dolore di quelle prime cadute il figlio potrà, in compenso, apprendere l'arte del camminare, indispensabile per affrontare la vita.

Allo stesso modo, Dio, nostro Padre, ci lascia pian piano le mani, perché, anche provando a volte dolore, possiamo prender coscienza della natura divina che è in noi. Dunque, la prova, la sofferenza, che poi, almeno per quel che mi riguarda, si traduce spesso in un senso di abbandono, non è che quel lasciarci le mani, da parte di Dio, che ci porta ad imparare a camminare verso la Vita Vera in un fiducioso abbandono.

Passare per lo stretto buco del bozzolo è lo sforzo necessario affinché la farfalla possa trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che possa volare.

Se Dio ci permettesse di vivere la nostra vita senza mai incontrare ostacoli, saremmo limitati. Non potremmo essere forti come siamo. Non potremmo mai volare!

provasofferenzadolorecrocecrescitarapporto con Dio

inviato da Fabio Scattarella, inserito il 21/02/2005

TESTO

9. Tu appartieni al Signore   1

Rendine grazie al Signore! Offri a Gesù la tua mente e la tua intelligenza; chiedigli che le riempia con i suoi pensieri. Chiedigli perdono per non averla saputa usare come Lui desiderava.

Offri i tuoi occhi al Signore, chiedi perdono per i peccati commessi con gli occhi e supplicalo perché ti aiuti a guardare con i suoi occhi.

Le hai ricevute per ascoltare. Pensa alle volte che non le hai usate bene, perché quello che hai ascoltato ti può avere allontanato da Dio; chiedigli perdono e offrigliele, perché ti conceda la grazia di poterlo ascoltare in ogni momento della tua vita.

Renditi conto del fatto che puoi parlare e che questo è un dono di Dio. Chiedi perdono a Gesù per tutte le volte che hai usato la bocca per dire parole cattive, per condannare, per giudicare e chiedigli di riempire la tua bocca di parole di lode, di ringraziamento e di bontà.

Non dorme mai. Straordinario regalo di Dio. E' il motore che dà impulso alla tua vita. E' possibile che ci siano racchiusi desideri negativi. Chiedi a Gesù di avere misericordia di te e che ti aiuti. Affidagli il tuo cuore perché lui ne faccia uno strumento di lode per la sua gloria.

Dio te le ha date perché, anche attraverso di esse, tu possa manifestare la sua gloria in tutto ciò che fai. Non sempre hai saputo usarle... però, ora... hai capito e allora stendi le tue mani davanti a te, benedicile e chiedi al Signore che possano essere strumento di benedizione. Ed usale per fare il bene.

Tu sei la sua casa! E' la più bella dimora di Dio. Gli uomini si costruiscono case e le abitano, ma lui desidera vivere in te. Anche per questo ti ha fatto a sua immagine e somiglianza, tu sei il suo capolavoro!

Invitalo, allora, a prendere pieno possesso della sua dimora in te, perché ne faccia il suo Tempio Santo secondo il suo piano d'amore. Affidati veramente al Signore; ripeti più volte il nome di Gesù, sarà Lui a trionfare sulla tua mente e sul tuo cuore. Gesù vincerà le tue inclinazioni negative perché è il tuo Salvatore.

affidamentorapporto con Diotestimonianzaimpegnoresponsabilità

inviato da Daniela Rizzello, inserito il 29/07/2004

TESTO

10. Momenti di comunione

Jean Vanier

I momenti di comunione sono attimi di pienezza, momenti di silenzio e di riposo che possono diventare preghiera. Sono momenti di guarigione interiore che due persone si donano reciprocamente.

Questo avviene anche fra amici, quando, dopo aver parlato a lungo, c'è una sorta di momento magico di comunione in cui si sente che si sta bene insieme. Sui due amici scende un silenzio che nessuno dei due ha voglia di infrangere. Questo momento di pace, di amicizia, di comunione, diventa un momento in cui si è insieme nell'umiltà e nel dono di sé. È un istante di eternità in un mondo in cui si intrecciano l'azione, il rumore, l'aggressività, il bisogno individuale di affermarsi e la ricerca dell'efficacia.

Due cuori battono all'unisono, dando libertà l'uno all'altro. Due persone sono presenti l'uno all'altra. E come se il tempo si fermasse.

Tuttavia, l'uno non può bastare all'altro. L'altro non è Dio; non può colmare totalmente il cuore umano. Ma può essere uno strumento di Dio, può rivelare la sua presenza.

amiciziaamorecoppiasilenziocomunione

inviato da Corradini Don Lorenzo, inserito il 07/12/2002

TESTO

11. Educazione alla povertà   1

Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.

Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.

Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi".

E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".

Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare.

Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.

Proviamo a delinearne sommariamente tre.

Povertà come annuncio

A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona.

I beni della terra non sono maledetti. Tutt'altro. Neppure i soldi sono maledetti.

Continuare a chiamarli sterco del diavolo significa perpetuare equivoci manichei che non giovano molto all'ascetica, visto che anche i santi, di questo sterco, non hanno disdegnato di insozzarsi le tasche.

I beni della terra non giacciono sotto il segno della condanna. Per ciascuno di essi, come per tutte le cose splendide che nei giorni della creazione uscivano dalle mani di Dio, si può mettere l'epigrafe: "ed ecco, era cosa molto buona".

Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema.

Un po' come rinunciare a sposarsi in vista del Regno non significa disprezzare il matrimonio, ma annunciare che c'è un amore più grande di quello che germoglia tra due creature. Anzi, dichiarare che questo piccolo amore è stato scelto da Dio come segno di quell'altro più grande. Sicché, chi non si sposa sembra dire ai coniugi: "Splendida la vostra esperienza. Ma non è tutto. Essa è solo un segno. Perché c'è un'esperienza di amore ancora più forte, di cui voi attualmente state vivendo solo un lontanissimo frammento, e che un giorno saremo tutti chiamati a vivere in pienezza".

Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità".

In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.

Povertà come rinuncia

E' la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi.

in realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica.

Questa interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole.

La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio.

Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere.

Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".

Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili.

Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri.

E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso.
La testimonianza, non l'ostentazione.

Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: "O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!".

Povertà come denuncia

Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.

Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.

Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.

Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!

Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.

E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.

La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.

Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti.

Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona.

Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento.

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.

Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.

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inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002