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PREGHIERA

61. Preghiera della famiglia

Ti preghiamo, Signore, per la nostra famiglia perché ci conosciamo sempre meglio e ci comprendiamo nei nostri desideri e nei nostri limiti.

Fa' che ciascuno di noi senta e viva i bisogni degli altri e a nessuno sfuggano i momenti di stanchezza, di disagio, di preoccupazione dell'altro. Che le nostre discussioni non ci dividano, ma ci uniscano nella ricerca del vero e del bene e ciascuno di noi nel costruire la propria vita non impedisca all'altro di vivere la propria.

Fa', o Signore, che viviamo insieme i momenti di gioia e soprattutto, conosciamo Te e Colui che ci hai mandato, Gesù Cristo in modo che la nostra famiglia non si chiuda in sé stessa, ma sia disponibile ai parenti, aperta agli amici, sensibile ai bisogni dei fratelli.

Fa', o Signore, che ci sentiamo sempre parte viva della Chiesa in cammino e possiamo continuare insieme in Cielo il cammino che insieme abbiamo iniziato sulla terra. Amen.

famigliacoppiafigligenitorimatrimonio

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 14/06/2002

RACCONTO

62. L'angelo custode   1

C'era una volta, e c'è ancora adesso, un angelo custode.

Era un angelo come tanti altri, ma era molto triste perché era custode e protettore di un bambino così discolo che non si era mai visto. Si chiamava Pino, ma ogni volta che lo chiamavano lui rispondeva: "Chi? Io?", e così tutti iniziarono a chiamarlo Pinocchio.

Pinocchio era svogliato, disubbidiente, qualche volta cattivo e tutte le volte il suo angioletto si disperava e non sapeva più come fare per trattenerlo.

Finché un giorno ebbe un'idea grandiosa. Chiese un colloquio con Dio e quando si trovò alla sua presenza espose la sua proposta. Chiese il permesso di scendere sulla terra e di parlare con Pinocchio sicuro in questo modo di riuscire a convincerlo a cambiare vita. Dio ci pensò un po' su' ed infine accordò all'angioletto il permesso di fare quest'ultimo tentativo, ma con la promessa di non toccare la terra con i piedi, altrimenti non avrebbe più potuto risalire in cielo. L'angioletto allora chiese timidamente come avrebbe fatto a non poggiare i piedi per terra, ma Dio non fece altro che sorridere facendo gli auguri di buona fortuna.

L'angioletto cominciò a girovagare per il cielo volando da una nuvola all'altra pensando a come poter scendere sulla terra mantenendo i piedi separati da essa.

Ad un tratto fu attirato dal vociare di alcuni angeli che stavano giocando su di una nuvola attrezzata con un'altalena. Immediatamente capì che aveva trovato lo strumento adatto per la sua missione.Aiutato dagli altri angioletti riuscì a costruire una altalena con le corde lunghe dal cielo alla terra. L'angioletto si accomodò sul sedile e si raccomandò con gli amici di farlo scendere lentamente e poi di trattenere le corde fino al suo segnale di risalita. Per l'occasione aveva vestito il suo abito migliore, quello delle grandi occasioni, un frac tinta nuvola completo di bastone e cappello.

Cominciò la discesa finché non si trovò sospeso a mezz'aria in attesa di Pinocchio.

E Pinocchio non si fece attendere; incuriosito dal personaggio così strano subito si avvicinò domandando chi fosse e come mai avesse la faccia così triste.

L'angioletto iniziò la sua storia da quando era stato assegnato come suo custode elencando tutti i dispiaceri che aveva passato per colpa sua, e ad ogni nuova avventura aggiungeva un granellino di sabbia sulla piccola bilancia che teneva in mano, la quale pendeva inesorabilmente in un solo senso.

Pinocchio lo ascoltò con attenzione; ma lui era furbo; non era mica un bambino che credeva agli angioletti, e così con una alzata di spalle fece per andarsene. L'angioletto disperato vedendo sfuggire il suo protetto cominciò a chiamarlo dicendo che non poteva scendere dall'altalena in quanto non sarebbe più potuto risalire.

Pinocchio si fermò; tornò indietro, guardò l'angioletto in lacrime e gli disse che gli avrebbe creduto se gli avesse fatto vedere il cielo sopra le nuvole. L'angioletto ci pensò un poco su', poi decise che una vita salvata valeva pure una sgridata del "Capo".

Fece salire Pinocchio sull'altalena e diede ordine ai suoi amici di tirare su. L'altalena non si mosse. L'angioletto gridò più forte; niente; come prima.

Pinocchio stava per prendersi la sua rivincita quando l'angelo cominciò ad arrampicarsi su una delle corde. Svelto come un gatto anche lui lo seguì dall'altra corda ed insieme salirono fino alle nuvole. Quando arrivarono su, videro che gli amici erano tutti addormentati e quindi non avevano udito il comando di risalita.

Ma se loro avevano lasciato le corde dell'altalena, come mai non era caduta sulla terra?

I due si accorsero allora che le corde proseguivano in alto, su un'altra nuvola. Ripresero a salire, arrampicandosi finché non spuntarono dall'altra parte.

Si trovarono di fronte al "Capo" che aveva le corde dell'altalena legate ad un dito e li guardava sorridendo. Pinocchio che era davanti si voltò indietro in direzione dell'angioletto per chiedere spiegazioni e con immenso stupore si accorse che il viso dell'angelo era diventato uguale al suo, come una goccia d'acqua.

A quel punto capì tutto, capì che era tutto vero quello che aveva ascoltato dalla bocca dell'angelo, capì che era di fronte a Dio e capì che di fronte a Dio tutti gli angeli custodi sono visti con lo stesso volto degli uomini di cui sono custodi sulla terra.

Ridiscese trasformato, e cominciò a mettere in pratica quello che tutti gli avevano insegnato e lui non aveva mai seguito.

Un giorno ripassò nel luogo in cui aveva incontrato l'angelo e ci trovò ancora l'altalena. Si sedette e cominciò a dondolarsi, felice di sentirsi cullato dalla mano di Dio. Guardò in alto e vide sopra la nuvola il "suo" angioletto sorridente con in mano la stessa bilancia del primo incontro; questi cominciò a versare la sabbia del piatto su Pinocchio trasformandola in una pioggia di polvere dorata che ricoprì il suo cuore e lo riempì di felicità.

Oggi Pinocchio non ha più bisogno di andare a dondolarsi sull'altalena per sentirsi vicino al Padre che è nei cieli, ma ancora oggi i suoi bambini prima di addormentarsi alla sera vogliono ascoltare la stupenda avventura del loro papà e del "suo" angioletto.

angelo custodecoscienza

inviato da Luca Peyron, inserito il 11/06/2002

RACCONTO

63. Il sogno dei tre cedri del Libano   1

Racconta una vecchia leggenda che nelle belle foreste dei Libano nacquero tre cedri. Come tutti sappiamo, i cedri impiegano molto tempo a crescere e questi alberi trascorsero interi secoli riflettendo sulla vita la morte, la natura e gli uomini.

Assistettero all'arrivo di una spedizione da Israele inviata da Salomone e, più tardi, videro la terra ricoprirsi di sangue durante la guerra con gli Assiri. Conobbero Gezabele e il profeta Elia, mortali nemici. Assistettero all'invenzione dell'alfabeto e s'incantarono, a guardare le carovane che passavano, piene di stoffe colorate.
Un bel giorno, si misero a conversare sul futuro.

"Dopo tutto quello che ho visto - disse il primo albero - vorrei essere trasformato nel trono dei Re più potente della terra".

"A me piacerebbe far parte di qualcosa che trasformasse per sempre il Male in Bene", spiegò il secondo.

"Per parte mia, vorrei che gli uomini, tutte le volte che mi guardano, pensassero a Dio", fu la risposta del terzo.

Ma dopo un po' di tempo apparvero dei boscaioli e i cedri furono abbattuti e caricati su una nave per essere trasportati lontano. Ciascuno di quegli alberi aveva un suo desiderio ma la realtà non chiede mai che cosa fare dei sogni.

Il primo albero servì per costruire un ricovero per gli animali e il legno avanzato fu usato per contenere il fieno. Il secondo albero diventò un tavolo molto semplice che fu venduto ad un commerciante di mobili. E poiché il legno del terzo albero non trovò acquirenti, fu tagliato e depositato nel magazzino di una grande città.

Infelici, gli alberi si lamentavano: "Il nostro legno era buono ma nessuno ha trovato il modo di usarlo per costruire qualcosa di bello!".

Passò il tempo e, in una notte piena di stelle, una coppia di sposi che non riusciva a trovare un rifugio dovette passare la notte nella stalla costruita con il primo albero. La moglie gemeva in preda ai dolori del parto e finì per dare alla luce lì stesso suo figlio, che adagiò tra il fieno, nella mangiatoia di legno. In quel momento il primo albero capì che il suo sogno era stato esaudito: il bambino che era nato lì era il più grande di tutti i re mai apparsi sulla Terra.

Anni più tardi, in uno casa modesta, alcuni uomini si sedettero attorno al tavolo costruito con il legno del secondo albero. Uno di loro, prima che tutti incominciassero a mangiare, disse alcune parole sul pane e sul vino che aveva davanti a sé. E il secondo albero comprese che, in quel momento, non sosteneva solo un calice e un pezzo di pane ma l'alleanza tra l'Uomo e Dio.

Il giorno seguente prelevarono dal magazzino due pezzi dei terzo cedro e li unirono a forma di croce. Lasciarono la croce buttata in un angolo e alcune ore dopo portarono un uomo barbaramente ferito e lo inchiodarono al suo legno. Preso dall'orrore, il cedro pianse la barbara eredità che la vita gli aveva lasciato. Prima che fossero trascorsi tre giorni, tuttavia, il terzo albero capì il suo destino: l'uomo che era stato inchiodato al suo legno era ora la Luce che illuminava ogni cosa. La croce che era stata costruita con il suo legno non era più il simbolo di una tortura ma si era trasformata in un simbolo di vittoria.

Come sempre avviene nel sogni, i tre cedri dei Libano avevano visto compiersi il destino in cui speravano anche se in modo diverso da come avevano immaginato.

Clicca qui per una versione simile.

desideriprogetto di Diocroce

inviato da Giuliana Babini, inserito il 29/05/2002

TESTO

64. Carta dei Giovani

Sermig, Fraternità della Speranza

Voglio trovare il senso per la mia vita, che è unica ed irripetibile, per viverla senza guerra, violenza, paura e sperare nel futuro.
Mi impegno perché ogni uomo e donna possa valorizzare le proprie potenzialità e perché nessuno sia sfruttato.
Voglio capire cosa è il bene e cosa è il male, voglio vivere in un mondo dove esiste il perdono e dove la vendetta sia abolita.
Mi impegno a cambiare vita se ho sbagliato.
Voglio lottare contro quelle schiavitù che ci hanno proposto come libertà e che hanno ucciso troppi ragazzi e ragazze come me.
Mi impegno perché abbiano accesso agli strumenti per comunicare e l'informazione sia al servizio della persona.
Voglio amare e capire, nella libertà, che cos'è la verità.
Mi impegno perché il lavoro possa essere un bene per tutta l'umanità.
Voglio avere la libertà di credere o di non credere e di professare la mia fede in ogni parte del mondo.
Mi impegno perché tutte le ricchezze siano usate ed equamente distribuite per contribuire a costruire un mondo migliore e voglio che la terra sia rispettata.

impegnopacegiustiziaamoregiovani

inviato da Andrea Aversa, inserito il 23/05/2002

PREGHIERA

65. Le mie mani

Charles Singer

Le mie mani, coperte di cenere, segnate dal mio peccato e da fallimenti, davanti a te, Signore, io le apro, perché ridiventino capaci di costruire e perché tu ne cancelli la sporcizia.

Le mie mani, avvinghiate ai mie possessi e alle mie idee già assodate, davanti a te, o Signore, io le apro, perché lascino andare i miei tesori...

Le mie mani, pronte a lacerare e a ferire, davanti a te, o Signore, io le apro, perché ridiventino capaci di accarezzare.

Le mie mani, chiuse come pugni di odio e di violenza, davanti a te, o Signore, io le apro, deponi in loro la tua tenerezza.

Le mie mani, si separano dal loro peccato, davanti a te, o Signore, io le apro: attendo il tuo perdono.

perdonomisericordia di Dioconversionecambiamentopeccatomercoledì delle ceneriquaresima

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

TESTO

66. Le cose che ho imparato nella vita   1

Paulo Coelho

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:

Che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. E per questo, bisognerà che tu la perdoni.

Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.

Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.

Che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo responsabili di noi stessi.

Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti, o essi controlleranno te.

Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare, affrontandone le conseguenze.

Che la pazienza richiede molta pratica.

Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.

Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.

Che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.

Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze: sarebbe una tragedia se lo credesse.

Che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.

Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato; il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.

Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta, così quando finalmente la incontriamo, sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.

Quando la porta della felicità si chiude, un'altra si apre, ma tante volte guardiamo così a lungo quella chiusa, che non vediamo quella che è stata aperta per noi.

La miglior specie d'amico è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire un parola, e quando vai via senti come se è stata la miglior conversazione mai avuta.

E' vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo, ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato prima che arrivi.

Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno, un'ora per piacergli, e un giorno per amarlo, ma ci vuole un vita per dimenticarlo.

Non cercare le apparenze, possono ingannare.

Non cercare la salute, anche quella può affievolirsi.

Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perché ci vuole solo un sorriso per far sembrare brillante un giornataccia.

Trova quello che fa sorridere il tuo cuore. Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!

Sogna ciò che ti va; vai dove vuoi; sii ciò che vuoi essere, perché hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.

Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da renderti forte, dolore abbastanza da renderti umano, speranza sufficiente a renderti felice.

Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.

Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa; soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.

La felicità è ingannevole per quelli che piangono, quelli che fanno male, quelli che hanno provato, solo così possono apprezzare l'importanza delle persone che hanno toccato le loro vite.

L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un thé.

Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori.

Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano. Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l'unico che sorride e ognuno intorno a te pianga.

vitaprogettosperanzaottimismo

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

RACCONTO

67. Quello che ci tiene uniti

Jean Vanier, La comunità, Jaca Book

Un giovane si recò un giorno da un padre del deserto e lo interrogò:
«Padre, come si costruisce una comunità?»

Il monaco gli rispose:
«È come costruire una casa, puoi utilizzare pietre di tutti i generi; quel che conta è il cemento, che tiene insieme le pietre.»

Il giovane riprese:
«Ma qual è il cemento della comunità?»

L'eremita gli sorrise, si chinò a raccogliere una manciata di sabbia e soggiunse:
«Il cemento è fatto di sabbia e calce, che sono materiali così fragili! Basta un colpo di vento e volano via. Allo stesso modo, nella comunità, quello che ci unisce, il nostro cemento, è fatto di quello che c'è in noi di più fragile e più povero. Possiamo essere uniti perché dipendiamo gli uni dagli altri.»

comunitàconviverebisogno degli altrifragilitàunità

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

ESPERIENZA

68. Ho regalato il Monte Bianco ad una signora antipatica

Quando ho raccontato l'episodio agli amici tutti hanno sentenziato che mi ero comportato da scemo. Poco male. Era già accaduto altre volte. E capiterà ancora. Stavolta però mi sentivo intimamente soddisfatto di essere stato stupido.

Dunque: mi presento all'aeroporto con discreto anticipo e riesco a farmi assegnare un posto per fumatori e, soprattutto, vicino all'oblò. Salgo sul DC9 dell'Alitalia, controllo: Sì il mio posto è proprio quello: 8E=WINDOW, vicino all'oblò. Un posto di osservazione stupendo, non disturbato dall'ala. Mi allaccio la cintura e guardo mi direzione del cielo. E' una giornata bellissima, il cielo terso, di un azzurro incredibile. La rotta prevede il passaggio delle Alpi, Monte Bianco incluso. Sarà uno spettacolo sensazionale, perfino la mia macchina fotografica sembra fremere d'impazienza.

A un tratto, una ruvida manata sulla spalla mi scuote dalla contemplazione. Una robusta signora che garganzza un tedesco aspro, mi ordina perentoriamente di sloggiare. Mi sventola sotto il naso, accompagnando il gesto con crepitio secco di parole-comandi, il suo biglietto. Do un'occhiata: 8C=AISLE. Non ci sono dubbi: è lei che deve accomodarsi sulla poltroncina che dà sul corridoio. Invece quella insiste per sistemarsi accanto all'oblò.

Mi viene voglia di invitare la signora, dal volto aggrondato e paonazzo, a studiare un po' l'inglese. Così, imparerà che "WINDOW" vuol dire finestrino (mio) e "AISLE" corridoio (suo). Mi vien voglia di buttarle in faccia - una faccia senza un tratto che la renda simpatica - che avere il marco forte non significa acquisire il diritto di essere prepotenti. Mi vien voglia di invocare l'intervento della hostess.

Ma improvvisamente mi vien voglia di essere stupido, di passare per cretino. Ed è quella che vince. Lascio il mio posto e mi accomodo in quello sgradito senza borbottare, anzi regalando un sorriso, non ricambiato naturalmente, alla usurpatrice che inalbera l'aria trionfante di chi ha fatto valere i suoi sacrosanti diritti.

Allorché sono alle viste le cime delle montagne ed il comandante invita ad ammirare la catena del Monte Bianco, il mio nemico-invasore scatta a ripetizione dozzine di foto, quasi con rabbia. Negli intervalli appoggia il testone rubizzo all'oblò, come per impedirmi il più fugace lampo azzurro, la più minuscola briciola di neve, il più piccolo frammento di ghiaccio. Ma io che avevo già deciso, senza pentimenti, di essere stupido fino all'ultimo, il cielo ce lo avevo dentro. Provavo una sensazione benefica di pace profonda, di compiaciuta soddisfazione. All'apparenza aveva vinto l'arroganza, La giustizia era stata calpestata dal sopruso. L'ignoranza villana aveva avuto il sopravvento.
Mi aveva rubato il Monte Bianco.

lo però non mi sentivo affatto sconfitto. Al contrario. Mi sorprendevo che le Grandes Jorasses rappresentassero uno spettacolo impagabile, ma la pace ha un valore superiore. Riflettevo che è meglio farsi dar ragione dal Vangelo piuttosto che da un miserabile biglietto con su stampigliato "E=WINDOWS". Beh mi rallegravo per il fatto che, in un pianeta incendiato in continuazione da troppe guerre e guerriglie, quel giorno io ero riuscito ad evitare un, se pur ridottissimo, conflitto.

Si. In terra e pure in cielo - eravamo a diecimila metri di quota - quel giorno una stupida e piccolissima guerra - ma anche le guerre di grosse dimensioni sono stupide - non era scoppiata soltanto perché uno scemo aveva compiuto, senza dire una parola, un gesto semplicissimo: spostarsi dì mezzo metro.

No. Non è stata la signora villana a rubarmi il Monte Bianco: gliel'avevo regalato io. Io ero più ricco di lei, anche se non potevo disporre del marco forte. Ciò che conta non è possedere la moneta forte, ne sapere quattro parole d'inglese: ma non avvelenare l'aria che tutti respiriamo con le nostre beghe meschine. E' possibile contemplare, anzi costruire un pezzetto di cielo, anche stando affacciati al corridoio...

Amico non aspettare che siano i furbi, gli arroganti, i prepotenti, a fare la pace. La pace, se mi credi, la fanno gli ingenui gli stupidi - stupidi secondo la mentalità corrente - ossia quelli capaci di spostarsi di mezzo metro per regalare un po' d'azzurro all'individuo titolare di un volto neppure troppo simpatico.

Non è il gesto dei vili, dei deboli. Per compierlo bisogna essere i più forti.

pacenon violenzaamare i nemiciperdono

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maria Vitali, inserito il 30/04/2002

TESTO

69. Partire   2

Helder Camara, Camminiamo la speranza

Partire è anzitutto uscire da sé.

Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro "io".

Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita. Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l'importanza di questo nostro mondo l'umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire. Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche.

Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.

E' possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.

Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato. Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intelligenza e delicatezza,
soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.

Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l'arrivo, lo sbarco. Ma c'è cammino e cammino: partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia
per costruire un mondo più giusto e umano.

scoutpartireroutestradacamminosperanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maria Vitali, inserito il 30/04/2002

TESTO

70. La cornacchia e l'abete

Stefan Wyszynski, Appunti dalla prigione

17 gennaio 1954, domenica

Una cornacchia si è seduta in cima ad un alto abete. Si è guardata attorno con espressione autoritaria e ha emesso un grido di vittoria. A questo essere rumoroso sembra davvero che l'abete le debba tutto: la sua esistenza, la sua bellezza slanciata, il verde sempre vivo, la forza nella lotta col vento. Questa superbia della Cornacchia è stupefacente. Grande benefattrice dell'abete silenzioso! E l'abete neppure trema; sembra che non veda la cornacchia; meditabondo leva i suoi rami verso il cielo. Sopporta tranquillamente l'ospite rumoroso. Nulla turba i suoi pensieri, la sua serietà, la sua pace. Tante nubi sono già passate su di lui, tanti uccelli si sono fermati qui! E se ne sono andati, così come tu te ne andrai. Questo non è il tuo posto, non ti senti sicura e urlando così cerchi di supplire alla mancanza di forza. Io sono cresciuto da questa terra e sono piantato con le mie radici nel suo cuore. E tu, nube passeggera, che getti un'ombra di tristezza sulla mia cima dorata, sei in balia dei venti. Bisogna sopportarti tranquillamente. Tu gracchi la tua canzone noiosa, senza anima e povera, poi te ne vai. Che cosa riesci a fare con un urlo? Io resto, per perseverare nel raccoglimento, per costruire la mia pazienza, per sopportare turbini e tempeste, per andare sempre più in alto, tranquillamente. Non mi oscuri il sole, non mi affascini, non muti il fine del mio salire. C'era il bosco e voi non c'eravate, non ci sarete e ci sarà il bosco. Una favola? Non, non è una favola.

Stefan Wyszynski: nato nel 1901, nel 1948 primate di Polonia; nel 1953, dura fase di repressione contro la Chiesa; il 25 settembre è arrestato, internato, isolato da ogni contatto è liberato il 28 ottobre 1956, muore il 28.5.1981. "Appunti... 1953-56" date alle stampe 3 settimane prima di morire, sono note personali.

fortezzaumiltàtempo

inviato da Don Angelo, inserito il 25/04/2002

PREGHIERA

71. Padre nostro (parafrasi)   1

PADRE che consideri tutte le persone uguali.

NOSTRO, di ognuno, di tutti quei milioni di persone che abitano la terra, senza differenza di età, colore o luogo di nascita.

CHE SEI NEI CIELI e sulla terra e in ciascuna persona, negli umili e in coloro che soffrono.

SIA SANTIFICATO IL TUO NOME nei cuori pacifici di uomini e donne, bambini e anziani, qui e altrove.

VENGA IL TUO REGNO, il tuo Regno di pace, di amore, di giustizia, di Verità, di libertà.

SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ sempre e tra tutte le nazioni e tutti i popoli.

COME IN CIELO COSI IN TERRA: che i tuoi piani di pace non siano distrutti dai violenti e dai tiranni.

DACCI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO: che sia impastato di pace e di amore, e allontana da noi il pane della discordia e dell'odio che genera gelosia e divisione.

DACCELO OGGI perché domani potrebbe essere troppo tardi. Stanno puntando i missili, forse, qualcuno li sparerà.

RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI, non come perdoniamo noi, ma come perdoni tu, senza risentimento senza rancore nascosto.

NON CI INDURRE IN TENTAZIONE di guardare gli altri con sospetto, di dimenticare i nostri fratelli e le nostre sorelle nel bisogno, di accumulare per noi stessi ciò che potrebbe essere necessario per gli altri, di vivere bene a spese altrui.

LIBERACI DAL MALE che ci minaccia, dall'egoismo dei potenti, dalla morte causata dalla guerra e dalle armi; perché siamo in tanti, Padre, a desiderare di vivere in pace e di costruire la pace per tutti.

padre nostropreghiera di domanda

5.0/5 (1 voto)

inviato da Maria Grazia Guidetti, inserito il 12/04/2002

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