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PREGHIERA

1. Grazie   1

Michel Quoist, Preghiere, Editrice Marietti

Bisogna saper dire grazie. Le nostre giornate sono ricche di doni che il Signore ci fa. Se sapessimo esaminarli e farne l'inventario, alla sera saremmo sorpresi e raggianti per tanti beni ricevuti. Saremmo allora riconoscenti dinanzi a Dio, fiduciosi perché ci dona tutto, gioiosi perché sappiamo che ogni giorno rinnova i suoi doni.

Tutto è dono di Dio, anche le più piccole cose, ed è l'insieme di questi doni che forma una vita, bella o cupa, secondo il modo in cui uno se ne serve.

Grazie, Signore. Grazie.
Grazie per tutti i regali che Tu mi hai offerti oggi,
Grazie per tutto quello che ho veduto, sentito, ricevuto.

Grazie per l'acqua che mi ha svegliato, per il sapone profumato e il dentifricio fresco.
Grazie per i vestiti che mi proteggono, per il loro colore ed il loro taglio.
Grazie per il giornale fedele all'appuntamento, per le sue storielle, sorriso del mattino,
per le riunioni serie che si succedono, la giustizia resa e la partita vinta.

Grazie per i servizi della nettezza urbana e per chi li svolge,
per le loro grida mattutine e per i rumori della strada che si sveglia.
Grazie per il mio lavoro, i miei strumenti, i miei sforzi.
Grazie per il metallo fra le mie mani, per il suo lungo lamento sotto l'acciaio che lo morde, per lo sguardo soddisfatto del caporeparto e per il carrello dei pezzi finiti.
Grazie per Giacomo che m'ha prestato la sua lima, Daniele che m'ha dato una sigaretta, Carlo che m'ha tenuto la porta.
Grazie per la strada accogliente che mi ha portato, per le vetrine dei negozi, per le vetture, per i passanti, per tutta la vita che scorreva rapida fra i muri delle case.

Grazie per il cibo che mi ha sostenuto,
per il bicchiere di birra che nel pomeriggio mi ha dissetato.
Grazie per la moto che docilmente m'ha condotto ove desideravo,
per la benzina che l'ha fatta correre, per il vento che mi ha accarezzato il viso
e per gli alberi che mi hanno salutato al passaggio.

Grazie per le ragazze che ho incontrato,
per il rossetto di Graziella dalla tinta delicata,
per la permanente di Michelina, che dà risalto al suo viso,
per la smorfia d'Anna Maria e la sua risata che distende.

Grazie per il bimbo che ho guardato giocare sul marciapiede di fronte,
Grazie per i suoi pattini a rotelle e per l'aria strana che aveva quand'è caduto.

Grazie per i saluti che mi hanno rivolto, per le strette di mano che ho dato,
per i sorrisi che mi hanno offerto.
Grazie per la mamma che mi accoglie a casa,
per il suo affetto discreto, per la sua silenziosa presenza.
Grazie per il tetto che mi ripara, per la luce che mi rischiara,
per la radio che canta.
Grazie per il giornale-radio e per tutti i programmi.
Grazie per il mazzo di fiori, piccolo capolavoro sul mio tavolo.

Grazie per la notte quieta.
Grazie per le stelle.
Grazie per il silenzio.

Grazie per il tempo che Tu mi hai dato.
Grazie per la vita.
Grazie per la grazia.

Grazie d'essere qui, o Signore.
Grazie di ascoltarmi, di prendermi sul serio,
di ricevere nelle Tue mani il fascio dei miei doni per offrirli al Padre Tuo.
Grazie, o Signore, Grazie.

ringraziamentopreghieravita quotidianagraziegratitudine

inviato da Paolo Capuzzo, inserito il 11/02/2022

PREGHIERA

2. A Gesù vero amico   1

S. Claudio de la Colombière

Gesù, tu sei il solo e vero amico.
Tu prendi parte alle mie pene, te le addossi, possiedi il segreto di volgermele in bene.
Tu mi ascolti con bontà, quando ti racconto le mie afflizioni e non manchi mai di addolcirle.
Ti trovo sempre in ogni luogo.
Tu non ti allontani mai e, se io sono costretto a cambiare dimora, continuo a trovarti dove vado.
Tu non ti annoi mai di ascoltarmi; non ti stanchi mai di farmi del bene.
Io sono sicuro di essere amato, se ti amo.
Non sai che fartene dei miei beni e certo non diventi più povero nel parteciparmi i tuoi.
Per quanto miserabile io sia, nessun spirito più nobile, più grande, anche più santo mi toglierà mai la tua amicizia; la morte, che ci strappa a tutti gli altri amici, mi riunirà a te.
Tutte le disgrazie dell'età o della fortuna non possono staccarti da me; anzi, io non godrò mai più pienamente di te, tu non sarai mai più vicino di quando tutto mi sarà contrario.
Tu sopporti i miei difetti con una pazienza ammirevole; le mie stese infedeltà, le mie ingratitudini non ti feriscono al punto che tu non sia sempre pronto a ricominciare, se io voglio.
O Gesù, concedimi di volerlo, affinché io sia tuo, adesso e sempre.

Gesùamicorapporto con Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 03/04/2020

RACCONTO

3. L'uomo leggero come una piuma   3

L'Angelo della Morte bussò un giorno alla casa di un uomo.
«Accomodati pure» disse l'uomo. «Ti aspettavo.»

«Non sono venuto per fare due chiacchiere» disse l'Angelo, «ma per prenderti la vita.»
«E che altro potresti prendermi?»

«Non so. Ma tutti, quando giungo io, vorrebbero che io prendessi qualsiasi cosa, ma non la vita. Sapessi quali offerte mi fanno!»

«Non io. Non ho nulla da darti. Le gioie che mi sono state donate le ho godute. Mi sono divertito, ma senza fare del divertimento lo scopo della mia vita. Gli affanni, li ho affidati al vento. I problemi, i dubbi, le inquietudini li ho affidati alla provvidenza. Ho utilizzato i beni terreni solo per quanto mi erano necessari, rinunciando al superfluo. Il sorriso, l'ho regalato a quanti me lo chiedevano. Il mio cuore a quanti ho amato e mi hanno amato. La mia anima l'ho affidata a Dio. Prenditi dunque la mia vita, perché non ho altro da offrirti.»

L'Angelo della Morte sollevò l'uomo fra le sue braccia e lo trovò leggero come una piuma. All'uomo la stretta dell'Angelo parve tenerissima. E il Signore spalancò le porte del Paradiso perché stava per entrarvi un santo.

mortevitaeternitàsenso della vitaaperturadisponibilitàserenità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 03/04/2020

TESTO

4. La pace è finita, andate a Messa   1

Tonino Bello, Affliggere i consolati

Il frutto dell'eucaristia dovrebbe essere la condivisione dei beni. I nostri comportamenti invece sono l'inversione di questa logica. Le nostre messe dovrebbero smascherare i nuovi volti dell'idolatria. Le nostre messe dovrebbero metterci in crisi ogni volta. Per cui per evitare le crisi bisognerebbe ridurle il più possibile. Non fosse altro che per questo. Dovrebbero smascherare le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. Dovrebbero far posto all'audacia evangelica. Non dovrebbero servire agli oppressori.

Bonhoeffer diceva che non può cantare il canto gregoriano colui che sa che un fratello ebreo viene ammazzato. Non si può cantare il canto gregoriano quando si sa che il mondo va così.

Tante volte anche noi, presi da una fede flaccida, svenevole, abbiamo fatto dell'eucaristia un momento di compiacimenti estenuanti, che hanno snervato proprio la forza d'urto dell'eucaristia e ci hanno impedito di udire il grido dei Lazzari che stanno fuori la porta del nostro banchetto.

Se dall'eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà la voglia dell'inedito, allora sono eucaristie che non dicono niente.

Se dall'eucaristia non si scatena una forza prorompente che cambia il mondo, capace di dare a noi credenti l'audacia dello Spirito Santo, la voglia di scoprire l'inedito che c'è ancora nella nostra realtà umana, è inutile celebrare l'eucaristia. Questo è l'inedito nostro: la piazza. Lì ci dovrebbe sbattere il Signore, con una audacia nuova, con un coraggio nuovo. Ci dovrebbe portare là dove la gente soffre oggi. La Messa ci dovrebbe scaraventare fuori.

Anziché dire la messa è finita, andate in pace, dovremmo poter dire la pace è finita, andate a messa. Ché se vai a Messa finisce la tua pace.

eucaristiamessasolidarietàcambiamento

inviato da Eleonora Polo, inserito il 27/06/2019

RACCONTO

5. Il vero sacrificio   1

Un grande re ascoltava il sermone del Buddha che parlava della rinuncia e del sapersi accontentare, ed ebbe l'improvviso desiderio di guadagnarsi l'approvazione del grande Maestro.
Il Buddha teneva sempre con sé un tamburo a sonagli ed un giorno, un suo discepolo gli chiese:
"Maestro, perché tieni sempre accanto a te questo tamburello?"
Il Buddha rispose: "Perché un giorno suonerò questo tamburo quando si avvicinerà a me la persona che avrà compiuto il più grande sacrificio."
E tutti si chiesero chi mai sarebbe stato.

Il re che aveva sentito questa dichiarazione, ritornò al suo palazzo e fece caricare una notevole quantità di tesori sulla groppa dei suoi elefanti, poi si mise in viaggio per portare questi beni alla presenza del Buddha, certo di ottenere la sua benedizione.
Lungo la strada, una vecchina gli si avvicinò e lo supplicò: "Ho fame, potete darmi qualcosa da mangiare?".

Il re prese un frutto di melograno e glielo porse dalla palanchina.
La vecchina se ne andò in cerca della strada per arrivare dal Buddha e faticò non poco per trovarla.

Nel frattempo il re arrivò nella dimora del Buddha, fece portare davanti a lui gli elefanti con il loro carico di immense ricchezze ed attese ansiosamente il suono del tamburo.
Proprio in quel momento giunse la vecchina, stanca ed affaticata, e con grande dolcezza pose ai piedi del Maestro il frutto che le era stato regalato.
Il Buddha prese il melograno con un sorriso e subito dopo suonò il tamburo.

Il re rimase sorpreso ed irritato e con voce roca ansimò: "Swami! Io vi ho portato beni di una ricchezza inestimabile e voi suonate il tamburo per un melograno? Che sacrificio è mai questo?"
Il Buddha con voce amabile rispose: "Il sacrifico non si valuta in termini di quantità, è la qualità che conta. Voi siete un re ed è naturale per voi offrire oro e pietre preziose, ma questa donna non aveva nemmeno di che mangiare e questo frutto rappresentava il suo unico pasto; avrebbe potuto mangiarlo e soddisfare la sua fame, ma non lo ha fatto e lo ha offerto a me. Quale sacrificio è più grande di questo? Non è sacrificio offrire qualcosa di superfluo, ma rinunciare a ciò che ti è caro ed essenziale per te."

sacrificiooffertagenerositàricchezzapovertà

inserito il 29/12/2018

PREGHIERA

6. Mensa umano mistero   1

Adriana Zarri

Facci, Signore, il dono della cena.
Tu ti sei seduto a cena.
Oh, sì, ma non era una cena come tutte le altre,
sebbene tutte le altre le fossero ordinate:
era una cena unica,
in cui tu eri commensale e vivanda;
E gli apostoli mangiarono con te e di te.
Ma prima di considerare il mistero eucaristico,
lasciaci considerare questo semplice
e dolce “mistero” umano della mensa,
che tu tante volte
hai voluto condividere con i tuoi amici.

L'Eucaristia è il sacramento della tavola,
così come la tavola
è il sacramento della nostra amicizia.
Perciò, prima di farci il dono dell'Eucaristia,
facci, Signore, il dono della cena:
della semplice mensa degli uomini,
della condivisione dell'amore e dei beni,
della cordialità del pacato discorrere
e del calore del volersi bene.

Dacci di sapere cenare in amicizia,
come facevi a casa tua,
come facevi a Cafarnao nella casa di Pietro,
e a Betania, nella casa di Lazzaro;
come facesti a Gerusalemme, nel Cenacolo.

Donaci amore per invitare amici,
ospitalità per servirli,
cordialità per discorrere con loro,
gioia per mettere la tovaglia bella,
letizia per versare il vino dolce.

E fa' sì che in ogni pranzo e in ogni cena
avvertiamo la tua visibile presenza,
ospite sempre invitato, amico sempre amato,
nostro pane, nostro vino,
nostro banchetto eterno.

cenaultima cenaeucaristiaospitalitàamiciziaconvivialità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 06/07/2018

TESTO

7. Gesù non mi inganna   1

Giuseppe Impastato S.I.

Mi rifiuto di credere
che Lui, Gesù, ci abbia preso in giro e ingannato.
Gesù, uomo grande-intelligente-generoso-sincero-limpido-coraggioso!
Mi rifiuto di pensare che ci abbia ingannato
un uomo che si è inginocchiato dinanzi a noi,
ha lavato i nostri piedi,
ha detto parole dense di eternità.
Un uomo che non ha chiesto a noi
beni, vantaggi, privilegi, voti.
E ha detto che la cosa più importante è amare.
Amare di un amore che non esige risposte,
non ha pretese, non cerca vantaggi o secondi fini,
un amore a perdere...
E ci ha parlato di un Dio che non chiede nulla per sé,
ma solo per il bene dell'uomo,
un Dio che è papà, non carabiniere o ragioniere o manager....
Mi fido di Gesù che si è lasciato condannare, crocifiggere e uccidere.
E perdona i suoi nemici.
Che vuole rimanere con noi, per sempre,
e realizzare una comunione che sa di infinito.

Gesùamorefedefiduciarapporto con Diomisericordia

5.0/5 (2 voti)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 15/01/2018

TESTO

8. Conversione

San Cipriano di Cartagine, Lettera a Donato

Un tempo io giacevo nelle tenebre di una notte buia; mi trovavo come sballottato sul mare del mondo che mi gettava in tutte le direzioni; incerto delle vie che mi si paravano innanzi, vagavo in balia di me stesso e non ero consapevole della mia vita.

Lontano dalla verità e dalla luce, ritenevo che fosse davvero difficile e duro, per i miei sentimenti di quel periodo, ciò che la misericordia di Dio mi prometteva per portarmi alla salvezza.

Reputavo fosse difficile poter nuovamente rinascere e deporre le abitudini precedenti, anche se il battesimo nell'acqua della salvezza mi rinnovava a nuova vita. Stimavo ugualmente difficile che un uomo potesse cambiare la mente e l'animo senza mutare nel suo fisico.

Continuavo a dirmi: «Come sarà possibile una conversione così grande da liberarmi tutto ad un tratto da ciò che fin dalla nascita si solidificò come quando si colloca del materiale e lo si ammucchia in depositi? Come sarà possibile liberarmi di quelle abitudini che ho indebitamente contratte?».

Spesso mi trovavo con questi pensieri. Ero legato dai moltissimi errori della mia vita passata e non credevo di potermene liberare. I vizi aderivano alla mia vita e io continuavo ad assecondarli. Non pensavo più di poter raggiungere i beni migliori; per questo favorivo ciò che mi nuoceva come se fosse qualcosa che ormai mi appartenesse e fosse cresciuto con me.

Ma sopraggiunse l'aiuto dell'acqua che rigenera. La corruzione della vita precedente venne cancellata e dall'alto si diffuse una luce nel mio cuore purificato e mondo. Ricevetti dal cielo lo Spirito e attraverso una seconda nascita diventai un uomo nuovo.

Dopo questo evento, ciò che era segnato dal dubbio improvvisamente divenne, in modo che non saprei descrivere, una certezza; quello che era impenetrabile e pieno di tenebra mi apparve accessibile e luminoso.

Potevo raggiungere quello che prima mi sembrava assurdo e fare quello che finora ritenevo impossibile. Avevo così la possibilità di capire come fosse terreno l'uomo di prima, nato dalla carne e schiavo dei vizi.

battesimoconversionecambiamentorinascitaerrorivizi

inviato da Qumran, inserito il 26/09/2017

TESTO

9. Beati noi, poveri nello spirito

Paolo VI, Visita alla Basilica dell'Annunciazione in Nazareth (5 gennaio 1964)

Beati noi, se, poveri nello spirito,
sappiamo liberarci
dalla fallace fiducia nei beni economici
e collocare i nostri primi desideri
nei beni spirituali e religiosi;
e abbiamo per i poveri riverenza ed amore,
come fratelli e immagini viventi del Cristo.

Beati noi, se, formati alla dolcezza dei forti,
sappiamo rinunciare alla potenza funesta
dell'odio e della vendetta
e abbiamo la sapienza di preferire
al timore che incutono le armi
la generosità e il perdono,
l'accordo nella libertà e nel lavoro,
la conquista della bontà e della pace.

Tratto da "La vita in Cristo e nella Chiesa, maggio 2014, pag. 53"

beatitudinipovertàricchezzaforzadebolezzaperdonovendetta

inviato da Giuseppe Impastato, inserito il 20/02/2017

PREGHIERA

10. Possedere

San Gregorio Magno

O Signore, fa' che io comprenda quale grande pace e sicurezza ha il cuore che non desidera cosa alcuna di questo mondo. Infatti, se il mio cuore brama di ottenere i beni terreni, non può essere né tranquillo né sicuro, perché cerca di avere quello che non ha o di non perdere quello che possiede.

possederepossessoricchezzapovertàbeniattaccamentointerioritàesterioritàconsumismo

5.0/5 (2 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 07/02/2016

TESTO

11. Dio ci vuole leggeri come i bambini

Luigi Pozzoli, Elogio della piccolezza, Edizioni Paoline, Milano 2002

Dio non vuole gente che abbia delle virtù, ma fanciulli che egli possa prendere come si solleva un bambino, in un momento, perché è leggero e ha grandi occhi; non è una santità a basso prezzo, ma una «piccola via», per collegare la santità allo spirito d'infanzia evangelico, che è spirito di semplicità, di fiducia, di abbandono incondizionato alle iniziative di Dio. C'è un complotto dei «grandi» contro l'infanzia forse? Basta leggere il vangelo per rendersene conto. Leggeri, come quella lunga schiera di piccoli che attraversano la storia senza che la storia parli di essi: sono uomini e donne che hanno nel cuore le parole della leggerezza, che sono capaci di solitudine e silenzio, che sono guariti da ogni smania di apparire e da ogni pretesa di sapere. Ancora la domanda: perché Dio si è convertito al fascino della piccolezza? Perché la piccolezza è libertà. Chi è evangelicamente piccolo, non solo è leggero, ma anche libero. È il bambino che può dire tutto quello che vuole, non l'adulto. Potremmo dire: i bambini sono «pericolosi» perché non hanno il buon senso di tenersi per sé la verità. Allo stesso modo i piccoli del vangelo sono le persone più libere. E si potrebbe facilmente dimostrare che le persone grandi e «pesanti», attaccate al potere e alle cose, non sono libere. Nessuno è più libero di Gesù, perché nessuno è più povero di lui. È povero di beni, è povero di legami familiari, è povero di successi umani. Per questo, non avendo nulla da difendere è libero anche di fronte alla morte.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Franco Naldi Ofm, inserito il 06/02/2016

PREGHIERA

12. Laudato si, Dio creatore e padre

padre Antonio Rungi

Laudato si, Signore mio,
perché ci ha creato e redento,
Tu Padre di immensa tenerezza e bontà.

Laudato si, Signore mio,
per il dono del creato
che hai affidato alla nostra custodia
e messo nelle nostre mani,
non sempre attente ed oculate
nel conservare i beni
che ci hai lasciato
a nostra gioia e felicità.

Laudato si, Signore mio
per ogni uomo e donna
di questa martoriata terra,
afflitta da tanti mali incurabili
del corpo e dello spirito.

Fa' che nessuno di questi nostri fratelli
possano assaporare la freddezza
del nostro cuore e l'indifferenza
della nostra mente
presa da tanti personali problemi,
incapace di leggere il dolore
e la sofferenza sul volto
di chi non conta in questo mondo.

Laudato si, Signore mio,
per tutte le croci che ci doni ogni giorno
e ci inviti a portare con dignità
senza scaricarle sulle spalle degli altri,
ma felici di salire con te sul calvario
e donare la nostra vita,
come vittime espiatrici
per la conversione e la santificazione
del genere umano.

Laudato si, Signore mio
per le tante umiliazioni
che ci hai fatto sperimentare
attraverso quanti non sanno
e non vogliono amare sinceramente gli altri
e si fanno giudici severi degli altri
e molto tolleranti con se stessi.

Laudato si, Signore mio
per ogni cosa e per tutto quello
che guardiamo con i nostri occhi,
gustiamo con il nostro palato,
tocchiamo con le nostre mani,
odoriamo con il nostro naso,
ascoltiamo con le nostre orecchie,
soprattutto se sei Tu Signore a parlare
direttamente al nostro cuore,
perché ci vuoi totalmente consacrati
al tuo amore e alla tua lode,
nella cristiana speranza di lodarti
per sempre nella gioia del tuo Regno,
dove ci attendi per donarci
la pace e la felicità che non ha fine,
insieme a Maria, la tua e la nostra Madre,
Regina del cielo e della terra. Amen.

creatocustodia del creatodonogratitudinelode

5.0/5 (1 voto)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 03/02/2016

PREGHIERA

13. Vogliamo vivere

Giorgio Basadonna, Apritevi cieli dall'alto. Verso il Natale, pag. 82

Signore, vogliamo vivere la nostra speranza, certi della tua presenza in mezzo a noi, anche quando il dolore, l'amarezza, l'incomprensione pesano su di noi e ci sembra di essere soli.

Vogliamo vivere nella riconoscenza, ringraziandoti del tuo amore che ha superato ogni ostacolo e ti ha portato a farti uomo per trasformare noi e renderci simili a te.

Vogliamo vivere nella carità, che viene da te, e diventa aiuto a chi ne ha più bisogno, perché anche oggi i ciechi vedano, gli zoppi camminino, i malati vengano guariti, e tutti possano godere la loro dignità di figli tuoi.

Vogliamo vivere nella giustizia, eliminando ogni oppressione, ogni sfruttamento, ogni inganno, usando dei beni che noi possediamo in modo che tutti possano usufruirne.

Vogliamo vivere nella gioia che tu porti al mondo e offrirla a tutti, perché tutti possano capire e sentire che la tua venuta è una grande gioia per tutta l'umanità.

speranzariconoscenzacaritàgiustiziagioiasolidarietàamorenatale

5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Franco Naldi Ofm, inserito il 24/12/2015

TESTO

14. Dare con gioia

Sant'Ireneo

Quelli che hanno ricevuto la libertà mettono a disposizione di Dio tutti i loro beni, dando gioiosamente e generosamente i beni più piccoli perché hanno la speranza dei beni più grandi, come la vedova povera che getta tutta la sua sostanza nel tesoro di Dio.

condividerecondivisionecaritàeternitàinterioritàgenerositàgratuità

5.0/5 (2 voti)

inviato da Paola Berrettini, inserito il 16/06/2015

TESTO

15. L'amore evangelico (in noi si dovrà trovare tutto)   1

Madeleine Delbrel, Indivisibile amore, Piemme 1994, p. 155

In noi si dovrà trovare tutto
il bicchiere d'acqua, il cibo per chi ha fame,
tutto il vero cibo per tutti i veri affamati,
tutti i veri cibi e tutti i veri mezzi per distribuirli,
l'alloggio per i senza tetto,
il pellegrinaggio alle carceri ed agli ospedali,
la compassione per le lacrime, quelle che si devono versare insieme
e quelle di cui occorrerebbe eliminare le cause,
l'amicizia per ogni peccatore,
per coloro che sono malvisti,
la capacità di mettersi al livello di tutte le piccolezze,
di lasciarsi attrarre da tutto ciò che non conta,
e tutto avrà il suo orientamento, la sua pienezza, nella parola "fraterno".

Infatti i nostri beni, se diventano i beni degli altri, saranno il segno della nostra vita donata per gli altri, come assimilata di diritto alla loro, e che, in realtà, non deve più far parte dei nostri interessi.

Il cristiano che vivrà in questo modo nella città, sperimenterà con tutto il suo essere la forza dell'amore evangelico. La realtà di questo amore risplenderà in torno a lui come una evangelizzazione e in lui come una illuminazione.

Sperimenterà che agire è illuminare, ma anche essere illuminati, sperimenterà che, se pregare è lasciarsi fare da Dio, è però anche imparare a compiere l'opera di Dio.

Un cristiano simile renderà grazie, perché tutti i suoi gesti diventeranno l'espressione di un amore che non conosce né limiti né eccezioni, un amore del quale soltanto Cristo ha detto agli uomini che lo devono e ricercare e donare.

amorecaritàservizioevangelizzazionevita donatadonogratuità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Michele Ferretti, inserito il 14/04/2014

RACCONTO

16. Il ponte   12

Questa è la storia di due fratelli che vissero insieme d'amore e d'accordo per molti anni. Vivevano in cascine separate, ma un giorno scoppiò una lite e questo fu il primo problema serio che sorse dopo 40 anni in cui avevano coltivato insieme la terra condividendo le macchine e gli attrezzi, scambiandosi i raccolti e i beni continuamente.

Cominciò con un piccolo malinteso e crebbe fino a che scoppiò un diverbio con uno scambio di parole amare a cui seguirono settimane di silenzio.

Una mattina qualcuno bussò alla porta di Luigi. Quando aprì si trovò davanti un uomo con gli utensili del falegname: "Sto cercando un lavoro per qualche giorno", disse il forestiero, "forse qui ci può essere bisogno di qualche piccola riparazione nella fattoria e io potrei esserle utile per questo".

"Sì", disse il maggiore dei due fratelli, "ho un lavoro per lei. Guardi là, dall'altra parte del fiume, in quella fattoria vive il mio vicino, beh! È il mio fratello minore. La settimana scorsa c'era una splendida prateria tra noi, ma lui ha deviato il letto del fiume perché ci separasse. Deve aver fatto questo per farmi andare su tutte le furie, ma io gliene farò una. Vede quella catasta di pezzi di legno vicino al granaio? Ebbene voglio che costruisca uno steccato di due metri circa di altezza, non voglio vederlo mai più". Il falegname rispose: "Mi sembra di capire la situazione".

Il fratello maggiore aiutò il falegname a riunire tutto il materiale necessario e se ne andò fuori per tutta la giornata per fare le spese in paese. Verso sera, quando il fattore ritornò, il falegname aveva appena finito il suo lavoro. Il fattore rimase con gli occhi spalancati e con la bocca aperta.

Non c'era nessuno steccato di due metri. Invece c'era un ponte che univa le due fattorie sopra il fiume. Era una autentica opera d'arte, molto fine, con corrimano e tutto.

In quel momento, il vicino, suo fratello minore, venne dalla sua fattoria e abbracciando il fratello maggiore gli disse: "Sei un tipo veramente in gamba. Ma guarda! Hai costruito questo ponte meravilloso dopo quello che io ti ho fatto e detto".

E così stavano facendo la pace i due fratelli, quando videro che il falegname prendeva i suoi arnesi. "No, no, aspetta; rimani per alcuni giorni ancora, ho parecchi lavori per te", disse il fratello maggiore al falegname. "Mi fermerei volentieri", rispose lui, "ma ho parecchi ponti da costruire".

Molte volte lasciamo che i malintesi e le stizze ci allontanino dalla gente a cui vogliamo bene, molte volte lasciamo che sia l'orgoglio a prevalere sui sentimenti.
- Non permettere che ciò succeda nella tua vita.
- Impara a perdonare e apprezza quanto hai. Ricorda che perdonare non cambia nulla del passato, ma del futuro sì. Non conservare rancore né sentimenti di amarezza che ti feriscono, ti allontanano da Dio e dalle persone che ti vogliono bene.
- Impara ad essere felice e a godere delle meraviglie che Dio ha creato. Egli ti ama e desidera che tu abbia una vita felice e piena di amore e armonia.
- Non permettere che un piccolo incidente rovini una grande amicizia.
- Ricorda che il silenzio, a volte, è la miglior risposta.
- Ciò che più importa è una casa felice. Fa' tutto quello che è nelle tue mani per creare un ambiente di pace e armonia.
- Ricorda che la miglior relazione è quella in cui l'amore tra due persone è più grande del bisogno che hanno l'una dell'altra.

pacelitigiarmoniaconcordiaperdono

4.9/5 (13 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 27/12/2013

TESTO

17. Grazia a caro prezzo   3

Dietrich Bonhoeffer, Sequela

La grazia a buon mercato è grazia senza sequela, grazia senza croce, grazia senza Gesù Cristo vivo, incarnato.

Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l'uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva; la pietra preziosa, per il cui valore il mercante dà tutti i suoi beni; la signoria regale di Cristo, per amore del quale l'uomo strappa da sé l'occhio che lo scandalizza; la chiamata di Gesù Cristo, per cui il discepolo abbandona le reti e si pone alla sua sequela.

Grazia a caro prezzo è il vangelo, che si deve sempre di nuovo cercare, il dono per cui si deve sempre di nuovo pregare, la porta a cui si deve sempre di nuovo bussare. È a caro prezzo, perché chiama alla sequela; è grazia, perché chiama alla sequela di Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché costa all'uomo il prezzo della vita, è grazia, perché proprio in tal modo gli dona la vita; è a caro prezzo, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore.

La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata cara a Dio, perché gli è costata la vita di suo Figlio «siete stati riscattati a caro prezzo» (1Cor 6,20) e perché non può essere a buon mercato per noi ciò che è costato caro a Dio. E' grazia soprattutto perché Dio non ha ritenuto troppo elevato il prezzo di suo Figlio per la nostra vita, ma lo ha dato per noi. Grazia a caro prezzo è l'incarnazione di Dio.

graziaconversionesequeladiscepolatotesoro nascostoperla preziosaredenzione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 12/08/2012

PREGHIERA

18. Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore   2

Tonino Lasconi, Salmo 90,12

Furti, rapine, omicidi,
arricchimenti spropositati,
montagne di miliardi imboscati
in banche nazionali e straniere.
Signore,
perché, se dobbiamo morire?
Dove nasce questa illusione
di vivere tremila anni e forse più?
Eppure ogni giorno vediamo
i parenti e gli amici morire.
Eppure sappiamo per certo
che la morte non risparmia nessuno
e che nessuno può portarsi dietro quello che ha.
Giornate perdute nel niente,
ore affogate nella noia,
interessi meschini e banali,
affanni e lotte
per cose senza domani.
Insegnaci, Signore a contare i nostri giorni.
Aiutaci a vincere l'illusione
di vivere tremila anni e forse più.
E saremo saggi,
E saremo buoni,
E saremo sereni.
Così vivremo per sempre.

sapienza del cuoreaviditàsenso della vitaeternitàesterioritàbeni materialispiritualità

inviato da Maria Colombo, inserito il 21/05/2012

RACCONTO

19. L'imperatore e il tempo   3

Un imperatore, in punto di morte, convocò i suoi fidati generali, per dettare loro le sue ultime volontà.
Ho tre precisi desideri da esprimervi, disse:
1) che la mia bara sia trasportata a spalle, da nessun altro se non dai medici che non hanno saputo guarirmi;
2) che i tesori, gli ori e le pietre preziose conquistate ai nemici vengano sparse e disseminate a vantaggio del popolo, lungo la strada che porta alla mia tomba;
3) che le mie mani siano lasciate penzolare fuori della bara, alla chiara vista di tutti.

Uno dei generali, scioccato da queste strane ed inaudite ultime volontà del grande condottiero, chiese: Sire, qual è mai il motivo di tutto questo?
L'imperatore, con la voce ormai bassa e tremula, gli rispose:
1) voglio solo i medici a portarmi all'ultima mia dimora, per dimostrare a tutti che non hanno alcun potere di fronte alla malattia e alla morte;
2) voglio il suolo pubblico ricoperto dai miei tesori, perché la gente umile ne tragga qualche vantaggio, ma soprattutto per ricordare a tutti che i beni materiali, qui conquistati, qui restano;
3) voglio le mie mani penzolanti al vento, perché la gente capisca che a mani vuote veniamo e a mani vuote andiamo via.

Questo episodio ci ricorda e ci insegna che il regalo più prezioso che abbiamo nella nostra vita è il tempo. Possiamo conquistare, possiamo costruire case e palazzi, possiamo dipingere più quadri e scrivere più romanzi, possiamo accumulare più ricchezze, ma non possiamo produrre più tempo.
E' per questo che, quando dedichiamo quel po' di tempo che abbiamo e quel po' che ci rimane a un animale, a un'idea, a una persona che amiamo, alla gente che comprendiamo e rispettiamo... facciamo una grande opera. Il miglior regalo che possiamo fare a qualcuno è, dunque, quello di dedicargli il nostro tempo.

Varie presentazioni trovate in rete attribuiscono questo testo ad Alessandro Magno, ma non ci sono elementi fondati per affermarlo con certezza.

tempovitaricchezzamortesenso della vita

4.3/5 (4 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

20. Scacco alla morte   1

Nardo Masetti

Un uomo molto ricco sta facendo il calcolo di tutti i suoi beni: può veramente felicitarsi con se stesso. Ha tribolato tutta la vita, ha lavorato come un dannato, ma ora potrà vivere sontuosamente per tutto il resto dei suoi giorni. Ode improvvisamente un tocco delicato alla porta: si tratterà, come al solito, del suo cameriere che viene per augurargli la buona notte. Dice un abituale "Avanti!". Non è il servitore ma un personaggio che davvero non si sarebbe aspettato né così presto né in quel momento: la morte. Terrorizzato la supplica di attendere un giorno... un'ora, affinché possa mettere a posto le sue cose. Da tanto tempo non ha più pensato a Dio; come si fa a comparirgli davanti all'improvviso in uno stato simile?! La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso di lui, gli tocca una spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dal campanile scoccano le ventuno.

In una soffitta di una vecchia casa un uomo sta armeggiando con alcuni attrezzi, che ripone in una borsa di logora stoffa. Quella sarà la sua notte. Ha stentato tutto una vita, ma questa volta, se il colpo riuscirà, potrà vivere da ricco e levarsi tutte le soddisfazioni. Con due colleghi ha studiato il piano alla perfezione; ancora poche ore e poi via, con passaporti falsi verso un altro mondo. Sente bussare leggermente alla porta: saranno i colleghi. No, è la morte. L'uomo, oltre che terrorizzato, si mostra anche stizzito e protesta: "Tante volte ti ho desiderata, stanco della mia vita grama e mai sei venuta; ora che sto per cominciare a godere, lasciami la possibilità di gustare un solo giorno della nuova vita... almeno un'ora... almeno qualche minuto per pensare a Dio". La morte non risponde, ma continua ad avanzare verso l'uomo, lo tocca sulla spalla e compie inesorabilmente il suo ufficio. Dalla torre civica scoccano le ventidue.

Nel suo studio il vecchio vescovo sta riordinando le sue cose prima del riposo. Sente bussare alla porta: è la morte. Si alza e le va rispettosamente incontro, come è solito fare con ogni persona che vada da lui in udienza. Le dice: "A dire il vero non ti aspettavo questa sera; comunque sì la benvenuta". La morte si meraviglia: questo uomo non ha paura, non supplica, non ha nulla da chiedere; con titubanza avanza verso di lui. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventitré. La morte si ferma di scatto e, con un senso di smarrimento, controlla il suo orologio: sono veramente le ventitre. Confusa e incredula si scusa col vescovo: "Non mi è mai capitato di arrivare con un'ora di anticipo; tornerò fra un'ora, l'appuntamento è stabilito per la mezzanotte". Il vescovo la prega di fermarsi e, visto che ormai è lì, dichiara la sua disponibilità a partire in anticipo. La morte afferma che non può; ha ordini tassativi. Allora lui propone di trascorrere l'ora giocando una partita a scacchi, visto che non ha nulla da preparare per il viaggio eterno, avendo cercato di provvedervi, giorno dopo giorno, da moltissimo tempo. È una partita equilibrata, ma alla fine il vescovo, con una mossa pensata ed astuta, dà scacco matto la morte che, rassegnata sorride e allarga le braccia in segno di resa. Dalla torre della cattedrale scoccano le ventiquattro. I due personaggi si alzano e sotto braccio, come due buoni amici, escono dalla porta dello studio.

mortesenso della vitavigilanza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Nardo Masetti, inserito il 08/07/2011

TESTO

21. Don Camillo non ti crucciare

Giovannino Guareschi, Tutto don Camillo, volume primo, pag. 248

..."Pioverà, pioverà, don Camillo" lo rassicurò il Cristo. "E' sempre piovuto da che mondo è mondo. La macchina è combinata in modo tale che, a un bel momento, deve piovere. O sei del parere che l'Eterno abbia sbagliato nell'organizzare le cose dell'universo?".

Don Camillo si inchinò. "Sta bene" disse sospirando. "Capisco perfettamente quanto sia giusto quello che voi dite. Però che un povero prete di campagna non possa neanche permettersi di chiedere al suo Dio di far venire giù due catinelle d'acqua, perdonate, ma è sconfortante."

Il Cristo si fece serio. "Hai mille ragioni don Camillo. Non ti resta che far anche uno sciopero di protesta." Don Camillo ci rimase male e si allontanò a capo chino, ma il Cristo lo richiamò.

"Non ti crucciare, don Camillo" sussurrò il Cristo. "Lo so che il vedere uomini che lasciano deperire la grazia di Dio (era in atto uno sciopero degli lavoratori agricoli e la roba del raccolto e degli allevamenti cominciò ad intristire) è per te peccato mortale perché sai che sono sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Ma bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perché non hanno più fede nella giustizia divina, e ricercano affannosamente i beni della terra perché non hanno fede nella ricompensa divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede, e le macchine volanti sono per essi gli angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di fare diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza perché, se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose e l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. Ma il tuo Dio non è fatto di numeri, don Camillo, e nel cielo del tuo Paradiso volano gli angeli del bene. Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull'infinito e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. E odierà le macchine che hanno ridotto il mondo a una manciata di numeri e le distruggerà con le sue stesse mani. Ma ci vorrà del tempo ancora, don Camillo. Quindi rassicurati: la tua bicicletta e il tuo motorino non corrono per ora nessun pericolo".

Il Cristo sorrise e don Camillo lo ringraziò di averlo messo al mondo.

progressofedeumanitàscienzasenso della vita

inviato da Osvaldo Pozzi, inserito il 11/01/2011

TESTO

22. Eucarestia

R. Muscolo, Meditatio Mea

Gesù è presente in te, se sei in grazia di Dio, come sta nel tabernacolo. Sia il tuo cuore lampada sempre accesa. Che guadagna Gesù stando nel tabernacolo? Niente. Al contrario, perde molto, dato che si è reso oggetto di molte irreverenze, o, peggio ancora, sacrilegi.

Gesù sta lì per noi. Vuoi parlargli? Non ti fa attendere; non rimanda l'incontro per un altro momento; non ti dice di sbrigarti perché ha fretta, né che gli chiedi troppo. Vuoi invitarlo a venire in te? È disposto ad accettare il tuo invito e non ti chiede grandi sacrifici, si accontenta di un po' di amore sincero. Ti potrà mancare tutto in questo mondo: salute, beni materiali, famiglia e amici; ma Gesù sarà sempre tuo, se tu lo vuoi. Quando Gesù, quell'ultimo giovedì della sua vita mortale, istituiva il Mistero eucaristico, volle sintetizzare in esso tutto il suo amore. Amore al Padre, la cui volontà compiva, amore per gli uomini, al cui servizio si metteva per sempre, nonostante tanta ingratitudine; amore per te in particolare, le cui comunioni e visite, non sempre ben fatte, vide allora. Sei disposto ad amarlo quanto ti ama lui?

eucaristiacomunioneGesùmessarapporto con Diogiovedì santo

inviato da P. Pier Luca Bancale, inserito il 11/08/2010

TESTO

23. Caro Gesù bambino, non ti chiedo...

Liana Paciaroni

Caro Gesù bambino,
il nostro sacerdote mi ha chiesto una preghiera speciale per questo giorno speciale...
Ma io non so dove cominciare perché sia davvero degna di te.
Caro Gesù bambino,
non ti chiedo che ogni bimbo possa avere un bacio dalla sua mamma,
ma che ogni mamma con un bacio possa trasmettere ad ogni bimbo il grande amore che nutre per lui.
Non ti chiedo che le coppie in rottura possano riappacificarsi,
ma che ognuno possa amare i difetti del compagno arrivando a fare della felicità dell'altro lo scopo di una vita insieme.
Non ti chiedo che i bambini non siano più vittime di pedofilia e le donne non più vittime di violenza,
ma che il sesso esista solo come massina espressione dell'amore fra due sposi.
Non ti chiedo che i giovani di oggi non siano più sballati dall'alcool e dalla polvere bianca,
ma che possano scoprire i valori essenziali della vita,
aiutandosi con amore fraterno nella scuola, nel lavoro e nel divertimento.
Non ti chiedo che i paesi più poveri possano avere cibo per sopravviere ,
ma che l'amore generoso dei popoli ricchi li aiutino a crescere in una vita accettabile e dignitosa.
Non ti chiedo che finiscano le guerre e le lotte fra gli stati,
ma che tutti i popoli imparino ad accettarsi nelle loro differenze politiche e sociali e ad amarsi proprio perché diversi, ma tutti speciali.
Non ti chiedo che gli anziani, guardandosi indietro, vedano una vita di capitali e di successo,
ma che scoprano di aver tanto amato il prossimo.
Non ti chiedo un mondo perfetto e bellissimo,
ma che ognuno di noi sappia renderlo tale
amando lo splendore della natura che ci hai donato, il bagliore del sole che hai creato, lo sguardo di chi ci hai messo nella tortuosa strada della nostra esistenza.
Non ti chiedo di non essere attaccati ai beni materiali,
tu stesso ti sei fatto materia per noi,
ma che ogni uomo possa comprendere e attendere
qualcosa di più importante e prezioso oltre il materiale
perché la nostra vita non sia nauseante e vuota
ma abbia mille motivi per essere pienamente vissuta.
Caro Gesù bambino,
non so se la mia preghiera ti piace
ma io riesco a chiederti solo amore.
Quell'amore perfetto e totale che proprio tu ci hai insegnato
ma che per noi è tanto difficile da capire.
Quel sentimento così importante da essere il perno di ogni esistenza,
da essere quel battito in più che muove ogni cuore.
L'amore per l'uomo, per la società, per la comunità della Chiesa, per la comunità degli uomini, l'amore per il Signore nostro Dio, il Creatore e il Redentore.
Caro Gesù bambino,
ti prego,
perché il mondo possa finalmente cambiare
insegnaci ad amare.
Ma di un amore che sia solo tanta gioia di donare,
incuranti di ricevere.

preghieraamore

inviato da Liana Paciaroni, inserito il 21/11/2009

TESTO

24. Le beatitudini oggi   1

Tonino Bello, Alle porte del regno

Ce l'hanno spiegata con mille sfumature, e vien quasi da pensare che ogni biblista abbia un suo modo di leggere questa pagina delle beatitudini: l'unica che vorremmo salvare, se di tutti i libri della terra si dovesse sottrarre all'incendio solo il Vangelo e di tutto il Vangelo si dovesse preservare dalle fiamme soltanto una sequenza di venti righe.

Si intuisce subito che queste parole pronunciate da Gesù nascondono promesse ultraterrene.

Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero. Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni. Traducono, come nessun altro frasario umano, le nostre nostalgie di futuro, e ci proiettano verso quei cieli nuovi e terre nuove in cui la settimana si accorcia a tal punto da conoscere solo il sabato eterno.

Imprigionano il "non ancora" - sempre abbozzato e mai esploso pienamente - di quel "risus paschalis" che ora sperimentiamo solo nella smorfia delle nostre troppo rapide convulsioni di letizia per cedere subito il posto all'amarezza del pianto.

Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c'è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso "regno dei cieli", la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità. Sì, Gesù vuol dare una risposta all'istanza primordiale che ci assedia l'anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. E' l'unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l'uomo. Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale.

Beati: provocazione all'impegno

Che cosa significhi il termine "beati" è difficile spiegarlo.

C'è chi ha voluto specularci sopra, capovolgendo addirittura il senso delle parole del Signore per utilizzarle a scopi di imbonimento sociale. Quasi Gesù avesse inteso dire: state buoni, poveri, perché la misura della vostra felicità futura sarà inversamente proporzionale alla misura della vostra felicità presente. Anzi, quante più sofferenze potete collezionare in questa vita, tanto più vi garantite il successo nell'altra.

E' questo un modo blasfemo di leggere le beatitudini, perché spinge i poveri all'inerzia, narcotizza i diseredati della terra con le lusinghe dei beni del cielo, contribuisce a mantenere in vigore un ordine sociale ingiusto e, in un certo senso, legittima la violenza di chi provoca il pianto degli oppressi dal momento che a costoro, proprio per mezzo delle lacrime, viene offerto il prezzo per potersi pagare, in contanti, il regno di Dio. C'è invece, chi ha visto nella formulazione delle beatitudini un incoraggiamento rivolto ai poveri, agli afflitti, agli umili, ai piangenti, ai perseguitati... per sostenerli con la speranza dei beni del cielo. Quasi Gesù avesse inteso dire: se a un certo punto vi sentite sfiniti per le ingiustizie che patite, tirate avanti lo stesso e consolatevi con le promesse della felicità futura. Guardate a quel che vi toccherà un giorno, e questo miraggio di beatitudine vi spronerà a camminare, così come il desiderio del riposo accelera e sostiene i passi di chi, stanchissimo, sta tornando verso casa.

Anche questo è un modo stravolto di leggere le beatitudini. Meno delittuoso del primo, ma pur sempre alienante e banale. Perché punta sull'idea della compensazione. Perché con la lusinga della meta, non spinge la gente a mutare le condizioni della strada. Perché se non proprio a rassegnarsi, induce a relativizzare la lotta, ad arrendersi senza troppa resistenza, a vedere i segni della ineluttabilità perfino dove sono evidenti le prove della cattiveria umana e a leggere i soprusi dell'uomo come causa di forza maggiore.

E c'è finalmente, il modo legittimo di leggere le beatitudini. Che consiste, essenzialmente, nel felicitarsi con i senzatetto e i senza pane, come per dire: complimenti, c'è una buona notizia! Se tutti si son dimenticati di voi, Dio ha scritto il vostro nome sulla palma della sua mano, tant'è che i primi assegnatari delle case del regno siete voi che dormite sui marciapiedi, e i primi a cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi che ora avete fame.

Felicitazioni a voi che, a causa della vostra mitezza, vi vedete sistematicamente scavalcati dai più forti o dai più furbi: il Signore non solo non vi scavalca nelle sue graduatorie ma vi assicura i primi posti nella classifica generale dei meriti.

Auguri a tutti voi che state sperimentando l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri: c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi, e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia.

Rallegratevi voi che, in un mondo sporco di doppi sensi e sovraccarico di ambiguità camminate con cuore incontaminato, seguendo una logica che appare spesso in ribasso nella borsa valori della vita terrena ma che sarà un giorno la logica vincente.

Su con la vita voi che, sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile anche sulla terra: non lasciatevi scoraggiare dal sorriso dei benpensanti, perché Dio stesso avalla la vostra testardaggine.

Gioia a voi che prendete batoste da tutte le parti a causa della giustizia: le vostre cicatrici splenderanno un giorno come le stimmate del Risorto!

Perché di essi sarà...

Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.

Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace... siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei "poveri", ci interessa fino a un certo punto.

E neppure ci interessa molto sapere se i poveri "in spirito" siano una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.

Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.

Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta... vengono presentate come partecipazione all'esperienza pasquale di Cristo che, attraverso la morte, è entrato nella gloria.

E allora; se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il Cristo l'archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di risurrezione!

La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo, queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le "chances" della loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera espressiva che non lascia dubbi interpretativi: "...perché di essi sarà..."

Quel "...perché di essi sarà..." rappresenta il titolo giuridico di possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di avere non solo la "legittima" ma l'intero asse patrimoniale del regno. E' un passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno può avere il coraggio di impugnare. E', insomma, il timbro a secco che autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito notarile.

La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte all'eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o, almeno, i poveri dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi.

Insomma, o ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri, o ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri.

Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel "Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".

E' la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello delle beatitudini, che sorregge quell'arcata di impegno che ha la chiave di volta nell'opzione dei poveri.

Beati o benedetti

Veniamo a sapere, dunque, che, come titolo valido per l'usufrutto del regno, esiste un'alternativa al titolo di "povertà": quello della "solidarietà" con i poveri. Diventare, cioè, così solidali con loro da esserne il prolungamento. Fare tutt'uno con loro, così da esserne considerati quasi la protesi.

Se si vuole entrare nel regno della felicità perciò occorre vistare il passaporto o col titolo di "beati" o col titolo di "benedetti".

E' splendida l'esortazione che al termine della messa nuziale viene pronunciata sugli sposi: "Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre".
"Beati... perché di essi sarà...".
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi..."

Non potrà mai dimenticare lo stupore di Mons. Gasparini, vescovo missionario nel Sidamo, quando un giorno, indicandomi un gruppo di bambini etiopi, dagli occhi sgranati per fame, dalle gambe filiformi, devastati dalle mosche sul corpo scheletrito, mi disse quasi sottovoce: "Vedi: che questi bambini siano figli di Dio non mi sorprende più di tanto. E neppure che siano fratelli di Gesù Cristo. Ma ciò che mi sconcerta e mi esalta è che questi poveri siano eredi del paradiso! Sembra un assurdo. Ma è proprio per annunciare quest'assurdo, che sono felice di aver speso tutta la mia vita in mezzo a questa gente". "Beati... perché di essi..."
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi...".

Il Signore ci conceda che, nel mazzo delle carte d'identità racchiuse da quei due pronomi personali, un giorno, col visto d'ingresso, poco importa se con la sigla "beati" o con la sigla "benedetti", egli possa trovare anche la nostra.
E ci riconosca. Alle porte del regno.

beatitudiniregno di Diobeatipovertàsolidarietà

inviato da Qumran2, inserito il 06/08/2009

TESTO

25. Maria, donna di parte   1

Tonino Bello

No, non fu neutrale. Basta leggere il Magnificat per rendersi conto che Maria si è schierata. Ha preso posizione, cioè dalla parte dei poveri, naturalmente.

Degli umiliati e offesi di tutti i tempi. Dei discriminati dalla cattiveria umana e degli esclusi dalla forza del destino. Di tutti coloro, insomma, che non contano nulla davanti agli occhi della storia.

Non mi va di avallare certe interpretazioni che favoriscono una lettura puramente politica del Magnificat quasi fosse, nella lotta continua tra oppressi e oppressori, una specie di marsigliese ante litteram del fronte cristiano di liberazione.

Significherebbe ridurre di gran lunga gli orizzonti dei sentimenti di Maria, che ha cantato liberazioni più profonde e durature di quelle provocate dalle semplici rivolte sociali. I suoi accenti profetici, pur includendole, vanno oltre le rivendicazioni di una giustizia terrena, e scuotono l'assetto di ben più radicali iniquità.

Sta di fatto, però, che, sul piano storico, Maria ha fatto una precisa scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti, ha deciso di giocare con la squadra che perde. Ha scelto di agitare come bandiera gli stracci dei miserabili e non di impugnare i lucidi gagliardetti dei dominatori.

Si è arruolata, per così dire, nell'esercito dei poveri. Ma senza roteare le armi contro i ricchi. Bensì, invitandoli alla diserzione. E intonando, di fronte ai bivacchi notturni del suo accampamento, perché le udissero dall'alto, canzoni cariche di nostalgia. Ha esaltato, così, la misericordia di Dio. E ci ha rivelato che è partigiano anche lui, visto che prende le difese degli umili e disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; stende il suo braccio a favore dei deboli e fa rotolare i violenti dai loro piedistalli con le ossa in frantumi; ricolma di beni gli affamati e si diverte a rimandare i possidenti con un pugno di mosche in mano e con un palmo di naso in fronte.

Qualcuno forse troverà discriminatorio questo discorso, e si chiederà come possa conciliarsi la collocazione di Maria dalla parte dei poveri con l'universalità del suo amore e con la sua riconosciuta tenerezza per i peccatori, di cui i superbi, i prepotenti e i senza cuore sono la razza più inquietante.

La risposta non è semplice. Ma diventa chiara se si riflette che Maria non è come certe madri che, per amor di quieto vivere, danno ragione a tutti e, pur di non creare problemi, finiscono con l'assecondare i soprusi dei figli più discoli. No. Lei prende posizione. Senza ambiguità e senza mezze misure. La parte, però, su cui sceglie di attestarsi non è il fortilizio delle rivendicazioni di classe, e neppure la trincea degli interessi di un gruppo. Ma è il terreno, l'unico, dove lei spera che un giorno, ricomposti i conflitti, tutti i suoi figli, ex oppressi ed ex oppressori, ridiventati fratelli, possano trovare finalmente la loro liberazione.

MariaMadonnamagnificatpovertàpoverisconfittadebolidebolezza

inviato da Federica Mancinelli, inserito il 06/08/2009

PREGHIERA

26. Maria, donna del pane   1

Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni, Edizioni San Paolo

Santa Maria, donna del pane, da chi se non da te, nei giorni dell'abbondanza con gratitudine e nelle lunghe sere delle ristrettezze con fiducia, accanto al focolare che crepitava senza schiuma di pentole, Gesù può avere appreso quella frase del Deuteronomio (8,3), con cui il tentatore sarebbe stato scornato nel deserto: "Non di sol pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio?".

Ripeticila, quella frase, perché la dimentichiamo facilmente. Facci capire che il pane non è tutto. Che i conti in banca non bastano a renderci contenti. Che la tavola piena di vivande non sazia, se il cuore è vuoto di verità. Che se manca la pace dell'anima, anche i cibi più raffinati sono privi di sapore.

Perciò, quando ci vedi brancolare insoddisfatti attorno alle nostre dispense stracolme di beni, muovi a compassione di noi, placa il nostro bisogno di felicità e torna a deporre nella mangiatoia, come quella notte facesti a Betlemme, "il pane vivo disceso dal cielo" (Gv 6,51).

Perché solo chi mangia di quel pane non avrà più fame in eterno.

Mariabisognibeni materialibeni spiritualiinterioritàesterioritàricchezzapace dell'animainsoddisfazioneeucaristiaGesù

inviato da Cristina Catapano, inserito il 18/07/2009

TESTO

27. Il cuore cherubico   2

Pavel Aleksandrovič Florenskij, Il cuore cherubico, Piemme 1999

In ciascuno di noi c'è qualcosa di simile ad un cherubino, qualcosa di somigliante all'angelo divino dai molti occhi, come una coscienza.

Ma questa somiglianza non è esteriore, né apparente. La somiglianza con il cherubino è interiore, misteriosa e nascosta nel profondo dell'anima.

E' una somiglianza spirituale. C'è un grande cuore cherubico nella nostra anima, un nucleo angelico dell'anima, ma esso è nascosto nel mistero ed è invisibile agli occhi della carne.

Dio ha messo nell'uomo il suo dono più grande: l'immagine di Dio. Ma questo dono, questa perla preziosa, si nasconde negli strati più profondi dell'anima: chiuso in una rozza conchiglia, fangosa, giace sepolto nel limo, negli strati più profondi dell'anima.

Tutti noi siamo come dei vasi di argilla colmi d'oro scintillante. Di fuori siamo anneriti e macchiati, dentro invece siamo risplendenti di una luce radiosa.

Il tesoro di ognuno di noi è sepolto nel campo della nostra anima. E se qualcuno trova il proprio tesoro, allora trattiene il respiro, abbandona tutti i suoi affari per poterlo portare alla luce. In questo sta la più grande felicità, il bene supremo dell'uomo. In questo consiste la sua gioia eterna.

Il regno dei cieli è la parte divina dell'anima umana. Trovarla in se stessi e negli altri, convincersi con i propri occhi della santità della creatura di Dio, della bontà e dell'amore delle persone, in questo sta l'eterna beatitudine e la vita eterna.

Chi l'ha gustata una volta è pronto a scambiare con essa tutti i beni personali. La perla che il mercante cercava non è lontana, l'uomo la porta con sé ovunque, solo che non lo sa.

E ognuno di noi va angosciato per il mondo, pur avendo un tesoro dentro di sé molto spesso crede che una simile perla sia in qualche posto lontano. Beato colui che vede il suo tesoro! Ma chi è in grado di vederlo? Chi vede la sua perla?

Le cose terrene le vede solo colui che ha un occhio corporeo puro; le cose celesti le vede solo colui che ha puro l'occhio celeste, il cuore. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio, lo vedranno nel proprio cuore e in quello altrui; lo vedranno non solo in futuro, ma anche in questa vita, lo vedranno adesso.
Basta solo che purifichino il loro cuore!

vitafelicitàcuoreimmagine di Diosomiglianza con Diotesororicerca di sensoricerca di Diointerioritàesteriorità

inviato da Suor Maria Roberta Tiberio O.S.B., inserito il 16/07/2009

TESTO

28. La felicità è alla nostra portata

San Giovanni Maria Vianney

Coloro che vivono secondo il mondo ritengono sia troppo difficile salvarsi. Eppure non vi è nulla di più facile: basta osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa ed evitare i sette peccati capitali; oppure, se preferite, fare il bene ed evitare il male; tutto qua!

I buoni cristiani che si danno da fare per salvare la propria anima sono sempre felici e contenti: godono anticipatamente della felicità del cielo e saranno felici per l'eternità. I cattivi cristiani, invece, quelli che si dannano, sono da compatire: mormorano, sono tristi e lo saranno per l'eternità.

Un buon cristiano, un avaro del cielo, tiene in poco conto i beni terreni: egli pensa soltanto a render bella la propria anima, ad accumulare ciò che lo renderà felice in eterno, ciò che dura in eterno. Guardate i re, gli imperatori, i grandi della terra: sono molto ricchi, ma sono contenti? Se amano il buon Dio, sì; ma se non lo amano, no, non sono contenti. Personalmente trovo che non vi sia nulla di più triste dei ricchi, quando non amano il buon Dio.

Andate pure di continente in continente, di regno in regno, di ricchezza in ricchezza, di piacere in piacere: non troverete la felicità che cercate. La terra e quanto contiene non possono appagare un'anima immortale più di quanto un pizzico di farina, in bocca ad un affamato, possa saziarlo.

salvezzafelicità

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inviato da Parrocchia S. Giovanni M. Vianney - Roma, inserito il 26/06/2009

TESTO

29. Povertà è libertà

Armido Rizzi, Scandalo e beatitudine della povertà

L'uomo evangelico, davanti ai beni che ha, sta vigilante perché non nasca in lui il "mio".

povertàvangelopossessoricchezza

inviato da Enrico Avveduto, inserito il 17/06/2009

RACCONTO

30. Il club del novantanove   6

Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali

C'era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto. «Paggio», gli chiese un giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?».

«Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto».

Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!».
«Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi, puoi sottrargliela».
«Come?».
«Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove».
«Che cosa significa?».
«Fa' quello che ti dico...».

Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d'oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva: «Questo tesoro è tuo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato».

Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta... novantanove! Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. «Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Maledetti!».

Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili... Ma non trovò quello che cercava.

Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d'oro. Soltanto novantanove. «Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero completo» pensava. «Cento è un numero completo, novantanove no».

La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.

Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l'avrebbe fatta! Il paggio era entrato nel giro del novantanove...

Non passò molto tempo che il re lo licenziò. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.

E se ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro. E che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove. È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati. Un tranello per non farci mai smettere di spingere.

Quante cose cambierebbero se potessimo goderci i nostri tesori così come sono.

tesorodenarocupidigiaavariziafelicitàinterioritàesterioritàgratitudinesoldibeni materiali

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inserito il 25/11/2007

PREGHIERA

31. La preghiera del cane   2

Pino Pellegrino

O Signore di tutte le creature,
fa' che l'uomo, mio padrone,
sia così fedele verso gli altri uomini
come io gli sono affezionato.
Fa' che egli custodisca onestamente i beni
che tu gli affidi
come io onestamente custodisco i suoi.
O Signore di tutte le creature,
fa' che come io sono sempre
veramente un cane,
egli sia sempre veramente un Uomo.
Amen!

umanitàuomoonestà

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inviato da Antonietta Nobile, inserito il 18/08/2007

PREGHIERA

32. Inno allo Spirito Santo

Simeone Nuovo Teologo, (Sec. XD.C.)

Vieni, luce vera. Vieni, vita eterna. Vieni, mistero nascosto.
Vieni, tesoro senza nome. Vieni, realtà ineffabile.
Vieni, persona che nessuna mente può comprendere.
Vieni, felicità senza fine. Vieni, luce senza tramonto.
Vieni, speranza vera di quanti saranno salvati.
Vieni, risveglio di chi dorme. Vieni, risurrezione di chi è morto.
Vieni, o Potente, o tu che tutto fai, rifai e trasformi col solo tuo volere.
Vieni, invisibile, del tutto intangibile...
Vieni, gioia eterna.
Vieni, consolatore perfetto della povera anima mia.
Vieni, dolcezza, gloria, mio gaudio senza fine.
Ti ringrazierò d'esserti fatto per me luce inestinguibile,
sole senza tramonto perché non hai dove nasconderti,
tu che riempi l'universo della tua gloria...
Vieni, Signore, stabilisci oggi in me la tua tenda,
poni lì la tua abitazione, rimani per sempre, senza separarti,
fino alla fine in me, tuo servo, tu che sei buono,
perché al mio uscire e dopo la mia uscita da questo mondo io sia ritrovato in te e regni con te, Dio al di sopra di tutto...
e fa' che, guardandoti senza interruzione, io che sono morto, viva;
possedendoti, io povero diventi ricco;
e sarò più ricco di tutti i re;
mangiando e bevendo te, e rivestendomi a suo tempo di te,
io mi trovi tra gli ineffabili beni,
e vi sarò godendo pienamente.
Poiché tu sei tutto bene, tutta gloria, tutto gaudio.
A te conviene la gloria, consustanziale e vivificante Trinità,
venerata, confessata, adorata e servita da tutti i fedeli,
ora e sempre, e per i secoli dei secoli. Amen.

Spirito Santopentecoste

inviato da Qumran2, inserito il 24/05/2007

PREGHIERA

33. Giunga a te la mia preghiera   2

S. Agostino

Giunga a te la mia preghiera,
che guizza come saetta dal desiderio
che nutro per i tuoi beni eterni.
Io la innalzo al tuo orecchio:
aiutala,
affinché ti raggiunga e non venga meno a metà della mia corsa,
né ricada a terra o vada perduta.
Anche se per ora non mi vedo arrivare i beni che chiedo,
sono tranquillo,
perché so che verranno più tardi...
Io gridavo anche di notte e tu non mi esaudivi.
Ma anche questi tuoi dinieghi nell'esaudirmi
non erano per confondermi ma per rendermi più saggio:
perché io capissi ciò che ti avrei dovuto chiedere.
Ti pregavo infatti per delle cose che,
se le avessi ricevute,
sarebbero state a mio danno.
Dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi.
Ogni mia speranza è posta
nell'immensa grandezza della tua misericordia.
Da' ciò che comandi e comanda ciò che vuoi...
O amore,
che sempre ardi senza mai estinguerti,
carità, Dio mio, infiammami!

preghierapregare

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/10/2006

TESTO

34. Missione-vocazione

Madeleine Delbrel

Le due vie sono sempre esistite.
Sempre il Signore dirà agli uni: "A causa di me e del mio amore tu avrai una moglie, dei figli, una casa, dei beni da amministrare da parte mia nel mondo".
Sempre il Signore dirà agli altri:
"Tu non avrai che me e io sarò il tuo tutto".
Sempre il Signore dirà agli uni:
"Io so ciò che ti conviene, ti darò ogni giorno la tua pena il tuo pane quotidiano, perché dovunque tu sarai ci sia anche la mia croce".
Sempre il Signore dirà agli altri:
"Prendi la tua croce e seguimi".
Prendila con le tre braccia della povertà, dell'obbedienza e della castità.
Perché? Perché questo io voglio: che tu mi ami e che noi amiamo il mondo insieme.
La maggior parte di coloro ai quali Cristo tiene un tal discorso stanno sotto vesti scure, bianche o nere, discepoli d'un santo che fu attraverso il tempo compagno di strada del Signore.
Altri sono persone come voi e come me, persone affondate il più a fondo possibile nello spessore del mondo, separate da questo mondo da nessuna regola nessun voto nessun abito nessun convento.
Povere, ma simili alle persone d'ogni luogo. Pure, ma simili a persone di qualsiasi ambiente.
Obbedienti, ma simili a persone di qualsiasi paese.
Sono per tutto e per tutti: ne troverete che insegnano, che emanano leggi, che curano e consolano, che lavorano in officina.
Per essi un mondo vale l'altro e un'anima un'altra anima. Ma non tediateli con metodi e tecniche.
Non dite loro: "Qui è meglio aver l'aria un po' ricca: riuscirete meglio"; "Là è meglio sposarvi, sarete un apostolo migliore"; o ancora: "Sappiate ciò che volete, e mirateci".
Essi vi risponderanno:
"Non si possono seguire due strade. Ci date delle ricette che non fanno per noi".
Se noi siamo un po' malconci, se noi facciamo in questo mondo la figura degli accampati, è perché la nostra ricetta è di non possedere altro che il Signore. Se noi non abbiamo focolare, se a casa nostra né marito né moglie né figli ci attendono, è perché il Signore ci possiede e da Lui solo noi vogliamo essere posseduti.
Se noi non abbiamo programma è perché il nostro Padre del Cielo l'ha scritto prima per noi e ci basta ricevere i suoi ordini giorno per giorno.
Non dite loro che la croce è dannosa, un po' morbosa e un po' malsana, che il mondo ha bisogno di ritrovare il volto della gioia e non dei penitenti.
Vi risponderanno:
"Noi vi parleremo della gioia quando l'avremo imparata sulla croce dove ritroviamo il nostro amore.
La nostra gioia è d'un prezzo così esorbitante che è stato necessario per acquistarla vendere ciò che possedevamo e tutto noi stessi".
Quelli della prima chiamata, devono essere numerosi, perché il mondo è grande e il suo battesimo è lungo.
Ma quelli della seconda chiamata, bisogna che ve ne siano almeno alcuni per dare agli uomini, questi adulti fanciulli, l'edizione visiva della vita di Gesù:
Gesù, che è la "Missione" stessa.

missionevocazionelaicitàconsacrazionelaici

inviato da Cristina, inserito il 18/07/2006

PREGHIERA

35. Il desiderio di Dio

Sant'Anselmo, Proslògion, 1

Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po' i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui.

Entra nell'intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di' ora con tutto tè stesso, di' ora a Dio: Cerco il tuo volto. ' II tuo volto, Signore, io cerco ' (Sal 26, 8).

Orsù dunque. Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te assente? Se poi sei dappertutto, perché mai non ti vedo presente? Ma tu certo abiti in una luce inaccessibile. E dov'è la luce inaccessibile, o come mi accosterò a essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà a essa sì che in essa io possa vederti? Inoltre con quali segni, con quale volto ti cercherò? O Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto.

Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormentato dall'amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tua abitazione è inaccessibile. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. Si impegna a cercarti e non conosce il tuo volto.

Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto. Tu mi hai creato e ricreato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancora non ti conosco. Io sono stato creato per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato creato.

Ma tu, Signore, fino a quando ti dimenticherai di noi, fino a quando distoglierai da noi il tuo sguardo? Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi e ci mostrerai la tua faccia? Quando ti restituirai a noi?

Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nulla senza te.

Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, ne trovarti

Se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.

desiderio di Dioricerca di Dio

inviato da Leo, inserito il 13/07/2006

TESTO

36. Dio è la nostra gioia   1

S. Agostino

In un corpo bello, nell'oro, nell'argento e in ogni altra cosa simile c'è un'attrattiva. La stessa vita che viviamo quaggiù ha un suo fascino, dovuto ad una certa bellezza sua propria nonché ai legami con tutte le piccole cose belle. Pure l'amicizia fra gli uomini è cosa dolce, con quel suo piacevole vincolo che lega molti animi facendone un essere solo.

Si commette peccato quando, anelando smoderatamente a queste cose o ad altre simili che sono beni di un valore minimo, si trascurano quelli di valore maggiore, anzi massimo: te, Signore nostro Dio, la tua Verità e la tua Legge.

Anche quei poveri beni danno soddisfazioni, ma non quanto il mio Dio che li ha creati tutti: in lui trova soddisfazione il giusto; egli è la gioia dei retti di cuore.

gioia in Diorapporto con Diopeccatopriorità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Leo, inserito il 13/07/2006

TESTO

37. La croce di Cristo, nostra salvezza

S. Teodoro Studita, Discorso sull'adorazione della croce; PG 99, 691-694, 695, 698-699

O dono preziosissimo della croce! Quale splendore appare alla vista! Tutta bellezza e tutta magnificenza. Albero meraviglioso all'occhio e al gusto e non immagine parziale di bene e di male come quello dell'Eden.

E' un albero che dona la vita, non la morte, illumina e non ottenebra, apre l'udito al paradiso, non espelle da esso.

Su quel legno sale Cristo, come un re sul carro trionfale. Sconfigge il diavolo padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del tiranno. Su quel legno sale il Signore, come un valoroso combattente. Viene ferito in battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato. Ma con quel sangue guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso.

Prima venimmo uccisi dal legno, ora invece per il legno recuperiamo la vita. Prima fummo ingannati dal legno, ora invece con il legno scacciamo l'astuto serpente. Nuovi e straordinari mutamenti! Al posto della morte ci viene data la vita, invece della corruzione l'immortalità, invece del disonore la gloria.

Perciò non senza ragione esclama il santo Apostolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14).

Quella somma sapienza che fiorì dalla croce rese vana la superba sapienza del mondo e la sua arrogante stoltezza. I beni di ogni genere, che ci vennero dalla croce, hanno eliminato i germi della cattiveria e della malizia. All'inizio del mondo solo figure e segni premonitori di questo legno notificavano ed indicavano i grandi eventi del mondo. Stai attento, infatti tu, chiunque tu sia, che hai grande brama di conoscere. Noè non ha forse evitato per sé, per tutti i suoi familiari ed anche per il bestiame, la catastrofe del diluvio, decretata da Dio, in virtù di un piccolo legno? Pensa alla verga di Mosè. Non fu forse un simbolo della croce? Cambiò l'acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi, percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse poi le acque del mare al loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece coloro che erano il popolo legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne, simbolo della croce, che fiorì in un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo. Anche Abramo prefigurò la croce quando legò il figlio sulla catasta di legna.

La morte fu uccisa dalla croce e Adamo fu restituito alla vita. Della croce tutti gli apostoli si sono gloriati, ogni martire ne venne coronato, e ogni santo santificato. Con la croce abbiamo rivestito Cristo e ci siamo spogliati dell'uomo vecchio. Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore.

crocesalvezzaredenzione

5.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 02/10/2005

PREGHIERA

38. Gesù l'unico amico

S. Claudio La Colombière

Gesù, sei tu, il solo e vero amico.
Tu non solo partecipi a ogni mia sofferenza, ma la prendi addirittura su di te e conosci il segreto per mutarmela in gioia.
Tu mi ascolti con bontà e quando ti racconto le mie amarezze non manchi di addolcirle.
Ti trovo dappertutto, non ti allontani mai e se sono costretto a cambiare residenza, ti trovo dovunque io vada.
Non soffri la noia nell'ascoltarmi; non ti stanchi mai di farmi del bene.
Se ti amo, sono sicuro di essere riamato; non hai bisogno dei miei beni, né ti impoverisci a darmi i tuoi.
Anche se sono un pover'uomo, nessuno (nobile, intelligente o santo che sia) potrà rubarmi la tua amicizia.
La stessa morte, che divide tutti gli amici, mi riunirà a te.
Tutte le avversità dell'età o del caso, non riusciranno mai ad allontanarmi da te;
Anzi al rovescio, non godrò mai tanto pienamente della tua presenza e tu non mi sarai mai tanto vicino, quanto il momento, nel quale tutto sembrerà cospirare contro di me.
Morendo, si resuscita alla vita.

Gesùamiciziarapporto con Dio

inviato da Anna Lollo, inserito il 07/01/2005

TESTO

39. Vivere d'amore

S. Teresa di Lisieux

Vivere d'amore, che strana pazzia!
Mi dice il mondo: smettila di cantare e bada a non sprecare i tuoi aromi, la tua vita, impiegali utilmente!
Ma amarti, Gesù, che feconda perdita! Ogni mio aroma è tuo, per sempre. E voglio cantare, lasciando il mondo: Io muoio d'amore!
Morir d'amore, ecco la mia speranza: quando vedrò spezzati i miei lacci, Dio sarà la mia gran ricompensa: non voglio altri beni. Son tutta presa del suo amore, e venga, dunque, a stringermi a sé per sempre. Ecco il mio cielo, il mio destino: Vivere d'amore.

amorevocazionerapporto con Dio

inviato da Massimo Di Lullo, inserito il 29/07/2004

TESTO

40. Dare

Ogni uomo che ti cerca, viene per chiederti qualche cosa;
il ricco annoiato, la dolcezza della tua conversazione;
il povero, il tuo danaro; il triste, un po' di consolazione;
il debole, uno stimolo; colui che lotta, uno stimolo morale;
l'ammalato, un vero sollievo.
Ogni uomo viene per chiederti qualcosa.
E tu, ti permetti di perdere la pazienza!
Tu osi pensare: "Che fastidio!". Che infelice!
La legge nascosta che distribuisce misteriosamente
le cose eccelse si è degnata di donarti
il privilegio dei privilegi, il bene dei beni,
la prerogativa delle prerogative: dare!
Tu puoi dare! Per quante ore ha il giorno tu dai;
benché sia un sorriso, benché sia una stretta di mano,
benché sia una parola di sollievo.
Per quante ore ha il giorno, tu rassomigli a Lui,
che altro non è se non donazione perfetta,
diffusione perfetta e regalo perpetuo.
Dovresti inginocchiarti davanti al Padre e dirgli:
"Grazie perché posso dare, Padre mio!
Mai passerà sul mio volto l'ombra dell'impazienza!".
"In verità vi dico che vale più dare che ricevere!".

donaregratuitàamorecaritàsolidarietàaltruismoascoltodisponibilità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 27/06/2003

RACCONTO

41. L'incidente   3

Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l'auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.

Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra macchina.

La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.

La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone. Cadde fuori un pezzo di carta.

In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: "In caso di incidente..., ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!"

Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. Le persone contano, non le cose. Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l'organizzazione, l'efficienza materiale! Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incaraggiarsi, ridere, passeggiare...

Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio. Noi e la nostra capacità d'amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo...

Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. "Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?".
"Prendimi la mano" rispose il bambino.

interioritàamoreesterioritàbeni materialicoppiamatrimoniosposigenitorifiglifamigliaavariziadistaccolibertà interiore

inviato da Patrizia Traverso, inserito il 01/04/2003

TESTO

42. Il fiore all'anima   2

S. Agostino

Due sono le cose necessarie all'uomo,
da non disprezzare mai,
beni propri della natura umana:
la salute e l'amico.
La salute è il fiore all'occhiello della vita fisica.
L'amico è il fiore all'anima innamorata
dell'intera esistenza.

amiciziasalute

inviato da Anna Lianza, inserito il 31/03/2003

TESTO

43. Nabot possedeva una vigna

S. Ambrogio di Milano, De Nabuthae, 1.1

"Nabot possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab di Samaria..." (1 Re 21).
La storia di Nabot è antica per età, ma nel costume è quotidiana.
Quale ricco, infatti, non desidera ogni giorno avidamente i beni altrui?
Quale potente non pretende di cacciare via il povero dal suo piccolo podere e di togliere chi non ha mezzi dalla terra dei padri?
Chi è mai contento di quello che ha?
Quale ricco non sente accendersi l'animo dal desiderio di possedere i beni del vicino?
Sicché di Acab non ne è nato uno solo; e ciò che è peggio, Acab nasce ogni giorno e non muore mai a questo mondo.
Appena ne scompare uno, ne vengono fuori altri, in gran numero, e sono più quelli che rubano di quelli che accettano di rimetterci.
Ma neppure Nabot è l'unico povero che sia stato ucciso; ogni giorno un Nabot è prostrato, ogni giorno un povero viene ucciso.
Angosciata da questo timore la gente si ritira dalle sue terre e il povero, carico del suo pegno d'amore, emigra con i figli, mentre la moglie lo segue in lacrime, come se accompagnasse il marito al sepolcro.
Fin dove volete arrivare, o ricchi, con le vostre assurde cupidigie?
Pensate di rimanere soli ad abitare la terra?
Perché scacciate chi è compartecipe ai beni della natura e rivendicate per voi soli il possesso dei beni naturali?
La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché voi ricchi vi arrogate il diritto di proprietà del suolo?

ingiustiziaricchezzapovertà

inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002

RACCONTO

44. Il quarto Re Magio

Henry van Dyke, The Story of the Other Wise Man

I Magi, mentre scrutavano la volta celeste, scoprirono una nuova stella che brillò per una notte e poi sparì. Dopo qualche tempo, il cielo fu solcato da una scintilla blu che roteando emetteva splendore di porpora, finché divenne una sfera scarlatta con raggi lucenti e un vivissimo punto centrale bianco. Era il segnale della nascita del Re atteso da secoli. Lo videro i magi di Borsippa. Lo vide anche Artibano, che abitava a Ecbatana, distante dieci giorni di cammino.

Gaspare, Baldassare e Melchiorre decisero di partire per Gerusalemme. Anche Artibano, si preparò per il viaggio. Vendette tutti i suoi beni e acquistò uno zaffiro, un rubino e una perla da portare al Re e, montato in sella al velocissimo Vosda, galoppò verso Borsippa. Attraversò boschi, guadò fiumi, s'inerpicò per colline e montagne, quando a una svolta pericolosa trovò un moribondo abbandonato sulla strada.

Artibano saltò dal suo corsiero e, caricatosi l'infelice sulle spalle, lo adagiò sotto una palma, gli bagnò le labbra riarse, lo ristorò e il moribondo dopo qualche tempo aprì gli occhi. «Voglia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ricompensarti - disse - faccia prosperare il tuo viaggio fino a Betlemme, perché è lì che deve nascere il Messia, che tu vai cercando».

Artibano si rimise in cammino verso la mezzanotte... e alle prime luci dell'undicesimo giorno entrò in Borsippa, ma non trova i compagni. Essi avevano atteso 10 giorni, poi erano partiti lasciandogli un messaggio: «T'abbiamo aspettato sino alla mezzanotte..., seguici attraverso il deserto».

Arabano, allora, vende lo zaffiro, appalta una carovana e riprende il viaggio affrontando i pericoli e i disagi del deserto.

Giunse a Betlemme dopo tre giorni che i suoi compagni avevano deposto ai piedi del Re l'oro, l'incenso e la mirra... ed erano ripartiti per un'altra via.

Il villaggio pareva deserto: gli uomini erano nei campi e i ragazzi al pascolo delle greggi. Dalla parte di una casupola sulla strada udì una flebile nenia. Entrato vide una giovane madre. La donna ospitò il forestiero, ristorandolo e parlandogli di tre stranieri, vestiti come lui, giunti dall'Oriente poco prima, guidati da una stella al luogo dove abitava Giuseppe, la sua sposa e il Bambino. Essi l'avevano adorato lasciandogli in omaggio ricchi doni; ma poi erano spariti misteriosamente, come pure, in segreto, la notte successiva scomparve la Famiglia di Nazareth, dirigendosi forse in Egitto.

Artibano si diresse allora verso Ebron alla volta dell'Egitto. Egli sperava di raggiungere la Sacra Famiglia nelle oasi del deserto, sotto le palme o i sicomori, ma invano. Si spinse fino a Elaiopoli e a Menfi; percorse le rive fiorite dei Nilo, si aggirò tra le Piramidi dei Faraoni, all'ombra della sfinge; ma le sue ricerche non approdarono a nulla.

Scoraggiato e deluso tornò in Palestina nella speranza di poterli trovare. Dopo alcuni anni di peregrinazioni si rivolse ad un rabbino perché gli indicasse in quali paraggi avrebbe potuto incontrare il Messia. Il rabbino, preso un papiro, lesse: «Il Messia conviene cercarlo tra i poveri, tra gli umili, tra i sofferenti e gli oppressi».

A tali parole, Artibano vendette il rubino e si diede a nutrire gli affamati, a rivestire gli ignudi, a curare gli infermi, a visitare i carcerati. Passarono così trentatré anni da quando era partito in cerca della «Vera Luce». I suoi capelli, allora di un bel nero lucido, si erano fatti bianchi. Lacero ed esausto, ma tuttora in cerca del Re, era tornato per l'ultima volta a Gerusalemme nel periodo della Pasqua.

La città santa brulicava di gente, venuta dalle terre più lontane alla festa del Tempio. Era il venerdì della Parasceve... e nella folla si notava un'agitazione particolare. Egli, imbattutosi in un gruppo, domandò la causa del tumulto e dove andavano tutti. «Noi andiamo - risposero - al luogo dei Teschio fuori le mura, dove c'è la crocifissione di due malfattori e di un altro chiamato Gesù di Nazareth, il quale ha fatto molte opere prodigiose in mezzo al popolo ed ora è messo a morte perché si dice Figlio di Dio e Re dei Giudei».

Artibano pensò fra sé: «Non potrebbe essere quel Gesù, nato a Betlemme trentatré anni fa? Che abbia trovato finalmente il mio Re nelle mani dei suoi nemici? Arriverò in tempo almeno per offrire la mia perla per il suo riscatto, prima che Egli muoia?».

Così il buon vecchio seguì la moltitudine, quando, lungo la salita, una fanciulla di Ecbatana, riconosciutolo dal costume per suo connazionale, gli si avvicinò scongiurandolo in ginocchio: «Per amore del Dio della Purezza, abbi pietà di me; sono una misera schiava della tua stessa fede; salvami, ridandomi la libertà».

Il vecchio, non possedendo che un'unica perla, la consegnò alla sventurata concittadina per il suo riscatto.

Improvvisamente si udì un boato; la terra sussulta; il cielo si oscura; le mura delle case si spalancano e crollano; nuvole di polvere riempiono l'aria; soldati e popolo fuggono terrorizzati.

Artibano e la fanciulla si rifugiano sotto i loggiati del Pretorio. Una nuova scossa di terremoto, più violenta, fa cadere una pietra contro le tempie di Artibano, che traballa pallido, esanime.

La ragazza lo sostiene con le sue braccia, mentre il sangue scorre a rivoli dalla ferita. Non è morto, lo si sente pronunziare queste estreme parole: «Non così o mio Signore... quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? Assetato e ti porsi da bere? Quando mai ti vidi forestiero e ti ospitai? In carcere e ti visitai? Nudo e ti rivestii? Per ben trentatré anni ti ho cercato ansiosamente, ma non ho mai avuto la soddisfazione di poter contemplare il tuo volto, né di renderti il minimo servizio, o mio dolce Re!».

Artibano cessò di parlare. Ma un'altra voce si fece udire a suo conforto: «In verità in verità ti dico, che ogni volta che tu hai fatto ciò ai tuoi simili, ai miei fratelli, tu l'hai fatto a me». Un grande respiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Egli aveva finito il suo lungo viaggio. I suoi doni erano stati veramente graditi. Artibano, il quarto dei Magi aveva finalmente trovato il Re.

caritàamoreservizioparadisogiudizio universale

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inviato da Don Angelo, inserito il 24/11/2002

RACCONTO

45. L'unica strada

L'Angelo della Morte bussò un giorno alla casa di un uomo.
"Accomodati pure" disse l'uomo."Ti aspettavo".
"Non sono venuto per fare due chiacchiere", disse l'Angelo, "ma per prenderti la vita".
"E che altro potresti prendermi?"
"Non so. Ma tutti, quando giungo io, vorrebbero che io prendessi qualsiasi cosa, ma non la vita. Sapessi quali offerte mi fanno!".
"Non io. Non ho nulla da darti. Le gioie che mi sono state donate le ho godute. Mi sono divertito, ma senza fare del divertimento lo scopo della mia vita. Gli affanni, li ho affidati al vento. I problemi, i dubbi, le inquietudini li ho affidati alla provvidenza. Ho utilizzato i beni terreni solo per quanto mi erano necessari, rinunciando al superfluo. Il sorriso, l'ho regalato a quanti me lo chiedevano. Il mio cuore a quanti ho amato e mi hanno amato. La mia anima l'ho affidata a Dio. Prenditi dunque la mia vita, perché non ho altro da offrirti".
L'Angelo della Morte sollevò l'uomo fra le sue braccia e lo trovò leggero come una piuma. All'uomo la stretta dell'Angelo parve tenerissima. E il Signore spalancò le porte del Paradiso perché stava per entrarvi un santo...

Non esistono altre vie. L'unica strada per una vita piena, riuscita e felice è la strada della santità.

morteserenitàumanitàsantità

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 23/11/2002

TESTO

46. Educazione alla povertà   1

Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.

Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.

Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi".

E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".

Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare.

Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.

Proviamo a delinearne sommariamente tre.

Povertà come annuncio

A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona.

I beni della terra non sono maledetti. Tutt'altro. Neppure i soldi sono maledetti.

Continuare a chiamarli sterco del diavolo significa perpetuare equivoci manichei che non giovano molto all'ascetica, visto che anche i santi, di questo sterco, non hanno disdegnato di insozzarsi le tasche.

I beni della terra non giacciono sotto il segno della condanna. Per ciascuno di essi, come per tutte le cose splendide che nei giorni della creazione uscivano dalle mani di Dio, si può mettere l'epigrafe: "ed ecco, era cosa molto buona".

Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema.

Un po' come rinunciare a sposarsi in vista del Regno non significa disprezzare il matrimonio, ma annunciare che c'è un amore più grande di quello che germoglia tra due creature. Anzi, dichiarare che questo piccolo amore è stato scelto da Dio come segno di quell'altro più grande. Sicché, chi non si sposa sembra dire ai coniugi: "Splendida la vostra esperienza. Ma non è tutto. Essa è solo un segno. Perché c'è un'esperienza di amore ancora più forte, di cui voi attualmente state vivendo solo un lontanissimo frammento, e che un giorno saremo tutti chiamati a vivere in pienezza".

Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità".

In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.

Povertà come rinuncia

E' la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi.

in realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica.

Questa interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole.

La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio.

Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere.

Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".

Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili.

Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri.

E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso.
La testimonianza, non l'ostentazione.

Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: "O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!".

Povertà come denuncia

Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.

Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.

Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.

Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!

Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.

E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.

La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.

Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti.

Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona.

Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento.

L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.

Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.

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5.0/5 (1 voto)

inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002

TESTO

47. Le beatitudini del 2000   1

Paul Abela

Beati coloro
che hanno scelto
di vivere sobriamente
per condividere i loro beni
con i più poveri.
Beati coloro che rinunciano
a più offerte di lavoro
per risolvere
il problema dei disoccupati.
Beati i funzionari
che sveltiscono
gli iter burocratici
e tentano di risolvere i problemi
delle persone non informate.
Beati i banchieri,
i commercianti
e gli agenti di vendita
che non approfittano
delle situazioni
per aumentare i loro guadagni.
Beati i politici e i sindacalisti,
che si impegnano a trovare
soluzioni concrete
alla disoccupazione.
Beati noi
quando smetteremo di pensare:
"Che male c'è nel frodare,
tanto lo fan tutti".
Allora la vita sociale
sarà un'anticipazione
del Regno dei Cieli.

mondialitàcaritàamoreserviziopovertàricchezzaingiustiziapoliticasocietà

inviato da Anna Barbi, inserito il 16/09/2002

TESTO

48. Dalla paura la guerra

Thomas Merton

Alla radice di ogni guerra sta la paura: non tanto la paura che gli uomini hanno gli uni degli altri, quanto la paura che essi hanno di tutto. Non è soltanto che non si fidino gli uni degli altri: non si fidano neppure di se stessi. Se dubitano che qualcuno possa voltarsi ed ucciderli, ancor più dubitano di poter essi stessi voltarsi ed uccidere. In nulla possono riporre la loro fiducia perché hanno cessato di credere in Dio.

Porrete fine alle guerre chiedendo agli uomini di fidarsi di uomini che evidentemente non meritano fiducia? No. Insegnate loro ad amare Dio e ad aver fiducia in Lui; allora essi saranno in grado di amare gli uomini in cui non possono avere fiducia ed oseranno far pace con loro, fidandosi non di loro ma di Dio.

Perché soltanto l'amore - che significa umiltà - può scacciare il timore che sta alla radice di ogni guerra.

Se gli uomini volessero davvero la pace, la chiederebbero a Dio ed Egli la darebbe loro. Ma perché Egli dovrebbe dare al mondo una pace che in realtà il mondo non desidera? Perché quella pace che il mondo sembra desiderare non è affatto pace.

Per alcuni, pace significa semplicemente libertà di sfruttare altri senza pericolo di rappresaglie o di interferenze. Per altri, pace significa la possibilità di derubarsi continuamente a vicenda. Per altri ancora significa facoltà di divorare i beni della terra senza essere costretti a interrompere i propri piaceri per nutrire coloro che vengono affamati dalla loro avidità. E per la grande maggioranza, pace significa semplicemente l'assenza di ogni violenza fisica che possa gettare una ombra su vite dedite alla soddisfazione dei propri appetiti animali di comodità e di piacere.

Molti uomini come questi hanno domandato a Dio ciò che essi credevano fosse la «pace» e si sono chiesti perché le loro preghiere non fossero state esaudite. Essi non potevano comprendere che in realtà erano esaudite. Dio ha lasciato loro ciò che desideravano, perché la loro idea di pace era soltanto un'altra forma di guerra.

Così, invece di amare ciò che tu credi sia la pace, ama gli altri uomini e ama soprattutto Dio. E invece di odiare coloro che credi fomentatori di guerra, odia gli appetiti e il disordine della tua anima, che sono le cause della guerra.

guerrapacepaura

inviato da Don Angelo, inserito il 09/05/2002

PREGHIERA

49. Parafrasi del "Padre Nostro"   2

San Francesco d'Assisi

O santissimo Padre nostro:
creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.

Che sei nei cieli
negli angeli e nei santi,
illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce;
infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei amore;
ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine,
perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno,
dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.

Sia santificato il tuo nome
si faccia luminosa in noi la conoscenza di te,
affinché possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici,
l'estensione delle tue promesse,
la sublimità della tua maestà
e la profondità dei tuoi giudizi.

Venga il tuo regno
perché tu regni in noi per mezzo della grazia
e ci faccia giungere nel tuo regno,
ove la visione di te è senza veli,
l'amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza fine.

Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra
affinché ti amiamo con tutto il cuore sempre pensando a te;
con tutta l'anima, sempre desiderando te;
con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni
e in ogni cosa cercando il tuo onore;
e con tutte le nostre forze,
spendendo tutte le energie e sensibilità dell'anima e del corpo
a servizio del tuo amore e non per altro;
e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi,
trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore,
godendo dei beni altrui come dei nostri
e nei mali soffrendo insieme con loro
e non recando nessuna offesa a nessuno.

Il nostro pane quotidiano dà a noi oggi
il tuo Figlio diletto,
il Signore nostro Gesù Cristo,
dà a noi oggi:
in memoria, comprensione e reverenza dell'amore
che egli ebbe per noi e di tutto quello
che per noi disse, fece e patì.

E rimetti a noi i nostri debiti
per la tua ineffabile misericordia,
per la potenza della passione del tuo Figlio diletto
e per i meriti e l'intercessione della beatissima Vergine
e di tutti i tuoi eletti.

Come noi li rimettiamo ai nostri debitori
e quello che non sappiamo pienamente perdonare,
Tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo,
sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici
e devotamente intercediamo presso di te,
non rendendo a nessuno male per male
e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti.

E non ci indurre in tentazione
nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.

Ma liberaci dal male
passato, presente e futuro.

Amen.

padre nostro

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giovanni Ferroni, inserito il 03/05/2002

TESTO

50. Prima di tutto l'uomo

Nazim Hikmet, Ultima lettera al figlio

Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista nella natura.

Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre: credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi all'uomo.

Ama le nuvole, le macchine, i libri, ma prima di tutto ama l'uomo.

Senti la tristezza del ramo che secca, dell'astro che si spegne, dell'animale ferito che rantola, ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell'uomo.

Ti diano gioia tutti i beni della terra: l'ombra e la luce ti diano gioia, le quattro stagioni ti diano gioia, ma soprattutto, a piene mani ti dia gioia l'uomo!

umanità

inviato da Sara D'Erasmo, inserito il 25/04/2002

PREGHIERA

51. La pace dipende anche da me

Carla Zichetti

Non costruisco la pace quando non apprezzo lo sforzo, la virtù degli altri;
quando pretendo l'impossibile, quando sono indifferente al bene e al male degli altri;
non costruisco la pace quando lavoro per due per poter comprare e mantenere il superfluo,
mentre c'è chi non trova lavoro e non ha il necessario, l'indispensabile per vivere;
non costruisco la pace quando non perdono, quando non chiedo scusa,
quando non faccio il primo passo per riconciliarmi, anche se mi sento offesa o credo di aver ragione;
non costruisco la pace quando lascio solo chi soffre e mi scuso dicendo: «Non so cosa dire, cosa fare, non lo conosco»;
non costruisco la pace quando chiudo la porta del cuore, quando chiudo le mani, la bocca e non faccio niente per unire, conciliare, scusare;
non costruisco la pace quando penso solo ai fatti miei, al mio interesse e tornaconto, al mio benessere e ai miei beni;
non costruisco la pace quando rispondo: «non ho tempo» e tratto il prossimo come uno scocciatore, un rompiscatole;
non costruisco la pace quando mi metto volentieri e di preferenza dalla parte di chi ha potere, ricchezza, sapienza, furbizia,
anziché dalla parte del debole, dell'indifeso, del dimenticato, dalla parte di colui il cui nome non è scritto sull'agenda di nessuno;
non costruisco la pace quando non aiuto il colpevole a redimersi;
non costruisco la pace quando taccio di fronte alla menzogna, all'ingiustizia, alla maldicenza, alla disonestà, perché non voglio noie;
non costruisco la pace quando non compio il mio dovere sia nel luogo di lavoro che verso i miei familiari;
non costruisco la pace quando sfrutto il mio prossimo in stato di dipendenza, inferiorità, indigenza, malattia;
non costruisco la pace quando rifiuto la croce, la fatica;
non costruisco la pace quando dico no alla vita;
non costruisco la pace quando non mi metto in ginocchio per invocarla, per ottenerla, per viverla.

Allora quand'è che costruisco la pace?
Quando al posto del «no» metto un «sì»
quando al posto del rancore, metto il perdono
quando al posto della morte, metto la vita,
quando al posto dell'io, metto Dio.

La pace è un tuo dono, Signore.
Per ottenerla occorre pregare, amare, soffrire.
Occorre pagare di persona. Scomparire.
Eccomi o Signore.
Fammi seminatrice di pace.
Signore, donaci la tua pace.

pacegiustiziaimpegno

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002

TESTO

52. La pace è fondata sulla libertà, sulla verità, sulla giustizia e sull'amore

Giovanni XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris, n. 16-18

Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura. Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a bene degli altri. Ciò richiede che la convivenza umana sia ordinata, e quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti ed attuati; ma richiede pure che ognuno porti generosamente il suo contributo alla creazione di ambienti umani, in cui diritti e doveri siano sostanziati da contenuti sempre più ricchi.

Non basta, ad esempio, riconoscere e rispettare in ogni essere umano il diritto ai mezzi di sussistenza: occorre pure che ci si adoperi, secondo le proprie forze, perché ogni essere umano disponga di mezzi di sussistenza in misura sufficiente.

La convivenza fra gli esseri umani, oltre che ordinata, è necessario che sia per essi feconda di bene. Ciò postula che essi riconoscano e rispettino i loro vicendevoli diritti ed adempiano i rispettivi doveri, ma postula pure che collaborino tra loro nelle mille forme e gradi che l'incivilimento acconsente, suggerisce, reclama.

La dignità di persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall'esterno.

Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse.

La convivenza fra gli esseri umani è quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità, conformemente al richiamo dell'apostolo Paolo: "Via dunque da voi la menzogna e parli ciascuno col suo prossimo secondo verità, poiché siamo membri gli uni degli altri" (Ef 4,25). Ciò domanda che siano sinceramente riconosciuti i reciproci diritti e vicendevoli doveri. Ed è inoltre una convivenza che si attua secondo giustizia o nell'effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; che è vivificata e integrata dall'amore, atteggiamento d'animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare.

paceuguaglianzagiustiziacomunione tra i popoli

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002