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TESTO Commento su Luca 9,11-17

Suor Giuseppina Pisano o.p.

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (10/06/2007)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

"Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (I Cor 11,23-25)

Queste parole di Paolo, che la liturgia oggi proclama nella seconda lettura, sono la migliore introduzione ad una breve riflessione sulla solennità che oggi la Chiesa celebra, ricordando l'istituzione dell'Eucaristia; evento grande, e segno estremo dell'amore del Cristo per gli uomini; segno, dato nell'imminenza della passione e morte.

L'amore redentivo del Figlio di Dio, non conosce limiti e non conosce ostacoli, non c'è abbandono o tradimento, non c'è dolore fisico o morale, che possa fermare l'amore di Dio per l'uomo; quell'amore, che è sorgente prima dell'Incarnazione del Figlio, e che si è nascosto, se così si può dire, in un poco si pane e in un calice di vino.

È sotto il velo di questi segni, segni antichi e familiari alla cultura d'Israele, che Gesù, il Figlio di Dio, si consegna, per sempre agli uomini, perché ne tengano viva la Presenza, e si alimentino con un pane che non è principalmente il frutto della terra e del lavoro dell'uomo, ma è il pane che il Padre stesso dà: pane disceso dal cielo, in quel Verbo fatto carne, pane che nutre per la vita eterna, pane che sostiene nel cammino dell'esistenza quotidiana e la conduce alla salvezza, già, nel tempo.

Il Vangelo di questa domenica, sembra, a prima vista, discostarsi dal tema dell'eucaristia, esso ci rimanda, infatti, al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, episodio notissimo ma che, sembra esser lontano da quell'ultima cena di Pasqua, consumata da Gesù a Gerusalemme; in realtà, anche il racconto di Luca parla, a suo modo, di una cena, un banchetto improvvisato, in una zona deserta, per commensali abbastanza inusuali, che, in qualche modo, rievocano quegli invitati ad un pranzo nuziale, di cui parla la parabola, al capitolo 14, dello stesso Vangelo di Luca, allorché la sala venne riempita dalla presenza di poveri, storpi, ciechi zoppi e quanti altri si trovavano lungo le strade e le siepi, gente invisibile: una folla anonima di diseredati, ma non agli occhi del Figlio di Dio, che ebbe compassione di loro, tanto da nutrirli, poi, della sua stessa carne e del suo stesso sangue. ( Lc.14,15 ss.)

Anche la folla, di cui oggi il Vangelo ci parla, era una moltitudine di poveri d'ogni genere, poveri non solo economicamente, ma poveri anche a causa della malattia, spesso emarginante; poveri nella loro dignità non riconosciuta, e poveri di punti di riferimento, validi per una esistenza capace di guardare e di orientarsi, verso il punto più alto, che è la conoscenza, la comunicazione e la comunione con Dio; ed è di Dio, e del regno di Lui, che il Maestro parla, finché non giunge il crepuscolo ed è necessario, anche, prender cibo e riposo.

La soluzione prospettata dai discepoli è semplice ed immediata: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne d'intorno per alloggiare e trovar cibo..», ma l'attenzione all'altro, l'amore per il prossimo, che tanto sta a cuore a Dio, non si realizza allontanando chi è nel bisogno, essa, al contrario, si attua nel dono, un dono che impegna in prima persona ed esige che ci si spenda per li altri; è il dono di sé, adombrato, appunto, nella moltiplicazione di quel poco pane, che, in altra occasione, diverrà il corpo stesso di Cristo, corpo offerto, sangue sparso per la salvezza di ogni uomo che lo desideri.

La salvezza, essa è la fame più radicale dell'uomo, ed è legata, necessariamente, alla comunione col Cristo, vero Dio e vero uomo, e questa comunione ci coinvolge tutti, perché tutti siamo chiamati alla solidarietà e all'amore; secondo il comando di Gesù che, nel passo del Vangelo di oggi, leggiamo espresso nelle parole: «Dategli voi stessi da mangiare»; e se i discepoli, in quell'occasione distribuirono i cinque pani, miracolosamente moltiplicati, poi, gli stessi discepoli, distribuiranno il pane di vita eterna, che è il corpo di Cristo, affidato loro dallo stesso Maestro, durante l'ultima Pasqua consumata insieme.

Il Vangelo di oggi, dunque anticipa l'incredibile miracolo dell'Eucarestia, quando, a proposito di quei pochi pani destinati a sfamare la folla, recita: "Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli..."; è lo stesso gesto che ritroveremo nel cenacolo, quando Gesù, " preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me».

(Lc. 22,19)

La memoria, il ritenere nella mente e nel cuore, non è un semplice ricordo di cose o persone legate al passato, ma è vivere e rivivere sempre, rendendo attuale, presente, ciò che il tempo tende a rimuovere ma è, per noi, vitale.

La memoria: senza di essa nessun uomo ha identità, ma vaga nella nebbia del provvisorio e dell'indefinito, e così è dei popoli, e delle nazioni che, vivendo la propria identità, costruiscono se stessi e la propria storia.

A noi Cristo ha lasciato la sua memoria, memoria del Dio vivente e presente, ha lasciato il suo testamento d'amore, contenuto nel segno sacramentale del pane e del vino consacrati, ed è in questo sacramento che, sempre, dobbiamo renderlo presente nella comunità degli uomini, come Figlio di Dio Redentore, morto e risorto per la salvezza di tutti.

Senza questa memoria viva ed operante, l'umanità rischia di diventare un corpo senza vita, senza meta, senza speranza; un corpo che muore di inedia, perché manca quell'unico alimento che faccia passare, in esso la vita stessa di Dio.

"Nell'incontro con Gesù, scrive Benedetto XVI nel suo libro 'Gesù di Nazareth ', ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo davvero il "pane del cielo" un cibo, continua il testo, "che non si può guadagnare con il lavoro umano, mediante le proprie prestazioni; può venire a noi, soltanto come dono di Dio, come opera di Dio....La realtà più alta ed essenziale, non la possiamo comprare con i soli nostri sforzi, ma dobbiamo disporci ad accogliere il dono, e, per così dire, entrare nella dinamica delle realtà donate. Ciò accade nella fede in Gesù, che è dialogo e relazione viva con il Padre e che, in noi, vuole diventare nuovamente parola e amore". (da Gesù di Nazareth pag. 312)

Celebrare in questa domenica, ancora così vicina al tempo di Pasqua, il mistero del corpo e sangue di Cristo, contenuti nei segni sacramentali del pane e del vino, non è semplicemente la ripetizione di un rituale antico, ma è il momento forte del coinvolgimento profondo nella missione stessa del Redentore, il quale, guardando le folle affamate, e non solo del cibo corporale, dice ai discepoli:: «Dategli voi stessi da mangiare».

Il Figlio di Dio, ancora e sempre, si consegna nelle mani dell'uomo, si consegna all'intelligenza e al cuore dei suoi fedeli, perché la Sua verità, la Sua luce, e la Sua vita siano donate e circolino nell'umanità che, anche inconsapevolmente, ha fame di Dio, perché sempre ha fame di felicità e di salvezza.


Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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