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TESTO Parlare al cuore nello Spirito

don Marco Pratesi  

Pentecoste (Anno C) - Messa del Giorno (27/05/2007)

Brano biblico: At 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,15-16.23-26

15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre,

23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Il pellegrinaggio dei popoli verso il Dio vivo e vero (cf. Is 2,2-5) comincia questa mattina, a Gerusalemme, quando alcuni stupiti "Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotàmia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi" (At 2,9-11) sentono gli Apostoli annunziare nelle rispettive lingue "le grandi opere di Dio", e cioè la buona notizia della morte e risurrezione di Gesù di Nazareth. S. Giovanni Crisostomo ha una felice intuizione, quando parla della Pentecoste come della "città madre delle solennità" cristiane. In effetti, per Luca, autore degli Atti degli Apostoli, Gerusalemme rappresenta un punto focale, al tempo stesso luogo di arrivo e di partenza. Tutto il suo Vangelo è strutturato come un unico viaggio di Gesù, che dalla Galilea cammina alla volta della città santa, dove dovrà morire e risuscitare. Una volta risorto, Gesù insiste coi suoi discepoli: che non si disperdano, che restino lì, perché lì riceveranno il dono dello Spirito. Un dono, appunto, qualcosa (o meglio Qualcuno) che viene dall'alto, non che si conquista innalzandosi verso l'alto. Da lì poi, in un movimento inverso a quello di Babilonia/Babele, esso si espanderà a macchia d'olio: gli Apostoli saranno testimoni "sino ai confini della terra" (At 1,8). E il libro degli Atti si chiude con quello che agli occhi di Luca rappresenta la realizzazione di questa parola di Gesù: l'arrivo e la permanenza di Paolo a Roma, capitale del mondo pagano, chiamata nella Prima Lettera di Pietro "Babilonia" (5,13), gli antipodi spirituali del Vangelo. Roma diventerà la città santa in quanto luogo del martirio dei due Apostoli Pietro e Paolo, fatto profondamente emblematico della natura della Chiesa: città santa vi diviene la città pagana che versa il sangue dei massimi testimoni del Risorto.

Quella della Pentecoste è una Chiesa aperta, che non teme, continuamente chiamata a dimorare in Babilonia. Una Chiesa senza confini; o meglio, secondo una suggestiva esegesi patristica di Sal 147,14, che "ha come confine solo la pace" (traduzione CEI: "Egli ha messo pace nei tuoi confini"); il che viene a dire: ovunque ci sia pace, là c'è Gerusalemme, là c'è Chiesa.

Per tutti, anche non credenti, la Pentecoste rimane un monito: l'attuale overdose comunicativa, che rischia di banalizzare tutte le parole e di ridurle al livello di rumore di sottofondo, impone il recupero del linguaggio dello Spirito, che - laicamente - si può tradurre come linguaggio del cuore, quella parte dell'uomo che è più profonda e intima, universale luogo di confronto tra culture e tradizioni diverse; e luogo di confronto con quell'Altro, che nel cuore umano comunque dimora.

Dio è per il pluralismo, perché esso garantisce l'umiltà di tutti, credenti compresi. Esso richiede il dialogo e la capacità di parlare la lingua dell'altro. Parlare la lingua dell'altro non significa rinunziare alla propria identità, e nemmeno ricercare una "sintesi delle identità", che oggi sembra affascinare molti occidentali. Spigolando qua e là dalle tradizioni e dalle religioni, si ha l'impressione di crearsi una sovraidentità transculturale o transreligiosa che apre gli orizzonti e mette al riparo dalle miopie di appartenenze eccessivamente calcate. La strada è per l'appunto opposta. Che ciascuno dimori nel cuore della propria identità, e da lì si metta autenticamente in ascolto e in rapporto con gli altri.

Il cristiano ha oggi il compito di collocarsi, comprendersi e vivere sempre più profondamente nel mistero di Cristo, laddove si effonde in permanenza il dono dello Spirito, che lo costituisce testimone autentico, in grado di parlare al cuore di ogni uomo.

 

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