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TESTO Il bene ricevuto e il bene promesso

don Elio Dotto  

Ascensione del Signore (Anno A) (12/05/2002)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,16-20

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Incantati.

Così erano i discepoli quando Gesù salì al cielo. Incantati, con gli occhi fissi al cielo, stupìti ed immobili davanti a quel cielo diventato improvvisamente vuoto. Incantati, al punto che ci fu bisogno addirittura di un angelo per riportarli alla realtà: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo" (At 1,11), perché ve ne state lì così incantati?

Se ci pensiamo bene, accade anche a noi – a volte – di stare incantati come i discepoli. Incantati nel ricordo di una persona amata che non c'è più, e che tuttavia vorremmo ancora avere vicino a noi; oppure incantati nel ricordo di quei momenti belli della vita in cui abbiamo conosciuto una consolazione, una certezza, una promessa.

Appunto come i discepoli, che avevano trovato in Gesù il senso della loro vita, e avevano fatto di lui il Maestro e il Signore. Essi desideravano rimane ancora con lui, trattenere per sempre la sua presenza, custodire in eterno la sua amicizia. Già una volta avevano rischiato di perderlo, quando i Giudei lo inchiodarono sulla croce facendolo morire. Ora lo avevano ritrovato – vivo, risorto dai morti – e volevano tenerlo per sempre con loro.

Quando dunque Gesù salì al cielo (At 1,1-11; Mt 28,16-20 – prima lettura e vangelo di domenica) fu per i discepoli un dramma: per un attimo sembrò ritornare il dubbio del Venerdì Santo, il triste presentimento dei discepoli di Emmaus, il sospetto cioè che la speranza dei giorni trascorsi con Gesù fosse stata illusione, e che il cammino intrapreso con entusiasmo fosse senza futuro...

E tuttavia le ultime parole di Gesù indicavano un'altra verità: ordinò loro di "attendere che si adempisse la promessa del Padre" (At 1,4) e disse "Andate... ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28,19-20).

Dunque non il dramma, non la paura, non la disperazione sono la verità di quel distacco. Certo può essere doloroso perdere per sempre la presenza storica di Gesù, la bellezza del suo volto, la dolcezza delle sue parole. E tuttavia soltanto così si compie la verità di Gesù, perché soltanto così il suo Vangelo può diventare fonte di vita per ogni uomo e per ogni donna. Se i discepoli avessero tenuto per sé il Signore, e si fossero appartati per sempre con lui, noi oggi non avremmo ricevuto la buona notizia della salvezza: Gesù sarebbe diventato la consolazione per pochi, e non la promessa di vita per tutti, "la promessa del Padre" (At 1,4). E invece proprio dalla fine della sua presenza storica è partito l'annuncio del Vangelo: proprio perché non è stato trattenuto sulla terra Gesù ha potuto salvare ogni uomo e ogni donna.

In fondo è quello che accade anche nella nostra vita: se tratteniamo solo per noi il ricordo delle persone amate scomparse e dei momenti belli passati finiamo per morire nella malinconia. Se invece a partire dalla memoria grata e gioiosa del bene ricevuto siamo capaci di guardare avanti, allora possiamo ricevere e donare un futuro promettente, un futuro carico di speranza.

Così fecero i discepoli, a partire dal giorno di Pentecoste: il ricordo di Gesù li spinse a testimoniare con vigore la speranza che avevano scoperto in lui. Non rimasero là sul monte, incantati a guardare il cielo, ma partirono decisi per la loro missione.

E così può accadere anche per noi, in questa settima domenica di Pasqua: infatti la memoria del Cristo risorto ci indica la mèta del nostro cammino, la speranza a cui siamo chiamati. Possiamo allora ripartire pieni di fiducia: perché la memoria del bene ricevuto è promessa del bene futuro.

 

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