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TESTO Commento su Luca 24,46-53

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Ascensione del Signore (Anno C) (20/05/2007)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

* "Se mi amaste vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me". L'ascensione del Signore realizza l'annuncio da lui fatto nell'ultima cena: "Io vado al Padre". Non sarebbe completo il rapporto fra il Padre ed il Figlio se ci limitassimo all'incarnazione. Non solo il Figlio è dal Padre, ma ancor più torna a Lui. E' il primato di Dio che ancora una volta la Scrittura ci pone dinanzi. "Il Padre è più grande di me". Anche da questa prospettiva non potremmo capire Gesù, senza il Padre.

* Gesù non è così l'uomo della storia, come se essa fosse la realtà più grande. La storia, piuttosto, terminerà. Noi non siamo riconciliati con questo passare del tempo. Rispunta continuamente in noi l'illusione di un tempo storico eterno. Ci piacerebbe – così pensiamo – realizzare opere che restino eternamente presenti nella storia. Cerchiamo nella storia stessa il significato di ciò che facciamo. Siamo a disagio ogni volta che la memoria scolora il ricordo e dimentica, ogni volta che qualcuno cancella la traccia storica della nostra opera. Non ci rassegniamo a non essere ricordati dalle generazioni che verranno, nonostante l'annuncio chiaro del Qohelet in materia.

* L'ascensione ci annuncia che la vera questione non consiste nel prolungare la storia, bensì nell'andare al Padre. In Lui è il nostro destino di comunione. Non ci porteremo dietro tutte le carabattole che abbiamo costruito nella storia, ma l'amore per Lui quello sì. L'ascensione, prima di essere un invito ad uno sguardo diverso sulla storia, è uno sguardo contemplativo alla nudità dell'amore che unisce il Padre ed il Figlio. Solo l'amore resterà. Sappiamo bene che l'espressione lucana "Gesù fu portato verso il cielo" ci fa rivolgere lo sguardo a questo evento: il Figlio torna al Padre. Il cielo è "immagine" del Padre, è il luogo della sua casa, della sua presenza, della sua comunione. Ed il Risorto non può che andare innanzitutto dal Padre. Il Padre è più grande di lui, ma è ancora più grande dell'uomo e di tutta l'umanità insieme. La salvezza umana non consiste in una propria presunta maggior grandezza o importanza, ma in questo rivolgimento di amore a Dio.

* Noi continuiamo ad essere convinti che l'amore non basti a se stesso, ma proprio questo, invece, ci annuncia l'ascensione di Gesù. Non solo il Figlio, ma tutta la corporeità umana che egli ha assunto, non possiede altro ormai che la comunione con il Padre ed, in essa, possiede tutto. Noi ci ostiniamo a volere altro oltre all'amore, mentre l'ascensione ci mostra la nudità dello scambio di amore del Padre e del Figlio.

* La resurrezione e l'ascensione si manifestano così nel loro aspetto escatologico. Gli antichi trattati chiamavano "novissimi" i temi che riguardavano i tempi ultimi. L'espressione, ricchissima, indicava proprio le cose "più nuove", le realtà che saranno le novità delle novità, le ultime novità. In un tempo che ha l'ansia del nuovo, la fede cristiana annunzia queste realtà novissime. Un affresco con gli annunci di Giovanni nell'Apocalisse, nella cappella di Santa Filippa Mareri, la prima santa francescana, nel reatino, recita: "Sum primus et novissimus" – è chiaramente il Cristo che parla. Tutto il resto è vecchio e passato e trascorso, ma non il Cristo e la sua comunione.

* La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, ci mostra il sacerdozio di Cristo che ha compiuto storicamente una sola volta il suo sacrificio sulla croce per i peccati degli uomini, ma che da quel momento è eternamente sacerdote sopra la casa di Dio.

* Ma l'annuncio cristiano non si arresta qui. Proprio la storia che, senza il Padre, non avrebbe alcun significato, manifesta la sua assoluta importanza proprio nell'essere il primo luogo dell'incontro con Lui che troverà pienezza nell'eterna comunione,. E' proprio il fine della storia, la comunione con Dio, che sottrae la storia all'insignificanza che essa avrebbe se fosse un semplice succedersi di eventi.

* Un antico testo di san Gregorio Nazianzieno dice:

"Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita."

* Il Cristo che ha comunione con Dio non la tiene come geloso possesso per sé, ma la offre agli uomini. Anzi li invita, una volta ricevuta questa comunione dallo Spirito Santo, ad essere testimoni di essa fino agli estremi confini della terra. L'ascensione non annulla così la storia, ma la apre ad una fecondità inaspettata, perché divenga, per opera divina, il grembo della nuova vita di comunione con Dio.

* Per questo gli apostoli non staranno a guardare il cielo, ma doneranno quella comunione con la Trinità che è ciò che permane della terra nel cielo. E poiché è la comunione trinitaria che da forma e vita alla comunione degli uomini fra di loro, anche quest'ultima è destinata a restare ed a raggiungere il cielo.

* Il recente libro del papa, Gesù di Nazaret, invita ogni uomo a riconoscere al cuore dell'esperienza del Cristo, come il suo centro più vero e profondo, la sua comunione con il Padre, dalla quale scaturisce poi tutta la sua tenerezza sull'uomo. Così scrive il papa nel volume, in uno dei tanti passaggi dedicati a sottolineare la concordia della testimonianza evangelica su questo punto:

"La famosa affermazione di Adolf von Harnack secondo la quale l'annuncio di Gesù sarebbe un annuncio del Padre, di cui i Figlio non farebbe parte – e dunque la Cristologia non apparterrebbe all'annuncio di Gesù – è una tesi che si smentisce da sola. Gesù può parlare del Padre, così come lo fa', solo perché è il Figlio e vive in comunione filiale con il Padre. La dimensione Cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la 'cristologia', è presente in tutti i discorsi ed in tutte le azioni di Gesù".

* E' a motivo di questa comunione che il corpo fisico del Cristo è ammesso nella comunione con Dio. Ed è a motivo di questa comunione che anche noi comprendiamo la segreta relazione fra il nostro corpo e la vita divina, come ha scritto in La gioia di credere Madeleine Delbrêl

"La nostra condizione è di avere un corpo. La mattina, quando ci svegliamo, il nostro corpo è il nostro primo incontro. Un primo incontro non sempre piacevole, poi una prossimità ora cordiale ora tempestosa lungo tutto il giorno. Quanti di noi, in momenti di sovraffaticamento o di tentazione, non hanno provato una gran voglia di maledire il proprio corpo e quasi chiesto di esserne liberati... E tuttavia il nostro corpo non è un caso. Dio l'ha voluto, Dio l'ha equilibrato. Abbiamo i nervi il sangue e il temperamento profondo che Egli ha voluto. Il nostro corpo, Dio l'ha pre-conosciuto per farvi abitare la sua grazia. Egli non ne ignora alcuna debolezza, alcun compromesso, alcuna deviazione. Eppure l'ha scelto per farne il corpo d'un santo.

Noi abbiamo il corpo del nostro destino, il corpo della nostra santità.

Il nostro corpo è il luogo, nel corso della giornata, di incidenti che fanno spesso a pugni con la nostra anima: vibrazione di nervi, pesantezza di testa, buone o cattive disposizioni, altrettante minute circostanze che non per questo sono meno le circostanze e l'espressione della volontà di Dio su di noi. Niente di tutto ciò è un negativo che debba impedirci e determinarci. Al contrario: tutto ciò costituisce le condizioni della venuta di Dio in noi, è un poco del suo volere che ci si rivela: questo benessere, questa emicrania, queste gambe affaticate sono la materia della nostra grazia attuale.

Bisognerebbe abituarci a tenere il nostro corpo come in gerenza: è la vita che Dio ci affida. Noi dobbiamo perderla quanto alla proprietà, ma ritrovarla in quanto essa gli appartiene. Bisognerebbe che noi stessimo di fronte al nostro corpo come il contadino davanti alla sua terra. Sapere ciò che il nostro corpo vale: stimarlo, come si suol dire. Saperne le ricchezze e le deficienze, ciò che lo fortifica e ciò che lo debilita, tentare di armonizzarlo con le grandi leggi naturali che Dio ha inventato: quelle che noi richiamiamo quando vogliamo raffigurare l'insieme delle anime congiunte al Cristo.

Il nostro corpo non ha frontiere che ci siano facilmente percettibili. Di questi tempi, in cui gli studi medici e psicologici mettono spesso in luce brutalmente le eredità o gli atavismi, molte persone possono venirne turbate, sentirsi urtate e scosse nei loro desideri di rettitudine spirituale da questi marosi interiori: gusti istinti caratteri passioni squilibri.

Nondimeno, tutta questa pasta umana è anch'essa materia per la grazia, materia per la nostra grazia. Proprio con essa Dio ha deciso di fare di noi dei santi. Nulla in essa è inquietante, perché tutto vi è previsto. È una gioia offrire a Dio, per un servizio di buona volontà, questa particella di umanità carnale venuta di balzo in balzo dal fondo di generazioni pure o colpevoli. È una gioia l'esserne depositari e avere il potere di santificarla. È assai confortante sapere che la nostra volontà, applicata alla volontà di Dio, basta a mantenere nell'ordine tutta questa pasta di umanità: la nostra volontà, che dev'essere tesa e dolce, tesa verso Dio e priva della propria rigidezza come una guaina di pelle ben conciata che rivesta una lama e diventi dura anch'essa.

Questa scoperta della volontà di Dio nel nostro corpo fa sì che noi dobbiamo considerarne anche la minima parte con rispetto. Esiste una sorta di reverenza di fronte a ciò che Dio ha creato. Non bisogna credere di materializzare così la nostra vita: l'ossequio che daremo all'azione di Dio nella nostra carne ci condurrà all'adorazione profonda dell'opera che egli compie negli spiriti. La giustizia che praticheremo nei riguardi del nostro corpo ci renderà forse più giusti di fronte alla nostra anima".

La celebrazione della festa dell'Ascensione ci doni così di vivere in quei sentimenti che fanno dire a san Paolo nella lettera ai Filippesi:

"Per me, infatti, il vivere è Cristo ed il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto non so davvero cosa scegliere. Sono messo, infatti, alle strette tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede".

Commento a cura di don Andrea Lonardo

Quando si legge il vangelo non lo si fa certamente per venire a sapere come va a finire la storia di Gesù, ma lo si fa per cercare di scoprire come orientare la nostra vita per poter finire come lui, cioè "bene" nel vero senso della parola.

E per cercare di scoprire questo abbiamo a disposizione commenti, studi e approfondimenti della Parola di Dio di estremo valore e, guarda caso, sempre attuali.

Sarà per questo che molti interpreti del testo sacro suggeriscono di partire sempre da situazioni di vita "concreta" da confrontare con episodi e parabole della vita di Gesù, onde ricavare da questo "confronto" un adeguato e sostanzioso nutrimento spirituale.

Non sempre è facile però trovare questo aggancio, questo corrispettivo tra un evento o un detto di Gesù e una analoga situazione concreta della esistenza umana..

È proprio il caso dell'evento narrato da Luca in questa domenica, l'evento dell'ascensione di Gesù al cielo...

Un evento talmente "unico" tale da non impedire però alla fantasia di immaginare una situazione di vita concreta dove, per esempio, si viene "lasciati" da una persona cara una volta che questa ha compiuto la sua missione o svolto il suo compito... Si è lasciati da questa persona "concreta", ma non certo dal suo amore.

Un evento talmente "unico" quello dell'ascensione di Gesù, una volta compiuta la sua missione terrena, da permettere all'anima di intuire subitamente come continuare tale "missione", e con quale stato d'animo, nell'attesa del suo ritorno...

Queste "intuizioni" dell'anima sono prelibato cibo spirituale e sono contenute nelle sobrie parole e indicazioni operative di Gesù proprio nel momento del suo "distacco".

Parole e indicazioni che vale la pena di rileggere con molta calma perché costituiscono lo "stato dell'essere", lo stato di "normalità" del credente cristiano... fino alla fine dei tempi.

Rileggerle con molta calma, perché si depositino ai livelli più profondi dell'anima e da lì inizino, come seme nascosto, a mettere radici e poi diventare albero portatore di quel frutto così raro dello Spirito che è la "gioia".

"Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso, ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall'alto... Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani li benedisse, Mentre li benediceva si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia: e stavano sempre nel tempio lodando Dio".

"Con grande gioia" vale la pena di ricordare, che dovrebbe costituire il feriale e normale stato d'animo dell'anima credente e del cuore amante. Grande gioia, il cui unico e universale vestito è quello del sorriso. Grande gioia dello stare insieme come fratelli... dal volto sorridente.

A fronte, purtroppo, di diffuse forme di aggregazioni di credenti (e persino di forme di testimonianza individuale o di gruppo) talvolta troppo sbilanciate nel senso della mestizia, del sospiro, della lamentazione sterile, del dolore metabolizzato in accidia, del muso, dell'espressione schifata o scandalizzata del volto... a causa del dilagare del male. Senza fare menzione di certe catechesi o omelie per le quali sarebbe meglio invocare direttamente l'intervento "misericordioso" di Dio in persona.

Mi viene spontaneo ricordare questo aneddoto della vita di Madre Teresa di Calcutta da lei stessa raccontato.

"Alcune persone vennero a trovarmi a Calcutta e, prima di partire, mi pregarono:
- ci dica qualcosa che ci aiuti a vivere meglio.
E io dissi loro:

- SORRIDETE gli uni agli altri; sorridete a vostra moglie, a vostro marito, ai vostri figli; poco importa chi sia quello a cui sorridete; questo vi aiuterà a vivere meglio e a CRESCERE NELL'AMORE RECIPROCO.
Allora uno di quelli mi domandò:
- Lei è sposata?.

- Si, risposi, e qualche volta trovo difficile sorridere a LUI.

Ed è vero. Anche Gesù può essere molto esigente ed è proprio quando Egli è così esigente che è molto bello rispondergli con un grande sorriso".

Commento a cura del prof. Gigi Avanti

 

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