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TESTO Perché è abbattuto il tuo volto?

don Elio Dotto  

III Domenica di Pasqua (Anno A) (14/04/2002)

Vangelo: Lc 24,13-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,13-35

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Il libro della Genesi racconta che in principio il volto di Caino "era abbattuto" perché la sua offerta pareva non essere gradita a Dio (Gn 4,3ss.). L'espressione della sua faccia doveva certo apparire molto cupa, come possiamo intuire ascoltando le parole di rimprovero che il Signore gli rivolge: "Perché sei irritato, e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta..." (Gn 4,6-7).

Appunto questa espressione abbattuta di Caino mi viene in mente ogniqualvolta incontro una persona che ha la faccia cupa. Non mi riferisco tanto al volto triste e preoccupato di chi soffre a causa della malattia o della cattiveria altrui: spesso, infatti, dietro la pena di un ammalato o di un perseguitato si nasconde l'attesa tenace di tempi migliori; e non è certo impossibile intravedere nei loro occhi la luce della speranza... Molto più cupo invece è il volto di chi è dominato dall'invidia, o dal rancore, o dalla rassegnazione: al punto che i suoi occhi diventano incapaci di cogliere quello che altrimenti non sarebbe difficile vedere.

Così era in quel tempo il volto dei due discepoli che "in quello stesso giorno" – il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione – "erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus" (Lc 24,13). Avevano il volto triste; ed erano senza speranza, perché ogni loro attesa era finita tre giorni prima, davanti alla morte di Gesù: "noi speravamo che fosse lui al liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute" (Lc 24,21). Prigionieri della rassegnazione, essi non sapevano fare altro che discutere: come se bastasse alzare la voce per coprire quel vuoto che li rendeva tristi. E in tal modo – tutti e due presi dai loro discorsi – non riuscivano a riconoscere il Signore, che "in persona... camminava con loro" (Lc 24,15).

Spesso noi abbiamo giustificato il comportamento di Cleopa e del suo compagno di strada: in fondo, il dramma della morte di Gesù era ancora troppo recente; e dunque i due discepoli avevano ragione di essere confusi e tristi. Dietro questa giustificazione però non di rado si nasconde una nostra interessata autodifesa: perché proprio al comportamento di quei due assomigliano tanti nostri quotidiani atteggiamenti. Succede quando il nostro sguardo è costantemente cupo e sospettoso; oppure quando i nostri discorsi sono sempre carichi di accuse e di recriminazioni. In tali circostanze appunto noi troviamo facilmente una giustificazione: e in genere vediamo negli altri la causa della nostra tristezza o della nostra animosità. Nella maggior parte dei casi, però, la colpa è soltanto nostra: come soltanto i due discepoli erano – in quel tempo – colpevoli del loro cattivo stato d'animo.

Appare dunque motivato il rimprovero di Gesù: "sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!" (Lc 24,25). L'espressione potrebbe sembrare eccessiva, tanto più sulla bocca di uno sconosciuto, come il Signore era considerato dai due discepoli distratti... Eppure Cleopa e il suo compagno non reagirono davanti a parole così dure ed esplicite: forse perché iniziavano a percepire la loro colpevole distanza da Gesù e dalle Scritture che a lui si riferivano. Così – perlomeno – riconobbero alla fine di quella straordinaria giornata: "non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?" (Lc 24,32).

Bruciava il loro cuore nel petto: e non si trattava di quel facile sentimento di entusiasmo che noi spesso attribuiamo ai due discepoli; ma era piuttosto il rimorso della loro coscienza colpevole, che per troppo tempo si era attardata dietro a false speranze, senza riuscire in tal modo a riconoscere l'unica speranza che non delude, quella che aveva sostenuto Gesù sulla croce. Ora, però, il rimprovero brusco e provvidenziale dello sconosciuto compagno di cammino aveva aperto i loro occhi: ed essi avevano riconosciuto il Signore.

A esito diverso era pervenuta in principio la vicenda di Caino: dopo il rimprovero del Signore, "Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise" (Gn 4,8). Il suo volto rimase cupo ed abbattuto, perché preferì ostinarsi nella propria ossessiva invidia piuttosto che lasciarsi illuminare dalle parole del Signore. Appunto come facciamo ancora noi oggi, quando alla luce nuova della Pasqua di Gesù preferiamo le nostre vecchie e fatali ostinazioni.

 

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