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TESTO Commento su Giovanni 14,23-29

mons. Ilvo Corniglia

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (13/05/2007)

Vangelo: Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

Il brano degli Atti (15, 1-29: I lettura) riferisce una svolta decisiva nel cammino della Chiesa nascente. La comunità cristiana si sviluppa e si espande anche fuori dei confini di Israele, accogliendo nel suo grembo molti pagani, soprattutto per l'attività di Paolo e di Barnaba. Ma si manifesta presto un pericolo mortale per la sua vita e la sua crescita: una forte corrente al suo interno pretende che quanti dal paganesimo approdano alla fede cristiana osservino la legge di Mosè e accettino di farsi circoncidere. In pratica devono rinunciare alla propria cultura diventando "ebrei", quale condizione necessaria per la salvezza. Come dire che la fede in Cristo non basta. E' anche obbligare i convertiti dal paganesimo a estraniarsi dal loro ambiente di origine per inserirsi forzatamente in una situazione culturale diversa. Col risultato che la Chiesa cristiana diventi semplicemente una setta giudaica.

Per arginare questa gravissima minaccia, si tiene a Gerusalemme quello che è chiamato il "Concilio" apostolico (circa l'anno 49), le cui deliberazioni vengono comunicate per lettera alle Chiesa sorte in territorio pagano. Nella sua sostanza questo documento riconosce la piena libertà dei pagani che chiedono di diventare cristiani. La fede in Cristo è necessaria, ma è anche sufficiente. Non occorre altro. Si chiede loro però di osservare alcune clausole (in gran parte di carattere alimentare), per consentire una sana convivenza con i Giudei convertiti, soprattutto negli incontri conviviali. E ciò in ragione della carità. Così i cristiani provenienti dal giudaismo potranno prendere i pasti in comune con quanti si convertono dal paganesimo, senza violare i loro doveri di purità legale. Quando la fede esigerà di essere difesa e proposta nella sua purezza e integrità, più volte nella vita della Chiesa i Concili saranno momenti di luce preziosi, spesso decisivi per riconoscere la strada da percorrere nella fedeltà al Vangelo.

Il traguardo a cui essa tende nel suo cammino attraverso la storia è splendido e meraviglioso.

L'autore dell'Apocalisse, nella parte conclusiva del libro, presenta la Chiesa nel suo stadio finale come la nuova Gerusalemme, la città-sposa di Cristo (21, 1-5: cfr. scorsa domenica). Nel brano odierno (21,10-23: II lettura) sviluppa l'immagine della città mostrandone la preziosità, la bellezza, la somma perfezione. E' la "città santa": cioè appartiene a Dio e in essa Egli dimora. "Scende dal cielo, da Dio": non è il risultato dell'operosità umana, ma creazione di Dio. "E' risplendente della gloria di Dio". La "gloria", cioè la realtà di Dio e la sua presenza, la riempie fino a farla traboccare di luce. Nel Credo noi professiamo la Chiesa come "Santa". Il "muro grande e alto", che la cinge, indica la massima sicurezza che si gode in questa città. Le "dodici porte" richiamano le dodici tribù d'Israele, cioè la Chiesa come popolo di Dio. Sono porte aperte per accogliere tutti i popoli della terra. La Chiesa è appunto "Cattolica". I basamenti su cui poggiano le mura della città sono "i dodici apostoli dell'Agnello": la Chiesa è "Apostolica". Nella nuova Gerusalemme non c'è tempio, cioè un luogo riservato alla presenza di Dio e dove lo si possa incontrare. Il motivo? Dio e l'Agnello con la loro presenza d'amore pervadono ogni spazio e impregnano ogni relazione. I redenti sono talmente ricolmati da Cristo, e quindi da Dio, che la sua presenza luminosa risplende e traspare attraverso tutto il loro essere. Verrebbe da dire che la città celeste, simbolo dell'umana convivenza, è ormai tutta...Dio. La famiglia umana è ormai definitivamente dentro la famiglia divina della Trinità, godendo della stessa gioia. L'unità con Dio e tra fratelli è perfetta: la chiesa è "Una". Il sogno eterno di Dio nei confronti degli uomini, come pure il desiderio di unione con Dio, che costituisce l'essere profondo di ogni uomo, sono pienamente realizzati. Contemplando questa "città", dove siamo attesi, come non sentirci accendere di speranza e di nostalgia? Come non sentire il bisogno di prepararci? Un canto spiritual dice: "Voglio essere pronto a passeggiare nella Gerusalemme celeste". Si tratta appunto di provare a vivere già qui e ora l'eternità. Vale a dire, il rapporto con la Trinità, che costituisce la vita della Gerusalemme celeste, può essere anticipato nella Chiesa ancora in cammino.

E' quanto ci richiama il Vangelo. Gesù annuncia che con la sua morte non si apre per i suoi discepoli un tempo vuoto, caratterizzato dalla sua assenza. Ma essi sperimenteranno la presenza nuova del Maestro insieme al Padre e vivranno con loro una relazione intensa di intimità e di amore: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Per il discepolo Gesù non è un ricordo, ma una persona viva e amica che lo assicura: "Io ti conosco. Ti do la vita eterna. Nessuno ti rapirà dalla mia mano" (Gv 10, 27-28: IV domenica di Pasqua/C). E gioisce se riceve amore. Questo amore, però, non può ridursi a una semplice dichiarazione e a un sentimento vago o emotivo, ma si manifesta con l'obbedienza concreta: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola". Che è come sintetizzata nel comandamento dell'amore scambievole: "Vi do un comandamento nuovo...Come io vi ho amato, così amatevi anche voi". (Gv 13, 34-35). E' il programma di vita che ci consegnava la scorsa domenica. Chi ama Gesù attuando la sua parola, cioè praticando l'amore vicendevole, fa felice non solo Gesù, ma anche il Padre. Il quale sa ricambiare nella sua misura: "il Padre mio lo amerà". Certamente Dio è l'Amante per eccellenza. Prende sempre l'iniziativa nel gioco dell'amore. Ma quando un discepolo ama suo Figlio, e quindi inevitabilmente anche Lui, il Padre – secondo la legge della reciprocità – è come provocato ad amare in maniera nuova e più intensa. Un amore che – condiviso da Gesù – non tollera la lontananza: "E noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". I discepoli si aspettavano che Gesù si sarebbe manifestato in modo pubblico e spettacolare. Egli invece dichiara che tale manifestazione sarà interiore e profonda: sarà una semplice e straordinaria venuta della Trinità nel cuore del cristiano. Ecco l'avvenimento sconvolgente che si compie, quando all'amore del discepolo Dio risponde col suo amore: il Padre e il Figlio si insediano familiarmente presso di lui, stabiliscono con lui un rapporto personale così vertiginoso, che egli – si può dire – diventa la casa dove Essi si compiacciono di abitare ed Essi la casa dove egli dimora o, meglio, il vortice di tenerezza in cui si trova a nuotare.

I discepoli non saranno abbandonati a se stessi. Godranno della compagnia permanente del Padre e del Figlio. Godranno della presenza attiva del "Consolatore" (=il Protettore, il Difensore), "lo Spirito Santo". Il Padre lo "manderà nel nome" di Gesù. Cioè la sua missione sarà in relazione a Gesù, legata strettamente a quella di Gesù. Agirà in rapporto alla persona e all'opera di Gesù. In che senso? "Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto". Non aggiungerà nuove rivelazioni, perché Gesù ha detto tutto. Ma richiamerà alla mente ogni parola di Gesù, spiegandola nel profondo, facendola comprendere, gustare, vivere.

"Amare" Gesù, che comporta l'amore reciproco, "essere amati" da Lui e dal Padre nello Spirito Santo: è questa la realtà più vera della Chiesa, il dinamismo profondo che anima i cristiani. E' qui che siamo chiamati a investire il meglio di noi stessi e ogni nostra risorsa. A questa esperienza è legata la pace ("Vi lascio la pace, vi do la mia pace") e il superamento di ogni paura ("Non sia turbato il votro cuore e non abbia timore").

"Noi verremo a lui...". Il cuore del cristiano è il tempio di Dio, la viva dimora della Trinità.

Penso mai al tesoro, al dono inestimabile che grazie al Battesimo porto in me?

Provo stupore e riconoscenza? Ci sono molti cristiani che forse lasciano passare la vita intera senza mai accorgersi della ricchezza infinita nascosta dentro di loro.

Mi prende mai la nostalgia, il bisogno di perdermi con immensa fiducia nella Famiglia divina che mi abita e gustare la gioia di lasciarmi abbracciare?

Con quale rispetto e venerazione mi pongo davanti al fratello, contemplando la Trinità in lui?

Soprattutto, però, ogni volta che dimostro il mio amore a Gesù, osservando la sua parola, cioè compiendo un gesto di amore reciproco, provoco l'amore del Padre e attiro, quasi di nuovo, la Trinità in me. Quante volte al giorno mi succede?

 

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