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TESTO Tempo di prova, tempo di grazia

don Elio Dotto  

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II Domenica di Quaresima (Anno A) (24/02/2002)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 17,1-9

In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Si trovava davvero alle strette Gesù, in quel tempo, quando decise di salire sul monte insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni (Mt 17,1-9; vangelo di domenica). La gente lo assediava ogni giorno, in attesa di qualche nuovo prodigio. Di essa Gesù aveva compassione: ma si sentiva anche braccato da un entusiasmo popolare che non sempre appariva limpido ed univoco. Soprattutto, però, stava aumentando la polemica con i farisei e i sadducei: le discussioni si erano moltiplicate negli ultimi tempi, e gli avversari di Gesù avevano alzato il tiro, puntando ormai alla sua eliminazione fisica. Come se non bastasse, anche gli stessi discepoli sembravano non capire il Maestro: a Cesarea di Filippo Pietro lo aveva addirittura rimproverato. E forse era proprio quest'ultima circostanza ad intristire Gesù, in quel tempo, quando decise di salire sul monte.

Risulta tuttavia chiaro che Gesù non voleva in tal modo fuggire lontano dalle strettezze della sua esistenza. Così magari facciamo noi, nel tempo della prova, quando la vita ci sembra angusta, e cerchiamo scampo in qualche oasi tranquilla, perlomeno nel mondo virtuale dell'immaginazione. Si tratta di una tentazione sottile, che ci spinge a sognare di essere sempre altrove: in un altro ambiente di lavoro, in un'altra famiglia, con una altra moglie, con altri amici... Il tempo della prova infatti ci appare insopportabile ed inutile: al punto che ci sembra meglio fuggire, piuttosto che affrontare la fatica.

Non così però fece Gesù: egli non salì sul monte per fuggire dalla prova, ma per pregare, e così ritrovare speranza. Certo, davanti a lui chiuso e superficiale era in quei giorni il cuore della gente, che spesso lo cercava soltanto per riempirsi la pancia; chiuso ed ostile era il cuore dei farisei e dei sadducei, pronti a farlo uccidere; chiuso ed ignaro era il cuore dei discepoli, ancora lontani dalla verità del suo Vangelo. Eppure rimaneva per Gesù una strada aperta: ed era la strada del cielo. Appunto come si prega nel salmo 26: "Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò timore? Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia" (Sal 26,1.3).

Fu dunque la strada aperta del cielo a conservare la speranza in Gesù. Ed egli percorse questa strada con la preghiera, fatta sul monte insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni: "Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto" (Sal 26,8-9a; antifona di ingresso della liturgia di domenica). Fu appunto in seguito a questa supplica che "il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce". La preghiera di Gesù trasfigurò le strettezze della sua esistenza, ed egli subito discese dal monte per portare a termine la sua missione.

Avvenne in tal modo per lui quello che già era successo ad Abramo, nei lunghi anni del suo pellegrinaggio: il tempo della prova si rivelò tempo della grazia. Perché proprio nella prova Gesù sperimentò maggiormente la vicinanza del Padre; come proprio attraverso la prova si erano compiute per Abramo le promesse di Dio (cf Gen 12,1-4; prima lettura di domenica). Davvero il tempo della prova fu per loro anche tempo della grazia: e cioè tempo in cui la salvezza si mostrò in modo sorprendente ed inatteso, al di là di ogni possibile desiderio.

E così potrà essere pure per noi, se soltanto impariamo a rimanere nelle situazioni spesso anguste e difficili della nostra esistenza. In fondo, non dobbiamo stupirci più di tanto quando viene il tempo della prova, e la vita ci appare stretta: perché - in ultimo - sempre stretta ed insufficiente sarà la nostra condizione umana. Eppure sempre avremo la possibilità di sollevare gli occhi verso il cielo, dilatando i nostri angusti orizzonti: "Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra" (Sal 120,1-2).

La Quaresima - che è insieme tempo di prova e tempo di grazia - ci aiuti a sollevare in tal modo lo sguardo: e ci faccia finalmente scoprire che "Dio ci ha salvati non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia" (2Tm 1,9; seconda lettura di domenica).

 

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