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TESTO Commento su Giovanni 10,27-30

Suor Giuseppina Pisano o.p.

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (29/04/2007)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

"Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio "; questo dice Gesù dei suoi fedeli, quelle pecore del gregge che riconoscono la sua voce.

Ogni uomo, dunque è nelle mani di Dio, quelle mani che lo hanno fatto e plasmato, come canta il Salmista ( sl.118), quelle mani forti e sicure che guidano e proteggono, quelle mani pronte ad accogliere, anche, i figli che si allontanano e ritornano pentiti; quelle mani tenere, come quelle di una madre, che accarezzano e confortano, che, come leggiamo nel libro dell' Apocalisse, asciugheranno ogni lacrima, quando, superato il tempo, saremo davanti a Dio.

Le mani di Dio sono le mani del Padre, ricco di misericordia, che, nella pienezza dell' Amore, ha inviato il suo Figlio, fattosi uomo, e a Lui ci ha consegnati, per essere salvati.

Scrive Paolo: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo...in Lui ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per trovarci al suo cospetto santi e perfetti nell'amore..."( Ef...1,3-4); da sempre dunque, ogni uomo, è presente nel progetto di Dio, quasi fosse già nelle sue mani, al sicuro, fintanto che non voglia sfuggirgli ed andare per altre vie.

Tuttavia, anche quando ciò accade, lo sguardo del Padre segue il figlio che va lontano, e il suo amore, pur senza violarne la libertà, ne sollecita il ritorno.

È la parabola della pecora, che allontanatasi dal gregge vaga, incauta, verso il pericolo; ma, per recuperarla, Dio ha mandato sui suoi passi, Gesù, il " Pastore grande delle pecore", e saranno le mani del Redentore, ad accogliere chiunque si è smarrito.

Nella preghiera sacerdotale al Padre, Gesù, in quella sera dell'ultima Pasqua consumata coi Dodici, prima della sua passione e morte, aveva detto:" Padre, ho manifestato il tuo nome agli uomini, che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me...le parole che tu mi hai dato, le ho date a loro.... Io prego per loro, non prego per il mondo, ma per coloro che Tu mi hai dato...io sono stato glorificato in loro...Padre santo, conservali nel tuo nome...affinché siano uno come noi...e non prego solo per costoro, ma anche per coloro che crederanno in me, mediante la loro parola.." ( Gv. 17,6-20)

Questa sollecitudine di Dio per l'uomo, sollecitudine del Padre e del Figlio Gesù Cristo, la ritroviamo, oggi, nel brevissimo, intenso passo del Vangelo di Giovanni, in cui ogni parola è come uno spiraglio aperto alla contemplazione del Mistero di Dio, Padre e del Figlio Gesù, il Salvatore, alle cui mani Egli ci ha affidati.

Le mani del Cristo, che è passato tra gli uomini beneficandoli, sono le mani, che hanno risanato ciechi, muti e zoppi, mani che hanno consolato e hanno richiamato in vita i morti; mani che hanno benedetto e accarezzato, e che si son lasciate inchiodare sulla croce; perché sono le uniche mani, tenute aperte dall'amore, che sempre si dà, sino alla fine.

Le mani di Cristo, sono le mani dell'unico Pastore che offre la vita per quelle pecore, che riconoscono la sua voce, perché avvertono l'amore che egli nutre per loro.

"Le mie pecore ascoltano la mia voce.. ."; queste sono le parole di Gesù, che ancora una volta ci parla di ascolto; un verbo importante, nel linguaggio scritturistico, perché è sinonimo di docilità, di fiducia, di un cuore aperto a Dio, atteggiamenti, questi, che si traducono, poi, in scelte di vita conformi alla parola accolta.

"se oggi, ascoltate la Sua voce, esorta il Salmista, non indurite il cuore..." ( sl 94); un cuore capace di ascolto e di accoglimento della Parola è, anche, un cuore capace di riconoscere, e di amare, in altre parole, di obbedire e di seguire.

"Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore, io le conosco ed esse mi seguono"; c' è un legame di conoscenza reciproca, tra il pastore e il gregge, tra Cristo e quanti lo seguono, e questa conoscenza è un rapporto di comunione, nel quale il Figlio fa dono della vita eterna:" Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute", così recita il passo del Vangelo.

La vita eterna; di essa, Gesù stesso ci dice in che cosa consista:" La vita eterna è conoscere Te, unico, vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" ( Gv.17,3); essa, dunque, non si realizza soltanto nel futuro, oltre il tempo, ma è possibile già ora, durante l'esistenza terrena, per la comunione profonda con Cristo, unico Maestro e Pastore, del quale, sempre, ascoltiamo la voce e seguiamo le orme.

È l'esperienza profonda della Pasqua, dono di grazia del Risorto, esperienza che ci fortifica e ci conforta nella sequela, anche quando si fa buio all'orizzonte, quando insorge la paura, e la vita diventa una salita faticosa, anche allora, la mano del Pastore ci soccorre, come canta il Salmista:

"Il Signore è il mio pastore... se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me, Signore." (sl.23); " Ecco, io sono con voi, è la promessa del Risorto, tutti i giorni, sino alla fine del mondo." (Mt.28,20)".

Anche se la presenza del Signore, non è più visibile, è comunque percepibile nei segni che ci ha lasciato: nella Parola e nei sacramenti, e, tra questi la Chiesa," sacramento visibile di unità salvifica", la quale, nei secoli, attua il mandato di Cristo, come la seconda lettura di oggi ci ricorda, nelle parole di Paolo, ai Giudei di Antiochia, i quali non accettavano l'annuncio del Vangelo:

"Poiché, respingete questa parola e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani. Così, infatti, ci ha ordinato il Signore: «Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra». Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio, e abbracciarono la fede, tutti quelli che erano destinati alla vita eterna" (Atti 13, 14. 43 52)

Alla vita eterna, poi, è destinato ogni uomo che vede la luce in questo mondo, perché ha in sé l'immagine del Padre ed è destinatario delle cure del Pastore, che, per ognuno, ha dato il suo corpo e il suo sangue; ed ecco che nel passo dell'Apocalisse che in questa domenica la liturgia ripropone, possiamo felicemente contemplare quella splendida visione, di " una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua... in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello..".

È la condizione definitiva di tutti coloro che sono entrati nel Mistero di grazia che è la redenzione operata da Gesù di Nazareth, il Figlio, che è uno col Padre, e che, in virtù della sua umanità gloriosa, introdurrà tutti salvati, in quella stessa comunione.


Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it

 

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