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TESTO Commento su Giovanni 20,11-18

mons. Vincenzo Paglia  

Martedì fra l'Ottava di Pasqua (10/04/2007)

Vangelo: Gv 20,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Maria di Màgdala rimane accanto al sepolcro e piange. La perdita dell'unico che l'aveva capita l'ha fatta correre e l'ha indotta a cercarlo. Noi troppo poco piangiamo la perdita del Signore! Maria è sconsolata. A tutti, ai due angeli e al "giardiniere" chiede di Gesù. È tutta tesa alla ricerca del Maestro, null'altro le interessa. Maria è esempio della vera credente che cerca il suo Signore. Lo chiede anche al "giardiniere". Ella vede Gesù con gli occhi, ma non lo riconosce finché non viene chiamata per nome. È quel che accade anche a noi con il Vangelo. Non gli occhi ci permettono di riconoscere Gesù, ma la voce. Quel timbro, quel tono, quel nome pronunciato con una tenerezza che tante volte le aveva toccato il cuore, fanno cadere la barriera, e Maria riconosce il suo maestro. Ascoltarlo anche una sola volta significa non abbandonarlo più. La voce di Cristo (il Vangelo) non si dimentica; udita per un attimo, non vi si rinuncia più. La familiarità con le parole evangeliche è familiarità con il Signore: costituisce la via per vederlo e incontrarlo. Maria si getta ai piedi di Gesù e lo abbraccia con l'affetto struggente di chi ha ritrovato l'uomo decisivo della sua vita. Ma Gesù le dice: "Non mi trattenere... Va' piuttosto dai miei fratelli". L'amore evangelico è un'energia che spinge ad andare oltre. Maria fu ancor più felice mentre correva nuovamente verso i discepoli per annunciare a tutti: "Ho visto il Signore!". Lei, la peccatrice, è divenuta la prima annunciatrice del Vangelo.

 

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