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TESTO Omelia per il 19 novembre 2000 - 33a dom. T. Ordinario Anno B

Totustuus  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/11/2000)

Vangelo: Mc 13,24-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,24-32

24In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

25le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

28Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

30In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

NESSO TRA LE LETTURE

Al termine del ciclo liturgico B la liturgia della Chiesa non può offrirci un tema migliore di quello della speranza. Daniele, guardando speranzoso verso il futuro, profetizzerà: "Allora si salverà il tuo popolo, tutti gli iscritti nel libro". Nel discorso escatologico Gesù vede il compimento delle profezie dell'Antico Testamento: "Il Figlio dell'uomo... riunirà dai quattro venti gli eletti, dall'estremo della terra fino all'estremo del cielo" (vangelo). L'autore della lettera agli Ebrei contempla Cristo seduto alla destra di Dio, aspettando fino a che i suoi nemici siano posti come sgabello sotto i suoi piedi
MESSAGGIO DOTTRINALE

Non un resoconto, ma un mistero. Né i profeti né gli evangelisti furono reporters del loro tempo, molto meno della fine dei tempi, che, mentre ignorano, non cessano tuttavia di annunciare. Mediante un linguaggio misterioso, marcatamente simbolico, tentano di mettere noi lettori o uditori nel mistero della fine del tempo e della storia. È necessario pertanto stare attenti, per non confondere linguaggio e messaggio. Il linguaggio non può non essere antropomorfico: la fine del mondo vista come una conflagrazione universale terrificante, una specie di terremoto cosmico che trascina con sé l'universo intero e lo distrugge al completo, un cataclisma imponente, il cui fuoco incandescente divora, bruciandola, tutta la materia. Nascosto dietro questa rappresentazione scenica di impressionante vivezza, c'è un messaggio divino: "Il mondo non è eterno. La storia avrà un termine". Il rivestimento letterario, proprio della apocalittica giudaica, molto appropriato per i tempi di persecuzione che correvano (nel caso di Daniele la persecuzione di Antioco IV Epifane, ai tempi di Marco probabilmente quella di Nerone), non deve distrarci, molto meno angosciarci, e meno ancora nasconderci e farci perdere il messaggio di rivelazione di Dio. Il messaggio è rivelazione di Dio, e, pertanto, certo, irrevocabile, vero, valido, "il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". In quanto mistero, tuttavia, non è alla portata della nostra umana conoscenza, né è manipolabile a soddisfazione della nostra curiosità o del nostro orgoglio. Come mistero, è irruzione imprevedibile, apparizione repentina e impossibile da cogliere, svelamento inaspettato e abbagliante. Come mistero, si spera in Dio, il Signore del mistero, in atteggiamento vigilante e fiducioso.

Il termine della vita e il termine del tempo. Per l'evangelista Marco, la distruzione di Gerusalemme e del tempio serve da simbolo dei tempi finali del mondo e della storia. Allo stesso modo, l'immagine del fico da quando fiorisce in primavera fino a che maturano i fichi, serve per mettere in risalto il tempo intermedio tra la storia concreta della sua epoca e la fine della storia. C'è dunque una relazione tra il tempo e l'eternità, tra il termine di una epoca e il termine della storia, tra la fine della vita e la fine del tempo. Tra entrambi i termini ci sono certe somiglianze: in primo luogo, la certezza del termine, evidente rispetto alla fine della vita, oggetto di fede rispetto al tempo; poi, il suo carattere imprevedibile, totalmente quanto alla fine del tempo, parzialmente quanto al termine della vita; inoltre, il suo valore decisivo: in un caso si decide sulla sorte dell'individuo, nell'altro sulla sorte dell'umanità intera. Infine, entrambe rivelano la condizione dell'uomo e del suo mondo, una condizione limitata, imperfetta, precaria, che rimanda necessariamente a un'altra realtà superiore, dove tale condizione riceve perfezione e completamento. In questa maniera la fine della vita equivale in certo modo alla fine del tempo per ogni essere umano; e la fine del tempo, in qualche maniera, è prefigurata nella fine della vita. Con la morte, possiamo dire, giunge ad ogni uomo la fine del suo tempo in attesa della fine di tutti i tempi. Entrambi i momenti finali si vivono alla luce risplendente della speranza cristiana.

SUGGERIMENTI PASTORALI

Speranza e speranze. È un luogo comune dire che l'uomo vive di speranza. Ed è vero. Il bambino spera di diventare grande o di avere una motocicletta. Lo studente spera di superare gli esami. Gli sposi novelli sperano di avere un figlio. Il disoccupato spera di trovare un lavoro. Il carcerato spera di lasciare quanto prima il carcere. Il commerciante che ha appena aperto un negozio, spera che gli vada bene... Speranze, speranze, speranze. Tutte buone, legittime, perfino necessarie. Ma, alla fine, speranze piccole, speranze di poco valore. Speranze unite a un bene che non abbiamo e che desideriamo possedere. Speranze che ci rimandano alla Speranza, con la maiuscola, singolare, che ci fa risalire dalle circostanze stesse della vita quotidiana e corrente fino a Dio Nostro Signore. Speranze che non sempre sono soddisfatte, che ci possono ingannare e deludere, che nella loro pochezza e labilità ci fanno pensare a quella Speranza che non inganna, che mantiene sempre sveglio il desiderio, e che gode di inamovibile fermezza e di assoluta garanzia. La Speranza con maiuscola non è frutto del nostro sforzo né dei nostri ardenti desideri, ma grazia e carisma dello Spirito, virtù teologale che ha per anelito lo stesso Dio e l'unione definitiva e perfetta con Lui. È questa la speranza che ci dà accesso alla pienezza e alla realizzazione del nostro essere personale a partire da Dio, in Dio e con Dio. È la Speranza che tutti dobbiamo avere, che a tutti auguro.

Una lieta fine per il cristiano. Gesù Cristo, parlando dell'ora finale, secondo il vangelo di Marco, nomina soltanto gli eletti; dei condannati, se ce ne fossero, cosa che ci è ignota, in Marco non ci viene detto nulla. L'ultimo giorno si chiuderà con una lieta fine. Lo sappiano e lo tengano presente tutti i profeti di sventura! La sorte finale di ogni uomo è avvolta nel mistero più assoluto (sappiamo soltanto che si trovano in cielo i santi canonizzati), ma un finale come quello del vangelo di oggi infonde un grande conforto e una straordinaria fiducia nel potere e nella misericordia di Dio. Perché dobbiamo sapere che non soltanto stiamo in attesa in questo mondo, ma che siamo attesi nell'altro, innanzitutto da Dio, ma poi dalla santissima Vergine Maria, dai santi, dai nostri familiari, da tutti i nostri cari. Tutti coloro che ci aspettano sono interessati che la nostra vita termini bene, che la storia dell'umanità e dell'universo culmini con una lieta fine solenne e generale. Per questo Cristo, il nostro sommo Sacerdote, morì su di una croce ed adesso, sul trono con suo Padre, ci aspetta per darci l'abbraccio della comunione definitiva e perfetta. Ce lo darà, se ci lasciamo santificare da lui, se permettiamo, cioè, che faccia fruttificare in noi i frutti della sua redenzione.

 

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