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TESTO Commento su Luca 15,1-3.11-32

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (18/03/2007)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

È' la parabola delle parabole. È l'essenza di cosa significa cristianesimo e cristiani. È l'arrivo e la partenza di ogni cammino personale e comunitario. Nel ringraziare il medico ed evangelista Luca che ci ha donato questa splendida pagina di Vangelo non possiamo accogliere quelle sane provocazioni che il capitolo quindici del terzo Vangelo continua a offrire. È come il visitare per ripetute volte la Cappella Sistina o quella degli Scrovegni: particolari nuovi, indicazioni inedite e colori visti sotto un'altra luce fanno dire che è sempre bello e nuovo ciò che si ha davanti. Così è con ogni pagina della Scrittura.

Prima indicazione: mangiare con i peccatori e relazionarsi con loro fa letto nel sentirsi per primi peccatori e che il Signore Gesù vuole relazionarsi con noi. La smania e mania di considerare sempre gli altri peccatori di qualcosa fatto e che faranno, si annida quotidianamente nel cuore umano. La scelta di Gesù di sedersi con i peccatori è una chiara indicazione che a quella mensa non possiamo mancare e non si può delegare nessuno. Non solo: la voglia di vedere o mettere a sedere qualcun altro in quella tavola è di natura maligna. Coloro che sono in piedi e lo ascoltano dovrebbero essere i primi commensali al tavolo di Gesù chiedendo quel cibo e quella bevanda che li nutra nel profondo. Ma se si sceglie di stare in piedi e puntare il dito si avrà sempre lo stomaco vuoto e la rabbia nel cuore.

Seconda indicazione: sentirsi nel bisogno quando non si ha più nulla, non va visto come una rivincita e vendetta del padre verso il figlio (quasi se dicesse: "Prima o poi dovrai tornare!" con tono poco paterno e benevolo). Avere bisogno è la salvezza per e dell'uomo. Perché è chiedendo che ci si salva, è nel tendere la mano che si aprono i propri occhi e lasciano cadere le cataratte dell'autosufficienza. Ma non basta avere bisogno, perché è importante sapere di che cosa e di chi. Le pennellate magistrali dell'evangelista Luca non sono buttate a caso ma poste con precisione e pregnanza di significato. Quel pane di cui si ha fame e quella casa in cui si anela abitare non sono mai lontano da noi stessi. Nella lontana si scopre la vicinanza; nel vivere la fede in un fai-da-te fuori dalla Chiesa si ha fame e desiderio di relazioni vive e autentiche. È un profondo e sincero esame di coscienza che il figlio giovane vive lontano da casa. È una coscienza che vuole ritrovarsi e disgelarsi dal quel freddo rapporto che si era instaurato con il Padre.

Terza indicazione: "Ma dopo tutto quello che ho commesso chissà se Dio mi vuole ancora bene? Penso di averla commesso troppo grossa!". Non c'è nulla che non può essere perdonato da Dio, semmai è l'uomo che fatica a perdonarsi e amarsi. Nelle situazioni e nei momenti della vita in sui si è tentati di dare una risposta negativa alla domanda sopra posta, gettiamo nel cuore quella forte parole: "Mi leverò e andrò", pari a una pietra che rompe la cappa che impedisce di respirare. Pretendere di vivere senza levarsi e muoversi è illusorio. Si ritorna a vivere quando si da quello scatto di reni che spezza la rete del proprio senso di colpa e della condanna immediata. Ci sono delle braccia che ancora non hanno abbracciato, una bocca che non ha baciato, degli occhi che non vedono, dei piedi che attendono di correre. Sappi che tutto ciò attende te. Oggi, ora. E quella festa, allora, non finirà mai.

Commento a cura di don Giacomo Ruggeri

 

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