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TESTO La trasfigurazione di Cristo e la nostra trasformazione

padre Antonio Rungi

II Domenica di Quaresima (Anno C) (04/03/2007)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Seconda domenica di Quaresima: è tempo di salire con Cristo sul Monte Tabor, assistere alla sua Trasfigurazione e immergerci nel mistero della sua Pasqua di Morte e Risurrezione. Il Vangelo di oggi, tratto da San Luca, infatti, ci riporta il brano del mistero della luce che è la trasfigurazione di Gesù. Un testo che invita alla gioia e alla speranza cristiana, ma che ci mette in guardia anche dai rischi di un fallimento esistenziale se non comprendiamo che la vera risurrezione passa attraverso il necessario calvario e la connaturale sofferenza che compete ad ogni essere umano, proprio per la fragilità che gli è propria. Trasfigurazione e contemplazione, ma anche passione e morte. Gioia e felicità da invogliare a restare là, su quel monte, ma anche l'esigenza di scendere tra la realtà del mondo, fin quando in questo mondo si cammina con la coscienza di ciò che è effettivamente. Sogni e idealità, ma anche realtà e concretezza. In questa domenica si dibattono nel nostro cuore due sentimenti apparentemente contrapposti, ma che in realtà sono la sintesi di un solo cammino ascetico e cristiano vero: se si vuole seguire Cristo è necessario seguirlo attraverso la via stretta del Calvario, per poi assaporare con Lui la gioia della vita e della risurrezione. Non ci sono mezze misure, ma solo la coscienza che camminare con Cristo significa andare verso Gerusalemme e immolarsi con lui per il bene dell'umanità. I tre apostoli, che avranno la possibilità di fare la straordinaria esperienza di luce e di felicità sul Monte Tabor, rappresentano tutti gli uomini di buona volontà che oggi e sempre sono ben disposti a seguire Cristo, non solo nel momento della gloria, ma anche nel momento dell'umiliazione.

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono ad alcuno ciò che avevano visto.

Nel sintetizzare da un punto di vista teologico la celebrazione odierna, il prefazio così recita: "Egli, dopo aver dato ai discepoli l'annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli

che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione".

Il brano della Lettera di san Paolo Apostolo ai Filippesi che ascoltiamo oggi ci ricorda che il Signore ci trasfigurerà nel suo corpo glorioso. Ma l'Apostolo delle Genti ci rammenta pure quali cose sono da aborrire in un cristiano. Che molti si comportano come nemici della Croce di Cristo, non è una denuncia solo del tempo di Paolo, ma anche di oggi, soprattutto di questo nostro tempo immerso solo nel soddisfare i bisogni della carne, avendo il ventre come loro Dio:

Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come Dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. [La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!].

Di fronte alla perdita del sacro, alle tante offese della religione, a tanti che rinnegano il proprio credo, risulta essere di grande speranza il brano della prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, che ci presenta un grande uomo di fede, Abramo, modello di fede per quanti vogliono lasciarsi condurre per mano dalla potenza liberatrice di Dio, salvatore dell'umanità.

In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza". Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: "Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese". Rispose: "Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?". Gli disse: "Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione". Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abram li scacciava. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: "Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto, al grande fiume, il fiume Eufrate.

La fede adulta, matura, certa, che si affida totalmente al Signore e che ripone in lui tutta la fiducia è capace di catturare altre persone e portarle sulla strada di Dio. Noi ci giochiamo la nostra avventura cristiana tra la vecchia e la nuova alleanza, quella di Abramo e quella di Cristo sull'altare della Croce. In tutte e due i casi è necessaria la fede e sperare contro ogni speranza, guardare il mondo con gli occhi di Dio, che oltrepassano le croci del Calvario e si aprono ai giorni lieti della Pasqua, carichi di luce e di autentica gioia, dopo le tante sofferenze di una calvario che apparentemente non termina mai.

 

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