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TESTO Dio ascolta il clamore dell'oppresso

padre Tino Treccani

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/10/2001)

Vangelo: Lc: 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

La parabola della vedova perseverante può essere divisa così: introduzione redazionale di Luca (v. 1); la parabola (vv.2-5); applicazione della parabola, fatta da Gesù (vv. 6-8a); interrogativo, attribuito a Gesù, sulla perdita della fede.

1. Preghiera perseverante (v.1)

Qual è il nucleo della preghiera dei primi cristiani? All'invito di Gesù (11,9), troviamo la risposta in 11,2-4: "... venga il tuo Regno". Nella pratica, tuttavia, sembra che la venuta del Regno sia lenta; così, qualcuno abbandona la fede. Gesù insiste sulla necessità di pregare sempre. Il contenuto centrale della parabola, identificato col desiderio della vedova, è che sia fatta "giustizia" (nel testo greco questa radice appare 5 volte).

2. L'oppresso ha la certezza di essere ascoltato (vv. 2-5)

Nella parabola vediamo che oppresso ed oppressore abitano nella stessa città. Da un lato abbiamo un giudice che non temeva Dio e non aveva considerazione per le persone (v. 2). Nel caso in questione, il timore di Dio significava applicare la Legge che impediva le ingiustizie contro le vedove (Es 22,21-22; Dt 24,17). Avere considerazione per le persone significava non fare distinzioni nel giudicare, favorendo l'oppressore in detrimento della vedova e del povero. Il giudice doveva essere imparziale: "Tutti sono uguali davanti alla legge".

Dall'altro lato abbiamo una vedova - simbolo delle persone più sprotette contro la bramosia dei Dottori della Legge, cfr. Mc 12,40; Lc 20,47 - che si rivolge con insistenza al giudice chiedendo giustizia contro il suo avversario (v. 3). Tanto al tempo dell'Antico testamento, come al tempo di Gesù, la vedova non aveva un difensore legale; così rimaneva alla mercé dei giudici disonesti (IS 1,23; 10,2; 2Sam 14,4ss). Le leggi che ordinavano di difendere le vedove non furono mai prese sul serio. Non dimentichiamo che i dottori della Legge erano periti in legislazione. La forza della vedova consiste nell'insistenza, al punto da scocciare il giudice. Costui, non per causa della coerenza dei suoi principi, né per la coscienza della responsabilità della sua funzione, decide di "fare giustizia" alla vedova. E lo fa per due ragioni: è stanco delle lagne e vuole evitare uno schiaffo morale in pieno tribunale o in piazza pubblica (v.5).

3. In breve tempo, Dio farà giustizia ai suoi eletti (vv. 6-8a)

Gesù vuole applicare la parabole agli ascoltatori. Fa notare il gesto del giudice ingiusto che fa giustizia per vedersi libero dalla scocciatura. Se solamente per causa di questo fini col fare giustizia, immaginiamo quanto di più farà Dio, che si interessa per la causa dell'oppresso!.Infatti, Dio è protettore delle vedove (Ml 3,5). Queste, perciò, hanno a chi ricorrere (cfr. Es 22,21-22: "... non opprimete nessuna vedova o orfano... se mi supplicheranno io ascolterò i l loro clamore").

Gli eletti, cioè i cristiani, trovano in Dio colui che farà giustizia molto in breve.. Questa necessità di giustizia era peculiare ai primi cristiani, oppressi da persecuzioni per causa della loro fedeltà (cfr. Ap. 6,10). Dio ascolta la supplica dei suoi eletti (v. 8a; cfr. Ecl 35,18-19).

4. É difficile conservarsi nella lotta (v. 8b)

Perseverare nella testimonianza e nella preghiera incessante, affinché Dio intervenga e faccia giustizia ai suoi eletti, cioè salvandoli: questo dovrebbe essere il comportamento del cristiano. Tuttavia la parabola termina con una domanda micidiale: quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, per fare giustizia, troverà la fede sulla terra? Troverà persone che si mantennero fedeli a Gesù, nella testimonianza e nella preghiera perseverante? É difficile conservarsi fedele nella battaglia! É necessario credere, sempre, perché tanto allora come oggi, molti sono tentato ad abbandonare la testimonianza (cfr. 2Ts 2,3; Mt 24,12).

In altre parole, siamo persone di fede, a tal punto da riconoscere la presenza della giustizia di Dio, "agendo" in mezzo a noi, oppure crediamo solo nella venuta del Figlio dell'Uomo alla fine dei tempi? Non è adesso il momento di rimboccarci le maniche e lasciare entrare il Regno di Dio nelle nostre vite?

Per riflettere

Ci risiamo, Luca insite nuovamente sulla necessità della giustizia tra le persone, come segno della manifestazione divina e come impegno per aprire le porte al Regno. Il problema è trovare un giudice che si lasci "scocciare" dalle insistenze dei poveri. Avvocati e giudici, oltre a tonnellate di leggi, è ciò che non manca qui in Brasile. Ma la giustizia... è un altro argomento. É inevitabile scoraggiarsi, specialmente quando assistiamo all'impunità generalizzata. Anzi, viene una voglia matta di cominciare a fare il "furbo" (qui diciamo "espertinho") e farla in barba, non appena si può. Comincio a screditare nelle istituzioni sociali, dove il minimo che ti può succedere è ritrovarti ad essere una pallina di ping pong che rimbalza da una racchetta all'altra: i giudici sono giudici, ma non "hanno sensibilità" per le cause dei poveri. Quanto, sporadicamente succede il contrario, fanno fuori il giudice. Come sempre si dice qui: "gli riempiono la bocca di formiche!", per dire, lo fanno fuori letteralmente. Oggi, a differenza del tempo delle prime comunità cristiane, non è solamente è il cristiano perseguitato, ma ogni "piccolo" che non conta niente, perché non ha un conto corrente, una carta di credito, non ha istruzione e, spesso, non ha salute e forza per "scocciare" chi deve rendere giustizia al cittadino.

Alziamo il volo, e osserviamo il senso di giustizia che regna nei rapporti commerciali tra i paesi: ciò che si vive nel piccolo, si ripete nel grande.

Questa parabola è una grande sfida per noi cristiani: la perseveranza nella fede abbinata alla coerenza della testimonianza del Vangelo. Avere fede oggi è uno sforzo immane per non cadere in anacronismi superstiziosi da una parte, e dall'altra, rivestirci di un'etica che traduca nel concreto le conseguenze del Vangelo. Il monito di Gesù è duro: il Figlio dell'Uomo, troverà la fede su questa terra? Lo diceva 2000 anni fa. Noi cristiani, depositari di questo impegno, dobbiamo chiederci seriamente in che cosa consiste la nostra fede, in che cosa crediamo; oppure, se i segni di tanto affievolimento siano da ricercare nella nostra incapacità di pregare incessantemente, magari moltiplicando le formule, ma senza un riscontro effettivo nella pratica quotidiana. Venga il tuo Regno di Amore, di solidarietà e di giustizia, venga il fuoco che fa ardere i nostri cuori e no li lascia riposare finché assistiamo o, peggio, facilitiamo le ingiustizie. Venga il discernimento e la sapienza di credere che ogni nostra azione è politica senza confonderla in partidarismi vari. Non nascondiamoci dietro ad etichette pluricolori, ma tutte uguali alla fin fine, nel senso che la coerenza non si allea al comodo facile di occasione, ma è una bilancia che sappia pesare le nostre intenzioni. Ci sono moltitudini di oppressi in questo pianeta: non lasciamoci tentare dalla faciloneria di dire che anche noi apparteniamo al loro cerchio, finché abbiamo il privilegio di guardarli, al sicuro delle nostre finestre. Le "vedove" del mondo cominciano a scocciarci: esaudiamo la loro richiesta, se non per fede, almeno per salvare la faccia dei bei principi che sappiamo proporre, ma che difficilmente riusciamo a vivere. É una lotta ardua, senza guerre sante o giuste, perché tutte, non hanno niente a che vedere con la giustizia del Vangelo. Essere giusti è cominciare ad eliminare i privilegi che ci contraddistinguono e ci dividono, è cedere del nostro per condividerlo;é avere fede!

 

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