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TESTO L'uso dei beni in vista della fraternità.

padre Tino Treccani

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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/09/2001)

Vangelo: Lc: 16,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Come punto iniziale per la "parabola dell'amministratore infedele, è necessario tener presente il contesto in cui è inserita nel Vangelo di Luca. Appartiene alla sezione 9,51 a 19,27, chiamata comunemente "il viaggio di Gesù a Gerusalemme". Durante quel viaggio, Gesù insiste nell'affermare che è necessario prendere partito. Poco a poco, chi lo segue sta a favore o contro di lui. Ma camminare con Gesù non è facile. Lui, indica gli ostacoli, sfide e le richieste dell'essere discepolo. Infatti, la parabola è indirizzata ai discepoli (16,1), ed vuol dare alcune conclusioni che stimolino coloro che sono ancora indecisi.

Nonostante la parabola abbia sofferto "svii di accentuazione" già all'inizio del Cristianesimo, queste esigenze sembrano evidenti: la scelta (v. 13), il distacco (vv. 5-7), la condivisione (v. 9) e la fedeltà (vv. 10-12).

Il testo consiste di una parabola (vv. 1-8) alla quale furono aumentati alcuni detti di Gesù (vv. 9-13).

1. la parabola (il vv. 1-8)

Si tratta di un problema d' amministrazione (cfr. la frequenza martellante di questa parola). "Secondo il costume tollerato nella Palestina di quel tempo, l'amministratore aveva il diritto di fare dei prestiti con i beni del suo padrone. E, non essendo pagato, si indennizzava, aumentando nella ricevuta, l'importo dei prestiti. Così, al momento del rimborso, restava con la differenza, come un aumento che corrispondeva al suo interesse. Nel caso presente, in realtà, non aveva prestato che cinquanta otri d'olio e ottanta misure di grano. Mettendo sulla ricevuta la quantità reale, si stava appena privando del beneficio - a dire il vero, usuraio - che aveva sottratto. La sua "disonestà" (v. 8) non consiste nella riduzione delle ricevute - sacrificio dei suoi interessi immediati, abilità che il padrone può lodare - bensì nelle vicende anteriori che motivarono la sua dimissione (v.1)". (Nota nella "Bibbia di Gerusalemme").

L'usura dell'amministratore è evidente nei tassi di interesse esigiti per i prestiti. Nel caso dell'olio, la tassa è del 100% e per il frumento è del 20%. Secondo J. Jeremias, "la riduzione (10 hl di olio e76 hl di grano) è in ambedue i casi più o meno dello stesso valore, già che l'olio è molto più caro del grano; tradotti in valore monetario, fanno 500 denari" (As paràbolas de Jesus, Paulus, 5ª ed., São Paulo, 1986, p. 183). Come possiamo vedere, è un amministratore che "sa fare i conti" e questo con i generi di prima necessità (cfr. Iª lettura). Probabilmente portava il padrone alla perdita della clientela. Questo aspetto, associato alla denuncia di disonestà, provocò le dimissioni dall'incarico. (Se il testo sopporta questa interpretazione, allora il signore del v. 8 non è Gesù, ma il padrone e la parabola termina nel v. 8, e non nel v. 7).

É importante notare in questa parabola il radicale cambiamento nella vita dell'amministratore. In altre parole, passa dal sistema concentratore delle città a quello della condivisione e solidarietà dei villaggi. Difatti, al tempo di Gesù, questi due sistemi erano totalmente contrapposti. Nei villaggi si viveva la condivisione, il reciproco aiuto, di modo che nessuno era forzato a mendicare, rubare o prostituirsi. Nelle città - e la parabola è ambientata nella città - vige il sistema della concentrazione. Il padrone è un latifondista che, invece do condividere l'eccedente, concentra i beni di prima necessità. Li affida ad un intermediario (in realtà, un usuraio) che riscuote agi astronomici: 100% e 20%. É chiaro che il padrone perde la clientela per causa dell'ambizione smisurata. Nei villaggi si condivide l'eccedente.Nelle città si accumula e si sfrutta la gente.

L'amministratore rinuncia a tutti i suoi guadagni. Con ciò riceve un elogio dal suo padrone (magari fu riassunto, chi non assume qualcuno che lavora gratis e fa aumentare la clientela?). Rinunciando ad ogni guadagno, fa amici e, se sarà licenziato, avrà qualcuno ad accoglierlo nella sua casa. Dal sistema delle città, passò a quello dei villaggi, che è, secondo il Gesù di Luca, la forma di essere discepoli e partecipare al Regno.

2. per i discepoli (vv. 9-13)

La parabola è indirizzata ai discepoli (v. 1) che devono scegliere decisamente Gesù, correndo il rischio di "essere dimessi" dall'incarico di continuare il progetto di Dio, caso non soddisfino certi requisiti. Come agire per "non perdere il viaggio" con Gesù verso Gerusalemme? Sono ad un incrocio: urge optare, distaccarsi, come l'amministratore infedele che "ha giocato tutto". Questa scelta implica:

- distacco: l'amministratore, nell'imminenza di perdere il posto, si disfà del lecito e dell'illecito. Cosi devono essere i "figli della luce" (cfr. 14,33: chi di voi non rinuncia a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo");

- condivisione: l'amministratore si privò del suo per beneficiare altri. Il suo "denaro ingiusto" (Gesù lo chiama così perché le fortune camuffano, nella maggioranza dei casi, una ingiustizia sociale, cfr. la 1ª lettura) è ora usato nella costruzione della fraternità (v. 9). L'accumulo odora male e aggredisce le proposte del Regno;

- fedeltà: il testo insiste con la parola "fedele" (vv. 10-12), che significa "essere degno di fiducia". Gesù affiderà il suo progetto a coloro che lo seguono nel cammino. Questa fiducia presuppone "essere esenti" all'usura in relazione ai beni terreni e "aperti alla proposta della condivisione" che viene dal Regno, per essere "affidabili" al vero bene, che è la continuazione della pratica di Gesù (vv. 10-12);

- scelta fondamentale: il discepolo che non è distaccato, non sa condividere, non è degno di fiducia, è incapace di decidersi per Gesù. Stare "seduti sul muro a guardare e giudicare gli altri" è già non appartenere a Dio (v. 13).

Per riflettere

"Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand'essa verrà a mancare vi accolgano nelle dimore eterne". Per caso Gesù si riferisce ai soldi riciclati del narcotraffico? Non sono mancati suoi discepoli che hanno combinato con dubbiosa ingenuità le prodezze dei Robin Hood per risolvere, con denaro dubbioso, opere caritative o sfarzose mansioni anche ecclesiastiche. Che pensare di alcuni aiuti umanitari... come chiave per entrare nel Regno dei cieli? Mi sembra che un proverbio dica: il denaro apre tutte le porte. Chissà? Dall'imbianchino all'usciere del presidente, dai processi lunghi della giustizia cieca alla "mancetta di favore", tutti ne abbiamo da ricordare.

Sembra che la parabola di due mila anni fa, abbia sempre successo, specialmente nelle "forzature" di ciò che non dice, ossia, non è un invito all'usura e nemmeno alla furbizia del commercio. L'importante è vendere e mantenere la clientela: quella che cerca la moda, chi il successo, chi la chiesa piena, chi le 72 vergini in paradiso e chi lo stesso Cristo nei profumi arcani dell'incenso. Siamo amministratori di qualcosa che non ci appartiene, anche se le illusioni ci fanno sudare il contrario. Che fare? Zappare, mendicare? Il nostro amministratore non se la sente; gioca l'ultima pedina che gli rimane, tanto, ha perso il suo posto di lavoro: "we trust in God", ecco la soluzione, "noi crediamo in Dio" che la banca centrale brasiliana, come buon "pappagallo copione", ha tradotto e impresso sulle banconote con le parole "Nós acreditamos em Deus".

Finalmente i nuovi amministratori si scoprono: abbiamo un Dio e crediamo in lui: il denaro. Tutto gira attorno a questo Dio, perfino il sesso, quello gratis dell'adolescente, quello comprato e venduto e quello barattato di tante coppie impeccabili. L'importante è dare, con la speranza di ricevere in cambio. Cosicché la gratuità delle nostre azioni, dei discepoli del Regno, spesso perde quella "fiducia" che ci rende affidabili, sinceri. Da amministratori vogliamo diventare padroni. La sindrome del potere ci è innata, come seconda "grazia". Eppure non siamo padroni dei beni che possediamo, ne siamo solo amministratori al servizio di una giusta ripartizione. Che dire della ricchezza inutilizzata? Penso che sia tempo maturo per smettere di parlare di pace e di fame nel mondo e cominciare a fare qualcosa, senza perderci in ideologie che valgono solo il narcisismo in cui ci rispecchiamo. Distacco, condivisione, fedeltà, scelta fondamentale. Pure noi frati barattiamo molto su queste prerogative indispensabili per essere discepoli di Gesù. Essere fedeli nel poco e nel molto. "Non potete servire a Dio e a mammona". Gesù sta esagerando, deve aver preso un forte lapsus. Se vivesse oggi, nel nostro paradiso moderno, direbbe altro, magari qualcosa come questo: bravi, voi che accumulate, che costruite imperi. Dio è grande, lui ci pensa ai poveri Cristi, voi arraffate più che potete e, mi raccomando, non dimenticatevi di costruirmi delle belle cattedrali, delle grandi torri che mostrano quanto l'uomo creda di essersi avvicinato al Cielo.

Non ho capito bene: Gesù parla di disonesta ricchezza o di fedeltà? Dice di non servire a due padroni ed ha azzeccato il pelo nell'uovo: abbiamo un unico padrone: "We trust in God", Noi crediamo in Dio. Solo che il nostro Dio si scrive con la minuscola, ma è onnipotente, onnisciente, onnipresente. Se amiamo lui disprezzeremo l'Altro. Non sto beffando, nei giorni d'oggi, quando mi vedo le ragnatele in tasca, mi prende un sconforto, un disanimo, un senso di smarrimento. Che faccio? E prego la mitica Provvidenza, affinché faccia il miracolo, togliendo le ragnatele in tasca. L'infedeltà nel poco nemmeno mi fa ammirare la luce del sole od il sollievo delle prime piogge che mitigano l'arsura di questo periodo. Il Dio-padrone non molla la presa. In effetti è più vecchio del mondo.

Mi piace un testo che ho trovato su un vecchio messalino festivo. Lo riscrivo.

"Il denaro, pur essendo un pessimo padrone, può diventare un ottimo servo. Ci è stato dato, come tutti gli altri beni della terra, perché lo facciamo fruttare e circolare con un realismo inventivo e competente, non a nostro esclusivo vantaggio, ma in vista del bene comune, dando la prevalenza ai poveri. Alla luce del Regno che viene, questo uso disinteressato e generoso è segno di intelligenza dei veri valori. I veri cristiani sono in realtà più saggi e previdenti di coloro che limitano i loro desideri alle ricchezze passeggere."

Adesso che ho finito di scrivere il testo, mi piace meno, non per il testo in sé, che rimane bello, ma perché davanti al denaro non so proprio cosa dire. É meglio il silenzio, forse così, la parabola mi suggerirà motivazioni più profonde, per continuare a credere che, nonostante tutto, ci sono veramente molte persone disposte a condividere ciò che hanno. La questione è proprio essere discepoli di Gesù o essere suoi nemici. Così dice 1Gv 3,17: "Se qualcuno possiede dei beni e vedendo suo fratello nel bisogno gli chiude il proprio cuore, come può essere in lui l'amore di Dio?" Il problema del mondo d'oggi è proprio questo: problema di lenti che ci impediscono di vedere il fratello accanto che ha bisogno. È solo pulire le lenti e guardare la realtà, non lasciarla filtrare dallo scintillio del Dio-denaro, perché questo non è trasparente.

 

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