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TESTO Gesù insegna ai cristiani come pregare

padre Tino Treccani

XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (29/07/2001)

Vangelo: Lc 11,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 11,1-13

1Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

4e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione».

5Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Nei momenti decisivi della vita, Gesù prega il Padre. Luca ce lo mostra spesso, anche in questo lungo viaggio di Gesù verso Gerusalemme. È un piccolo catechismo sulla preghiera del cristiano. La grande novità è sottolineata dal fatto che Gesù chiama Dio di "Padre" (v. 2a). Così, i propri discepoli entrano in dialogo con Dio, chiamandolo "Padre buono". Abramo era "amico" di Dio (cfr. Iª lettura). I cristiani sono "figli" di Dio, che è Padre.

a. La relazione dei figli col Padre (vv. 2-4)

Troviamo cinque elementi: i primi due (v. 2) provocano l'apertura al Padre; gli ultimi tre (vv. 3-4) conducono alla trasformazione delle relazioni tra le persone.

- "Sia santificato il tuo nome" (v. 2b). Più che una richiesta, questa espressione rivela l'impegno di chi entra in comunione con Dio. La "santità" e il "nome" di Dio: due cose importanti e strettamente relazionate tra loro. La santità di Dio si rivela nella presenza del Regno attuante nella persona di Gesù. I cristiani già impararono che il nome di Dio è "Padre". Perciò, santificare il suo nome è riconoscerlo come colui che agisce nell'umanità. Il mondo è la sua famiglia. Le creature sono suoi figli. La sua santità non è l'allontanamento dalla nostra storia, ma il suo inserimento nel nostro cammino.

- "Venga il tuo Regno" (v. 2c). Il Regno di Dio diventa chiaro nella vita e nelle azioni di Gesù. Per i cristiani significa aprirsi al progetto di Dio che ci conduce alla costruzione di una società e storia nuove.

- "Dacci ogni giorno il pane di cui abbiamo bisogno" (v. 3). "Ogni giorno" è espressione tipica di Luca che dice la fiducia totale dei cristiani nel Padre; questi destinò i beni del mondo per tutti noi. Perciò significa assumere la condivisione come forma di realizzare il Regno, tradotto nella fraternità: pane, terra, abitazione, salute, educazione, vita per tutti, finché l'umanità intiera riproduca il "paradiso" uscito dalle mani di Dio.

- " Perdonaci i peccati, come noi pure li perdoniamo ai nostri debitori" (v. 4a). I cristiani condividono tra loro il grande dono che Dio ha fatto: il perdono. Non tradurre nelle relazioni umane il perdono di Dio è rendere inutile e bugiarda la preghiera che Gesù ci ha insegnato.

- "E non lasciarci cadere in tentazione" (v. 4b). Ricordando le tentazioni di Gesù (Lc 4,1-13) vediamo che la società ci condiziona sull'avere, il potere, l'ambizione, il prestigio e l'idolatria: tutto ciò perverte il progetto di una società giusta e ugualitaria. A queste tentazioni dobbiamo rispondere con la condivisione, il servizio, l'uguaglianza, la solidarietà e la disponibilità.

b. La certezza di essere ascoltati (vv. 5-10)

La parabola dei versetti 5-8 enfatizza la "certezza" di essere ascoltati. Spesso le nostre relazioni sono contaminate dagli interessi personali. Ci abituammo alla non gratuità, e con molto sforzo otteniamo qualche forma di solidarietà tra noi esseri umani. Il Padre ci dà ogni giorno il pane quotidiano (v. 3), ma noi dobbiamo "importunare" gli amici per averne un po' imprestato (vv. 5-6). Dio non agisce così e non si sente importunato dalle richieste che nascono dalle necessità dei suoi figli. I vv. 9-10 ci dicono le convinzioni di coloro che impararono a chiamare Dio di Padre: "chiedete e riceverete; cercate e troverete..."

c. Dio è Padre (vv. 11-13)

Questi versetti chiudono il catechismo sulla preghiera. Ritorna il tema della paternità di Dio, accompagnato da un giudizio sulle relazioni umane: " Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre del Cielo" (v. 13a). Il modo come Dio è Padre supera la paternità umana, nel senso che lui ci dà il bene supremo: lo stesso Spirito che condusse Gesù all'inaugurazione del suo progetto di liberazione (cfr. 4,18).

Per riflettere

Dio non gioca col pallottoliere e nemmeno smuove una pedina a nostro sfavore. Ancor meno è un arlecchino petulante che vive sperando affannosamente gli ossequi dei discoli figli. La sua santità, lungi dall'essere fossilizzata in una bella statua di oro o di pietra, richiama i propri figli a lasciar perdere gli incensi di occasione e li sprona a buttarsi a capofitto sul cammino che porta al suo Regno. È Padre: generatore di vita e di quanto a lei serve per svilupparsi. Non è un fantoccio dittatore che non conosce i bisogni dei cittadini; Lui sa che abbiamo bisogno di pane, di gioia di vivere, di speranze e di perdono; sa che il giardino dell'Eden l'abbiamo trasformato in una giungla affamata. Spetta a noi cristiani mostrare con coerenza che il nostro Dio è un Padre buono. Se non abbiamo coscienza che Lui ci ha dato lo Spirito per portare avanti un progetto di società giusta e fraterna, inutilmente lo chiameremo di Padre.

È padre dei G8 e dei g6 miliardi. Sa che possiamo dare pesci e non serpenti ai nostri figli e fratelli: il problema è se noi, umani, vogliamo condividere o arruffare, se preferiamo gli artifizi del FMI per mascherare la nostra irresponsabilità e ingordigia o se siamo disposti a perdonare e farci perdonare. La tentazione della violenza, il macabro gusto della vendetta ed il podio di onore al benemerito del nostro crederci giusti purtroppo sono le tentazioni più antiche e più vigorose, e che per liberarcene, richiedono molta preghiera, ma molta proprio. La certezza di essere esauditi spesso si scorna con la nostra mancanza di fede. Perché crediamo che la sua onnipotenza sia dello stesso valore di una bacchetta magica. Non vogliamo responsabilità; la deleghiamo agli altri, ai politici, grandi o piccoli; la deleghiamo a noiose litanie ripetitive, sapendo in partenza che è tempo perso. Tempo perso perché sappiamo in coscienza che "non portiamo a Dio" la nostra vita, il nostro sperare ed agire per il Regno. Cosa di cui ci preoccupiamo è la "lista delle richieste": se sono esaudite, siamo pure disposti a "pagare le promesse" o le "grazie ricevute". Chiediamo a Dio di fare ciò che noi possiamo fare: curare gli animi ed i corpi feriti, perdonarci fraternamente, condividere lo stesso piatto benedetto del pane quotidiano. Davanti ad un orizzonte più che cupo e grigio per il fetore della fame, chiediamo che dica una parolina ai G8 affinché s'inteneriscano il cuore; deploriamo la violenza dei giorni passati a Genova e ci sediamo sulle transenne della zona rossa a guardare. Dopotutto, ci riteniamo semplici spettatori delle vicende altrui. Si sono dati qualche cazzotto brutto ed i danni ammontano a miliardi? Se la sono cercata! Diremmo impavidi davanti allo spettacolo che ha dato qualche piccolo sussulto momentaneo al nostro quietismo. Da tutte le posizioni di comodo è molto facile fare di ogni erba un fascio.

Invece nel cuore di Dio entra tutto e tutti; è un cuore rigeneratore, perché è Padre. Se entrassimo in questo cuore ne usciremmo eternamente rinnovati; sarebbe Amore che non ci ferma più. Saremmo instancabili nella santificazione del suo nome e con ottima tempra per correre sulle strade del suo Regno. Cominceremmo a pensare che ciò che dobbiamo urgentemente globalizzare è l'amore e la solidarietà, non l'economia e la miseria; globalizzare il coraggio di saperci guardare nel volto e nel cuore, cominciando in casa, coi vicini di casa, sulla strada e sul lavoro. Credere alla parsimonia che evita i lussi e gli sprechi e devolve il dovuto necessario a chi abbiamo derubato con la nostra ingordigia e mania di accumulo. Il Padre celeste... darà lo Spirito Santo, a noi, cattivi, che sappiamo dare cose buone ai nostri figli. Santifichiamo il nome di Dio accogliendo lo spirito della condivisione, del perdono. Allora non ci meraviglieremo se anche i nostri nomi saranno scritti in cielo e la gioia sarà grande, per tutti. Sarà il trionfo della tenacia di pregare il Padre buono, accettando e vivendo il progetto di Vita del suo figlio Gesù. Allora sapremo fare anche noi i miracoli, boccioli e segni meravigliosi che anticiperanno la beatitudine dei costruttori di pace e di giustizia.

 

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