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TESTO La quotidianità, tempio dell'incontro con Dio

don Maurizio Prandi

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/01/2007)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Sempre oltre, sempre oltre è la tua tenda, il tuo infinito cammino sia il nostro o Signore. Sono le parole di una preghiera di padre Vannucci. Parole che mi sono venute in mente ascoltando questo brano di vangelo che mi rimanda ad una tentazione che credo sempre viva all'interno della chiesa e di ogni credente in generale, tentazione a cui gli abitanti di Nazareth hanno dato una voce ben precisa: ma quello è il figlio di Giuseppe!

Se le parole della preghiera di padre Vannucci sono un invito a leggere Gesù come colui che ci rivela un Dio che è sempre oltre, altrove rispetto a dove noi lo collochiamo, la tentazione dalla quale il vangelo vuole metterci in guardia è quella di incasellare Gesù in un cliché, la tentazione di misurarlo un po' e possibilmente rinchiuderlo nel già detto, nel già conosciuto, togliendo ogni spazio alla fantasia di Dio e tarpando così ogni stupore e meraviglia che possono nascere da un ascolto attento della vita e della parola di Gesù.

E la chiesa ci fa ri-ascoltare quanto domenica scorsa già ci è stato proposto: Oggi si è adempiuta questa parola... letterale: oggi si è riempita questa scrittura nei vostri orecchi... una parola che è arrivata a pienezza mi viene da dire... quando è che la parola di Dio giunge a pienezza? Quando prende carne, quando prende vita, quando io riesco a darle vita, quando concretamente riesco a viverla. Pensando alla seconda lettura e all'immagine che S. Paolo usa, quella dello specchio che ai suoi tempi restituiva un'immagine confusa e sbiadita, credo che la parola di Dio si compie in me quando riesco a leggermi con chiarezza e quando capisco che l'essenziale è amare. La parola di Dio si compie quando cresco e quando lascio le cose da bambino per vivere da uomo, responsabilmente: ciò che era da bambino l'ho abbandonato!!! La Parola si compie non quando la uso, (e quante volte capita: sia nella chiesa quanto in altri ambiti come ad esempio la politica), ma quando docilmente la accolgo e altrettanto docilmente la porgo, la restituisco ai miei fratelli e alle mie sorelle. Perché possa riempirsi nelle mie orecchie, la parola non può essere semplicemente un libro ma deve essere una persona, deve essere Gesù altrimenti continuerò a stiracchiarla da una parte e dall'altra per farle dire quello che voglio. Continueremo a stiracchiarla nella chiesa, continueranno a stiracchiarla i politici. Gesù, parola viva, non puoi stiracchiarlo però, perché la sua vita è quella, punto e basta. La sua vita è condivisione, perdono, accoglienza, disponibilità, dedizione, dono, offerta, ascolto... Il problema perciò, non è soltanto quello di sapere, di conoscere, di essere informati, ma è quello di ospitare una presenza viva con tutta la sua imprevedibile libertà (don L. Pozzoli).

Ospitare Gesù è lasciarsi portare, è aprirsi all'imprevedibilità dell'agire di Dio. Si, perché la Parola di Gesù non dice semplicemente delle cose, non trasmette solo informazioni; in quella Parola Gesù mette se stesso a disposizione degli uomini, mette la disponibilità grande del suo amore. Ospitare Gesù significa dare valore alle cose semplici, di tutti i giorni... sì perché rischiamo di scivolare sempre nell'equazione Dio = straordinario, Dio = eccezionale, Dio = grandiosità... rischiamo così di svuotare di profezia e di importanza (lo disse don Angelo Casati in un incontro con alcuni sacerdoti della nostra Diocesi), le cose più quotidiane, gli incontri più quotidiani.

Quotidianamente vedevano Gesù, forse è per quello che hanno pensato che essendo il figlio del falegname non aveva niente da raccontare loro. La profezia, la parola di Dio può andare insieme al figlio del falegname. Chiamati a stare in ascolto di ogni cosa, chiamati a stare in ascolto di ogni creatura, chiamati a stare in ascolto della vita quotidiana. Sempre affascinante quell'oggi che l'evangelista ama così tanto... un invito per noi a tradurre la Scrittura nel nostro oggi, nella nostra vita, nei nostri incontri, nelle nostre relazioni... il mio oggi come realtà nella quale posso imparare ad amare e posso amare davvero, perché non posso amare platonicamente, devo amare davvero: ho bisogno di spazi, ho bisogno di volti, ho bisogno di restare dentro ad una realtà concreta (A. Potente). Infine ospitare Gesù significa anche non catturarlo, non piegarlo alla mia volontà, non pretendere un rapporto esclusivo o rivendicare un rapporto esclusivo, quasi che per incontrarlo si debba passare obbligatoriamente attraverso di me, o attraverso il mio gruppo, o attraverso la mia comunità.

Signore Gesù, vorremmo avere l'esclusiva dell'incontro con te, ma tu sei sempre oltre ogni dimora che ci piacerebbe assegnarti. Insegnaci a riconoscere la tua presenza là dove meno ce lo aspettiamo, al di fuori dei nostri confini... in quelle terre straniere che così spesso ci rifiutiamo di visitare a partire dal nostro oggi, talvolta così doloroso e difficile da riconoscere.

 

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