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TESTO La liberazione non si aspetta: si costruisce.

padre Tino Treccani

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (12/08/2001)

Vangelo: Lc 12,32-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Forma breve (Lc 12,35-40):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Possiamo dividere il vangelo di oggi in quattro sezioni:
1. La forza dei piccoli del Regno (vv. 32-34)

2. Vigilanza attiva nell'attesa del Signore che serve (vv. 35-40)
3. Questo vale solo per i dirigenti? (vv. 41-46)

4. Conoscere di più per avere un impegno maggiore (vv. 47-48)

Ciò che Gesù ha insegnato a chiedere nel "Padre Nostro" (11,2), si sta già manifestando nelle comunità cristiane: il Regno si manifesta a partire dai piccoli (12,32). Da lì sorge la nuova società. La condivisione dei beni traduce, in Luca, la parola "elemosina". Questa non è briciole, ma condivisione di ciò che siamo e abbiamo (vv. 33-34). Un esempio modello è Zaccheo (19,1-10) che dà ai poveri il 50% di ciò che ha; dà la metà, condivide. Questa ricchezza non si rovine, né può essere rubata.

L'attesa del Signore non significa stare con le mani in mano. Il v. 35 ricorda Es 12,21, la notte in cui il popolo di Israele fu liberato dalla schiavitù dell'Egitto. Essere pronti per l'esodo, per creare rapporti di libertà.

La parabola dei servi (vv. 36-38) illustra la vigilanza dei cristiani. C'è una certezza: il Signore viene; ma non sappiamo quando. Comunque è un Signore che viene e che serve i suoi servi fedeli, li farà sedere a tavola, come ci dice Giovanni nel brano della Cena del Signore. Conferire anche Luca 22,27.

Il Signora ci dà la vita, sicuramente, ma non con la magia, bensì per mezzo del discernimento (vigilanza e prontezza) che produce vita nella società.

In altre parole, è necessario "vedere" nel buio della notte i segni della liberazione che succede nell'oggi delle del nostro cammino.. La liberazione non si aspetta, si costruisce; in questo consiste la felicità dei cristiani (vv. 37-38)

I vv. 39-40 contengono un'altra parabola che invita sempre alla prontezza: il ladro che giunge senza essere atteso. Dio entra nella nostra storia con modi inusitati: è necessario stare pronti, per concorrere il rischio di perdere il dono che ci fatto nella persona di Gesù.

Alla domanda di Pietro (v. 41) Gesù risponde con un'altra parabola, quella dell'amministratore fedele e responsabile. Chi sarà questo amministratore (v. 42)? Colui che trasforma la vigilanza in "servizio". Vigilare perciò non è fiscalizzare l'azione pastorale della propria comunità o delle altre, ma mettersi a servizio, ad esempio del Signore che serve (v. 37). In questa parabola, ç'amministratore non è accompagnato da titoli o diritti, bensì da una caratteristica peculiare: mettersi interamente a disposizione del Signore e degli altri. Cercare diritti è non considerare la venuta del Signore, creando relazioni di violenza e abuso di potere. La sentenza è drastica: "Il Signore... lo punirà severamente e lo porrà nel numero dei servi infedeli." (v.46).

I due versetti finali (47-48) mettono in allerta contro il legalismo dei dottori della Legge e dei farisei di tutti i tempi. Non serve conoscere i dettagli della Legge, che indica una società più giusta, e ossequiare l'ingiustizia e la bramosia. Inoltre è necessario conoscere più profondamente il progetto di Dio in vista di un impegno maggiore (v. 48b "Infatti, chi ha ricevuto molto dovrà render conto di molto, perché quanto più uno ha ricevuto, tanto più gli sarà chiesto").

Cosa fu "dato" ai discepoli di Gesù? "Non temere, piccolo gregge, è volontà del Padre darvi il Regno" (v. 32).

Per riflettere

La beatitudine dei saggi che, come il Signore, si mettono il grembiule per servire, smaschera le bugie di quanti, discepoli o meno, si arrogano il diritto di limitarsi alla difesa della casa del Signore che è andato a nozze. Questi cristiani vivono il terrore del ladro che, di principio, non è mai un ospite gradito. Eppure Gesù, dice che il Padre è come un ladro, arriva quando vuole e nel momento meno sperato. Che dire allora della nostra preparazione? Della nostra vigilanza? Se badiamo di più ai titoli e agli onori, tendiamo ad assumere attitudini proprie dei vigili urbani. Staremmo così ostacolando l'esodo liberatorio. Non ci interesserebbe la festa della Vita, bensì l'ossessione del non mancare alle regole. Regole che poi, ci creiamo e accomodiamo a secondo delle convenienze personali. Un titolo ci mancherebbe: "Siate pronti!"... a servire e non a giudicare. A meno che, la nostra spiritualità, il nostro desiderio delle "cose dell'alto" si riduca ad una meschina paura della punizione. La parabola usa la parola "amministratore" e non proprietario. Siamo amministratori del Regno, ma non ne siamo i padroni. Siamo servi che servono, o, che almeno, dovrebbero servire, al Signore e agli altri, perché la Vita unisce il suo autore con le sue creature. Quando il nostro progetto di vita non è quello del Regno, ci attacchiamo a mille cose e sottigliezze. Forse abbiamo svirtuato lo stesso Vangelo, che da Lieta Novella potrebbe essere diventato un insieme di codici. Forse il nostro discernimento per capire ciò che è a favore e ciò che è contro il Regno, si è infievolito. Allora discutiamo sulle candele elettriche (ma, sempre, con la cassettina delle monete!) e non serviamo le comunità, le assemblee liturgiche per farle cantare. Ricorriamo al Magistero per giustificare il nostro amore alle cose e non alle persone. Vogliamo difendere chissà quale cosa (in nome di chi poi?) per celare una rigidità mentale e inetta, inscatolata nell'irreale della nostra immaginazione. Noi cristiani non siamo le forze dell'ordine. Rimpiangiamo un rito o un altro come se la "lode perenne" consistesse nelle forme che i secoli usano. Dovremmo piuttosto chiederci: perché le persone non vengono alla festa del Signore (domenicale o feriale, non ha importanza)? Lì entrerebbe il discorso della nostra coerenza, cioè quello del dire e del fare, che alla fine, rivelerebbe il nostro vero essere. Condividiamo il santo pane eucaristico e nello stesso tempo qualche spicciolo ci distoglie dagli scrupoli di coscienza (se ancora esistono); ascoltiamo e condividiamo la Parola, e abbiamo paura a dare la mano al vicino di banco. Forse, la liturgia staccata dalla Vita, potrebbe essere anche un piacevole (o noioso) teatro: tutto sta nella fantasia inventiva o spenta di chi organizza e di chi assiste. A volte, qui, nella mia parrocchietta, "mi scandalizzo" (= mi duole tremendamente l'udito) quando il ragazzo batterista dà il meglio di sé ed il coretto si lancia a piena gola. Eppure noto che la gente canta e che questo ragazzo, con l'altro della chitarra e le donne del coretto, "stanno" lì tutte le domeniche e feste. Inoltre, l'incontro con le persone, mi ricorda che vivono ben altri problemi, ed anche questi devono essere condivisi da una comunità, che si dice fatta di fratelli e sorelle. Sempre che non buggeriamo con queste parole ed anche loro siano diventate uno dei tanti addobbi superflui della nostra vita.

Il Figlio dell'Uomo viene quando meno ce l'aspettiamo. E non è solo il "vu cumprà" marocchino che arriva sempre quando stiamo per uscire per la spesa. La venuta del Signore non è nemmeno una cosa futura, persa nei meandri delle nostre speranze; è concretezza del quotidiano, è "sentire" la vita delle persone, è interrogarci se veramente stiamo "amministrando" le cose di Dio con saggezza o se siamo presi alle paure della notte. Perché il Regno di Dio indica una nuova società? Semplice, laddove esiste miseria, sfruttamento, schiavitù, menzogna ed ingiustizie di ogni tipo (cose che indicano il non-Regno) si tocca con mano l'azione dei "piccoli": un servizio, una solidarietà, una semplicità di rapporti, un camminare insieme. Quando facciamo l'esperienza di essere un piccolo gregge, anche spaurito e abbandonato, vedremo il dono che il Padre ci fa', il suo Regno. Gesù non sarà un fantasma di sogni; sarà magari la moglie vicina, la suocera petulante, i figli discoli, il confratello antipatico, l'amico bisognoso, il barista sottocasa. Gesù assumerà volto e corpo, storia e conflitto, amore che dovremo servire con altrettanto amore. Amiamo, ed il resto sarà tutta abbondanza bella e vera, riservata ai coeredi del Regno. A noi cristiani è stato dato molto. Non retribuiamo con pettegolezzi di sagrato.

 

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