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TESTO Gesù viene cacciato dalla Sinagoga e dalla sua città, perchè parla apertamente

padre Antonio Rungi

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/01/2007)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

La Parola di Dio della IV domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci fa riflettere su Gesù che, a conclusione del suo discorso nella Sinagoga di Nazareth nel quale fa capire a chiare lettere che la salvezza è per tutti, viene cacciato via dal luogo di preghiera e dalla sua stessa città da parte di quanti non accettano in lui l'inviato del Padre, il Messia di Israele. Egli è indicato come il figlio del carpentiere che non ha autorità a dire certe cose davanti ai sapienti della sua città natale, quelli che sapevano tutto sull'attesa del Messia. Il testo del Vangelo di Luca, che è in stretto raccordo con la conclusione del Vangelo di domenica scorsa, ci racconta proprio questo fatto della vita di Gesù: "In quel tempo, Gesù prese a dire nella sinagoga: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è il figlio di Giuseppe?". Ma egli rispose: "Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!". Poi aggiunse: "Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Zarepta di Sidóne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro". All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò".

La sincerità di Gesù nel presentarsi quale vero profeta e messia non è apprezzata da quanti erano presenti nella Sinagoga nel momento in cui Gesù tiene la sua dissertazione e porta anche delle profonde motivazioni, oltre che a richiamare fatti e circostanze della storia del popolo di Israele, come quelle della vedova di Zarepta al tempo del Profeta Elia, o di Naaman il Siro al tempo del profeta Eliseo. Fatti ben noti ai conoscitori dei testi sacri e che Gesù richiama nella specifica circostanza per far risaltare il discorso dell'universalità della salvezza che egli viene a proclamare con coraggio nella sua città, partendo proprio da quanti avrebbero dovuto essere più disponibili verso Gesù, essendo egli conosciuto. Ma Gesù è cosciente che le maggiori difficoltà per accettarlo nella sua vera natura e nella sua specifica missione stanno proprio in coloro che gli sono più vicini. Il profeta, infatti, viene normalmente rifiutato proprio dai suoi concittadini e sono proprio i concittadini a non accettarlo per quello che dice e fa. Dovette essere un'esperienza molto brutta per Gesù, da un punto di vista umano. E' quanto molto spesso verifichiamo anche noi direttamente quando a non capirci, ad ostacolarci, a metterci contro, a lottare, a contrastare e a contristare sono proprio i parenti, i familiari, i concittadini, gli amici e i conoscenti a vario titolo. Davvero il detto di Gesù risulta essere di estrema attualità "Nessuno è profeta nella propria Patria".

Direttamente collegato al testo del Vangelo di oggi, è il testo della prima lettura, tratto dal Libro del Profeta Geremia, ove il grande profeta dell'Antico Testamento mette in evidenza la speciale vocazione alla profezia ricevuta personalmente e che ha la sua origine in Dio. E' Egli, infatti, a scegliere dal grembo materno Geremia per la sua alta missione di parlare nel suo nome, perché il profeta, nella sua vera accezione terminologica e religiosa, è colui che parla nel nome del Signore per dire la verità, per denunciare il male, per incoraggiare un cammino di speranza e carità. Ma per fare questo è necessario la forza ed il coraggio oltre che a confidare nel sostegno di Dio: "Nei giorni del re Giosia, mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e di' loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti".

Ed è un classico della sacra scrittura il testo della seconda lettura di oggi che ci presenta il celebre Inno alla carità, della Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi. Un testo che non necessita di commenti o di ulteriori spiegazioni o delucidazioni, ma che parla da se stesso a quanti hanno a cuore il cammino della personale santificazione e santità, nella prospettiva di quella virtù teologale e morale che è la carità. Una virtù, soprattutto negli aggettivi o attributi assegnati ad essa dall'Apostolo delle Genti, molto spesso dimenticata e non vissuta nella quotidianità o nei rapporti umani, sociali o religiosi. Una virtù che necessita di essere recuperata per ridare slancio alla vita cristiana, fraterna, alla solidarietà, alla misericordia, al perdono, alla comprensione: "Fratelli, aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. [La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!]".

Possedere la carità, ovvero sentire l'amore di Dio nella propria vita, ci apre all'amore sincero verso ogni fratello, fosse anche quello che consideriamo come vero o presunto non avversario e nemico in ogni ambiente o luogo. Possedere la carità è dare senso cristiano alla vita. Nessuno come Gesù, nessuna religione come il cristianesimo usa il linguaggio dell'amore e della carità con una chiarezza ed una concretezza come le riscontriamo nel testo della Parola di Dio che viene sottoposta alla nostra meditazione e alla nostra riflessione. Possiamo possedere ogni cosa, ma se non sperimentiamo la gioia dell'amare, l'uomo ed il credente è un fallimentare, perché la gioia e la vera felicità per l'uomo sta nell'amare e nel farsi amare.

La Parola di Dio di oggi ci invita ad essere profeti dell'amore in un mondo della cultura dell'odio, della violenza, dell'apparire, del possedere cose, più che essere qualcuno. Profeti dell'amore misericordioso di Dio, della tolleranza, della reciprocità, dell'accettazione, della purezza dei sentimenti e della vita, in una cultura dominante basata sull'egoismo, sull'erotismo, sul sensualismo e sulla depravazione e la degenerazione morale di persone, gruppi ed interi popoli e culture. Non sarà facile essere profeti in questo nostro mondo, proponendo, controcorrente e contro la moda dominante, valori che vanno ben oltre il tempo e la storia di ieri, ma che si collocano nell'essenza stessa del messaggio cristiano e del rispetto della persona umana.

 

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