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TESTO Commento su Luca 4,21-30

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/01/2007)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

* In queste settimane nella nostra parrocchia, come in tutte le altre 40 della Diocesi di Maputo (che in Mozambico è la più piccola in estensione, ma la più popolosa, con i suoi 3.800.000 abitanti, di cui circa il 15% cristiani) stiamo rinnovando i responsabili dei vari ministeri non ordinati. Di fatto la Chiesa mozambicana da molto tempo ha preso coscienza della sua natura di Chiesa ministeriale in cui ciascuno collabora a partire dalla sua vocazione e dalle sue possibilità.

È molto bello scoprire questa immagine di Chiesa che si costruisce con il contributo di tutti, soprattutto della gente più semplice e umile. Ma sto anche facendo l'esperienza che ci sono persone troppo preoccupate con l'immagine di sé, con la loro autorità, con il bisogno di far valere il loro parere e convincere gli altri. Non mi meraviglio più di tanto, perché so che la Chiesa ovunque nel mondo ha il Signore come capo ma è composta di persone umane e fragili nelle sue membra. Ho speso molte energie nelle ultime domeniche per tentare di offrire la prospettiva adeguata per affrontare il processo di rinnovo dei responsabili: ho ricordato che in primo luogo la Chiesa esiste per far giungere a tutti gli uomini la grazia della salvezza di Cristo, ho insistito affinché ciascuno potesse innanzitutto mettersi nella posizione di un figlio che accoglie tutto dal Padre, e quindi vive la gratitudine. E infine ho ricordato che, nella misura in cui uno è cosciente di ciò che riceve ogni giorno da Dio, non può restarsene chiuso in se stesso o preoccuparsi solo di sé ma in lui nasce spontaneo il desiderio di condividere la sua gioia e di poter portare la stessa fonte di salvezza a chi, vivendo vicino, ancora non l'ha ricevuta né accolta. Mi sono anche animato e emozionato, perché mentre dicevo ai miei fratelli queste cose, le sentivo forti anche per me, sentivo che qui si fonda anche la mia vocazione e il servizio che svolgo in questo lontano paese dell'Africa australe...

Leggendo il vangelo di questa domenica mi è nata questa domanda: perché tutti noi siamo così assetati di salvezza e pienezza e al tempo stesso facciamo così fatica, a volte, ad accogliere semplicemente la grazia che Dio ci regala e ci lasciamo governare dalle nostre idee o bisogni troppo umani? Mi è venuto spontaneo il parallelo tra quanto sta avvenendo nella mia parrocchia e quanto avvenne quel giorno a Nazaret: scoppiò infatti un forte contrasto tra Gesù che annunciava ai suoi compaesani il compimento delle promesse antiche e la gente di Nazaret che avrebbe voluto un Messia a sua misura e, non trovandolo, decise di uccidere il suo compaesano.

La pagina di Luca continua a raccontare la scena già iniziata la scorsa domenica: dopo che Gesù ha proclamato il testo di Isaia sull'invio del Messia (l'unto, la persona scelta e consacrata) e la sua missione di evangelizzare i poveri, tutti sono concentrati su di lui: è un momento solenne, un luogo ricco di significato. Allora Gesù comincia a dire: "oggi si è adempiuta questa parola della Scrittura". Nessun maestro o commentatore aveva mai parlato così, chi poteva mettersi sullo stesso piano della Parola di Dio rivelata a Mosè e ai Profeti? Si capisce perciò la grande meraviglia che ha preso i presenti. Tanto più che tutti potevano testimoniare che quell'uomo era il figlio del carpentiere del paese: come può uno nato e cresciuto tra noi parlare mettendosi al livello di Dio? E se proprio potesse, beh, allora di sicuro non lesinerà benefici per i suoi concittadini. Più o meno questi erano i pensieri e le frasi dei nazareni. Ma Gesù non lascia loro molto tempo per fantasticare, e li anticipa ricordando che è caratteristica di un vero profeta essere rifiutato nella sua patria. E come prova di questa "legge" cita due famosi profeti di Israele, Elia e Eliseo, i quali non furono ascoltati dai loro fratelli e fecero segni miracolosi in favore di persone straniere. I suoi ascoltatori cambiano radicalmente atteggiamento e dalla meraviglia, attraverso la speranza frustrata, passano alla rabbia: prendono Gesù e vogliono gettarlo giù da un burrone. Ma Egli passa in mezzo a loro e continua il suo cammino: non chiediamoci come, soltanto percepiamo che questa scena serve per anticiparne un'altra, quando Gesù non se ne andrà ma accetterà la croce come cammino per rivelare l'amore di Dio, il compimento delle profezie.

Da dove viene la rabbia dei nazareni? È che Gesù non ha fatto miracoli per loro, non vuole fare favori ai suoi parenti... Ma, più in profondità, Gesù ha fatto capire molto bene che Egli è il Messia-profeta aspettato e i nazareni sono come gli israeliti che non hanno dato ascolto a Elia e Eliseo e hanno continuato a vivere nell'idolatria. Gesù non li ha criticati apertamente, ha solo fatto accenni al passato: ha così aperto uno spazio per la loro fede, li ha avvertiti: avrebbero potuto credere in Lui, invece hanno fatto la stessa cosa dei loro padri. Perché non credono? Perché non accettano la grazia? Forse perché Dio si avvicina a loro in una forma troppo semplice e umile, come il figlio del carpentiere, che per di più non fa a Nazaret quei segni di potenza che hanno sentito che faceva in altre città. Lo spazio che Gesù apre per la loro fede resta vuoto: essi non vogliono credere, non vogliono fidarsi, vogliono vedere i segni. Cercando di uccidere Gesù confermano che Egli aveva ragione, che è un vero profeta.

* Come sfondo anticotestamentario la prima lettura ci presenta la figura del profeta Geremia. Tutto in lui dipende da Dio: è Dio che lo ha chiamato prima che egli avesse capacità di rispondere; Dio gli preannuncia che la sua missione non sarà facile, incontrerà opposizione, ma al tempo stesso gli promette la sua assistenza come garanzia di stabilità e vittoria. Anche Gesù aveva letto e sentito molte volte questo testo, e lo portava nel cuore.

Il contrasto tra i segni di potere (esigiti dagli uomini) e l'umile persona e parola di Gesù è stata la base su cui i cristiani hanno compreso il mistero paradossale della rivelazione cristiana: Gesù non ha manifestato Dio prima di tutto con segni di potenza ma con la sua umile testimonianza di uomo tra gli uomini, fino al dono della sua vita per amore. È questo amore vissuto fino alle ultime conseguenze il segno più alto di Dio, e il segno più alto della risposta a Dio: per questo Paolo parlando dei doni spirituali ai Corinti compone una delle sue più belle pagine con l'inno alla carità che leggiamo nella seconda lettura di oggi. La carità, cioè Gesù, cioè il discepolo di Gesù... è paziente, vuole il bene, non è invidiosa...

Si, continuerò a dirlo anche ai miei fratelli che ogni tanto si criticano gli uni gli altri, o ambiscono posti di onore accanto al prete: l'esperienza della carità di Dio per me è la ragione più profonda della mia povera fede, lo sforzo che faccio per vivere la carità con gli altri è la prova più vera che mi fido del Signore.

Commento a cura di padre Gianmarco Paris

 

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