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TESTO Condizioni per sedersi al tavolo del Regno.

padre Tino Treccani

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (02/09/2001)

Vangelo: Lc: 14,1.7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1.7-14

Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Un avvenimento, apparentemente banale, come un pranzo di sabato nella casa di uno dei capi dei farisei (v. 1) serve a Gesù per mostrare le condizioni per potersi sedere alla tavola del Regno: uno sguardo sull'ipocrisia della società borghese del tempo. Difatti, una persona influente e benestante (capo dei farisei) invita amici, fratelli, parenti e vicini ricchi (tutte persone selezionate, cfr. v. 12) in giorno di sabato, giorno che, secondo il progetto di Dio, dovrebbe essere momento di celebrare la vita che Dio vuole per tutti, e non semplicemente per alcuni privilegiati. Nel vangelo di Luca, i farisei sono chiamati "amici del denaro" (16,14) e sono coloro che più difendono il sistema disuguale delle città, fondato sulla concentrazione dei beni. Si relazionano tra loro e mai invitano a tavola un povero o un deficiente fisico, perché sono, questi, persone impure. Con questo modo di relazioni, rendono la società sempre più ingiusta e settaria. E questa società osserva Gesù ("essi lo osservavano") per vedere cosa abbia a dire.

1. Cosa dice Gesù alla società borghese (vv. 7-11)

Una parabola, e niente più; una parabola dal senso un po' occulto, ma chiaro per chi si impegna per il Regno. Il pasto nella casa del capo dei farisei è marcato dalla competizione sociale (v. 7a). In Lc 20, 46-47a Gesù, avvisando i discepoli dice: "Guardatevi dai dottori della legge. Essi amano passeggiare in lunghe vesti, desiderano essere salutati nelle piazze e occupare i posti d'onore nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Fanno lunghe preghiere per farsi vedere, ma nello stesso tempo strappano alle vedove quello che ancora possiedono e rubano le loro case".

Gesù dà un'avvertenza nei vv. 8-10; a prima vista sembra una regola di buon galateo per rispettare l'etichetta di grandi occasioni. Potremmo chiederci: ma dove si è seduto Gesù, in mezzo a questa società ambiziosa per i primi posti? Più avanti, in 22, 27, dice: "Chi è infatti più grande: chi siede a tavola o chi sta a servire? Non è forse chi siede a tavola?

Eppure io sono in mezzo a voi come uno che serve". É evidente che qui Gesù si identifica con i dimenticati, coloro che non sono stati invitati, o con coloro che non appaiono, cioè, con quelli che stanno servendo. Preparano la festa, senza parteciparvi... Il morale della storia è il v. 11: "Chiunque s'innalza sarà abbassato e che si abbassa sarà innalzato". L'autore di questo è il proprio Dio che ha scelto gli umiliati, come leggiamo nel Magnificat (cfr. 1.51-53). In questo senso si può leggere la parabola del fariseo e del pubblicano: "Vi dichiaro: quest'ultimo ritornò a casa giustificato, mentre l'altro no".

2. Il Regno: casa e banchetto degli emarginati (vv. 12-14)

Ora Gesù chiarisce il senso della parabola e si rivolge al capo dei farisei: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici o fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi che abitano vicino a te: costoro infatti possono a loro volta invitarti e così tu puoi avere il contraccambio. Invece, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi: e sarai beato, perché essi non hanno la possibilità di ricambiarti. Infatti sarai contraccambiato nella risurrezione dei
giusti".

Gesù vuole dare un consiglio ai capi, ai dirigenti. Nel sistema economico dei villaggi si usava la condivisione, lo scambio, l'aiuto, di modo che nessuno soffrisse la fame. Qui è il contrario. La regola è concentrare e relazionarsi solo con chi può retribuire. Il Regno non può mettere radici in queste condizioni, perché non è né commercio, né scambio di favori. Il Regno è donato gratuitamente ed è per quanti creano relazioni di solidarietà e gratuità con gli esclusi. Zoppi, paraplegici, ciechi. lebbrosi erano discriminati per la loro condizione fisica, messi ai margini della società e della religione; erano ritenuti "mutilati" da Dio. Così si poteva celebrare tranquillamente il sabato senza preoccuparsi di loro. Il Regno di Dio inverte questa situazione, privilegiando i poveri e gli abbandonati, per celebrare con loro la festa, in un clima di solidarietà e gratuità. E tutto per causa di Gesù, che sta in mezzo a noi come colui che serve.

Per riflettere

É una gran bella pagina del Vangelo, quella di oggi, una vera chicca della sensibilità di Gesù, di come sa "vedere" la Vita. Non c'è banalità di situazione; Gesù percepisce gli ingranaggi storti della società del suo tempo, non accetta l' "apparire" di ieri e di oggi, su cui si vuol fare girare la vita. Soprattutto non cade nel tranello facile dello scambio di favori: io ti invito ad un lauto banchetto, perché io sono il capo e ti ho preparato una schiera di gente di peso; ma tu non sputare nel piatto, lascia le tue idee e la tua rivoluzione ad altri momenti e persone, come quelli là di fuori, randagi e mendicanti, dimenticati da Dio e che aspettano solo le briciole.

É inevitabile pensare a quelle situazioni in cui qualche "potente" (latifondista o commerciante) vorrebbe che io andessi a benedire le sue fortune, magari con una messa pure. Davanti a questi inviti il sangue mi ribolle e Dio solo sa come devo usare la mia fantasia per inventare una scusa plausibile. Non posso benedire l'ostentazione della ricchezza costruita sull'ingiustizia e nemmeno dare adito a illusioni interessate: "anche il padre, il parroco è dei nostri!" Il padre (sacerdote, parroco) è servo del Regno e deve fare una scelta preferenziale: i poveri, come "luogo" teologico della manifestazione di Dio in questa storia. Non ci possono essere compromessi o mezzi termini; ne andrebbe di mezzo la credibilità dell'Annuncio e della nostra testimonianza.

Il dare gratuitamente, senza aspettare il "ritorno" può contagiare o addirittura farci cambiare fisionomia davanti ai "benefattori". La gratuità condivisa plasma le giornate, il pensare e l'agire; non entrano i calcoli di proficuo interessato. La promessa è quella che così potremo sederci e banchettare nel Regno. Vedo proprio in questi giorni, come una banalissima pastasciutta preparata e condivisa con i poveri, possa allargare i cuori e dare gioia di vivere. Magari nella casa del "Sr. X" accanto, lo spiedo di un intero bue, annaffiato da litri di birra, dichiara che la festa è meravigliosa. E può sembrare, osservando i gipponi parcheggiati, ascoltando le musiche e i vicendevoli brindi e inviti per il prossimo fine settimana, con possibilità di "pular a cerca" (= farsi le corna). I poveri si accontentano di poco; non avanzano privilegi, credono nel diritto comune a tutti: la vita.

Forse questi particolari si notano più facilmente qui, nell'emisfero sud, ricchissimo di contrasti. In quello nord (più o meno omogeneo) si ricorre spesso alle sottigliezze, ai "distinguo", ai "ma..." e "però". Quando non ci si vuole scomodare si tira in ballo pure la teologia della liberazione, sostenendo che ha confuso Dio con i poveri. Eppure Gesù ha detto: "i poveri li avrete sempre con voi, per servirli!". Si cerca di catalogare i poveri cosicché, da soggetti che c'interpellano, diventano oggetti di disquisizione. Credo che non dovremmo perdere tempo per discutere chi sia il povero e chi no; dovremmo invece decidere di entrare nel Regno, per riconoscerne i segni; dovremmo chiederci che tipo di società abbiamo e stiamo costruendo e dove ci porterà. Dovremmo testare le nostre teologie per vedere se ci danno la gioia di vivere la solidarietà; dovremmo interrogare se la nostra fede crede veramente che il Dio di Gesù ha innalzato gli umili ed ha deposto i potenti dai loro troni. Dovremmo infine chiederci se nelle nostre assemblee liturgiche, culmine e partenza per le nostre azioni quotidiane, abbia ancora senso parlare di "posti" o se, invece, sarebbe tempo di cominciare a capire e vivere i "servizi" cui ognuno è chiamato. Perché spesso, nelle celebrazioni, ripetiamo gli stessi schemi che vigono là fuori, e non sappiamo inventare la liturgia del quotidiano spicciolo dei gesti piccoli ma sinceri e efficaci.

Gesù era entrato nella casa del fariseo per mangiare pane. E tutti lo osservavano. Lui, incurante degli illustri invitati guarisce un idropico e chiede se è lecito guarirlo in giorno di sabato. Nessuno risponde, perché non sanno rispondere. Un "mutilato da Dio" non fa parte del loro circolo di amici, quindi il problema non si pone, ancor meno una risposta al Maestro. Gesù vuole il pane della Vita, ossia, che questa vita sia degna, espressiva perché altrimenti non serve a niente celebrare il sabato. Quando la "disgrazia" ci attinge in prima persona, sappiamo tirare l'asinello caduto nel pozzo anche in giorno di sabato. É la comune vicenda umana, di tutti; allora, perché non "allargare" questo buon volere a tutti, specialmente a chi è escluso dal convivio sociale? In altre parole, c'è una differenza tra il povero barbone randagio e i miliardi di poveri sparsi in questo mondo? Chi tra questi ha scelto la povertà, la miseria, la mancanza di un'abitazione decente, di un lavoro degno con la giusta rimunerazione? É colpa del fato? Della cultura? Delle condizioni climatiche e geografiche? Oseremmo dire, noi cristiani, che è colpa di Dio? Non rimangono molte scelte: o è colpa dello stesso povero, o delle nostre irresponsabilità. La prima risposta (il povero è colpevole) è molto ristretta; la seconda... ci deve far pensare e molto. Sta in gioco la nostra attendibilità di cristiani da una parte, e dall'altra è uno scacco matto al nostro modo di pensare e vivere la fede in Gesù.

Un piccolo esempio per concludere. Quanto chiasso sul vescovo Milingo e Maria. Sono in Italia e la stampa trova pane per i suoi denti. Quanti João e Francisca, Maria e Giovanni esistono nel mondo per ancora pochi giorni e poi moriranno di fame! Per questi la stampa non esiste e, forse, nemmeno il nostro interesse o curiosità. Ma sono proprio queste persone, i segni dei tempi, a dirci che tipo di società abbiamo costruito e con la quale scendiamo a compromessi: una società competitiva nell'apparire, omessa nell'essere solidale, perché farcita di teorie che giustificano il nuovo Dio: il denaro. Il resto? Chiacchiere che lasciano tempo al tempo per giustificare il nostro essere inetto. Ricordiamoci: come possiamo tirare l'asinello caduto nel pozzo, è altrettanto possibile togliere un bambino "buttato" (non caduto) nel pozzo della fame. É solo condividere, senza dover andare in missione; basta aprire la finestra della nostra mondovisione.

 

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