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padre Gian Franco Scarpitta  

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/01/2007)

Vangelo: Lc 6,17.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, 17disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

Leggendo gli scritti sacri di questa giornata liturgica, occorre innanzitutto che poniamo l'attenzione alla celeberrima frase di Geremia che oggigiorno è diventata anche proverbiale: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo..."; vi si esprime una realtà di autocondanna nella quale incappiamo tutti, chi più chi meno, quando riponiamo eccessivamente la nostra fiducia negli uomini, dando confidenza più del dovuto e aspettandoci riconoscimenti, riverenze e gratitudini quando ci rendiamo disponibili agli altri nell'elargire favori e atti di generosità. Non si tratta di una maledizione divina o di una punizione rivolta a chi crede spassionatamente nelle amicizie e nei rapporti umani, ma semplicemente della messa in guardia dal pericolo che comporta il confidare oltre misura negli uomini: questi possono sempre ingannarci e almeno una volta ci sarà capitato di aver affrontato qualche screzio o ricevuto una qualsiasi delusione dal più intimo degli amici; senza nulla togliere al valore dell'amicizia franca e spontanea e senza voler affatto negare che essa sia oggi esperibile, gli uomini sono sempre uomini, lontani dall'essere impeccabili e irreprensibili e sempre suscettibili di cattiverie pertanto se fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Come più volte afferma la Scrittura, solo in Dio è possibile confidare e soltanto Cristo (perché Dio fatto uomo) è degno della nostra attenzione nonché l'unico che resti fedele in ogni circostanza, giacché come dice Paolo "non può rinnegare se stesso (1Ts).

Vale la pena allora usufruire dell'amicizia di Gesù Cristo e avvalorarci sempre di essa attraverso il fiducioso colloquio con lui che si rende possibile nella preghiera, questa intesa non già come la meccanica ripetizione di formule ma come il rapportarsi diretto con lui a parole proprie o altrimenti con l'aiuto di una pagina del Vangelo e in tutti i casi esternando a lui le nostre difficoltà e le nostre ansie, non preoccupandoci di essere da lui giudicati intorno ai nostri peccati, giacché questi sono la nostra miseria e costituiscono l'unica cosa che siamo in grado di offrire a lui costantemente. Se qualcuno si domanda se è degno di accostarsi a Gesù, prima o poi saprà con certezza che nessuno è degno, ma Gesù si accosta a tutti con amore.

Come scrive Ardusso, per carpire il messaggio di Gesù non è sufficiente riferirsi ad un solo argomento evangelico, ad un insegnamento o a un solo episodio della sua vita: bisogna scavare a fondo e cogliere il centro vitale di tutta la sua esperienza terrena che egli svolge in ottemperanza al volere del Padre. Tuttavia il contenuto delle Beatitudini è espressivo della franchezza e dell'immediatezza che egli nutre nei nostri riguardi nel volerci guidare secondo linee concrete di vita, di realizzazione e di salvezza. In altre parole, nelle Beatitudini Gesù si mostra sollecito nel venirci incontro per indirizzarci a vivere in pienezza concretamente in tutti i contesti vitali e in ogni situazione, anche in quelle più avverse e disparate e il suo linguaggio si avvale dell'autorità che gli deriva da Dio. Non per niente sarebbe ora che anche nella nostra pastorale e nella catechesi si impostasse il discorso del vivere in Cristo non già sul tassativismo dei moniti, dei precetti e dei comandamenti che danno sempre l'idea di categoricità e di fissità rigoristica ma nello spirito di gioia e di libertà che scaturisce da ciascuna delle presenti affermazioni lucane. Ogni Beatitudine è infatti rivolta a una categoria di persone specifica; anche se non sempre per via diretta, tratteggia la difficoltà e le lotte che essa comporta e ci rassicura sui vantaggi e le garanzie che promette e per questo non esclude nessuno degli aspetti della vita di tutti i giorni, senza sorvolare sulle difficoltà e sui possibili rischi. Per fare un esempio, chi è povero in spirito dovrà soffrire le avversità delle denigrazioni e delle derisioni da parte di chi è intriso della mentalità comune del possesso e del guadagno facile tipica anche dei nostri giorni, ma questo gli meriterà la soddisfazione di essere padrone del mondo; chi piange avrà la ricompensa proporzionata alle sue lacrime e chi è costretto a soccombere si gioverà della vittoria futura. Come affermava una bella opera teatrale di Moliere, il frutto tardivo è quello migliore e duraturo e chi ha successo solo in un secondo momento gode di molti vantaggi in più rispetto a chi è stato premiato subito e senza meriti e questa è appunto la logica delle beatitudini: la ricompensa proporzionata alla perseveranza nel bene nonostante le fatiche e le avversità in tutte le dimensioni del vissuto. Ciò nonostante, la Beatitudine non è solo una promessa futura e consequenziale di un processo: ogni virtù ha il suo vantaggio nello stesso suo essere praticata al presente e il beato non deve aspettare ma può godere già adesso della propria ricompensa. E quale ricompensa migliore del sostegno di Dio e della sua continua vicinanza? Quale vantaggio maggiore di quello promesso dal Signore attraverso la sua presenza e la sua Parola? "Tutto posso in colui che mi da la forza" Afferma Paolo ai Filippesi e il beato è chi è capace di fortificarsi in Dio confidando in lui e sperando nell'ausilio che da lui solo gli proviene.

A differenza di Matteo, che colloca il discorso di Gesù su una montagna e gli attribuisce soltanto otto Beatitudini, Luca mette in risalto il "Discorso della pianura", giacché gli interlocutori sono disposti su territorio spianato e si limita a quattro affermazioni di Beatitudine accostando ad esse quattro "maledizioni". Perché questa aggiunta così insolita? Probabilmente per attribuire maggior rilievo alla vita evangelica che è molto più coinvolgente ed esplicita quando viene messa a raffronto con il suo contrario che è la dissolutezza, la dispersione e l'autolesionismo nel voler procedere secondo canoni di presunzione umana: opporre altre alternative al Vangelo vuol dire prefiggersi delle scelte apparentemente piacevoli e scevre di ostacoli ma senza garanzie e molte volte andando incontro a disillusioni e chimere assurde; la scelta della porta stretta è invece quella più faticosa ma garante di soddisfazioni.

 

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