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TESTO Dio ama il peccatore pentito e lo perdona

padre Tino Treccani

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/10/2001)

Vangelo: Lc: 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La parabola del "fariseo e del pubblicano" può essere divisa così: introduzione di Luca (v. 9); la parabola (vv.10-13); la conclusione di Gesù (v. 14).

1. Gesù smaschera la falsa religione (v.9)

Due sono le finalità della parabola: da un lato, smascherare la falsa religione di alcuni che, convinti di essere giusti, disprezzano gli altri (v.9); dall'altro, insegnare ai discepoli l'autentico rapporto con Dio. I convinti di essere giusti, si identificano con i farisei, il cui comportamento fu spesso condannato da Gesù. In Luca, e solo in lui (cfr. 16,14), i farisei (parola che significa "separati") sono chiamati "amici del denaro". Ossia, sono coloro che mantengono e difendono, con l'ideologia e con le parole, con rapporti di interesse (14,12-14) e con la religione del puro e dell'impuro (11,41) il sistema disuguale e escludente delle città, fondato sulla concentrazione dei beni. I farisei si oppongono a Gesù ed alla sua pratica. Al contrario, Gesù è favorevole alla condivisione e all'eliminazione della religione del puro-impuro (cfr. 15,1-2).

2. Nessuno si giustifica davanti a Dio (vv. 10-13)

La parabola contrappone due modi di essere, un fariseo e un pubblicano, che vanno al tempio per pregare (v.10). Ambedue cercano la comunione con Dio mediante la preghiera. Tra i due ha un contrasto molto forte, sia per il comportamento, sia per l'idea di religione e di preghiera. Anche l'idea di Dio che ognuno dei due possiede, è differente. Una è falsa, l'altra è vera. A prima vista, si ha l'impressione che il fariseo sia giusto e il pubblicano sbagliato. Ma la decisione spetta a Gesù. É lui - che conosce l'intimo della persona - che deciderà. Il fariseo non può essere giudice del pubblicano. I farisei si consideravano giusti davanti a Dio. Si credevano autentici e puri. La propria parola "fariseo" (= separato) denota la coscienza che avevano ed il rigore usato nell'osservanza della Legge di Mosè. Disprezzavano coloro che non conoscevano la Legge e coloro che non fossero - come loro - scrupolosi nell'osservarla nelle minuzie. Si ritenevano come coloro che applicavano autenticamente la Legge.

Il fariseo della parabola denota la coscienza e la scrupolosità del movimento a cui appartiene. Ha coscienza di non essere come il resto delle persone, e per questo si rivolge a Dio con un certo brio, orgoglio, pregando ad alta voce, in piedi, enumerando le sue qualità. Queste qualità si caratterizzano per il "non essere" come gli altri e per il "fare scrupolosamente" più di quanto la Legge esigeva. Lui "non è" come gli altri. E comincia a catalogare i peccati che evita: gli altri sono ladri, ingiusti e adulteri. Questi tre peccati sintetizzano la trasgressione del Decalogo in relazione al prossimo: non rubare, non commettere adulterio, ecc...

In seguito enumera ciò che "fa" scrupolosamente: digiuna due volte alla settimana. La legge prescriveva un solo digiuno all'anno, nel giorno della riconciliazione. Lui è incredibilmente generoso, andando molto oltre il prescritto, probabilmente digiunando in rappresentazione-sostituzione per i peccati del popolo (é, come si diceva, un' "anima riparatrice"). Inoltre paga il decimo di tutti i suoi redditi, inclusi quelli esenti dalle tasse decimali. Si tratta dunque, di un fariseo esemplare, integro in relazione al prossimo a Dio. Tuttavia il suo sbaglio consiste nel giudicarsi, per causa di questo, meritore della benevolenza divina. Dio dovrebbe sentirsi obbligato a riconoscerlo giusto.

Il pubblicano sta all'opposto del fariseo. Essendo esattori delle tasse, i pubblicani erano, e con ragione, accusati di estorsione e corruzione. Per questo diventarono impopolari, odiati come persone dalla morale perversa. Come esattori delle tasse, erano agenti del governo imperialista e bramoso dei romani. Collaborazionisti con gli oppressori, si vedeva in loro l'incarnazione del peccato. C'era per lo meno due classi di esattori delle imposte: i capi (come Zaccheo, cfr. 19,1-10) ed i subordinati. I capi praticavano l'estorsione sui loro subalterni, e questi sfruttavano il popolo. I capi erano ricchi; i loro subordinati, dei benestanti. Ambedue le classi erano malviste per essere collaboratrici dell'impero romano.

L'atteggiamento del pubblicano davanti a Dio si scontra frontalmente con quella del fariseo. Si riconosce peccatore, non ha coraggio di alzare gli occhi, si batte il petto e chiede pietà (v.13).

3. Il peccatore incontra la misericordia divina (v.14)

La conclusione di Gesù - che conosce l'intimo delle persone - mostra che il peccatore ritornò a casa perdonato (giustificato), mentre il fariseo, che si proponeva come modello di pietà da imitare, no (v.14). I farisei si giudicavano i primi (ossia, gli unici, i "separati") ad essere ricompensati per la loro religiosità e scrupolosità nel compiere i minimi dettagli della Legge. E giudicavano i pubblicani gli ultimi (ossia, gli esclusi), per i quali non c'era né speranza, ne salvezza. La conclusione di Gesù sovverte questa mentalità: chi si esalta (il fariseo) sarà umiliato (da Dio). Come non riconoscere qui un'eco del Magnificat? (cfr. 1,52).

La preghiera del fariseo non è autentica per i seguenti motivi:

- Per causa del rigore nell'applicazione della Legge - andando molto oltre dal prescritto - crede che Dio senta un maggiore bisogno di ricompensarlo. Ma Dio non si sente obbligato, perché la preghiera del fariseo è una pura esaltazione delle proprie qualità. E, in fondo, "copriva" la sua bramosia di "amico del Denaro" (16,14).

- Non è autentica perché crea classi tra le persone, dubitando che la preghiera del pubblicano possa cancellare il passato di ingiustizie. Con la sua preghiera, oltre ad esaltare se stesso, crea l'idea di un Dio fatto a sua immagine e somiglianza, incapace di trasformare totalmente la vita del peccatore.

-Non è autentica, perché non lascia margine per la gratuità. Pregare è accogliere il dono di Dio, offerto gratuitamente in Gesù. Costui venne al mondo non per causa della bontà dei farisei, ma perché solo Dio è buono, e nessun altro (cfr. Mc 10,18). Pregare non è uno scambio di favori; al contrario, è mettersi in atteggiamento di chi è disposto ad entrare nel mistero di Dio. Il fariseo non ha niente da chiedere. Si giudica, perciò, perfetto (vediamo come dovrebbe pregare il cristiano, nel Padre Nostro di Lc 11,2-4).

La preghiera del pubblicano è autentica, perché nasce dalla sua miseria e condizione di peccatore. Sa che è debitore a Dio ed alle persone. Riconosce che, se non ci fosse un Dio misericordioso, il suo caso non avrebbe soluzione, né salvezza.. Così, si affonda nel mistero di Dio, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr. Ez 18,23; Lc 15,7; Gv 8,11).

Per riflettere

Il monologo delle benemerenze potrebbe essere uno dei tanti titoli che caratterizzano la nostra preghiera di cristiani. Oppure potrebbe essere quest'altro: la coscienza degli eletti di Dio. Aggiungiamoci che ci fa molto comodo, dipendendo dalla situazione, essere e fare i camaleonti del sacro. La parabola si esprime in forme individuali e nega l'individualismo come forma di speranza o di garanzia della salvezza; rivela due classi, due mondi antitetici, per evidenziare il mistero di Dio, ben superiore ai peggiori peccati o, all'elenco delle benemerenze dell'osservanza scrupolosa di ogni "iota" della Legge.

Non giudicare! É tanto difficile non giudicare; è meno difficile perdersi nelle miriadi di "costruzioni umane", pensate, sofferte, per descrivere la preghiera. La preghiera è diventata un sillabario, un manuale enorme, quando si allontana dal nocciolo del Padre Nostro. La preghiera è un "dovuto", senza il quale, il patentino di buon cristiano o di buon religioso o ecclesiastico, resta senza valore. Immaginiamoci la preghiera dell'orgoglio, della pretesa, degli "hosanna" a noi stessi. É il self-service di chi crede di gestire il suo rapporto col divino. Per tanti, è proprio così. Gesù scuote la testa un'altra volta si questo modo di pensare e vivere la religione. D'altra parte, l' hanno ammazzato vivo, al suo tempo, perché ha avuto il coraggio di dare il colpo finale a quella religione del Tempio, piena di sacrifici e di lodi, ma senza anima. Nessun atto religioso, che passa sul corpo, la vita, la storia delle persone, possiede anima; perché questi corpi, queste vite, sono di Dio e non della religione! Il pur doveroso compito di osservare la Legge, non esime nessuno dal pur necessario dovere di vivere al giustizia. Religione che ammette qualcuno più santo dell'altro, pecca contro il Vangelo: uno solo è Santo, il Padre vostro che è nei cieli!

Siamo farisei e non ce ne dispiace: "Ti ringrazio Signore, che non sono come gli altri... islamici, talebani, atei e blablabla, aguzzini delle donne e terroristi... Ti ringrazio perché appartengo alla cultura occidentale, superiore a tutte, da te voluta.... blablabla... Ti ringrazio perché non sono uno spretato... perché non ho una donna amante; perché non sono come Tizio e come Caio, attaccati al denaro ed alla fama... blablabla..."

Ieri sera, lacrimoni grossi attanagliavano la mia gola, vedendo ancora bambini e innocenti colpiti dalle bombe: "Mio Dio, perché tanto sangue innocente, perché devono essere sempre gli stessi innocenti a pagare? Ci sei? O sei diventato sordo e cieco?" E prendevo tra le mani questa parabola di Luca. Una piccola luce si accende in questo buio pesto di vigliaccherie: qualcuno che comincia a battersi il petto ed osa dire che la vendetta si allontana da ciò che dovrebbe essere la giustizia; questa "guerra giusta" si sta rivelando come la guerra del "papavero". Ma che bello. Adesso faremo i poeti nei campi di papaveri: anche quelli sono rossi, come il sangue degli innocenti. Nella farsa dei raid notturni, i colori spariscono, tutto è filtrato dagli infrarossi che mostrano immagini verdi. É videogame... La guerra è solo nella fantasia... poesia pura.

È anche comodo "giocare al pubblicano", tanto Dio perdona tutto e tutti. In ambedue i casi, pubblicani e farisei, la coscienza c'è, del bene e del male. La molla che aziona la coscienza, però, a volte si inceppa, laddove la coscienza diventa privilegio di benemerenze, di orgogliosi diritti snobbati davanti alla faccia del divino. Ricordavo ieri (23 ottobre) il 15 anniversario dell'assassinio del mio caro Vilmar. La cosa più spontanea è puntare il dito contro gli assassini, come se io, nel mio cuore, non odiassi mai nessuno, amassi sempre i fratelli con cui convivo, ecc. ecc..

La giustificazione, spesso noi cristiani, l'abbiamo fatta diventare una teoria, e non un dono che riceviamo dalla misericordia di Dio. É vero, costruiamo il nostro piccolo Dio, su misura dei nostri interessi. La gratuità la lasciamo a qualche pazzo sognatore. Per noi, i conti devono tornare chiari e tondi, perché questo è il passaporto della nostra auto-reputazione. Eppure ci battiamo il petto ad ogni Eucaristia, paghiamo la nostra contribuzione, non andiamo a puttane. In convento, i "modelli" di santità sono ancora più vistosi: ognuno nel cubicolo del suo cuore chiuso, ammira la santità della scrupolosità nel compiere le pratiche di pietà; non importa, se il fratello accanto, muore dissanguato dal silenzio individualista; non ci tange il martirio interiore di chi, cosciente delle sue colpe, implora misericordia. Se uno sgarra dalla Regola, gli puntiamo il dito come fosse la personificazione del diavolo. L'importante è salvare la faccia!

Per fortuna che Gesù ha distrutto la religione dell'ipocrisia: adesso possiamo adorare Iddio in spirito e verità; non lo rinchiuderemo nei parametri di una cultura o di mille pratiche oranti. Adesso ci troviamo di fronte al mistero puro, di un essere, fatto Uguale a noi, dalle mani enormi come le sue braccia e dal cuore che tutto accoglie. É per la sua Bontà che siamo giustificati; perché sente più gioia per un peccatore che si converte, che di cento giusti che già godono del mistero divino.

 

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