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TESTO L'amore genera la fede

padre Tino Treccani

Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno C) (15/04/2001)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Il testo è una catechesi sulla risurrezione di Gesù, propria della comunità in cui nacque il IV Vangelo. Si vuol rispondere alla domanda: come prendere atto del sepolcro vuoto della domenica di Pasqua? Sono necessari altri "segni" che suscitino la fede in Gesù? La parola "tomba, sepolcro" è citata 7 volte.

1. Maria Maddalena: la comunità che non ha ancora assimilato la morte di Gesù (vv. 1-2)

Il "primo giorno della settimana" (domenica) segna la nuova creazione nata dalla morte e risurrezione di Gesù. Maria Maddalena è figura simbolica che rappresenta la comunità senza una prospettiva di fede, incapace di assimilare la morte di Gesù. Rappresenta quanti credono che il sepolcro sia il luogo del fracasso del progetto di Dio. Nel v. 2, Maddalena usa la prima persona del plurale ("non sappiamo"); indica un tutto. Già è mattino, ma per lei è ancora buio. Le tenebre rappresentano il "mondo", la negazione della vita, che non aderì a Gesù (1,5; 3,19; 6,17; 12,35). Il gesto di Maria andando al sepolcro sintetizza la ricerca della comunità cristiana, ansiosa di vita e di amore, ma che a volte, li cerca nel posto sbagliato. Vedendo la pietra rimossa pensa in un furto di cadavere. Secondo lei la morte aveva interrotto la vita per sempre: "Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l'abbiano posto" (v. 2b).

2. I due discepoli: corre più veloce chi ama di più (vv. 3-8)

Anche i due discepoli rappresentano la comunità che non ha assimilato la morte di Gesù. L'evangelista fa capire che la comunità si era dispersa (cfr. 16,32); ma la sua intenzione è ben chiara: la comunità non può sussistere senza la vivenza della fede in Gesù risorto.

La corsa verso il sepolcro è una vera maratona. Chi arriva primo? Certamente non colui che ha migliori condizioni fisiche, bensì colui che possiede una autentica disposizione per correre. Erano Pietro e "colui che Gesù amava"; in altre parole, questo discepolo non ha un nome ma una connotazione ben chiara (v. 2). É questo discepolo che restò vicino a Gesù nel momento della sua condanna e morte. E quindi arriva prima. Percepisce che ci sono segni di vita (v. 5) ma non ha ancora raggiunto la piena comprensione di ciò che accadde. I panni di lino (e i profumi) possono essere una tenue referenza al letto nuziale: secondo Giovanni e per il discepolo amato che vede, il sepolcro non è il luogo della morte, bensì dell'incontro del Signore della vita con la sua sposa, l'umanità.

Arriva Pietro. Il fatto di lasciar entrare Pietro per primo è, da parte del discepolo amato, un gesto di riconciliazione e di amore, gesto che ripete quello di Gesù.Il discepolo amato non si considera superiore a Pietro per il fatto di essere stato vicino a Gesù nelle ore dell'abbandono, disposto a morire con lui. Pietro entra e "vide le bende che giacevano distese e il sudario che era sopra il capo; esso non stava assieme alle bende, ma a parte, ripiegato in un angolo" (vv. 6b-7). La descrizione della scena vuol dimostrare che non ci fu violazione di sepolcro e nemmeno furto del cadavere, già che i ladri non si sarebbero preoccupati di piegare il sudario.Deve essere successo qualcosa di inaudito che "solamente il discepolo che ama" è capace di scoprire e farlo diventare oggetto della sua fede (v. 8): Gesù non continuava prigioniero delle maglie della morte. Era vivo. (Confrontare con la scena della risurrezione di Lazzaro, 11,44: "Scioglietelo e lasciatelo andare...")

3. Spiegazione dell'incredulità

Pietro è la figura rappresentativa della comunità che non ha ancora fatto il salto di qualità per passare dal dubbio alla fede. Perciò l'evangelista ricorda un passo della Scrittura che dice: "I tuoi morti ritorneranno a vivere, i tuoi cadaveri risorgeranno... Perché Javé sta uscendo dal suo domicilio" (Is 26,19.21a).

Per riflettere

Pasqua, risurrezione, sepolcro vuoto, ricerca ansiosa del fulcro della fede dei credenti. Il dubbio coniugato alle certezze di un atto ingiusto: crocifiggere un innocente. Quante Maddalena, quanti Pietro tra noi che ci diciamo suoi discepoli, ma che ancora non riusciamo a tradurre in opere l'amore con cui il Signore ci ama. Anche Maddalena dice: "non sappiamo". Come lei, non abbiamo ancora capito le cose del Signore; così come Pietro non capiva il cammino di conversione, proibendo Gesù di lavargli i piedi. Così ci lasciamo commuovere o convincere dal triste destino, crudele ed impassibile: la polvere della morte porrà fine ad ogni gloria, pur grande o effimera essa sia. Se questa fosse la nostra condizione di credenti, avrebbe ragione s. Paolo: la nostra fede è vana; una pia illusione, ma niente più. Purtroppo, mi sembra, è la situazione in cui spesso ci troviamo. Cerchiamo lo straordinario in luoghi sbagliati. Vogliamo dimostrare l'indimostrabile, cultuando magari tumuli e sepolcri, dimenticando l'"ora" in cui potevamo amare e ci siamo sottratti. Sia per paura, sia per altri innumerevoli motivi, bloccati da una ragione che no sa andare oltre le quattro strettissime pareti di un feretro. E continuiamo a cercare cadaveri; o meglio, vorremmo cercare dei vivi, là dove abitano i morti. Anche noi corriamo e ci affanniamo, di molta curiosità, pettegolezzo, teorie, dimenticando il fatto più importante: essere discepoli amati. Le nostre comunità cristiane come si dicono amate oggi? Come testimoniano la risurrezione di Cristo in mezzo a società marcate da segni di morte e oppressione? Quali opere di bene sa produrre la fede delle nostre comunità? Penso che non dovremmo dare tempo allo sforzo di scoprire o capire il "vuoto" di un sepolcro; questo vuoto è eloquente da se stesso. Il Cristo lo troveremo nel giardino della vita, a nozze con i giusti, in festa con gli onesti, sorridendo con i mansueti ed i puri di cuore, infine, a cena con i poveri, tanto di spirito che di corpo. É in queste nuove relazioni che sappiamo stringere con l'emarginato di ogni tipo e specie, razza e religione, è lì che possiamo vedere finalmente il suo volto brillante. E non serve volerlo trattenere come Maddalena. Nemmeno un sepolcro è riuscito ad imprigionarlo, ancor meno le mie due povere braccia. Il Cristo non è mio, non è nostro, ma noi siamo suoi. É pur vero che le tenebre sono fedeli compagne, non solo dei nostri dubbi, ma della cecità di cui siamo ammalati. Stentiamo a credere nella gioia di figli risorti; ai nostri morti, oltre ai fiori, dovremmo cantare l'inno di riconciliazione con loro per la sapienza e la vita che ci hanno trasmesso, coscienti che continuano il cammino con noi. É la Pasqua che squarcia i veli ed i teloni di tutti i templi, che non solo rinnova, ma che cambia la nostra vita. É sempre l'inizio di un mondo nuovo, in cui rinunciamo alle guerre, alla fame, alla miseria; è l'impegno instancabile di gridare a tutta forza: noi umani non abbiamo un destino di sventure; abbiamo sì un compito: dare la Vita a tutti, in abbondanza, perché il marchio della morte che affligge l'umanità possa trasformarsi in abbraccio di fratelli e sorelle veri che partecipano della gloria del Primogenito. Se avremo la fede "del discepolo amato", i nostri passi diventeranno missionari, senza solcare i mari o i cieli, perché ovunque siamo è tempo e alba di risurrezione. Credere al Cristo Risorto non è giochetto o illusione magica; è scommettere tutta la nostra vita. Se non riusciamo a dare speranza, a condividere l'amore, a perdonare, forse è segno che non abbiamo ancora capito le Scritture, anche noi, suoi discepoli. Ma per questo, dobbiamo prima accettare il cammino che ci porta a Gerusalemme, in salita, contro corrente, impopolare e silenzioso. Il gusto del buon vivere e le possibilità di ottenerlo non sono monopolio di alcuni prescelti, bensì dono da condividere in fraternità. Forse là, riusciremo a capire il mistero della risurrezione di Cristo e più nessuna tomba ci farà paura. Le nostre mense eucaristiche diventeranno tavolate lunghissime, oltre le porte delle nostre chiese; le nostre liturgie aumenteranno la dignità delle persone; in ogni luogo ci tratteremo e soprattutto ci ameremo tutti come figli dello stesso Padre buono, godendo della ricchezza che ognuno di noi è, per se stesso e per gli altri; non vedremo bambini piangere con la pancia gonfia di fame; non vedremo giovani donne obbligate a continuare il ruolo dell'addolorata; avremo giovani entusiasti della vita e anziani soddisfatti del proprio compiuto, come una catena interminabile di saggezza. É Pasqua ogni giorno, non solo il 15 aprile 2001.

 

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